Il discorso alla curia romana di Benedetto XVI, il 22 dicembre del 2005, ha aperto un dibattito sul Concilio Vaticano II di cui sono recente espressione i libri di mons. Brunero Gherardini e l’importante convegno dei Francescani dell’Immacolata, svoltosi a Roma tra il 16 e il 18 dicembre 2010, oltre al mio studio, “Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta” (Lindau, Torino, 2010). L’invito del papa a interpretare i documenti del Vaticano II secondo una “ermeneutica della continuità” ha offerto infatti un decisivo stimolo a sviluppare il dibattito sul Concilio in maniera diversa da come ha fatto la “scuola di Bologna”, che lo ha presentato in termini di frattura e discontinuità con la tradizione bimillenaria della Chiesa. Avrei sperato che i nostri contributi, mossi solo da un sincero desiderio di rispondere all’appello del Santo Padre, fossero accolti se non con entusiasmo, almeno con interesse, che fossero scientificamente discussi e non aprioristicamente respinti. Per quanto riguarda il mio libro, ad esempio, mi sarei atteso una seria discussione storica su riviste specializzate. Su giornali legati alle istituzioni cattoliche mi rispondono, invece, Massimo Introvigne, partner dello Studio legale Jacobacci Associati, sociologo delle minoranze religiose, oggi rappresentante del governo italiano presso l’OCSE, e l’arcivescovo Agostino Marchetto, trent’anni di carriera diplomatica alle spalle, e poi, per quasi dieci anni, in prima fila nella difesa di immigrati, zingari, clandestini, come segretario per la pastorale dei migranti. Né mons. Marchetto, né il dott. Introvigne, malgrado i loro meriti ecclesiastici o professionali, hanno probabilmente avuto tempo di frequentare biblioteche o archivi storici; nessuno dei due è storico di professione. Ed entrambi, nei loro articoli – pubblicati rispettivamente su “Avvenire” dell’1 dicembre 2010 e su “L’Osservatore Romano” del 14 aprile 2011 – rifiutano il mio libro da un punto di vista non storico, ma ideologico. Introvigne definisce il mio libro “una vera summa delle tesi anticonciliariste”, che “ripropone purtroppo, ancora una volta, quell’ermeneutica della rottura che Benedetto XVI denuncia come dannosa”. Marchetto lo definisce una storia “ideologica”, “di tendenza estremista”, “polarizzata e di parte” come quella orchestrata dalla scuola di Bologna, anche se di segno contrario. La critica di Marchetto e Introvigne sembra avere un solo fine: chiudere anticipatamente quel dibattito che Benedetto XVI ha aperto e invitato a sviluppare. L’etichetta di tradizionalista o anticonciliarista è utilizzata in maniera analoga a quella di “fascista” con cui, negli anni Settanta, si pretendeva tappare la bocca ad ogni anticomunista. Allora il mito dominante negli ambienti politici era quello della Resistenza, oggi, negli ambienti ecclesiastici, è quello del Concilio Vaticano II. La Resistenza, scriveva allora il filosofo Augusto Del Noce, cessa di essere un elemento da situare nella storia per diventare la misura della valutazione della storia. Oggi si ha l’impressione che il Concilio Vaticano II sia un evento che cessa di essere un elemento da situare nella Tradizione cattolica per diventare la misura stessa della valutazione della Tradizione. Io credo, al contrario, che si possa discutere sul piano storico del Concilio Vaticano II in maniera non diversa da quanto hanno sempre fatto gli storici della Chiesa. Rivolgendosi ad essi, nel 1889, Leone XIII scriveva che “coloro che la studiano non debbono mai perdere di vista che essa rinchiude un insieme di fatti dogmatici, che si impongono alla fede, e che nessuno può mettere in dubbio [...]. Nondimeno, poiché la Chiesa, che continua tra gli uomini la vita del Verbo Incarnato, si compone di un elemento divino e di un elemento umano, quest’ultimo deve essere esposto dai maestri e studiato dai discepoli con una grande probità. Come è detto nel libro di Giobbe: ‘Iddio ha forse bisogno delle nostre menzogne?’ (Gb 13, 7)”. “Lo storico della Chiesa – continua Leone XIII – sarà tanto più efficace nel farne rilevare la sua origine divina, superiore ad ogni concetto di ordine puramente terrestre e naturale, quanto più sarà stato leale nel non dissimulare nulla delle sofferenze che gli errori dei suoi figli, e alle volte anche dei suoi ministri, hanno causato nel corso dei secoli a questa Sposa di Cristo. Studiata così la storia della Chiesa anche da sola costituisce una magnifica e convincente dimostrazione della verità e della discontinuità del cristianesimo”. La Chiesa è indefettibile e tuttavia, nella sua parte umana, può commettere degli errori e questi errori, queste sofferenze, possono essere provocate, dice Leone XIII, dai suoi figli e anche dai suoi ministri. Ma ciò nulla toglie alla grandezza e alla indefettibilità della Chiesa. La