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LETTERA SULLA VITA CONTEMPLATIVA
Di Guigo II si sa poco. Fu procuratore della Gran Certosa,
poi divenne il nono priore della Chartreuse all'incirca nell' anno 1173. È noto
come Guigo II per distinguerlo da Guigo I, il quinto priore che scrisse le
Consuetudini.
L'opera più importante di Guigo II è la Lettera sulla vita
contemplativa, chiamata Scala claustralium o ancora Scala
Paradisi. Questo scritto, in forma di lettera indirizzata al confratello
Gervasio, è un testo classico sulla preghiera, molto diffuso in Occidente per
vari secoli. La riscoperta, oggi, della pratica della "lectio divina" evidenzia
l'attualità di questa Lettera. Guigo propone una scala di quattro
gradini : la lettura attenta della Sacra Scrittura (lectio), la memorizzazione
di quanto si è letto (meditatio), l'invocazione a Dio per ottenere ciò che la
meditatio ha fatto conoscere (oratio), l’intimità con Dio nella preghiera
(contemplatio). La "scala" di Guigo ci permette di penetrare la vita spirituale
dei monaci del 12° secolo.
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I
Il
fratello Guigo al suo caro fratello Gervasio: gioisci nel Signore! Amare te, o
fratello, è per me un debito perché tu per primo hai cominciato ad amarmi; e mi
sento obbligato a risponderti perché con la tua lettera mi hai per primo
invitato a scriverti. Mi sono perciò proposto di comunicarti alcune mie
riflessioni sulla vita spirituale dei monaci, affinché tu, che conosci questa
vita per esperienza, mentre io ne ho solo una conoscenza teorica, sia giudice e
correttore di queste mie considerazioni.
Meritatamente offro a te per primo queste primizie del mio
lavoro, perché tu raccolga i primi frutti di una pianta novella che, sottratta
con lodevole furto e delicata sollecitudine alla schiavitù di Faraone, tu hai
collocata nella schiera dei combattenti, innestando abilmente sull'olivo il ramo
reciso con arte dall'olivastro.
II
- I quattro gradi della
vita spirituale
Un
giorno, mentre occupato in un lavoro manuale cominciai a pensare all'attivíià
spirituale dell'uomo, tutt'a un tratto si presentarono alla mia riflessione
quattro gradi spirituali: la lettura, la meditazione, la preghiera, la
contemplazione: «lectio, meditatio,
oratio, contemplatio».
Questa
è la scala dei monaci, mediante la quale essi sono sollevati dalla terra al
cielo, formata in realtà da pochi gradini, ma tuttavia d'immensa e incredibile
altezza, di cui la parte inferiore è appoggiata a terra, mentre a superiore
penetra le nubi e scruta i segreti dei cieli. Questi gradini, come sono diversi
di nome e di numero, così so istinti per ordine e per importanza. Se qualcuno
esaminerà con cura le proprietà e le funzioni che ciascuno di essi esercita su
di noi, e come differiscano tra di loro e la loro gerarchia, stimerà breve e
facile il lavoro e l'applicazione impiegati in questo studio, di fronte alla
grande utilità e dolcezza che ne ritrarrà.
La
lettura - lectio divina" - è lo studio assiduo
delle Scritture, fatto con spirito attento. La meditazione è una diligente attività
della mente, che cerca la conoscenza di verità nascoste, mediante l'aiuto della
propria ragione. La preghiera è un
fervoroso anelito del cuore verso Dio per allontanare il male e ottenere il
bene. La contemplazione è una certa
elevazione della mente al di sopra di sé verso Dio, gustando le gioie
dell'eterna dolcezza. Descritti dunque i quattro gradi, non ci resta che vedere
la loro funzione a nostro riguardo.
