don Divo Barsotti
IL SENSO DEL PECCATO
Meditazione
2 ottobre 1966
Il mondo moderno ha perso il senso del peccato. L'uomo
sembra che non abbia più altra libertà che quella di seguire
spontaneamente la sua natura. Non so se ha acquistato
l'innocenza dell'animale: è certo che nessuno, praticamente, nel
mondo di oggi sente vivo il bisogno di una liberazione da se
stesso. L'uomo si è accettato qual è, e per la sua bruttura non
rimprovera più alcuno, nemmeno Dio, perché come ha perso il
senso del peccato, così ha perso il senso di Dio. L'uomo è solo
in un mondo vuoto e non vi è legge che egli debba realizzare.
Forse mai l'umanità si è trovata a un tale abisso di perversione
morale, forse mai l'umanità è caduta così in basso: non perché
oggi si commettano maggiori peccati di ieri, ma perché oggi
non si sa, non si avverte, non si ha più coscienza nemmeno del
male nel quale siamo impastati. L'uomo si accetta così come è
e non aspetta nessuna redenzione, e non crede più in alcuna
salvezza. È pauroso il senso della vita che è proprio dell'uomo
di oggi. Si identifica la materia allo spirito e Dio al mondo; e
non vi è più luce di libertà, non vi è più luce di bellezza
spirituale per l'uomo.
Il paralitico del quale si parla nel Vangelo di Matteo (Mt 9, 1-
8) viene portato dinanzi a Gesù e non chiede la salvezza dal
suo peccato: sembra che non ne senta il bisogno. Solo il dolore,
la menomazione fisica gli fa sentire il bisogno di una
liberazione. Solo questa menomazione, senza dargli speranza
nella guarigione, gliela fa comunque desiderare egli permette di
accedere al Divin Maestro perché, se Egli può veramente
qualcosa, manifesti il suo potere e lo guarisca.
Forse solo questo può avvicinare a Dio noi uomini moderni: il
dolore, la malattia; o forse anche la malattia e il dolore non si
traducono nemmeno più per l'uomo in un grido di pietà, in una
implorazione di aiuto; forse l'uomo come una bestia ferita
aspetta soltanto la morte. Non lo so. È vero questo: che il
mondo sembra deserto da Dio, è vuoto. E non sono meno vuote
le anime che credono di credere, e non sono meno vuote le
anime che fanno professione di vita religiosa, e non sono meno
vuote le anime che pensano di essere vicine a Dio.
Mi diceva un sacerdote che l'esperienza più terribile del suo
sacerdozio (era un cappellano di ospedale) è stata quella
dell'assoluta impermeabilità dell'uomo a Dio e alla grazia,
anche di fronte alla morte. Sono molti gli uomini che non si
scuotono più nemmeno per la loro malattia, nemmeno per
l'imminenza della morte: è un atto puramente fisico, biologico,
si deve subire. L'uomo è ritornato ad essere meno assai di
quello che è stato sempre, anche fuori dal Cristianesimo, anche
in opposizione al Cristianesimo: nemmeno più uno spirito,
nemmeno più un'anima, nessuna luce spirituale lo visita più.
Un certo stoicismo, che è peggiore di ogni peccato, sembra che
sia il carattere proprio dell'uomo moderno. Stoicismo che non è
l'antico stoicismo: è un'assoluta impermeabilità a tutti i valori.
Si accetta la vita così com'è e non si fa più differenza fra il
bene e il male, perché non vi è più differenza per l'uomo, dal
momento che questo non si impone più nulla, non sceglie più
nulla. Si è ridotto davvero all'innocenza dell'animale. Com'era
più cristiano, ci sembra, anche l'assassino e il libertino di
qualche secolo fa! Il gusto che provava lo scrittore nel
descrivere il male, cercando di sollecitare anche gli altri a
cadervi è in fondo una testimonianza più alta di quanto non sia
per esempio la letteratura moderna, in cui tutto è impassibile,
tutto è divenuto una cosa. Le perversioni peggiori a cui l'uomo
può abbandonarsi vengono descritte con un tono di
impassibilità che fa paura. Credo che nemmeno il demonio sia
giunto a tale totale assenza di luce spirituale.