Chiesa, disse Leone XIII, aprendo agli studiosi gli archivi vaticani, non teme la verità. Una verità che lo storico cerca sul piano dei fatti, mentre il teologo la cerca in quello dei princìpi: ma non esiste una verità storica che si possa contrapporre ad una verità teologica. C’è un’unica verità, che è Cristo stesso, fondatore e capo del Corpo Mistico che è la Chiesa; e la verità sulla Chiesa è la verità su Cristo e di Cristo, nell’incontro con lui, che è sempre lo stesso, ieri, oggi e sempre. Il mio libro nasce da un profondo amore alla Chiesa, al suo magistero e alle sue istituzioni, “in primis” al papato. E il mio amore per il papato vuol essere tanto grande da non fermarsi al papa attuale, Benedetto XVI, a cui mi sento profondamente legato, ma cerca dietro l’uomo l’istituzione che egli rappresenta. È un amore che vuole abbracciare con questo papa tutti i papi nella loro continuità storica e ideale, perché il papa per un cattolico non è un uomo, è un’istituzione bimillenaria; non è quel singolo papa, ma è il papato, è la serie ininterrotta dei vicari di Cristo, da san Pietro al regnante pontefice. Ebbene, non c’è miglior modo di esprimere il proprio attaccamento al papa e alla Chiesa che quello di servire, in tutti i campi, la verità, perché non esiste nessuna verità, storica, scientifica, politica, filosofica che possa mai essere impugnata contro la Chiesa. E dunque non dobbiamo temere di dire la verità sul Concilio Vaticano II, ventunesimo della storia della Chiesa. Sottolineo questa parola ventunesimo. Il Concilio Vaticano II non fu né il primo né l’ultimo Concilio nella storia della Chiesa: fu un punto, fu un momento della storia della Chiesa. Nella storia della Chiesa ci sono stati ventuno Concili, oggi ritenuti ecumenici. Alcuni di questi Concili sono indimenticabili: il primo, quello di Nicea, che definì il nostro “Credo”, poi il Concilio di Trento, il Concilio Vaticano I. Altri Concili sono oggi dimenticati: il che non significa che non siano stati Concili autentici, supreme espressioni del magistero della Chiesa. Ma un Concilio entra nella storia per i documenti che ha prodotto. Nel XVI secolo vi furono due Concili: il Concilio Laterano V (1512-1517) e il Concilio di Trento. L’unica definizione dogmatica del quinto Concilio Lateranense fu quella secondo cui l’anima umana individuale è immortale; il Lateranense fu sotto certi aspetti un Concilio mancato: perché non riuscì ad avviare la grande riforma di cui la Chiesa aveva bisogno, e neppure a prevedere e ad arrestare la pseudo-riforma che divampò, con le 95 tesi di Lutero, proprio nell’anno in cui il Concilio si concludeva. Tutti ricordano il grande Concilio di Trento; pochi ricordano il Concilio Laterano V. Casomai si ricorda il Concilio Laterano IV (1215), che definì che “fuori della Chiesa cattolica non c’è salvezza”: una verità che è entrata a far parte della infallibile Tradizione della Chiesa. I Concili possono promulgare dogmi, verità, decreti, canoni, che sono emanati dal Concilio, ma che non sono il Concilio. Mentre il dogma formula una verità, che una volta formulata trascende per così dire la storia, i Concili nascono e muoiono nella storia. Il Concilio è diverso dalle sue decisioni. Le decisioni del Concilio se sono infallibilmente promulgate entrano a far parte della Tradizione. Nessun Concilio, neppure Trento o il Vaticano I, e tantomeno il Vaticano II, è più alto della Tradizione. Benedetto XVI afferma che i documenti del Concilio Vaticano II vanno letti nella loro continuità con la Tradizione della Chiesa. La Tradizione non è un evento, non è una parte, è il tutto. La Tradizione è come la Sacra Scrittura: una fonte della Rivelazione, divinamente assistita dallo Spirito Santo. È privo di senso logico, prima che teologico, voler contrapporre, come fa qualcuno, Tradizione e magistero cosiddetto “vivente”, come se la Tradizione fosse il passato e il magistero vivente fosse il presente. La Tradizione è il magistero presente, passato e, potremmo dire, futuro. Il magistero della Chiesa non è frutto della volontà definitoria del papa e dei vescovi, ma dipende, e non può essere separato, dalla Tradizione. Prima del magistero della Chiesa c’è la Tradizione, prima della Tradizione c’è la Rivelazione e prima della Rivelazione il Rivelatore, che è Cristo stesso. Mi è stato rimproverato di trascurare i documenti del Concilio o di interpretarli in chiave di discontinuità con la Tradizione della Chiesa. Non è vera né la prima, né la seconda affermazione. L’interpretazione dei documenti del Concilio non spetta né a me, né a nessun aspirante interprete del Concilio, ma spetta al magistero della Chiesa, e al magistero io mi attengo. Ciò che io narro sono i fatti, ciò che ricostruisco è il contesto storico in cui quei documenti videro la luce. E affermo che i