III - La funzione di ciascuno dei predetti
gradi
La
lettura cerca la dolcezza della vita beata, la meditazione la trova, la
preghiera la chiede, la contemplazione la gusta. La lettura porta, in certo qual
modo, cibo solido alla bocca, la meditazione lo mastica e frantuma, la preghiera
lo assapora, la contemplazione è la stessa dolcezza che dà gioia e ricrea. La
lettura si ferma alla scorza, la meditazione penetra nel midollo, la preghiera
formula il desiderio, là contemplazione si diletta nel godimento della dolcezza
raggiunta. Perché ciò si possa vedere in modo più chiaro, proponiamo un esempio
tra i molti che si potrebbero portare.
IV - Funzione della
lettura
Nella
lettura ascolto queste parole: « Beati i puri di cuore perché vedranno Dio » (Mt
5, 8). Ecco una frase molto breve ma soave e piena di molteplici sensi per il
nutrimento dell'anima, offerta come, un grappolo d'uva. L'anima, dopo averla
diligentemente considerata, dice dentro di sé: qui ci può essere qualche cosa di
buono, rientrerò nel mio cuore e cercherò i comprendere e di trovare, se mi sarà
possibile, questa purezza. Essa infatti è cosa preziosa e desiderabile, lodata
da tanti passi della Scrittura, i cui possessori sono detti beati, alla quale è
promessa la visione di Dio che è la vita eterna.
Desiderando
l'anima spiegarsi meglio tutto ciò, comincia a masticare e a triturare ponendola
quasi sotto il torchio, mentre stimola la ragione ad indagare che cosa sia e
come si possa acquistare questa purezza così preziosa.
V - Funzione della
meditazione
Interviene
quindi un'attenta meditazione, la quale non rimane all'esterno, non si ferma
alla superficie, ma dirige più in alto i suoi passi, penetra nell'interno,
scruta le cose una per una. Essa considera che il testo non ha detto: «Beati i
puri di corpo», ma «puri di cuore»; poiché non basta avere le mani innocenti da
opere cattive, se la nostra mente non è purificata da pensieri perversi. Lo
conferma con autorità il Profeta, dicendo: «Chi salirà il monte del Signore, chi
starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro » (Sal 23,
34).
Poi
medita quanto desideri questa purezza di cuore lo stesso Profeta, che prega
cosi: « Crea in me, o Dio, un cuore puro » (Sal 50, 10), e ancora: « Se nel mio
cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe esaudito» (Sal 65, 18).
E pensa quanta cura poneva in questa custodia del cuore il beato Giobbe, che
diceva: «Avevo stretto con gli occhi un patto di non fissare neppure una
vergine» (Gb 3 1, 1). Ecco quanto si mortificava questo santo uomo che chiudeva
gli occhi per non vedere vanità e per non guardare incautamente quello che
avrebbe poi involontariamente desiderato.
Dopo aver considerato queste e altre simili cose sulla purezza del cuore, la meditazione comincia a pensare al premio: quanta gloria e gioia darebbe la visione del volto desiderato del Signore, « il più bello tra i figli dell'uomo », non abbietto e disprezzato, non più con le sembianze che gli diede sua Madre, ma rivestito di un manto d'immortalità e coronato di un diadema col quale l'incoronò A Padre suo, nel giorno della risurrezione e della gloria, «giorno fatto dal Signore» (Sal 117, 24). Essa pensa che in questa visione ci sarà quella sazietà di cui dice il Profeta: «Mi sazierò quando apparirà la tua gloria» (Sal 16, 15).
Vedi
quanto liquore sgorgò da un piccolissimo grappolo d'uva, quanto fuoco si
sprigionò da una scintilla, quanto si sia estesa sull'incudine della meditazione
questa piccola massa: «Beati i mondi di cuore, perché vedranno Dio»? Ma quanto
ancor più si potrebbe estendere, se vi si applicasse uno più esperto! lo sento
che il pozzo è profondo, ma da novizio inesperto sono riuscito a stento a
cavarvi oche gocce. L'anima, infiammata da queste scintille, stimolata da questi
desideri, infranto l'alabastro, comincia a presentire la soavità del profumo, se
non ancora con il senso del gusto, quasi però con l'odorato; e ne deduce quanto
debba essere dolce fare esperienza
di questa purezza di cui la sola meditazione dà un godimento così grande.