Quello che distingue l'uomo è soprattutto questo: che egli non
è un animale che vive, che si lascia vivere. Quello che
distingue il cristiano, o piuttosto qualunque uomo religioso, è il
senso di un rapporto con Dio, o col mistero se non vogliamo
dire Dio; senso di un rapporto che dà all'anima la coscienza
viva, dolorosa di un'impotenza, di una colpa, di un peccato e di
una condanna.
Quello che distingue l'anima religiosa è il senso del peccato.
L'uomo non potrebbe mai vivere dinanzi a Dio senza avere
questa coscienza: la coscienza di una sproporzione infinita fra
la sua povertà e la santità infinita di Dio. Ma anche più che la
sproporzione, il senso di una opposizione radicale: volere o non
volere, l'uomo sente sempre che Dio, prima di essere l'Amore
che chiama, prima di essere la gioia che inebria, è veramente
un fuoco che brucia. Il paralitico almeno desiderava la sua
guarigione: ecco il primo appiglio che dette quell'anima alla
grazia divina. C'era almeno il desiderio in lui di star meglio;
c'era dunque un essere e un voler essere qualche altra cosa.
Eccoci all'uomo. È qui. Nel fatto che almeno pienamente non si
accetta così com'è e vorrebbe essere altrimenti di quello che è,
o almeno desidera di essere diverso. E basta questo perché la
grazia trovi un punto in cui innestarsi, e basta questo perché
Dio trovi una porta da cui entrare nel cuore dell'uomo.
Io non so se noi abbiamo veramente coscienza del nostro
peccato così com'è; io non so se ci sentiamo dinanzi alla santità
infinita di Dio come lordura, così come diceva San Paolo,
come immondezza, come sudiciume, come sentiva San Paolo
della Croce, ma almeno potremmo sentire che persiste
nell'intimo un desiderio vivo di essere diversi da quelli che siamo, e magari nemmeno sul piano spirituale, anche sul piano
puramente fisico: più giovani, più sicuri di una nostra santità…
non so, qualche cosa onde noi comunque sentiamo qualche
desiderio, ci offriamo così a Uno che può ascoltarci. Almeno
questo, dunque, si impone per noi: che non siamo contenti di
noi stessi, che desideriamo di essere diversi da quello che
siamo. Allora Dio può avvicinarsi alla nostra anima, allora Dio
può avere un rapporto con noi; allora la nostra vita è già una
preghiera.
Ma, in fondo, chiedere la giovinezza o la santità non è un
rimedio ai nostri mali, perché in questo caso ci sembra
veramente più logico colui che in uno stoicismo cieco, opaco,
accetta anche la morte perché è della natura dell'uomo morire,
perché è risibile che l'uomo, una volta vecchio, voglia ritornare
giovane o, essendo nato, non voglia morire. Desiderare una
guarigione, desiderare uno star meglio sul piano puramente
fisico, come poteva sentire il paralitico, non è davvero il
rimedio ai nostri mali, anche se questo desiderio viene
esaudito. Qualche cosa dunque noi dobbiamo chiedere,
dobbiamo implorare; la nostra anima deve vivere però un
desiderio più profondo. La fiducia, la speranza, la libertà
interiore, l'aprirsi e il dilatarsi finalmente in una certa pace non
può derivare dall'essere guariti. Nostro Signore lo dice: "Abbi
fiducia figliolo: i tuoi peccati ti sono rimessi". La fiducia, la
libertà interiore, l'aprirsi dell'anima nella pace, può derivare
soltanto dalla remissione di un nostro peccato. È giusto dunque
che l'anima, se vuol essere salvata, prima di tutto abbia
coscienza di questo suo peccato, perché altrimenti desidera e
non sa cosa desidera, aspira a qualcosa e non sa a cosa aspira.
Si diceva che basta anche desiderare di essere già più giovani
per dare a Dio l'appiglio per entrare nel nostro cuore. Dio non
entra donandoci la giovinezza o la guarigione: quando Dio
entra dà all'uomo la coscienza di quello che veramente è il suo
male: il suo peccato. Il peccatore chiede una cosa e Dio gliene
dà un'altra; chiede la sua guarigione, perché di essere peccatore
non sa, ma Dio, che attraverso questa preghiera di guarigione
ha potuto introdursi nell'anima sua, ora dà all'anima la
coscienza di quello che è veramente il suo male e lo risana:
"Confide, fili,remittuntur tibi peccata tua". La nostra fiducia,
libertà e pace interiore derivano dalla remissione dei peccati e
da nessun altra cosa che da questo.
