sexta-feira, 21 de junho de 2013

Cristo lo vedo come l’Oblato divino, come l’Agnello perennemente immolato, come l’Orante perenne per noi, presso il Padre.

DA ITINERARIUM MENTIS DI DON FRANCESCO MOTTOLA

SPIRITUALITA’
Spiritualità è virtù di religione in concreto – nella nostra concretezza storica: cioè carattere – arte.
Se l’art, sintesi di idea e di storia non è personale, non è arte. Ma pur nelle differenze individuali, ci sono delle inconfondibili correnti artistiche, perché le idee trascinano le persone e creano il clima storico.
E così anche nell’arte divina che ha per esemplare Cristo: lo splendore del Padre che si fece Carne.
La storia vera la scrivono i santi: per essi plagiari di Cristo, Cristo entra più vitalmente nell’umanità e l’uomo attinge il fine.
Ecco perché la Chiesa è necessariamente santa ed esprime perenne la sua vitalità in una fioritura di santi. Il plagio spirituale muta per il dispiegarsi diverso all’anima del mistero di Cristo, per i diversi atteggiamenti di anima in rapporto al mistero.
Cristo lo vedo come l’Oblato divino, come l’Agnello perennemente immolato, come l’Orante perenne per noi, presso il Padre.
Non è questa la Messa di Cristo che ha per centro il Calvario, per fine supremo la glorificazione del Padre, per confine l’eternità? All’aurora l’offerta, al tramonto l’immolazione: e la comunione dura perenne nel meriggio dei Cieli…
E’ per questo che Cristo è sempre Mediatore, Sacerdote, Re, divino pacificatore col Sangue della Sua Croce, del cielo e della terra, con Dio.
Ma la Sua Croce è presente nella storia, per il sacrificio eucaristico dell’altare, per il sacrificio mistico della Chiesa – la Croce che esprime in diversa maniera, l’immolazione interiore (sostanza del sacrificio) dell’Oblato divino. Così Cristo è presente: unico varco nella tempesta buia che ci opprime, verso il Cielo. Dobbiamo unirci a Lui.
E’ necessario, dopo la inserzione del Battesimo, che come tutti i Sacramenti dice ordine, e si perfeziona nell’Eucaristia, unirsi sempre più strettamente a Cristo: per morire, per vivere.
Per morire con la Sua morte, per vivere della Sua vita. Dobbiamo celebrare con Lui la nostra Messa: oblazione, immolazione, comunione – e sarà il dispiegarsi della storia dell’unica Messa che è Sua. E’ per questa unicità sacrificale che tutti i sofferenti hanno il volto divino di Cristo, ed ogni dolore ha l’aroma del Calvario.
Ma per sentir questo è necessario mettersi in ginocchio e pregare.
Misticismo? Si, se per misticismo s’intende primato assoluto della preghiera.
Preghiera che è rinnegamento, slancio verso la luce, riposo, in volo, verso l’Infinito.
Per Cristo Signor Nostro.
Così la preghiera ci porta alla Comunione eucaristica e l’Eucaristia dilata più divinamente l’ala alla preghiera, conquistatrice di Dio.
L’apostolato di fatto scende dalla pienezza della contemplazione: come dai nevai la forza dei fiumi, che pur tornano al mare ansiosi di azzurro, per essere riassorbiti dal sole. Sarebbe altrimenti pericolosissimo- nei tristi tempi che corrono – rimanere nel mondo: solo a questo patto salveremo il sacerdozio e le anime. Perciò il nostro primo dovere è la preghiera: privarsene significa tagliare le sorgenti all’apostolato ed essere pericolosamente distributori di sacramenti.
E’ la preghiera che ci darà delle cose la visione più vera: vedremo tutto in Dio e conseguentemente ameremo tutto in Lui.
Mettiamoci in ginocchio e rinnoviamo la nostra promessa di morte.

fonte

Le origini apostolico-patristiche della Messa Tridentina

 


La relazione di Sr. Maria Francesca Perillo F.I. circa "Le origini apostolico-patristiche della Messa Tridentina" durante l'ultimo Convegno Summorum Pontificum del maggio 2011 fu veramente notevole. Oggi grazie a Chiesa e post Concilio che ne ha curato la pubblicazione online è disponibile. Si tratta di un tesoro da non tenere nascosto.

La Messa "tridentina" non è stata inventata da san Pio V né dal Concilio di Trento, ma risale ai tempi apostolici. La Liturgia, infatti, non è l'espressione d'un sentimento del fedele, ma è "la" preghiera ufficiale della Chiesa; è Dogma pregato. Essa racchiude qualcosa di eterno non costruito da mano umana. «Ecce ego vobiscum sum», dice Cristo alla sua Chiesa (Mt 28,20).
Introduzione
Con l'espressione "Messa tridentina" o "Messa di san Pio V", si suole indicare la celebrazione del rito secondo il cosiddetto Vetus Ordo, ossia anteriore alla riforma liturgica post-conciliare. Si tratta di due espressioni improprie, poiché, se è vero che il papa san Pio V promulgò un Messale a seguito del Concilio di Trento in realtà non fece altro che fissare e circoscrivere sapientemente un rito già in uso a Roma da secoli. Esso risaliva, nei suoi elementi essenziali, almeno a mille anni prima, precisamente al papa san Gregorio Magno. Da quest'ultimo pontefice viene anche il nome, più corretto ma non esauriente, di rito gregoriano. Non esauriente perché da san Gregorio Magno, come vedremo, il rito risale ai tempi apostolici per riannodarsi infine all'Ultima Cena e al Sacrificio cruento di Nostro Signore Gesù Cristo, di cui ogni Messa è costante ripresentazione ed incruenta attualizzazione.leggere...