E che cosa farà? Brucia dal desiderio di possederla, ma non trova in se stessa il modo di averla, e quanto più la cerca, tanto più ne ha sete. Mentre si applica alla meditazione, aumenta anche la sua sofferenza, poiché non sente quella dolcezza che la meditazione le mostra esserci nella purezza di cuore, senza tuttavia dargliela. Non è infatti di chi legge e di chi medita solamente esperimentare questa dolcezza, se non gli è stata data dall'alto. Leggere, infatti, e meditare è comune sia ai buoni, sia ai cattivi; e gli stessi filosofi pagani hanno scoperto con l'aiuto della ragione in che consista l'essenza del vero bene. Ma, « poiché pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria come a Dio » (Rm 1, 2 1), e contando presuntuosamente sulle loro forze, dicevano: «Per la nostra lingua siamo forti, ci difendiamo con le nostre labbra» (Sal 11, 5), non meritarono di ricevere ciò che potevano vedere. «Hanno vaneggiato nei loro ragionamenti» (Rm 1, 21) e «la loro perizia era svanita» (Sal 106, 27), perché essa veniva loro dallo studio delle discipline umane, e non dallo spirito di sapienza, che solo dà la sapienza vera, sàpída, quella scienza che procura gioia e ristora con un inestimabile sapore l'anima che la possiede.
Di
essa è scritto: « La sapienza non entra in un'anima che opera il male » (Sap 1,
4). Essa procede da Dio solo, e come il Signore ha concesso a molti l'ufficio di
battezzare, riservano a sé solo il potere e l'autorità di rimettere i peccati
nel battesimo, sicché Giovanni disse per antonomasia, precisando bene: «E’ lui
che battezza», così possiamo dire di lui: E' Dio che dà sapore alla sapienza e
rende sapida all'anima la conoscenza. La parola è data a tutti, a pochi la
sapienza dello Spirito, poiché Dio, la distribuisce a chi vuole e quando
vuole.
VI - Funzione della preghiera
Vedendo ora l'anima, che non può da sé sola giungere alla
dolcezza desiderata della conoscenza e dell'esperienza, e che quanto più si
eleva tanto più Dio è distante, si umilia e si rifugia nella preghiera, dicendo:
Signore, che sei veduto solo dai puri di cuore, io cerco con la lettura e con la
meditazione quale sia e come si possa ottenere ciò che è la vera purezza di
cuore, per poterti, per mezzo di essa, conoscere meno in parte.
Cercavo
il tuo volto, Signore, il tuo volto, Signore, cercavo; ho meditato a lungo nel
mio cuore, e nella mia meditazione si è sviluppata una fiamma e si è accresciuto
il desiderio di conoscerti sempre più. Mentre mi spezzi il pane della Scrittura,
tu ti fai conoscere nella frazione del pane, e quanto più ti conosco, tanto più
desidero conoscerti, non già nella scorza della lettera, ma nella conoscenza che
viene dall'esperienza. E non chiedo ciò, Signore ' per i miei meriti, ma per la
tua misericordia. Confesso infatti di essere un'indegna anima peccatrice; «ma
anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro
padroni» (Mi 15,27).
Dammi
dunque, Signore, un pegno della futura eredità, una goccia almeno di quella
pioggia celeste, con cui spegnere la mia sete, poiché ardo d'amore.
VII - Gli effetti della contemplazione
L'anima,
con questi e altri simili infuocati eloqui, infiamma il suo desiderio, mostra
l'effetto raggiunto e chiama con questi incantamenti il suo Sposo.