L'uomo moderno ha perso questa fiducia, questa libertà,
questo senso di pace perché ancora, non solo, non ha coscienza
dei propri peccati ma, non avendo questa coscienza, non può
aver nemmeno questa remissione, non può essere perdonato. E
il Signore è venuto quaggiù sulla terra per questo: perdonarci i
nostri peccati. La nostra salvezza dipende da questo semplice
atto divino: il perdono dei nostri peccati.
C'è il senso di una sproporzione spaventosa fra quello che io
sono, fra le possibilità di azione che mi sono date quaggiù e
quello che mi è stato promesso: l'eternità. È mai possibile per
l'uomo credere davvero che Dio sarà la sua vita? È mai
possibile che l'uomo creda questo e non senta che è
irrimediabilmente perduto? Che cosa può offrire l'uomo per
questa sua salvezza, per meritare questa grandezza? Che
proporzione c'è fra questi due giorni di vita, fra le mie virtù, se
pure ne ho, e questa santità, e questa vita divina?
Io mi vedo domani dopo la morte; e se mi vedo dopo la morte,
fermandomi in me, non posso vedere che il mio inferno, la mia
condanna, non posso aspettarmi null'altro. Tutte le virtù dei
santi, davvero, come diceva Isaia, non sono che lordura, tanto
più la mia vita. Che proporzione può esserci fra quello che
offro a Dio e quello che spero di ricevere? Fra quello che è la
mia vita e quello che Egli mi promette? È proprio questa
visione della nostra eternità, così imminente per ciascuno di
noi, che dà un senso di terrore all'anima. Tu senti di precipitare
nel vuoto, senti di cadere davvero nell'inferno: che cosa hai mai
da offrire a Dio per meritare la salvezza, se la tua salvezza è
questa vita divina?
Allora senti il tuo peccato, allora hai coscienza della tua
indegnità, e tu fuggi da Dio, e non puoi fuggire da Lui: tu neghi
Dio, perché fuggire Dio non vuol dire proprio nulla per l'anima;
tu sai che ogni fuga è impossibile. L'unica cosa che potrebbe
salvarti sarebbe il fatto che Dio non fosse. E la tua salvezza in
questo caso sarebbe il nulla; ed è il nulla che l'uomo moderno
vuole. La fuga da Dio di Caino si è tramutata per l'uomo nella
negazione di Dio, perché l'uomo non potrebbe mai fuggire
questo Dio al quale deve rispondere di sé.
Come saremo salvi? In che cosa possiamo avere fiducia? Nel
perdono: nel perdono di Dio, in una misericordia infinita alla
quale dobbiamo abbandonarci. L'unica proporzione che si crea
fra l'anima e Dio è precisamente quella che opera l'atto del
nostro abbandono totale alla misericordia di Dio: un atto di
abbandono che è come il precipitare nella morte. Non sono le
tue opere, è questo abbandono che veramente ti salva, perché in
questo abbandono ti raggiunge il perdono, la misericordia
infinita.
Non vi è dunque una proporzione tra te e Dio, ma fra Dio e
Dio, fra quel Dio al quale hai dato la possibilità di vivere in te e
quel Dio che un giorno ti giudicherà. La tua fede infatti, non
potendo essere che assoluta, lascia a Dio di vivere in te così
come Egli è: misericordia gratuita ed immensa. E la
proporzione allora è stabilita: non dalle tue opere, ma dal suo
perdono, non dai tuoi meriti, ma dalla sua misericordia.
Ma perché questa proporzione possa essere stabilita dalla
misericordia divina, tu devi avere coscienza della impossibilità
di essere santo; devi avere coscienza di un tuo peccato che tutto
ti contamina. Cosa sei mai davanti al Signore?