METODO PER ASSISTERE ALLA SANTA MESSA UNENDOSI ALLO SPIRITO DEL SANTO SACRIFICIO secondo gli scritti di San Pier Giuliano Eymard






PRIMA PARTE


Mentre il Sacerdote prega ai piedi dell’altare e si
umilia delle sue colpe, confessate innanzi a Dio i
vostri peccati, e adorate in spirito di umiltà, onde
assistere meno indegnamente al Santo Sacrificio.
All’Introito, (Riti di introduzione) considerate
gli ardenti desideri dei Patriarchi e dei Profeti ed
unitevi ad essi per desiderare la venuta e il regno
di Gesù Cristo in voi.
Al Gloria, unitevi agli Angeli per lodare Dio e
ringraziarLo del mistero dell’Incarnazione.
Agli Oremus, (Orazioni) unite le vostre
intenzioni e domande a quelle della Chiesa;
adorate il Dio di infinita bontà, dal quale viene
ogni dono.
All’Epistola, (le letture) ascoltatela come se
udiste la predicazione di un Profeta o di un
Apostolo: adorate la santità di Dio.
Al Vangelo, ascoltate Gesù Cristo Stesso che vi
parla, e adorate la divina Verità.
Al Credo, recitatelo con sentimento di viva fede:
unite la vostra professione di fede pronto a
morire per sostenere tutte le verità del Simbolo.




SECONDA PARTE




All’Offertorio, unite le vostre intenzioni a quelle
del Sacerdote, e offrite il Sacrificio secondo i
suoi quattro fini:
1) come omaggio di adorazione perfetta,
presentando all’Eterno Padre le adorazioni del
Suo Figlio Incarnato, e unendo alle medesime e a
quelle di tutta la Chiesa le vostre; offrite voi
stesso insieme con Gesù Cristo, per amarLo e
servirLo;
2) come omaggio di ringraziamento, che offrite
all’Eterno Padre per ringraziarLo dei meriti,
delle grazie e della gloria di Gesù Cristo, dei
meriti e della gloria della Santissima Vergine e di
tutti i Santi, come pure di tutti i benefici che
avete ricevuto e riceverete per i meriti dello
Stesso Divin Figlio;
3) come ostia di propiziazione, offrendola in
soddisfazione per tutti i vostri peccati ed in
espiazione per tante empietà che si commettono
sulla terra; ricordate all’Eterno Padre che non
potrebbe ricusarvi cosa alcuna, avendovi dato il
Suo Figlio che fra poco Gli starà innanzi
sull’altare come vittima per i peccati nostri e di
tutti gli uomini;
4) quale sacrificio di impetrazione od ostia di
preghiera, offrendoLo al Divin Padre come il
pegno che Egli Stesso ci ha dato del Suo amore,
affinchè possiamo attendere da Lui con fiducia
tutti i beni spirituali e temporali; esponete i vostri
bisogni in particolare, e soprattutto domandate
la grazia di correggervi del vostro difetto
dominante.
Alla Lavanda, purificatevi con la contrizione
per divenire una vera ostia di lode, accetta a Dio,
capace di attirare i Suoi sguardi di compiacenza.
Al Prefazio, (liturgia eucaristica) unitevi al
concerto della corte celeste, per lodare, benedire
e glorificare il Dio tre volte santo per tutti i Suoi
doni di grazia e di gloria e soprattutto per averci
redenti per mezzo di Gesù Cristo.
Al Canone, (preghiera eucaristica) unitevi
all’amore e alla devozione di tutti i Santi della
Legge nuova, per celebrare degnamente questa
nuova incarnazione ed immolazione che sta per
operarsi alla parola del Sacerdote.
Pregate l’Eterno Padre di benedire questo
Sacrificio, di averLo per gradito, e benedire in
Esso tutti gli altri sacrifici di virtù, di santità che
Gli andrete offrendo.
Alla Consacrazione, mentre il Sacerdote,
circondato da una moltitudine di Angeli, si
inchina profondamente per riverenza all’azione
divina che sta per compiere; mentre operando e
parlando divinamente in persona di Gesù Cristo
Stesso consacra il pane e il vino nel Corpo e nel
Sangue dell’Uomo-Dio rinnovando il mistero
della Cena, venerate il potere inaudito dato al
Sacerdote in vostro favore.
Poi, quando alla parola del Sacerdote Gesù si è
fatto presente sull’altare, adorate l’Ostia
Sacrosanta, il Divin Sangue di Gesù Cristo che
implora misericordia per voi; ricevete su di voi,
come Maddalena ai piedi della Croce, il Sangue
che stilla dalle piaghe di Gesù.
Offrite la Vittima Divina alla giustizia di Dio,
per voi e per tutto il mondo; e per intenerire il
Cuore di Dio sulle vostre miserie e aprire su di
voi la sorgente dell’infinita bontà di Dio, offritela
alla Sua divina infinita Misericordia.
OffriteLa alla Divina Bontà perché ne applichi i
frutti di luce e di pace alle anime penanti nel
Purgatorio, e perché il Divin Sangue ne spenga le
fiamme e le renda degne del Paradiso
compiendone la purificazione.
Al Pater Noster, ditelo in unione con Gesù
Cristo in croce che perdona ai Suoi nemici;
perdonate voi pure con tutto il cuore e
sinceramente a tutti quelli che vi hanno offeso.
Al Libera Nos, (Padre Nostro) domandate per
l’intercessione di Maria e di tutti i Santi di essere
liberati da tutti i peccati e mali presenti, passati e
futuri, come pure dalle occasioni pericolose.
All’Agnus Dei, percuotetevi il petto come i
carnefici convertiti sul Calvario; poi
raccoglietevi in un atto di fede, di umiltà e di
fiducia, di amore e di desiderio, per ricevere
Gesù Cristo.