Il Signore, i cui occhi si posano sui giusti e i cui orecchi
sono attenti alle preghiere, non aspetta che queste siano terminate; ma,
interrompendo a metà il corso dell'orazione, si affretta a presentarsi e a
venire incontro all'anima che lo desidera, circonfuso dalla rugiada di una
dolcezza celeste e cosparso di unguenti preziosi; ricrea l'anima affaticata,
nutre quella che ha fame, impingua quella arida, le fa dimenticare le cose
terrene, la vivifica mortificandola mirabilmente con l'oblio di sé e la rende
sobria, inebriandola. E come in certi atti carnali l'anima è vinta a tal punto
dalla concupiscenza della carne da perdere ogni uso della ragione facendo
diventare l'uomo un essere quasi del tutto carnale, così, al contrario, in
questa superna contemplazione i moti carnali sono in tal modo superati e
assorbiti dall'anima, che la carne non contraddice in nulla allo spirito, e
l'uomo diventa un essere quasi del tutto spirituale.
VIII - I segni della venuta della grazia
Ma,
o Signore, come sapremo quando fai questo, e quale è A segno Nella tua venuta? S
l'orse i sospiri e le lacrime i messaggeri e i testimoni di questa consolazione
e di questa gioia? Se così è, questa è una nuova antifrasi e un segno inusitato.
Che relazione c'è infatti tra la consolazione e i sospiri, tra la gioia e le
lacrime, seppure si debbano chiamare lacrime o non piuttosto una sovrabbondanza
della rugiada interiore, infusa dall'alto, come segno di un'abluzione interiore
e quale purificazione dell'uomo esteriore? Come nel battesimo dei bambini
nell'abluzione esterna è simboleggiata e indicata un'abluzione dell'uomo
interiore, così qui, al contrario, da un'abluzione interiore deriva una
purificazione esterna.
O
beate lacrime, per mezzo delle quali sono levate le macchie interiori e sono
estinti gl'incendi dei peccati! « Beati voi che così piangete, perché riderete»
(Mt 5, 5). Riconosci, o anima, in queste lacrime il tuo Sposo e abbraccia il
Desiderato, inebriati ora di un torrente di delizie, succhia dalla fonte di
consolazione miele e latte. Questi gemiti e queste lacrime sono i meravigliosi
piccoli doni e il sollievo che ti ha offerto e portato il tuo Sposo. In queste
lacrime ti ha apportato una bevanda in quantità. Queste lacrime siano per te
pane, giorno e notte, pane che fortifica il cuore dell'uomo, «più dolce del
miele e del favo stillante» (Sal 103, 15).
O
Signore Gesù, se queste lacrime, suscitate dal tuo ricordo e dal desiderio di
te, sono così dolci, quanto sarà dolce la gioia contenuta nella chiara visione
di te? Se è tanto dolce piangere per te, quanto sarà dolce godere di te?
Ma
perché riveliamo in pubblico questi colloqui segreti? Ma perché tentiamo di
esprimere con parole comuni questi affetti indicibili? Gli inesperti non
comprenderanno tali cose, e le capirebbero meglio leggendole nel libro
dell'esperienza, dove le insegna la stessa unzione divina. Altrimenti la lettera
esteriore non giova. per nulla al lettore. La lettura infatti della lettera
esteriore dice poco, se una spiegazione proveniente dal cuore non rivela il
senso interiore.
IX
- Come la grazia si occulta
0
anima, noi abbiamo protratto a lungo questo discorso. Infatti era un bene per
noi stare qui, e con Pietro e Giovanni contemplare la gloria dello Sposo e
rimanere a lungo con lui, se egli avesse voluto piantare qui non due, non tre,
ma una sola tenda, nella quale stare insieme e gioire insieme. Ma lo Sposo già
dice: «Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora» (Gen 32, 26), già hai
ricevuto il lume della grazia e la visita che desideravi. Data dunque la
benedizione, e colpita l'articolazione del femore e mutato il nome di Gia i e in
Israele, lo Sposo a lungo desiderato, scomparso repentinamente, si allontana per
un pò di tempo. Egli si sottrae per quanto riguarda la predetta visita e la
dolcezza della contemplazione, ma rimane tuttavia presente per quanto riguarda
la direzione, la grazia e l’unione con lui.
