2 n. 35 7 Ottobre 2012 primo piano LaVita
IL RICORDO DI UN NOSTRO MAESTRO
L’uomo davanti a Dio
ella feconda e ramificata
esperienza spirituale del
Novecento, quella di Divo
Barsotti, Fondatore della
Comunità dei figli di Dio, è di sicuro
una di quelle che, per ricchezza e
profondità, richiederà ancora un capillare
e perfino appassionato lavoro
prima di essere pienamente portata
alla luce e fatta sentire come un dono
unico di Dio al tormentato e difficile
secolo che ci siamo appena lasciati
alle spalle. A questo si aggiunge anche
la santità di vita e di missione di un
sacerdote e monaco che, nella sua
lunga esistenza, non ha mai cessato di
testimoniare quell’adesione radicale
e profonda al mistero di Cristo in
un’epoca storica che, di fatto, sembra
essere diretta in una direzione
opposta con quella “crisi della fede”
denunciata, con accorato e forse
inascoltato dolore, da Benedetto
XVI. Non vi è dubbio, infatti, che
Divo Barsotti ha speso interamente
se stesso non solo nel suo rapporto,
personalissimo e intenso, con Gesù
Cristo, ma anche nel farsi maestro
di vita spirituale come autore di
innumerevoli pubblicazioni - più di
centocinquanta - che, frequentate
una per una, rivelano una originalità
di prospettiva in cui la sapienza, sì
la sapienza della Traditio, non solo
spirituale ma anche teologica, si
salda, efficacemente, all’ascolto del
dramma spirituale del nostro tempo
e della nostra convulsa antropologia
moderna e postmoderna. E come
se non bastasse, Barsotti - forse
sull’esempio dei grandi scrittori
degli anni ‘30, come Gide e il cattolico
Julien Green - non ha esitato a
pubblicare in vita i suoi Diari che, a
parte il loro contenuto, non esitiamo
a definire come un vero capolavoro
letterario, per bellezza di stile e per
profondità di discesa, autentica e perfino
sofferta, nel più segreto silenzio
dell’ anima umana e religiosa.
Perché pubblicare
i diari
Certo, alla pubblicazione dei suoi
Diari molti critici di Barsotti hanno
sollevato la questione: che senso
ha pubblicare dei diari che sono un
fatto assolutamente privato? Jeremy
Driscoll osb, nella puntuale e lucida
prefazione al libro di Stefano Albertazzi,
crediamo, ha risposto una volta
per tutte a questa obiezione richiamandosi
alle Confessioni di Agostino e
scrive: «Il genere letterario delle Confessioni
è una preghiera interamente
indirizzata a Dio. […] Agostino non
si rivolge al lettore. […] Le Confessioni
sono così appassionanti perché
rivelano un uomo intensamente in
preghiera alla presenza di Dio» (p.
11). Di fatto, non si potrebbe capire
nulla dei Diari di Divo Barsotti se
non accettassimo questa chiave di
lettura che è la più profonda e la
più vera. Ed è in questa prospettiva
che Sull’orlo di un duplice abisso di
Stefano Albertazzi ci appare come
un contributo decisivo per intendere,
spiritualmente e culturalmente,
oseremmo dire, l’intero itinerario di
quest’uomo di Dio che è stato ed è
don Divo Barsotti. Figlio della Chiesa
e, per certi aspetti, figlio anche del
tormentato cammino spirituale del
nostro tempo. Un testimone del Vangelo
e un’insostituibile guida per tutti
noi che viviamo questa stagione del
mondo segnata, come afferma Marcel
Gauchet, dall’«uscita dalla religione».
N
La visione di un
figlio spirituale
È in questa prospettiva che
sembra avere proprio ragione l’impostazione
di lettura critica che
Stefano Albertazzi - figlio spirituale
di Barsotti - ha individuato nel senso
che il Fondatore della Comunità dei
Figli di Dio ha camminato e vegliato
sempre su un “duplice abisso”
l’abisso dell’uomo e l’abisso di Dio.
Barsotti, in effetti, percorrendo il
dramma del Novecento, si è sempre
sentito solidale con un’umanità che
corre verso la propria rovina, mentre
sente di essere lui - anche con la
sua povertà e sofferenza - a dover
trattenere gli uomini del suo tempo
dal baratro in cui stanno per precipitare.