TERZA PARTE




Alla Comunione, apritevi per ricevere l’Ostia
Divina (Gesù) nell’intimo del vostro cuore; per
partecipare al Santo Sacrificio della Messa; e per
unirvi con il Vostro Dio, fonte di ogni delizia.
Datevi completamente a Lui come Lui si dà
completamente a Voi, affinchè siate uniti e fusi
con Lui come due ceri sciolti l’uno nell’altro.
Se non fate la Comunione sacramentale, a causa
di un peccato grave, comunicatevi facendo gli
atti seguenti: concepite (esprimete) un vivo
desiderio di essere uniti a Gesù Cristo,
riconoscendo il bisogno di vivere della Sua vita.
Fate un atto di contrizione perfetta di tutti i vostri
peccati, considerando specialmente la bontà e la
santità di Dio. Ricevete in spirito Gesù Cristo
nell’intimo della vostra anima, domandandoGli
la grazia di vivere unicamente per Lui.
Ringraziate il Nostro Signore di avervi concesso di
assistere alla Santa Messa e di fare la Comunione
Sacramentale o spirituale.
Al Ringraziamento, fate il proposito di offrire
un determinato omaggio, un sacrificio, un atto di
virtù.
Alla Benedizione, domandate infine a Gesù la
benedizione per voi e per tutti i vostri congiunti
ed amici.
 

quinta-feira, 20 de junho de 2013

Come S. Paolo della Croce celebrava la S. Messa

 
Con quanta devozione
S. Paolo della Croce celebrava la S. Messa
di S. Vincenzo M. Strambi C.P.





La devozione però verso l'Eucarestia non la dimostrava mai così accesa e fervente come quando celebrava la S. Messa. Oh! In quelle occasioni sì che si vedeva il nostro Padre tutto fede, tutto devozione, tutto tenerezza e per l'amore sembrava divenuto un Serafino. Dopo aver premesso a questo santo Sacrificio una lunga e fervida preparazione, saliva all'altare. Tutto raccolto e riconcentrato in Dio, mutava di colore, si accendeva in volto, e tutto s'infiammava di modo che l'incendio interno mandava quasi vampe di carità all'esterno. Si vedeva così rubicondo in faccia che sembrava un Serafino. Per molti anni non celebrò mai senza grande spargimento di lacrime. Posto poi dal Signore, quale oro nel crogiuolo dell'aridità e della desolazione, cessarono un poco le lacrime, ma bene spesso si vedeva molle di tenero pianto. Questo accadeva d'ordinario dalla consacrazione sino alla fine della Messa. Quando celebrava solennemente per lo più entrava in un raccoglimento così profondo, che conveniva si scuotesse e si facesse una dolce violenza per pro seguire la Santa Messa, nella quale d'ordinario il canto, massime del Prefazio e del Pater noster, veniva interrotto da alcuni trilli di pianto, che risvegliavano fede e devozione anche nei circostanti. Era molto esatto nell'osservanza delle rubriche ed in ciascuna delle sacre cerimonie. Si vedeva che accompagnava tutto con spirito interno, onde per usare le parole di testimoni di vista, sembrava piuttosto un Serafino d'amore, che uomo terreno. Celebrata la S. Messa si ritirava subito in luogo appartato per trattenersi liberamente da solo a solo col suo Gesù e sfogare con Lui gli affetti del suo cuore e struggersi tutto e perdersi felicemente nel suo amato Bene. Delle sacre suppellettili che dovevano servire alla celebrazione dei divini misteri, era tanto geloso che non pareva si potesse accontentare. Talvolta rimandò indietro un primo e un secondo corporale e vi avrebbe certamente mandato anche il terzo, se non fosse stato bene pulito: «Le cose - diceva - che si debbono usare per il Santo Sacrificio della Messa, siano pulitissime e mondissime».
Volle il Signore mostrare ancora con prodigi quanto gli fosse grata la viva fede e la devozione del suo Servo in quella sacrosanta azione. Celebrando la Messa nel monastero di S. Lucia di Corneto, una mattina assai per tempo, il ministro che rispondeva osservò con stupore, che quando il Santo fu vicino alla consacrazione, cominciò a sollevarsi dalla predella dell'altare una specie di fumo, come se si fosse bruciato dell'incenso e di tanto in tanto si innalzava tal profumo che non si può esprimere né assomigliare ad alcun altro odore. La maggior meraviglia però fu, che il Santo poco prima e poco dopo la consacrazione, per due volte si levò in aria quasi due palmi sopra della predella.
Perchè l'amore che desidera di piacere all'amato Bene si serve di molti stimoli per operare con più perfezione, il P. Paolo ogni volta che si accostava a celebrare i sacrosanti misteri, per avere migliori disposizioni, si immaginava che quella fosse l'ultima volta che si presentava al sacro altare. Confidò ad un religioso: «Ogni volta che celebro la S. Messa, mi comunico come se fosse per viatico» e soleva esortare gli altri a fare non solo questa santa opera, ma tutte le altre ancora, come se fosse l'ultima della vita. È proprio di chi ama e possiede e gusta soavemente di un bene immenso, desiderare che tutti gli altri e specialmente quelli che hanno con lui maggiori attinenze e comunicazioni, ne gustino e lo posseggano con gran pienezza. Per questo il Santo bramava ardentemente che tutti i sacerdoti e in particolare i nostri di Congregazione, si arricchissero dei tesori che si trovano nel santo Sacrificio dell'altare. Inculcava loro che preparassero bene il cuore per ricevere Gesù Cristo.