X - Come la grazia, occultandosi per qualche
tempo, coopera al nostro bene
Ma
non temere, o sposa, non disperare, non crederti disprezzata se per un po' di
tempo lo Sposo ti sottrae il suo volto. Tutto ciò coopera al tuo bene. e tu trai
vantaggio sia dalla sua venuta, sia dal suo allontanamento. Egli viene per te e
si allontana per te. Viene per consolarti, si allontana per prudenza, perché tu
non monti in superbia per la grandezza della consolazione (cfr. 2 Cor 12, 7),
perché se lo Sposo fosse sempre con te, tu non abbia a disprezzare le tue
compagne e ad attribuire questa consolazione, non alla grazia, ma alla
natura.
Invece
questa grazia viene data dallo Sposo quando e a chi vuole, fa si possiede quasi
fosse un diritto ereditario. Un proverbio popolare dice che un'eccessiva
familiarità genera disprezzo. Egli si allontana dunque, perché, se troppo
assiduo, non venga disprezzato, se assente venga maggiormente desiderato, se
desiderato venga più avidamente cercato, se a lungo cercato venga infine con più
gioia trovato. inoltre, se non venisse mai meno questa consolazione, la quale,
rispetto alla futura gloria che si rivelerà in noi, è confusa e parziale, forse
riterremmo di « avere quaggiù una città stabile e andremmo meno in cerca di
quella futura» (cfr. Eb 13, 14).
E’ dunque perché non riteniamo patria l'esilio e premio la
caparra, che lo Sposo ora viene, ora s'allontana, ora portando la consolazione,
ora «mutandola interamente in un giaciglio di dolore» (cfr. Sal 40, 4). Per un
po' ci permette di gustare quanto sia soave, e prima che l'abbiamo gustato
pienamente si sottrae; e quasi volando sopra di noi ad ali spiegate ci stimola a
volare, come se dicesse: Ecco, avete gustato per un po' quanto io sia soave e
dolce, ma se volete saziarvi pienamente di questa dolcezza correte dietro di me,
nell'odore dei miei profumi, elevate i vostri cuori fin dove io sono alla destra
di Dio Padre. Ivi mi vedrete «non come in uno specchio, in maniera confusa, ma a
faccia a faccia » (1 Cor 13, 12), « e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi
potrà togliere la vostra gioia» (Gv 16, 22-23).
XI - Con quale prudenza l'anima deve comportarsi dopo
la visita della grazia
Stai
però attenta, o sposa: quando lo Sposo si assenta, non va ontano, e se tu non lo
vedi, egli però sempre ti vede; è pieno di occhi, davanti e di dietro; non puoi
più nasconderti a lui. Egli tiene presso di te i suoi inviati, spiriti che sono
messaggeri sagacissimi, perché osservino come ti comporti in assenza dello
Sposo, e ti accusino al suo cospetto se sorprenderanno in te qualche segno di
impurità e di leggerezza.
Questo
Sposo è geloso: se per caso accoglierai presso di te un altro amante, se
cercherai di piacere di più ad altri, subito si allontanerà da te, per unirsi ad
altre vergini fedeli. Questo Sposo è delicato, nobile, ricco, «il più bello tra
i figli dell'uomo» (Sal 44, 3), e perciò non si degna che di avere una sposa
bellissima. Se avrà visto in te una macchia e una ruga, subito distoglierà da te
A suo sguardo. Egli non può tollerare nessuna impurità. Sii dunque casta, sii
vereconda e umile per meritare di essere visitata frequentemente dal tuo
Sposo.
Temo
che questo discorso ti abbia trattenuto un po' troppo, ma a ciò mi ha spinto la
materia così fertile e a un tempo dolce; non fu già spontaneamente che protraevo
l'argomento, ma vi ero trascinato, mio malgrado, dalla sua dolcezza.
