segunda-feira, 3 de janeiro de 2011
Il cardinale Biffi rompe un altro tabù. Su Dossetti : Il 19 novembre 1984, in una lunga conversazione con Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, don Dossetti si è lasciato andare a qualche considerazione che deve renderci avvertiti. Egli legge sorprendentemente il suo apporto al Concilio Vaticano II alla luce della sua partecipazione ai lavori della [Assemblea Nazionale] Costituente [tra il 1946 e il 1948]: "Nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare ha capovolto le sorti del Concilio stesso". [...]
LA "TEOLOGIA" DI DOSSETTI
da Giacomo Biffi, "Memorie", seconda edizione, pp. 485-493
Giuseppe Dossetti è stato un autentico uomo di Dio, un asceta esemplare, un discepolo generoso del Signore che ha cercato di spendere totalmente per lui la sua unica vita. Sotto questo profilo egli resta un raro esempio di coerenza cristiana, un modello prezioso seppur non facile da imitare.
È stato anche un vero teologo e un affidabile maestro nella “sacra doctrina”?
La questione non è semplice, data la complessa personalità del protagonista, e richiede un discorso articolato. Mi limiterò, richiamando qualche notizia utile, a formulare alcune osservazioni che riguarderanno prima di tutto l’ecclesiologia, poi la cristologia e infine la metodologia propria e inderogabile della “sacra doctrina”.
UNA ECCLESIOLOGIA POLITICA
Il 19 novembre 1984, in una lunga conversazione con Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, don Dossetti si è lasciato andare a qualche considerazione che deve renderci avvertiti. Egli legge sorprendentemente il suo apporto al Concilio Vaticano II alla luce della sua partecipazione ai lavori della [Assemblea Nazionale] Costituente [tra il 1946 e il 1948]: "Nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare ha capovolto le sorti del Concilio stesso". [...]
Di più, nella stessa circostanza Dossetti addirittura si compiace di aver "portato al Concilio – anche se non fu trionfante – una certa ecclesiologia che era riflesso anche dell’esperienza politica fatta". Ma che tipo di “ecclesiologia” poteva scaturire da una tale ispirazione e da queste premesse “mondane”?
“Anche se non fu trionfante”: questo inciso, sommesso e un po’ reticente, evoca con discrezione la fine della attività conciliare di don Giuseppe; e merita che lo si chiarifichi nella sua rilevanza.
Egli era stato introdotto nell’assise vaticana con la qualifica di esperto personale dell’arcivescovo di Bologna [Giacomo Lercaro]. Il 12 settembre 1963 il nuovo papa, Paolo VI, comunica la sua decisione di designare quattro “moderatori”, nelle persone dei cardinali Lercaro, Suenens, Döpfner e Agagianian, con il compito di presiedere a turno l’assemblea conciliare per conto del papa. Era, come si vede, un incarico che ciascuno dei designati avrebbe dovuto esercitare soltanto singolarmente.
Lercaro persuade invece i suoi colleghi ad accettare don Dossetti come loro comune segretario; e con questa nomina si configura in pratica una specie di “Consiglio dei moderatori”, che finisce con l’avere indebitamente una funzione molto diversa da quella prevista e intesa, con un’autorità ben più ampia della sua indole originaria.
È il momento della massima influenza di Dossetti; ma non poteva durare. Si trattava, in fondo, di un arbitrario colpo di mano che alterava la struttura legittimamente stabilita. Il Concilio aveva già una segreteria generale, presieduta dal vescovo Pericle Felici, il quale non tarda a lamentarsi della situazione irregolare che si era creata.
Di più, l’attivismo del segretario sopraggiunto e le tesi innovative da lui propugnate cominciano a suscitare qualche naturale inquietudine. “Quello non è il posto di don Dossetti”, è il commento del papa. “Alla fine don Dossetti – afferma il cardinale Suenens – a causa dell’atmosfera ostile e per tatto verso il papa, si ritirò spontaneamente evitandoci una situazione imbarazzante”. [...]
Le apprensioni di Paolo VI però non erano soltanto di natura procedurale e organizzativa. Egli sentiva acutamente la sua responsabilità di salvaguardare in pienezza, pur nella cordiale accettazione della collegialità episcopale, la verità di fede del primato di Pietro e del suo totale, incondizionato e libero esercizio. Questa è la ragione che lo spinge a proporre la famosa "Nota esplicativa previa", nella quale offriva alcuni criteri interpretativi inderogabili di lettura e comprensione del capitolo III della "Lumen gentium" (che pur veniva da lui accolto integralmente). Così tranquillizzò tutti i padri sinodali e ottenne l’approvazione praticamente unanime del documento nella votazione del 21 novembre 1964: 2151 "placet" e solo 5 "non placet". Con il suo intervento diretto e risoluto aveva evitato il rischio di possibili future interpretazioni contrarie alla dottrina tradizionale; e aveva salvato il Concilio. [...]
UNA CRISTOLOGIA IMPROPONIBILE
Alla fine di ottobre del 1991 Dossetti mi ha cortesemente portato da leggere il discorso che gli avevo commissionato per il centenario della nascita di Lercaro. "Lo esamini, lo modifichi, aggiunga, tolga con libertà", mi ha detto. Ed era certamente sincero: in quel momento parlava l’uomo di Dio e il presbitero fedele.
Purtroppo, qualcosa che non andava ho effettivamente trovato. Ed era l’idea, presentata da Dossetti con favore, che, come Gesù è il Salvatore dei cristiani, così la Torah, la legge mosaica, è anche attualmente la strada alla salvezza per gli ebrei. L’asserzione era mutuata da un autore tedesco contemporaneo, ed era cara a Dossetti probabilmente perché ne intravedeva l’utilità ai fini del dialogo ebraico-cristiano.
Ma come primo responsabile dell’ortodossia nella mia Chiesa, non avrei mai potuto accettare che si mettesse in dubbio la verità rivelata che Gesù Cristo è l’unico Salvatore di tutti. [...]
"Don Giuseppe, – gli dissi – ma non ha mai letto le pagine di san Paolo e la narrazione degli Atti degli Apostoli? Non le pare che nella prima comunità cristiana il problema fosse addirittura quello contrario? In quei giorni era indubbio e pacifico che Gesù fosse il Redentore degli ebrei; si discuteva caso mai se anche i gentili potessero essere pienamente raggiunti dalla sua azione salvifica".
Basterebbe tra l’altro – mi dicevo tra me – non dimenticare una piccola frase della lettera ai Romani, là dove dice che il Vangelo di Cristo “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco” (cfr. Rm 1, 16).
Dossetti non era solito rinunciare a nessuno dei suoi convincimenti. Qui alla fine cedette davanti alla mia avvertenza che, nel caso, l’avrei interrotto e pubblicamente contraddetto; e accondiscese a pronunciare questa sola espressione: "Non pare che sia conforme al pensiero di san Paolo dire che la strada della salvezza per i cristiani è Cristo, e per gli ebrei è la Legge mosaica". Non c’era più niente di errato in questa frase, e non ho mosso obiezioni, anche se ciò che avrei preferito sarebbe stato di non accennare nemmeno a un parere teologicamente tanto aberrante.
Questo “incidente” mi ha fatto molto riflettere e l’ho giudicato sùbito di un’estrema gravità, pur se non ne ho parlato allora con nessuno. Ogni alterazione della cristologia fatalmente compromette tutta la prospettiva nella “sacra doctrina”. In un uomo di fede e di sincera vita religiosa, come don Dossetti, era verosimile che l’abbaglio fosse conseguenza di una ambigua e inesatta impostazione metodologica generale.(leggere il resto del articulo in:
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