«Procurate di porre ogni diligenza in celebrare con alta devozione, e ringraziamenti dopo, e custodire die ac nocte, il tabernacolo interiore, che è il petto Sacerdotale: chi fa così, presto brucerà di santo amore. Custodite con grande cautela questo vivo tabernacolo, e tenetevi le lampade accese, cioè la fede e la carità; tenetelo sempre apparato a festa con l'esercizio d'ogni virtù. Gesù celebrò i divini Misteri nel Cenacolo apparato: Caenaculum stratum».
Soprattutto raccomandava ai suoi religiosi che non solo si preparassero alla Santa Messa con la seria meditazione dei misteri di nostra fede, ma che nell'atto medesimo di celebrare accompagnassero con lo spirito Gesù Cristo nella sua Passione e morte, poiché la Messa è una rinnovazione del Sacrificio della Croce. Si figurassero di cebrare le esequie al Redentore con lo spirito di compunzione di Maria SS., S. Giovanni, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Diceva che il cuore del sacerdote doveva essere il sepolcro di Gesù Cristo, e siccome quello ove fu posto dopo morte, era nuovo, in quo nondum quisquam positus fuerat; (Luc. 23, 53) così doveva il cuore del sacerdote essere mondo, animato da viva fede, da una grande confidenza, da una ardente carità, da un vivo desiderio della gloria di Dio e della salute delle anime. Era solito dire che nella Messa era tempo proprio di negoziare coll'Eterno Padre, mentre gli si offriva lo stesso suo Unigenito morto per nostra salute.«Avanti di celebrare (scrisse ad un sacerdote) vestitevi delle pene di Gesù Cristo, con un sacro colloquio fatto placidamente in mezzo alle siccità: portatevi all'altare i bisogni di tutto il mondo ».
Desiderava che tutti i sacerdoti di Congregazione si distinguessero nell'esattezza e nella piena osservanza delle rubriche. Insisteva con grande sollecitudine perchè i novelli sacerdoti fossero bene istruiti ed in possesso delle sacre cerimonie: anzi egli stesso più d'una volta si prendeva la cura di assisterli nell'atto che ne facevano la prova. Non poteva soffrire di vedere disordine o errore nelle cerimonie sacre. Se vedeva che qualcuno mancava, lo correggeva opportunamente, dicendo: «Le rubriche si devono studiar prima», oppure in altra maniera procurava, che chi ne aveva di bisogno, si emendasse dell'errore e della negligenza.
Non poteva neppure tollerare che i sacerdoti dopo la santa Messa lasciassero quasi in abbandono Gesù Sacramentato senza fare il dovuto ringraziamento. Contro quest'abuso declamava nelle occasioni che gli porgeva il suo ministero, per indurre tutti a celebrare devotamente, come egli praticava e rendere all'amorosissimo nostro Dio rendimento di grazie per questo immenso beneficio. Scriveva ad un novello sacerdote di Congregazione:

«Io non le dirò che s'impratichisca bene delle rubriche del messale, essendo questo un suo preciso dovere, ma le raccomanderò che si avvezzi a celebrare i sacrosanti misteri con grande apparecchio che in ogni Sacerdote dovrebbe essere continuo con la santità della vita; e se vuole che non sia detto anche di lei che il nostro buon Dio hospitabitur et pascet ingratos (è ospite e darà da mangiare senza averne un grazie; Sir 29, 32 Vulg.), io le raccomando caldamente di non essere nel numero di coloro (che io credo non esistano in questo inondo) dei quali disse il Grisostomo: Judam imitantur qui ante ultimam gratiarurn actionem discedunt (Imitano Giuda coloro che se ne vanno prima del ringraziamento finale). E però, dopo che avrà celebrato, prosegua la sua intima unione col Sommo Bene in un lungo ringraziamento mentale» (III, 743).