XII - Ricapitolazione
Per
vedere meglio, raggruppandolo insieme, quanto è stato diffusamente esposto,
riepiloghiamo tutto sommariamente. Come è stato notato nei precedenti esempi,
puoi vedere come i predetti gradi siano collegati tra di loro, e come si
succedano l'uno all'altro, sia nell'ordine del tempo, sia in quello della
causalità.
La lettura, infatti, si incontra per prima come fondamento e,
fornita la materia, ci porta alla meditazione. La meditazione ricerca con
maggiore attenzione che cosa sia da desiderare e, quasi scavando, trova un
tesoro e lo mostra; ma non potendolo raggiungere da sé sola, rimanda alla
preghiera. La preghiera, elevandosi con tutte le sue forze verso Dio, impetra il tesoro da desiderarsi,
cioè la soavità della contemplazione. La contemplazione, sopraggiungendo '
ricompensa il lavoro dei tre precedenti gradi, inebriando l'anima assetata con
la rugiada della dolcezza celeste.
La
lettura è un esercizio dei sensi esterni, la meditazione è un lavoro
dell'intelletto, la preghiera è un desiderio, la contemplazione è un superamento
di ogni senso. Il primo grado è dei principianti, il secondo dei proficienti, il
terzo dei devoti, . quarto dei beati.
XIII - In che modo questi
quattro gradi sono concatenati gli uni agli altri
Questi
gradi sono talmente collegati fra di loro e si rendono talmente un servizio
scambievole, che i primi poco o nulla giovano senza i successivi, e i successivi
senza i primi non si possono raggiungere mai. A che giova infatti occupare il
tempo in una continua lettura, scorrere le gesta e gli scritti dei santi, se non
ne traiamo il succo masticando e rumininando queste cose e se, inghiottendole,
non le facciamo entrare fino alla parte più intima del cuore, al fine di
considerare diligentemente, alla loro luce, il nostro stato e di compiere le
opere di coloro dei quali desideriamo leggere spesso le azioni? Ma come
rifletteremo su tutto questo e come potremo guardarci dal sorpassare i limiti
posti dai santi Padri, meditando cose false o vane ' se non saremo stati
istruiti in antecedenza dalla lettura o dalla viva voce? L'istruzione a viva
voce fa parte, in certo modo, della lettura, per cui siamo soliti dire, non solo
di aver letto quei libri che abbiamo letto per noi stessi o per altri, ma anche
quelli che abbiamo appresi dalla viva voce dei maestri.
Inoltre, che giova all'uomo vedere per mezzo della meditazione le cose che si devono compiere, se non è messo in grado di compierle, con l'aiuto della preghiera e con la grazia di Dio? Infatti « ogni buon regalo e ogni dono perfetto vien dall'alto e discende dal Padre della luce» (Gc 1, 17), senza del quale non possiamo fare nulla, poiché è lui che opera in noi, non però senza di noi. « Siamo infatti cooperatori di Dio», come dice l'Apostolo.
Dio
vuole che lo preghiamo, vuole che apriamo il seno della nostra volontà alla
grazia che viene e che bussa alla porta e vuole che gli diamo il nostro
consenso. Questo consenso domandava il Signore alla samaritana, quando diceva:
« Va' a chiamare tuo marito » (Gv 4, 16), come se dicesse: ti voglio infondere
la grazia, e tu applica il libero arbitrio. E le chiedeva pure la preghiera:
«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: dammi da bere, tu
stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10).
Dopo aver udito ciò dal Signore, come l'avrebbe potuto intendere da una lettura,
la donna così istruita meditò nel suo cuore che sarebbe stata per lei cosa buona
e utile avere quest'acqua. Perciò, accesa dal desiderio di averla, si rivolse
alla preghiera, dicendo: «Signore, dammi di quest'acqua, perché non abbia più
sete» (Gv 4,15).
Ecco
che l'ascolto della parola del Signore e la meditazione che ne è seguita
l'avevano incitata a pregare.
