Se, difatti, come scrive S. Agostino, sulla mensa del Signore è posto il nostro mistero, cioè lo stesso Cristo Signore, in quanto è Capo e simbolo di quella unione in virtù della quale noi siamo il corpo di Cristo e membra del suo Corpo; se San Roberto Bellarmino insegna, secondo il pensiero del Dottore di Ippona, che nel Sacrificio dell'altare è significato il generale sacrificio col quale tutto il Corpo Mistico di Cristo, cioè tutta la città redenta, viene offerta a Dio per mezzo di Cristo Gran Sacerdote (e), nulla si può trovare di più retto e di più giusto, che immolarci noi tutti, col nostro Capo che ha sofferto per noi, all'Eterno Padre. Nel Sacramento dell'altare, secondo lo stesso Agostino, si dimostra alla Chiesa che nel sacrificio che offre è offerta anch'essa ."
PIO PP. XII
SERVO DEI SERVI DI DIO
LETTERA ENCICLICA
MEDIATOR DEI
«SULLA SACRA LITURGIA»
La partecipazione dell’immolazione
Perché poi l'oblazione, con la quale in questo Sacrificio i fedeli offrono la vittima divina al Padre Celeste, abbia il suo pieno effetto, ci vuole ancora un'altra cosa; è necessario, cioè, che essi immolino se stessi come vittima.
Questa immolazione non si limita al sacrificio liturgico soltanto. Vuole, difatti, il Principe degli Apostoli che per il fatto stesso che siamo edificati come pietre vive su Cristo, possiamo come «sacerdozio santo, offrire vittime spirituali gradite a Dio per Gesù Cristo»; e Paolo Apostolo, poi, senza nessuna distinzione di tempo, esorta i cristiani con le seguenti parole: «Io vi scongiuro, adunque, o fratelli […] che offriate i vostri corpi come vittima viva, santa, a Dio gradita, come razionale vostro culto». Ma quando soprattutto i fedeli partecipano all'azione liturgica con tanta pietà ed attenzione da potersi veramente dire di essi: «dei quali ti è conosciuta la fede e nota la devozione», non possono fare a meno che la fede di ognuno di essi operi più alacremente per mezzo della carità, si rinvigorisca e fiammeggi la pietà, e si consacrino tutti quanti alla ricerca della gloria divina, desiderando con ardore di divenire intimamente simili a Gesù Cristo che patì acerbi dolori, offrendosi col Sommo Sacerdote e per mezzo di Lui come ostia spirituale.
Ciò insegnano anche le esortazioni che il Vescovo rivolge a nome della Chiesa ai sacri ministri nel giorno della loro Consacrazione: «Rendetevi conto di quello che fate, imitate ciò che trattate, in quanto, celebrando il mistero della morte del Signore, procuriate sotto ogni rispetto di mortificare le vostre membra dai vizi e dalle concupiscenze». E quasi allo stesso modo nei Libri liturgici vengono esortati i cristiani che si accostano all'altare, perché partecipino ai sacri misteri: «Sia su […] questo altare il culto dell'innocenza, vi si immoli la superbia, si annienti l'ira, si ferisca la lussuria ed ogni libidine, si offra, invece delle tortore, il sacrificio della castità, e invece dei piccioni il sacrificio dell'innocenza». Assistendo dunque all’altare, dobbiamo trasformare la nostra anima in modo che si estingua radicalmente ogni peccato che è in essa, sia, con ogni diligenza, ristorato e rafforzato tutto ciò che per Cristo dà la vita soprannaturale: e così diventiamo, insieme con l'Ostia immacolata, una vittima a Dio Padre gradita.
La Chiesa si sforza, con i precetti della sacra Liturgia, di portare ad effetto nella maniera più adatta questo santissimo proposito. A questo mirano non soltanto le letture, le omelie e le altre esortazioni dei ministri sacri e tutto il ciclo dei misteri che ci vengono ricordati durante l'anno, ma anche le vesti, i riti sacri e il loro esteriore apparato, che hanno il compito di «far pensare alla maestà di tanto Sacrificio, eccitare le menti dei fedeli, per mezzo dei segni visibili di pietà e di religione, alla contemplazione delle altissime cose nascoste in questo Sacrificio».
Tutti gli elementi della Liturgia mirano dunque a riprodurre nell'anima nostra l'immagine del Divin Redentore attraverso il mistero della Croce, secondo il detto dell'Apostolo delle Genti: «Sono confitto con Cristo in Croce, e vivo non già più io, ma è Cristo che vive in me». Per la qual cosa diventiamo ostia insieme con Cristo per la maggior gloria del Padre.
In questo dunque devono volgere ed elevare la loro anima i fedeli che offrono la vittima divina nel Sacrificio Eucaristico. Se, difatti, come scrive S. Agostino, sulla mensa del Signore è posto il nostro mistero, cioè lo stesso Cristo Signore, in quanto è Capo e simbolo di quella unione in virtù della quale noi siamo il corpo di Cristo e membra del suo Corpo; se San Roberto Bellarmino insegna, secondo il pensiero del Dottore di Ippona, che nel Sacrificio dell'altare è significato il generale sacrificio col quale tutto il Corpo Mistico di Cristo, cioè tutta la città redenta, viene offerta a Dio per mezzo di Cristo Gran Sacerdote (e), nulla si può trovare di più retto e di più giusto, che immolarci noi tutti, col nostro Capo che ha sofferto per noi, all'Eterno Padre. Nel Sacramento dell'altare, secondo lo stesso Agostino, si dimostra alla Chiesa che nel sacrificio che offre è offerta anch'essa (f).
Considerino, dunque, i fedeli a quale dignità li innalza il sacro lavacro del Battesimo; né si contentino di partecipare al Sacrificio Eucaristico con l'intenzione generale che conviene alle membra di Cristo e ai figli della Chiesa, ma liberamente e intimamente uniti al Sommo Sacerdote e al suo ministro in terra secondo lo spirito della sacra Liturgia, si uniscano a lui in modo particolare al momento della consacrazione dell'Ostia divina, e la offrano insieme con lui quando vengono pronunziate quelle solenni parole: «Per Lui, con Lui, in Lui, è a te, Dio Padre Onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli»; alle quali parole il popolo risponde: «Amen». Né si dimentichino i cristiani di offrire col divin Capo Crocifisso se stessi e le loro preoccupazioni, dolori, angustie, miserie e necessità.