«L'anima umile di cuore, fedele e tutta di Dio, non ha, né cerca modi, né sa cercarli per fare il ringraziamento tanto dopo la santa Messa che in altra occasione, qualunque essa sia; perchè una tal'anima che vive di fede, in alta separazione da tutto il creato, in vera povertà di spirito e perfetta nudità di tutto ciò che non è Dio, tutta vestita in pura fede delle pene santissime di Gesù Cristo, nascosta e ritirata in solitudine interiore ed immersa tutta in Dio, arde nel fuoco della divina carità, in silenzio di fede e di amore, vittima sacrificata in olocausto al sommo Bene, ed eccola in continuo ringraziamento, tanto nell'orazione che in qualunque opera esteriore... Quando avete celebrato la Messa vi siete cibato di Gesù, è vero? Ora perchè dopo la Messa non lasciate che Gesù si cibi di voi, vi digerisca e vi trasformi in sé ed ardendo di quel fuoco d'amore, che arde nel suo divin Cuore, non vi lasciate tutto incenerire? Se sarete ben umile di cuore, ben annichilato, bene nascosto alle creature, vi sarà insegnato dal Divin Maestro nella scuola interiore la vera scienza dei Santi...» (III, 189, b. a.).
Per quanto gli era possibile, impediva che si accostasse al sacro altare chi mostrava di non andarvi con la dovuta riverenza e non era vestito con l'abito che si conveniva. Essendosi una volta portato in un nostro ritiro per celebrarvi la S. Messa un ecclesiastico distinto, che meritava certamente qualche riguardo, ma che vestiva un abito poco conveniente, il Padre lo riprese e non volle permettergli di celebrare la S. Messa dicendogli: «Questo non è abito da ecclesiastico e da portarsi all'altare». Per questo suo zelo scriveva ad un'anima devota:
«Questo volo di spirito deve farsi nel Cuore di Gesù Sacramentato ed ivi spasimare di dolore per le irriverenze che riceve dai cattivi secolari e più dai cattivi ecclesiastici religiosi e religiose, i quali corrispondono con ingratitudine e sacrilegi a tanto amore. Per riparare a tanti oltraggi deve l'anima amante offerirsi vittima, tutta incenerita dal fuoco del santo amore ed amarlo, lodarlo e visitarlo spesso per quelli che lo maltrattano, massime visitarlo in certe ore che non vi è chi gli faccia corte».
Non solo traspariva al di fuori la sua interna unione con Dio, il suo amore a Gesù Sacramentato quando celebrava, ma ancora quando amministrava il Sacramento dell'Eucarestia. Nel dire quelle parole: Ecce Agnus Dei le proferiva con tale energia e santa riverenza, che sembrava vedesse il Divin Redentore nella sacrosanta Particola coi propri occhi. Così ancora ogni volta che portava il Santissimo Sacramento processionalmente nel giorno del Corpus Domini, fu osservato che era tutto bagnato di lacrime. Quella festa era per lui di singolare devozione e tenerezza. La celebrava con uno spirito meraviglioso di fede. Se stava in ritiro cantava la Messa e faceva la solenne processione nel recinto, ma con tale raccoglimento, cori tanta devozione e con tante lacrime, che bastava guardarlo per compungersi. Se era fuor di ritiro per qualche urgentissimo affare o per aiuto dei prossimi, come appunto un anno fra gli altri accadde in Ronciglione, si poneva con tutto il fervore del suo spirito a fare ossequio a Gesù Cristo Sacramentato, che portavasi nella solenne processione. Ma non si può spiegare, dice una persona religiosa che lo vide coi propri occhi, con quanta devozione lo facesse: basta dire, che tutto si disfece in lacrime e poi cominciò ad esclamare: «Oh che grande amore! Oh che giornata è questa! oh carità, oh amore!» Scrivendo il Santo in quella solennità ad un'anima devota, manifesta in poche parole l'ardore del suo spirito:
«La farfalletta gira intorno al lume e poi si brucia in esso; così l'anima giri pure intorno, anzi dentro quel lume divino e tutta s'incenerisca in esso, massime in questa grande dolcissima ottava di Gesù Sacramentato. Ah mangiate, bevete, ubriacatevi, volate, cantate, giubilate, esultate, fate festa allo Sposo divino».
Conoscendo altresì i tesori immensi che si trovano nella SS. Eucarestia e sono preparati a tutti i figli della Chiesa, esortava anche le persone secolari a comunicarsi spesso, ma comunicarsi però con grande affetto e devozione. Scriveva:
«La S. Comunione è il mezzo più efficace che possa trovarsi per unirsi con Dio. State sempre preparata per la Divina Mensa: tenete il cuore ben purificato e custodite assai la lingua giacchè è la prima a toccare il SS. Sacramento. Portatevelo a casa dopo aver fatto però il dovuto ringraziamento e fate che il vostro cuore sia un vivo tabernacolo del dolce Gesù Sacramentato. Visitatelo spesso dentro di voi e fategli tutte le adorazioni, affetti e ringraziamenti, che v'insegnerà il santo amore».

testo tratto da: San Vincenzo M. Strambi, Lo spirito di S.Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, Alba: ed. Paoline, 1950, pp. 49-55.

Chiunque recitava l'Ufficio Divino con poca fede e raccoglimento, bastava che avesse osservato il nostro Santo per rimanere confuso ed istruito del modo con cui si deve eseguire un'azione sì grande che dai S. Padri è chiamata opus divinum. Quantunque infermo o aggravato dalla. vecchiaia, recitò sempre anche con suo gravissimo incomodo l'Ufficio e non volle mai prevalersi della dispensa concessagli da Clemente XIV, se non quando gli fu del tutto impossibile recitarlo: ma essendo oppresso dai suoi mali e negli ultimi anni di sua vita, si faceva aiutare da qualche sacerdote che avesse voce chiara ed intelligibile, per non privarsi del celeste pascolo che nella recita del divino Ufficio gustava l'anima sua. Ogni volta poi che recitava l'Ufficio stava col capo scoperto, con compostezza esemplare e grandissima devozione. Sebbene fosse infermo e carico di acciacchi, nulladimeno non si poté mai indurre a coprirsi il capo nel tempo che lo recitava.
Non poteva quasi fare a meno di mostrare il suo dispiacere, se talvolta vedeva che qualcuno stava col capo coperto senza necessità. Anche in occasione di viaggi, recitando l'Ufficio, stava a capo scoperto, sebbene fosse d'inverno, in campagna aperta e in tempo di grande freddo.
Negli ultimi anni di sua vita, quando maggiormente era travagliato dai suoi incomodi, il compagno lo stimolava istantemente a coprirsi il capo, dicendogli che non sarebbe stata mancanza di rispetto, se per motivo delle sue indisposizioni si fosse dispensato dal suo pio costume ed avesse recitato l'Ufficio così coperto. Perchè il Santo non sapeva resistere ma voleva accondiscendere virtuosamente ad ognuno, per un poco si copriva, ma poi dopo un poco si scopriva di nuovo dicendo che assolutamente non poteva recitar l'Ufficio col capo coperto e soggiungeva: «Bisogna pensare, che si dice l'Ufficio», quasi volesse dire: «Ora si parla con Dio!» Voleva anche, per quanto gli fosse stato possibile, nelle sue indisposizioni alzarsi di letto per adempire con maggiore ossequio a questo dovere tanto gradito a Dio e tanto utile a tutta la Chiesa.
Più chiaramente dava a conoscere la sua fede e devozione quando trovavasi nel coro comune a pregare con gli altri. Era esatto e diligente nell'intervenirvi: non se ne dispensava né di giorno, né di notte; anzi la notte tanto più volentieri si alzava e vi assisteva. Era persuaso che quel sacrifizio di lode offerto in quelle ore in cui la maggior parte degli uomini riposa o sta perdendo tempo in vani divertimenti o in peccati, è una dimostrazione di sincero amore all'amabilissimo Dio e diceva che in quel tempo si facevano al Signore le serenate d'amore. Molte volte, benché fosse ammalato e mezzo storpio e appena si potesse reggere in piedi, voleva intervenire al coro ed era per tutti uno spettacolo di edificazione e di tenerezza vedere il loro vecchio Padre, strascinarsi a stento nel luogo dell'orazione e quivi fermatosi in piedi come poteva, offrire con grande devozione a Dio quel sacrifizio di cui trovava tutte le delizie del suo spirito. Si vedeva quanto bene praticasse quella massima che inculcava agli altri:

«Quando andiamo in coro a recitare il divino Officio, ravviviamo la fede perchè in tali occasioni facciamo l'officio degli Angeli, dei quali si riempie il coro ad offrire un sacrificio di lode alla Divina Maestà».
Stava attentissimo perchè il canto fosse regolato dalla vera devozione ed accompagnato sempre da quella distinzione e pausa che tanto contribuisce affinché la soavità sia unita al vero decoro e giusta gravità. Per animare tutti a salmeggiare con fervore, ricordava con vivezza e forza di spirito le parole dell'Inno: «Os lingua, mens, sensus, vigor confessionem personent». Se talora qualcuno sbadigliava, animato da vivo zelo bussava col suo bastoncino in terra e diceva: «Non è questo il modo di recitare il divino Ufficio, stando alla presenza di Dio». Vide una volta che un religioso recitava l'Ufficio stando appoggiato al muro senza quella compostezza che conveniva. Il Santo gli raccomandò di recitare l'Ufficio con attenzione e riverenza, perchè in punto di morte il Signore gli avrebbe fatto vedere quello che egli allora non considerava. Mi ricordo che avendo sbagliato un chierico in coro - racconta un testimone - nella recita dell'Ufficio Divino, il Padre Paolo gli disse sotto voce: «Maledictus homo qui facit opus Dei negligenter». Queste parole furono udite da me e da altri, perchè il coro era assai angusto; ci riempirono di un santo timore e terrore, sicché si stava attentissimi a non sbagliare (S. 490, b. a).
Così parla e così pensa chi ha vivo sentimento di fede, per cui parlando con Dio, invisibile agli occhi del corpo, Lo vede e Lo contempla cogli occhi dello spirito.


testo tratto da: San Vincenzo M. Strambi, Lo spirito di S.Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, Alba: ed. Paoline, 1950, pp. 55-58.

VISTO EM

VENERÁVEL PIO XII: il santo Sacrificio della Messa religiosamente offerto dal sacerdote con la intima partecipazione dei fedeli, in unione con tutta la Chiesa, è e rimane il grande atto del culto divino

Pio XII

DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI SACERDOTI ADORATORI E AI SODALIZI
DELL'ADORAZIONE NOTTURNA NELL'URBE*

Domenica, 31 maggio 1953

Come Ci è dolce di accogliere la pia domanda della « Ven. Arciconfraternita della Adorazione notturna al Santissimo Sacramento » e della « Associazione dei Sacerdoti Adoratori », che in preparazione alla loro Assemblea generale hanno desiderato di adunarsi intorno a Noi, bramosi di accrescere in sè e intorno a sè l'amore della Eucaristia, centro di vita e di santificazione!

Nella Enciclica « Mediator Dei » sulla sacra Liturgia Noi ricordammo l'insegnamento della Tradizione e dei Concili intorno all'adorazione dell'Eucaristia e lodammo le varie forme di questo culto, annoverando fra le più belle e salutari l'adorazione pubblica del Santissimo Sacramento, praticata specialmente da Associazioni sacerdotali, da Congregazioni religiose e da Confraternite di laici. E nella Esortazione a tutto il Clero « Menti nostrae » sulla santità della vita sacerdotale Noi terminavamo il quadro delle virtù sacerdotali con le seguenti parole : Queste e le altre virtù del sacerdote potranno essere facilmente acquistate dai giovani nei Seminari, se fin dalla prima età essi avranno appreso e coltivato una sincera e tenera devozione a Gesù "veramente, realmente e sostanzialmente" in mezzo a noi presente e dimorante sulla terra, e se faranno di Lui Sacramentato il movente e il fine di tutte le loro azioni, delle loro aspirazioni e dei loro sacrifici.

Come il santo Sacrificio della Messa religiosamente offerto dal sacerdote con la intima partecipazione dei fedeli, in unione con tutta la Chiesa, è e rimane il grande atto del culto divino, così il culto eucaristico viene celebrato dovunque l'Uomo-Dio presente nel Sacramento è adorato, anche e in molteplici forme al di fuori del Sacrificio. Senza dubbio il buon Pastore ha voluto essere un vero pane, come canta il Dottore Angelico nelle sue mirabili poesie così alte e così dense. A Lui non basta di essere adorato; vuol essere anche il nostro nutrimento. « Se non mangerete la carne del Figliuolo dell'uomo, ... non avrete in voi la vita » (Io. 6, 54). Il suo amore senza limiti ha messo questa condizione alla nostra felicità: Non avrete parte con me (per usare le parole del Signore stesso Io. 13, 8), se non vi nutrirete con la mia carne.

Ma l'anima, che ha compreso l'amore del suo divino Maestro, non si contenta dei pochi momenti, in cui il Pane degli angeli riposa sulle sue labbra: ha bisogno di vedere ancora e di adorare a suo agio l'onnipotente Signore, che sotto l'umile immagine del pane si mette al suo servizio; ha bisogno di contemplare instancabilmente quel tenue velo, che al tempo stesso le nasconde e le rivela l'amore del suo Salvatore; ha bisogno di dimorare lungamente dinanzi all'Ostia consacrata e di prendere alla vista dell'umiltà di Dio un'attitudine del più umile e profondo rispetto.

Quale lezione più sublime di questa reale presenza dell'Uomo-Dio sotto la forma di un fragile pane? Il pane è il nutrimento di tutti, è fatto unicamente per servire, per mantenere la vita. Cosi è il sacerdote secondo il cuore di Cristo; egli non mette alcuna condizione per il suo servizio, è sempre benefico e interamente si dona. Ciò che vale eminentemente per il sacerdote, si applica anche ad ogni cristiano, poiché la carità è il comandamento universale, che in sè racchiude tutta la legge del Salvatore. Ricordate la commovente parabola del buon Samaritano, nella quale Gesù ha dipinto il suo Cuore e lo ha dato a noi come esempio: « Va e fai anche tu lo stesso » (Luc. 10, 37).