Avrebbe
forse potuto essere così sollecita nel chiedere, se prima non l'avesse
infiammata la meditazione? E a che cosa le sarebbe valsa la meditazione se con
successiva preghiera non avesse richiesto ciò che le era apparso desiderabile
nella precedente meditazione? Perciò, affinché dunque la meditazione sia
fruttuosa, è necessario che segua una fervida preghiera di cui si può
considerare quasi un effetto la dolcezza della contemplazione.
XIV - Conclusione di ciò che
precede
Da tutto questo possiamo concludere che la lettura senza la
meditazione è arida, la meditazione senza la lettura è soggetta a errore, la
preghiera senza la meditazione è tiepida, a meditazione senza a preghiera è
infruttuosa, la preghiera fatta con devozione acquista la contemplazione,
l'acquisto della contemplazione senza la preghiera è raro o miracoloso.
Dio,
in verità, del quale è infinita la potenza e la cui misericordia si estende
sopra tutte le sue opere, talvolta suscita dalle pietre dei figli di Abramo,
costringendo uomini duri e riluttanti a sottostare alla sua volontà, ed è per
così dire tanto prodigo, che, come si dice volgarmente, «tira il bue per le
corna», come quando s'inserisce senza essere chiamato e quando si introduce
senza essere ricercato. Il che, quand'anche leggiamo essere avvenuto ad alcuno,
come a Paolo e a qualcun altro, tuttavia non per questo dobbiamo pretenderlo per
noi, quasi tentando Dio; al contrario, dobbiamo invece fare ciò che ci compete,
ossia leggere, meditare sulla legge divina, pregare Dio perché venga in aiuto
alla nostra debolezza e perché veda la nostra impefezione, come e li stesso ci
insegna a fare, dicendo: chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e
vi sarà aperto » (Mt 7, 7). Quaggiù infatti « il regno dei cieli soffre violenza
e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11, 12).
Ecco come, premesse le distinzioni di cui sopra, si possono vedere le proprietà dei predetti gradi, il modo in cui sono connessi tra di loro e gli effetti che ciascuno produce in noi.
Beato
l'uomo, il cui spirito libero dalle altre preoccupazioni desidera applicarsi
continuamente a questi quattro gradi di orazione, e che, vendute tutte le cose
che possiede, compra quel campo nel quale è nascosto un tesoro così
desiderabile quale è l'attendere a Dio e vedere quanto egli sia soave. Chi è
esperto nel primo grado, circospetto nel secondo, devoto nel terzo ed elevato
sopra di sé nel quarto, sale di virtù in virtù, per queste ascensioni che ha
disposte nel suo cuore, « finché compare davanti a Dio in Sion» (Sal 83,8).
Beato
colui al quale è concesso di rimanere, sia pure per poco tempo, in questo
supremo grado, e che può dire veramente: Ecco che sento la grazia di Dio, ecco
che con Pietro e Giovanni contemplo la sua gloria sul monte, ecco che con
Giacobbe mi diletto degli abbracci,della bella Rachele.
Ma
badi costui, dopo questa contemplazione con la quale era stato elevato fino ai
cieli, di non cadere, per un caso improvviso, fino negli abissi, e di non
abbandonarsi, dopo una visita così mirabile, alle dissolutezze del mondo alle
lusinghe della carne. Ma quando l'inferma vista della mente umana non potrà più
a lungo sostenere l'illuminazione della vera luce, discenda piano piano e
ordinatamente ad uno dei tre gradi per i quali era salita, e alternativamente si
fermi ora su uno, ora sull'altro grado, secondo i moti del libero arbitrio e
secondo le circostanze di luogo e di tempo; e sarà tanto più vicina a Dio,
quanto più sarà lontana dal primo grado. Ma ahimè, quanto è fragile e miserabile
la condizione umana!
Ecco che, con la guida della ragione e con le
testimonianze delle Scritture, vediamo chiaramente che la perfezione della vita
beata è contenuta in questi quattro gradi; e che in essi deve esercitarsi l'uomo
spirituale. Ma chi è che percorre questo itinerario di vita? « Chi è costui? Lo
proclameremo beato » (Sir 3 1 > 9). Volere è di tutti, ma portare a termine
è di pochi. Volesse il cielo che noi fossimo tra questi pochi!