Anche Merton, negli anni della
maturità, affermava riguardo ai non
credenti: «Non possiamo ignorare i
terribili errori che hanno commesso
nei tentativi di costruire un mondo
migliore senza amore, senza Cristo,
senza Dio». Si direbbe, quindi, che
Thomas Merton e Divo Barsotti,
diventati assai critici nei confronti
degli sviluppi della cultura occidentale,
abbiano sentito il desiderio di
guardare oltre quella cultura alla
ricerca di nuove fonti di umanità e di
spiritualità perché la creatura umana,
come ha scritto proprio Barsotti,
«non è alternativa a Dio, ma è davanti
a Dio» (D. Barsotti, L’acqua e la pietra,
Morcelliana, Brescia 1978, p. 56).
Allo stesso tempo, c’è anche
l’abisso di Dio. Nel pensiero e soprattutto
nell’esperienza di Barsotti
questo abisso è prima di tutto una
dimensione della vita trinitaria nella
quale l’uomo viene introdotto in
forza del mistero dell’incarnazione
di Cristo: «il Figlio eternamente
ritorna nell’abisso del Padre che lo
ha generato e l’uomo, partecipando
per grazia a questo atto eterno
del Figlio, viene anch’egli assorbito
perdendosi nell’immensità e nel
silenzio della presenza del Padre»
(p. 181). Un espressione, in effetti,
che ricorre spesso nei Diari di Divo
Barsotti è quella di «perdersi in Dio»,
ma aggiunge: «Perdersi non vuol dire
per l’uomo cancellare, distruggere
il suo stato di creatura - vuol dire
al contrario realizzare il “mistero”
della creazione come atto libero
di Dio» (p. 185). Per Divo Barsotti,
dunque, si vola verso gli abissi e si
va verso Dio, come l’aquila vola in
direzione del sole, per cui «secondo
gli antichi è questa la vita dell’anima
che crede» (p. 187). Al di là di tutto,
resta, comunque, quella grande verità
che Barsotti non ha cessato di comunicare
e testimoniare – Dio rimane
l’Amore - anche quando, come annota
Stefano Albertazzi, «le parole dei
suoi diari ci giungono da sopra e da
sotto, dall’orlo dell’abisso e dalle sue
profondità. Nel suo movimento di
discesa e di salita Barsotti non fa che
parlarci del suo personale rapporto
con Cristo a cui riconduce tutta la
sua complessa e travagliata esperienza
umana, costringendo il lettore a
confrontarsi con un essenzialità e una
radicalità di fronte alla quale l’uomo
contemporaneo si trova fortemente
disorientato» (p. 13).
Il rapporto
con Cristo
Ecco il punto nevralgico della
ricostruzione critica di Stefano
Albertazzi: il personale rapporto
con Cristo che è stata la croce e la
gioia dell’intera vita di Barsotti, della
sua appassionata predicazione, del
suo scrivere ininterrotto per portare
agli uomini del nostro tempo
il «profumo di Cristo». E dobbiamo
anche aggiungere che Albertazzi, pur
sentendo molto il rapporto con il
suo Fondatore, conduce un’indagine
veramente critica nel senso migliore
del termine. Vuole capire lui stesso e
illuminare gli altri eventuali lettori di
quel complesso e ramificato itinerario
spirituale di Barsotti, ma tenendosi
saldamente ancorato alle questioni
in gioco, alle domande sottese, alle
piste aperte o anche semplicemente
intraviste da quello sguardo acuto e,
se così possiamo dire, “cristologico”
che possedeva Divo Barsotti. Così, si
tratta di uno studio articolato e anche
attentamente sorvegliato da una
prospettiva teologica e spirituale che
nulla lascia al caso: dalla ricostruzione
biografica alla formazione teologica
e spirituale di Barsotti e fino alla sua
originalissima spiritualità monastica
così fortemente radicata nell’istituzione
monastica vera e propria, ma
anche aperta ai laici che possono
trovarvi la ragione profonda di quella
vocazione universale alla santità
tanto raccomandata dal Vaticano II
e dal Magistero di questi ultimi anni.