Trovate il tempo, le forze, il danaro necessari per soccorrere, nel miglior modo possibile, qualsiasi degli uomini vostri fratelli. Siate per lui utili e buoni come il pane, e in pari tempo umili, poichè altrimenti la vostra carità non penetrerebbe sino al fondo del suo cuore, di quel cuore che bisogna guadagnare a Dio, aprire all'azione della grazia. Chiunque dimora spesso e lungamente prostrato ai piedi dell'Ostia, comprende la lezione del pane eucaristico e prova il bisogno imperioso di metterla in pratica, di obliare completamente sè stesso, di donarsi agli altri senza limite. Da questo appunto tutti riconosceranno che siete discepoli di Cristo (cfr. Io. 13, 35), veri adoratori in spirito e in verità, che glorificano il Padre, imitando il Figlio.

Non abbiamo detto che una parola della carità, che proviene dal Sacramento di amore, perchè è il comandamento del Signore; ma la Santa Eucaristia è per i suoi adoratori una sorgente inesauribile di luce e di forza. Coloro specialmente, che nelle ore silenziose della notte si uniscono alla adorazione degli Angeli, e rendono all'Agnello che fu immolato (Apoc. 5, 12) le azioni di grazia che Gli sono dovute, attingono abbondantemente per sè stessi e per tutta la Chiesa acque dalle fonti del Salvatore (cfr. Is. 12, 3).

Affinchè il numero degli Adoratori notturni e quello dei Sacerdoti adoratori aumenti costantemente; affinchè il loro fervore sia un esempio e un sollievo per la nostra Città ; affinchè il divino Maestro presente e nascosto nel Santissimo Sacramento si lasci commuovere dalle loro perseveranti suppliche e si mostri sensibile ai loro omaggi ; impartiamo di cuore a voi, diletti figli qui presenti e ai membri delle vostre Associazioni che non hanno potuto unirsi a voi, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

FONTE

DON BOSCO : I SUOI SCRITTI SULLA SANTA MESSA












FONTE


















Igreja Corpo de Cristo: tema da catequese da audiência geral, com imensa multidão. Papa apela à unidade dos cristãos e ao acolhimento dos refugiados

 

Não obstante o intenso calor registado em Roma, mais uma vez uma imensa multidão de dezenas de milhares de fiéis se concentrou esta manhã na praça de São Pedro para a audiência geral desta quarta-feira. Papa Francisco comentou desta vez uma expressão usada pelo Concílio Vaticano II na Constituição “Lumen gentium”, sobre a Igreja, a saber: “a Igreja é Corpo de Cristo”.
“A Igreja é o Corpo d
...»

Pontifical Mass celebrated by Archbishop Sample at the Cathedral of the Madeleine

 

Photographs of the Pontifical Mass celebrated by Archbishop Sample at the Cathedral of the Madeleine in Salt Lake City, Utah today during the CMAA's Colloquium. (Photos: Charles Cole & Joseph Dalimata)














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quarta-feira, 19 de junho de 2013

LA SANTA MISA



LA SANTA MISA
LA SANTA MISA . Primera parte de la Misa (Parte catequística)LA "MISA DE LOS CATECÚMENOS". SEGUNDA PARTE DE LA MISA (Parte sacrificial) LA "MISA DE LOS FIELES" O EL SACRIFICIO ROPRIAENTE DICHO. LA OBLACIÓN DE LA VÍCTIMA. EL CANON DE LA MISA. LA PARTICIPACIÓN DEL SACRIFICIO,O COMUNIÓN
momento de la "Elevación" en la Santa Misa++++

De todos los temas de Liturgia, el de la Misa es el más importante y el que requiere un estudio más detenido y amoroso. La Misa háse de comprender y vivir íntimamente, y quien mejor la comprenda y mejor la viva, será, indiscutiblemente, el que vivirá más intensa y plenamente la vida cristiana. De ahí que, dentro de la brevedad que exige la índole de este Manual, le dediquemos aquí a la Misa un estudio lo más completo posible, utilizando los mejores tratados publicados hasta la fecha sobre la materia (1).

(1).
Recomendamos, en castellano: La Santo Misa explicada, por Dom P. Guéranger, Abad de Solesmes, trad. por L. Acosta. - La Misa y su Liturgia, por el R. P. Agustín Rojo del Pozo, benedictino de Silos. - Y en francés: La Sainte Messe, Notes sur sa liturgie, por Dom. E. Vandeur, O. S. B. - La Messe, étude doctrinale, por E. P. Bourceau. - Leçons sur la Messe, por Mons. Batiffol. - La Sainte Messe, sens véritable des priéres et des céremonies, por Decrouille. -La titurgie de la Messe, por Dom Jean de Puniet, O.S.B.-Le Saint Sacri f ice de la Messe, por N. Gihr, 2 vols. - Liber Sacrainentorum, IX vol., por el Card. Schuster, O.S.B., y los libros de Dom Léfébvre y de Pius Parh. - Para la explicación de la Misa del pueblo, puede ser útil nuestra Guía Litúrgica del Catequista (Buenos Aires).