XV - Quattro cause che ci
distolgono da questi gradi
Ci
sono quattro cause che per lo più ci distolgono da questi gradi, cioè una
necessità inevitabile, l'utilità di una buona opera, la debolezza umana, la
vanità del mondo. La prima è scusabile, la seconda tollerabile, la terza
miserabile, la quarta colpevole.
E
veramente colpevole: per chi infatti, per una causa di questo genere - ossia per
la vanità del mondo - si ritrae dal suo proposito, sarebbe stato meglio non
avere conosciuto la grazia di Dio, che retrocedere, dopo averla conosciuta.
Quale scusa infatti avrà per il suo peccato? Non potrà forse dirgli giustamente
il Signore:«Che cosa potevo fare di più per te, che io non abbia fatto?» (cfr.
Is 5, 4). Non esistevi, ed io ti ho creato, hai peccato e ti eri reso schiavo
del diavolo, e ti ho liberato, erravi per il mondo con gli empi, e ti ho scelto,
ti avevo dato la mia grazia al mio cospetto e volevo prendere dimora presso di
te, e tu mi hai disprezzato, e non solo hai rigettato le mie parole, ma me
stesso, e sei andato dietro alle tue passioni.
Ma,
o Dio buono. soave e mite, dolce amico, prudente consigliere, saldo aiuto,
quanto è inumano, quanto è temerario chi ti respinge chi allontana dal suo cuore
un ospite così umile e mansueto! Quale infelice e dannosa sostituzione rigettare
il proprio Creatore e accogliere pensieri cattivi e nocivi, lasciare al pensieri
immondi e ai porci calpestare cosi presto quella segreta cella dello Spirito
Santo, vale a dire i . intimo recesso del proprio cuore, che poco prima era
rivolto alle gioie celesti! Nel cuore sono ancora calde le vesti a dello Sposo,
e già s'intromettono desideri adulterini.
E’ una cosa sconveniente e indecorosa che le orecchie che avevano udito parole che non è lecito riferire ad uomo, si abbassino così presto ad ascoltare storie e frivolezze; che gli occhi che erano stati da poco bagnati con lacrime sacre, si volgano tutt'a un tratto a vanità; che la lingua che or ora aveva cantato dolci epitalami e che aveva riconciliato lo Sposo con la sposa con parole infuocate e persuasive e che l'aveva introdotto nella cella vinaria, si volga ora al turpiloquio, a scurrilità, a macchinare inganni e maldicenze.
Sia
lontano da noi, o Signore, tutto questo. Ma se mai per umana debolezza cadremo
in simili casi, non dobbiamo per questo disperare, ma ricorrere di nuovo al
medico clemente « che solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia
rialza il povero » (Sal 112, 7); e lui, che non vuole la morte del peccatore,
di nuovo ci curerà e ci guarirà.
Ma
ormai è tempo di porre fine a questa lettera. Preghiamo tutti il Signore,
perché mitighi gli ostacoli che al presente ci distolgono dalla sua
contemplazione e in futuro li elimini del tutto, conducendoci per i gradi
predetti di virtù in virtù, finché vedremo Dio in Sion, dove gli eletti
proveranno la dolcezza della divina contemplazione, non goccia a goccia, né a
intermittenza, ma gusteranno senza fine un torrente di gioia, che nessuno potrà
loro togliere, e una pace inalterabile, la pace in lui.
Tu
dunque, mio fratello Gervasio, quando ti sarà concesso di salire in cima a
questi gradi, ricordati di me e prega per me quando sarai beato. Così la cortina
tiri a sé la cortina, e colui che ode, dica: « Vieni! » (Ap 22, 17).
Epistola de vita contemplativa
(Scala claustralium o Scala Paradisi)
Tratto da: Un itinerario di contemplazione – Antologia di autori
certosini – Edizioni S. Paolo, 1987 – Terza edizione 1996.
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