E dunque, ha ragione Albertazzi nel
concludere il suo studio relativo
ai Diari di Barsotti: «Sono libri che
non ci parlano solo dell’esperienza
dell’uomo, ma che ci introducono
alla conoscenza dell’uomo in quanStefano
Albertazzi, “Sull’orlo di un duplice
abisso. Teologia e spiritualità monastica
nei diari di Divo Barsotti” San Paolo,
Cinisello Balsamo 2009
In questo studio, attento e sicuro,
l’autore ricostruisce il complesso e lineare
itinerario interiore di Divo Barsotti nei
suoi splendidi Diari che sono un autentico
capolavoro della letteratura religiosa
del nostro tempo
di Carmelo Mezzasalma
to tale, di ciò che l’uomo è e di ciò
che è chiamato a essere alla luce
dell’evento cristiano: ogni lettore non
prevenuto può pertanto ritrovare in
queste pagine una parte più o meno
grande della propria vita, scoprendo
in esse un meraviglioso itinerario pedagogico
che può essergli di grande
aiuto nel suo cammino di crescita
umana e spirituale» (p. 424). Ogni
sincero lettore dell’opera spirituale
di Barsotti non fa nessuna fatica ad
ammettere che tutto questo è vero,
e anzi vorrebbe aggiungere quelle
straordinarie espressioni della beata
Elisabetta della Trinità nel suo ultimo
biglietto, prima della morte, e rivolto
alla sua priora e Madre: «Creda al suo
portavoce e legga queste righe come
inviate da Lui».
Divo Barsotti, settimo di nove fratelli, nacque il 25 aprile 1914 a
Palaia, paese rurale in provincia di Pisa, nel 1925, a undici anni, entrò nel seminario
di San Miniato, dove venne ordinato sacerdote il 18 luglio 1937.
Dopo l’ordinazione prestò servizio sia presso le parrocchie della diocesi come
coadiutore dei parroci, sia in seminario come insegnante di lettere. Non riuscendo
però a trovare una collocazione pienamente soddisfacente, e spinto anche
da una vocazione interna che lo portava ad una dimensione missionariacontemplativa,
chiese al vescovo di poter andare in missione e, ottenuto il permesso,
si preparò a partire per l’India, come sacerdote secolare, appoggiato agli
Auxiliares des missions del Belgio. Lo scoppio della seconda guerra mondiale,
però, fece naufragare questo progetto.
Negli anni della guerra don Divo si mise in contatto epistolare con Giorgio La
Pira e cominciò a scrivere articoli di carattere religioso, alcuni dei quali pubblicati
sull’Osservatore Romano.
Al termine della guerra, per interessamento di Giorgio La Pira, don Divo si
trasferì a Firenze. L’arcivescovo cardinale Elia Dalla Costa lo accolse e, dopo
un primo servizio presso un Istituto di suore a Badia a Ripoli, lo nominò cappellano
di un Istituto religioso femminile presso la Rettoria della Calza, a porta
Romana in Firenze, dove rimarrà per otto anni. Nel 1947 iniziò la direzione
spirituale di un gruppetto di donne che porterà alla nascita della “Comunità dei
figli di Dio”. Al convento della Calza si fece conoscere per la sua predicazione, e
diede alle stampe il suo primo libro, Cristianesimo russo (1948), che introdusse
in Italia per la prima volta figure come san Sergio di Radonez, san Serafino di
Sarov e Silvano del Monte Athos.
Nel 1954, dopo una breve esperienza eremitica presso una delle casette rupestri
di Monte Senario, si trasferì a Settignano, nella periferia di Firenze, in quella
che diventerà la Casa-madre della Comunità dei figli di Dio: Casa San Sergio.
Iniziò una vita comune di stampo monastico con alcuni giovani, in stretta comunione
con il resto della Comunità che nel frattempo si va espandendo in altre
città italiane: Viareggio, Venezia, Napoli, Palermo, Biella, Modena ed altre.
Don Divo Barsotti ha insegnato teologia sacramentaria e teologia spirituale per
oltre un trentennio presso la Facoltà teologica di Firenze e ha scritto moltissimo:
155 i suoi libri, diversi dei quali tradotti all’estero
È morto nella sua Casa San Sergio a Settignano il 15 febbraio 2006, e lì è
sepolto.
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