NOCIONES PRELIMINARES
1. Noción del Sacrificio. El Sacrificio, estrictamente considerado, suelen definirlo así los teólogos: Es la ofrenda que se hace a solo Dios, por medio de un ministro legítimo, de una cosa sensible, destruyéndola o transformándola en otra, para, reconocer y dar testimonio del suprema dominio de Dios sobre todas las cosas, y expresar nuestro acatamiento.
Dícese ofrenda de una cosa sensible, porque el Sacrificio pertenece al culto externo de Dios, pudiendo ser materia de él tanto una cosa animada como inanimada.
Por legítimo ministro se entiende una persona especial legítimamente delegada para ello.
Se dice a sólo Dios, porque el sacrificio es propiamente un acto de latría, que a Él solo se dirige.
Añádese destruyéndola o transformándola, porque no solamente se le debe a Dios él uso de la cosa, sino la sustancia misma de ella, de suerte que la cosa misma debe dejar de existir física o moralmente, y, por lo tanto, inutilizarse para sus usos naturales...
Con las palabras reconocer y dar testimonio del supremo dominio de Dios, etcétera, se expresa cl fin del sacrificio, que es confesar que todo viene de Dios y a Él se le debe todo, incluso la vida humana, la cual debiera ser, en realidad, la materia propia del Sacrificio; pero como de ordinario no es lícito sacrificar la vida, sustitúyese ésta por la sustancia de otra cosa de su pertenencia.

2. Antigüedad y universalidad del Sacrificio. El Sacrificio, en una o en otra forma, ha existido desde el principio del mundo y en todos los pueblos, en donde, en alguna manera, se han practicado actos de religión. La existencia del hombre, de la religión y del sacrificio, son, puede decirse, simultáneas e inseparables; ya que no puede darse un hombre que no reconozca algún ser superior a sí, y al cual no exprese, de alguna manera, su acatamiento, que es, en último término, a lo que tiende el sacrificio.
Es un hecho demostrado que todos los pueblos, civilizados y no civilizados, han practicado el sacrificio. Los hindúes, toda su religión la practican a base de sacrificios, a tal punto que sus libros sagrados, los "Vedas", definan el hombre: "el primero de los sacrificadores". Los griegos, de civilización refinada, en todo hallaban pretexto para sacrificar: en las calamidades públicas, en las enfermedades individuales, en las bodas, en los nacimientos, en las expediciones, etcétera. Los romanos todavía eran más pródigos en sacrificar, hasta el extremo de constituir, entre ellos, el comercio de las víctimas un verdadero tráfico, y de no poder sustraerse de ellos ni siquiera los hombres más cultos. De Juliano el Apóstata, por ejemplo,' se cuenta que más de una vez inmoló en el altar del sacrificio a más de cien toros, carneros, ovejas y cabritos en cantidad fabulosa, y un sinnúmero de pájaros de blanco plumaje, de mar y de tierra (1).

3. Los sacrificios bíblicos. La Biblia, desde los sacrificios de Caín y Abel, no cesa de hablar de numerosos sacrificios ofrecidos a, Dios por los Patriarcas, Profetas, Reyes y gente del pueblo. Moisés consagra todo un libro, el Levítico, para regular minuciosamente todo el ritual relativo a los sacrificios. Son celebérrimos, los sacrificios de Abel, de Noé recién salido del Arca, de Abrahán y de Melquisedech, y asimismo lo son todos los de la Ley mosaica, los principales' de los cuales clasificábanse en cruentos e incruentos.
Estos sacrificios cruentos consistían en inmolar animales. Ofrecíanse, unos en calidad de holocausto, y eran los más excelentes; otros por el pecado, con carácter expiatorio; otros por el delito, con carácter expiatorio también, pero privado; y otros, finalmente, en calidad de hostia pacífica, con carácter eucarístico e impetratorio a la vez y como fruto de algún voto personal.
Los sacrificios incruentos consistían en ofrecer, no animales, sino materias sólidas o líquidas. Ofrecíanse, ora en privado y por razones personales, ora en público y por motivos generales.
Todos estos sacrificios del Antiguo Testamento agradaron y aplacaron a Dios hasta que, en el Nuevo, apareció Jesucristo y aboliólos con su Sacrificio, sucediendo la realidad a las figuras.

4. El Sacrificio de la Misa. En la Nueva Ley sólo hay un sacrificio, del cual eran figuras todos los de la Antigua, y él sólo cumple todos los fines de aquéllos: es el Sacrificio cruento de Cristo en la Cruz e incruento en el altar; es decir, el Santo Sacrificio de la Misa. La Misa, por lo tanto, es el Sacrificio de la Nueva Ley, en el cual se ofrece Jesucristo y se inmola incruentamente por toda la Iglesia, bajo las especies del pan y del vino, por ministerio del Sacerdote, para reconocer el supremo dominio de Dios y aplicarnos a nosotros las satisfacciones y méritos de su Pasión. Representa, pues, la Misa, renueva y continúa, sin disminuirlo ni aumentarlo, el sacrificio del Calvario, cuyos frutos nos está continuamente aplicando. "Es, dice Pío XII, como el compendio y centro de la religión cristiana y el punto más alto de la Sagrada Liturgia (2).
Entre el sacrificio de la Misa y el de la Cruz, sólo hay estas diferencias: que Jesucristo_ se inmoló allí dé un modo real, visible, con derramamientos de sangre, y personalmente, mientras que aquí lo hace en forma invisible e incruenta, bajo las especies sacramentales, y por ministerio del Sacerdote; allí Jesucristo nos mereció la Redención, y aquí nos aplica sus frutos.
En la Misa Jesucristo es la Víctima y el principal oferente; el segundo oferente es la Iglesia católica, con todos los fieles no excomulgados; y su tercer oferente y el ministro propiamente dicho es el Sacerdote legítimamente ordenado.
Ofrécese la Misa, primeramente, por toda la Iglesia militante, pero secundariamente también por toda la Iglesia purgante, y para honra de los Santos de la Iglesia triunfante.

5. Los fines de la Misa. 
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NOTAS

(1)
P. Allard: Julien L Ápostat, t. II, p. 54.
(2) Enc. "Mediator Dei", 2ª parte, I.
 

Por el R.P. Andrés Azcárate. "La flor de la liturgia".