fatti, l’evento, il contesto storico, ebbero un influsso nella storia della Chiesa non minore del magistero conciliare e postconciliare: si posero essi stessi come magistero parallelo, condizionando gli eventi. Affermo che sul piano storico il post-Concilio non si può spiegare senza il Concilio, così come il Concilio non si può spiegare senza il pre-Concilio, perché nella storia ogni effetto ha una causa e ciò che avviene si inquadra in un processo, che spesso è addirittura plurisecolare e tocca non solo il campo delle idee, ma quello della mentalità e dei costumi. Non nego con ciò la suprema autorità del Concilio e la autenticità e validità dei suoi atti. Ma ciò non significa infallibilità. La Chiesa è certamente infallibile, ma non sono infallibili tutte le espressioni dei suoi rappresentanti, anche supremi; e non è necessariamente né santo, né infallibile un Concilio: perché se è vero che lo Spirito Santo non manca mai di assisterlo è anche vero che bisogna corrispondere alla grazia dello Spirito Santo, che non produce automaticamente né santità né infallibilità. Se è vero che ogni Concilio può esercitare, in unione col papa, un magistero infallibile, un Concilio può anche rinunciare a esercitare tale magistero, per porsi su un piano totalmente pastorale e, su questo piano, commettere degli errori come accadde, a mio parere, quando il Concilio Vaticano II omise di condannare il comunismo. Il Concilio Vaticano II, non dimentichiamolo, non fu un Concilio dogmatico, ma pastorale, il che non significa che fu privo di magistero, ma il suo magistero può essere considerato definitivo e infallibile solo quando ripropone, ed esplicita, come spesso fa, verità già definite dal magistero ordinario e straordinario della Chiesa. Il problema che a me interessa però non è la discussione sui testi del Concilio; lascio questa esegesi ai teologi, e prima di tutto al papa. Il problema che mi interessa, come membro della Chiesa, è capire le radici storiche della crisi che attraversiamo. Radici remote, perché la crisi che attraversiamo è plurisecolare, ma anche prossime, perché la crisi attuale risale, prima ancora del Sessantotto, all’epoca del Concilio Vaticano II, che non sono necessariamente i 16 documenti che lo hanno concluso, ma le parole, i gesti, le omissioni, durante e dopo il Concilio, dei padri conciliari e, d’altra parte, il magistero parallelo, soprattutto mediatico, che si affiancò al magistero autentico del papa e dei vescovi. E come non si può separare il post-Concilio dal Concilio, così non si può separare il Concilio dal pre-Concilio, perché la crisi non nasce l’11 ottobre del 1962, quando il Concilio si apre, ma fermenta nei pontificati precedenti, compreso quello di Pio XII. Mi si accusa di essere contro Pio XII, verso il quale io ho una somma ammirazione, soprattutto per quanto riguarda il suo monumentale “corpus” dottrinale. Ma non sono il postulatore della sua causa di beatificazione, sono uno storico e come tale non posso negare che Pio XII abbia subìto da parte di certi suoi collaboratori un’influenza negativa in alcuni campi, come quello liturgico o esegetico. Non si può negare che la sua enciclica “Humani generis”, che considero un ottimo documento, sia priva della forza teoretica e pratica della “Pascendi” di san Pio X. Possiamo dirlo rimanendo strenui difensori del primato romano e grandi ammiratori di Pio XII, perché la Chiesa non ha paura della verità e l’amore della verità nasce dalla santa libertà dei figli di Dio (Rm 8, 21). Altrimenti non comprenderemmo la vita tempestosa della Chiesa nel corso dei secoli, fino ai nostri giorni. Non c’è bufera, mediatica o cruenta, che ci spaventi, perché la Chiesa è sempre in piedi nelle tempeste: le eresie, gli scandali, le rivoluzioni non l’hanno scossa né hanno arrestato la sua marcia nella storia. E un grande storico della Chiesa che non ebbe timore di raccontare la verità, Ludwig von Pastor, scrive, a conclusione della sua “Storia dei Papi”, con parole che faccio mie: “La rupe di Pietro supera le tempeste di tutti i secoli. Il fatto più grande, più inconcepibile nella storia della Chiesa di Cristo è che le età della sua più profonda umiliazione sono al tempo stesso quelle della sua più grande energia e forza invincibile, che morte e tomba sono per essa non segni della fine, ma simboli della resurrezione, che le catacombe dell’età primitiva come le persecuzioni anticristiane di quella contemporanea non possono riuscire per essa che a titolo di gloria. […] Cristo, infatti, cammina tuttora con Pietro sulle onde oscillanti e quindi vale anche per i successori di questo la parola: ‘Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversum eam’”. (su http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1347753) Roma, 5 maggio 2011 http://www.corrispondenzaromana.it/ |