
Don Florian Kolfhaus parla come rappresentante della Segreteria di Stato. Il titolo completo della relazione è: "Insegnamento  pastorale motivo fondamentale del Vaticano II. Ricerche su Unitatis  redintegratio, Dignitatis humanae e Nostra aetate". Egli parte dalla  considerazione che "Il Concilio Vaticano II voleva essere un concilio  pastorale, cioè orientato alle necessità del suo tempo, rivolto  all’ordine della prassi. Il cardinal Ratzinger già nel 1988 davanti ai  vescovi del Cile affermava che il Concilio stesso non ha definito alcun  dogma e volle coscientemente esprimersi a un livello inferiore, come  concilio puramente pastorale". Tuttavia, proprio questo "concilio  pastorale" – proseguiva il cardinal Ratzinger – viene interpretato "come  se fosse quasi un superdogma, che priva di significato tutti gli altri  concili". Del resto, è ormai chiaro che molti difendono il carattere  vincolante e il significato del Vaticano II - che non mancano -, ma solo  pochi ricordano i venti concili dogmatici precedenti. È per questo che  si registra una sorta di timore di un arretramento rispetto al Concilio e  di una sua arbitraria svalutazione. Il nostro contesto e le nostre  riflessioni non vogliono arrivare a questo, ma solo far luce sugli  eventi, sulla loro portata e significato e su dove ci stanno portando...
In  effetti, quello che finora è l’ultimo concilio può essere rettamente  compreso solo se rimane inserito nel magistero vivo di tutti i  precedenti. E tuttavia, è innegabile che esso non è riconducibile a  nessun precedente. Su questo tutti possono convenire, sia pure da  diverse posizioni e valutazioni. Nessun nuovo dogma, nessun solenne  anatema, differenti categorie di documenti rispetto ai concili  precedenti; ma, ferma restando la sua legittimità ed autorità, la  centralità della problematica che ne deriva sta nella tensione creata  dal concetto di "Concilio pastorale" o di "Magistero pastorale", per  effetto del nuovo tipo di concilio introdotto sul piano della prassi  anziché su quello concettuale.
Non  viene messo in discussione il carattere vincolante del Magistero, che  esige consenso e obbedienza -sia pure non vincolante- anche quando non  si tratta di dogmi, ma piuttosto il fatto se il Magistero, inteso come  esercizio del "munus determinandi", sia riconoscibile in tutti i  documenti. Don Kolfhaus così esprime il quesito: "Il Concilio non ha  proclamato nessun nuovo dogma, ma ha forse esercitato un magistero  paragonabile a quello del Papa nelle sue encicliche?", e così risponde:  "Nei decreti e nelle dichiarazioni non si tratta dell’affermazione  magisteriale di verità, bensì dell’agire pratico, cioè della pastorale  come conseguenza della dottrina. Nella teologia manca un concetto per  questo magistero pastorale […]. Non si può fare a meno di rimproverare a  certi teologi "moderni" un atteggiamento conservatore, poiché essi non  di rado guardano ai decreti e alle dichiarazioni del Vaticano II come a  testi dogmatici, che definiscono "nuove" verità. Il Concilio stesso non  voleva questo".
Ed  è proprio questo il grande problema che deve essere affrontato e  risolto. È ora ineludibile mettere ordine e delineare le diverse  terminologie per fare, innanzitutto, un distinguo fra "magistero  dottrinale", "magistero disciplinare", "magistero pastorale" e dunque  definire il "Concilio pastorale", l’unico della Storia della Chiesa...  Molto chiara la distinzione tra le diverse categorie di documenti, che  ci riallaccia ai differenti "livelli" di mons. Gherardini. Insomma  secondo la efficace sintesi di p. Lanzetta: "le principali dottrine del  Vaticano II, quelle riguardanti il dialogo interreligioso, l’ecumenismo e  la libertà religiosa, che sono poi quelle che hanno maggiormente  catalizzato l’attenzione, non dovrebbero definirsi propriamente  “dottrine” ma piuttosto “insegnamenti” (sono decreti e dichiarazioni)  pastorali (come precisato dagli stessi padri conciliari) per i quali  siamo ancora in ricerca di una categoria teologica per qualificarne il  magistero, che sicuramente non è né dogmatico né disciplinare. Don  Kolfhaus propone la qualifica di munus praedicandi: un  insegnamento che, come ad esempio un’omelia, riguarda temi dottrinali,  ma il tenore e la stessa proposizione sono di indirizzo eminentemente  pastorale, vincolanti ma non infallibili".
Interessante la notazione iniziale, a braccio, che la scienza e anche la teologia si fa sine ira et studio, invece il problema del Concilio viene trattato cum ira et studio...  Interessante anche notare che nella distinzione tra le differenti  categorie di documenti possiamo cogliere una novità che non consente di  considerare il Concilio come un blocco.
Di seguito il testo della Relazione in:
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2011/01/convegno-di-roma-sul-concilio-don.html
Di seguito il testo della Relazione in:
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2011/01/convegno-di-roma-sul-concilio-don.html