Ho letto (credevo mio dovere leggerlo) Sartre. Che terribile
cosa! Non tanto per quello che scrive e per il modo con cui
scrive – questa impassibilità onde non esiste più né male né
bene – no, che cosa terribile sentire che io sono veramente
solidale con quegli uomini che lui descrive. Non c'è nulla che
io senta del tutto estraneo a me. La peggiore perversione umana
mi è possibile. E in che misura, se mi è veramente possibile,
non è anche reale? Io mi sento un lebbroso peggio di qualsiasi
lebbroso. Io non so se vi è un peccato solo in questo mondo di
cui io non sia colpevole; non so se vi è un peccato di cui non
sia responsabile davanti al Signore. Io sento che la mia
salvezza esige da parte di Dio la misericordia che Egli deve
avere per tutto l'universo, perché in me vi sono tutti i possibili
peccati che sono stati commessi e che si commetteranno. E non
vi è in me nessuna possibilità di sottrarmi a ogni caduta. Non
posso dire che se anche io realmente non sono caduto (e non so
nemmeno questo) o non cadrò non vi sia in me una reale
possibilità di cadere. Forse me ne è mancata l'occasione; forse
la mia vita si è svolta in tal modo che senza nessun mio merito
io sono andato per una strada mentre altri sono andati per
un'altra: l'educazione che ho ricevuto, l'ambiente nel quale sono
vissuto, le situazioni concrete nelle quali mi sono trovato, tutto
questo ha fatto sì che io non sia caduto; ma fino a che punto
posso giustificarmi di fronte a Dio volendo apparire meno
colpevole di altri che, essendosi trovati in altre situazioni,
avendo ricevuto un'altra educazione, hanno vissuto quello che
io avrei vissuto?
E ho sentito che davvero ogni uomo è tutta l'umanità. Io non
posso salvarmi se nella mia salvezza tutta l'umanità non è
salva, perché veramente non sono solidale con gli altri soltanto
per un atto di mia volontà, ma sono solidale per la mia natura
di uomo e come uomo non sono in nulla disuguale dagli altri.
E ho pensato: Gesù medesimo se ha redento tutta l'umanità è
perché ha salvato Se stesso, come dice la Lettera agli Ebrei:
Egli rivolse la sua preghiera con grande clamore e lacrime a
Dio che poteva salvarlo dalla morte. Forse Egli mi ha salvato
perché ha salvato Se stesso. Egli è veramente l'Uomo. Io non
potrò mai essere redento se non in Lui; in me veramente il
peccato non potrà mai essere pienamente vinto, mai
pienamente trasceso; porterò fino alla morte un'umanità che è
complice più o meno di tutti i peccati del mondo, porterò fino
alla morte un'umanità che è contaminata da tutti gli orrori.
Forse posso essere salvato solo nel Cristo. Egli è l'unico Uomo
in cui l'umanità è stata salvata, e salva anche me.
Ma sento allora che non posso essere salvato in Lui se non
nella misura che io sono realmente compreso, cosciente, che la
mia salvezza è impossibile, che un Altro deve operarla, che in
un Altro io sono salvo. Come ho capito la grandezza religiosa
di Lutero! Oh, certo, ha delle gravi responsabilità nei confronti
della cristianità, ma che anima religiosamente grande! Egli ha
avuto più di noi il senso reale di quella che è la nostra miseria,
del nostro peccato che ci contamina fin nelle radice dell'essere,
e ha sentito che solo l'abbandono a un Dio che si è fatto uomo,
perché in questa sua umanità potesse salvare tutti noi, solo
questo abbandono a Dio nella sua morte poteva salvarci.
Questo non implica certo che io possa compiacermi del mio
peccato, perché fintanto che io non riconosco il mio peccato o
mi compiaccio del mio peccato, io non mi abbandono a Dio,
non chiedo la sua salvezza, non mi rifugio nel suo amore, non
imploro la sua misericordia. Ma non potrò essere salvo nella
misura che veramente sono compreso di questo mio peccato,
che realmente sono cosciente della mia impossibilità di
salvarmi, che realmente sono cosciente che il peccato mi
intride tutto, che non vi è nessuna parte sana in me. Come
debbo sentirlo per rifugiarmi in Lui, perché Egli mi prenda, mi
carichi sopra di Sé, povero lebbroso che Egli trascina
all'ospizio! Come dobbiamo sentire tutto questo!
Fra poco noi morremo. Questa scena sparirà, cadrà e ci
troveremo dinanzi al Volto di Dio. Se Dio non ha preso posto
nella nostra anima in questa vita presente in un perdono non
meritato, ma appunto per questo più pieno, che cosa
presenteremo a Dio? Quale difesa potremmo opporre alla sua
presenza?
Oh, lo so, ci sembra impossibile la nostra salvezza, ed anche
in qualche modo impossibile l'essere perdonati così per nulla.
La resistenza che oppongono i farisei e gli scribi al perdono del
Cristo è la resistenza che oppone il mondo moderno al
messaggio cristiano. L'uomo non vuol credere all'amore di Dio,
si rifiuta di pensare che l'amore di Dio giunga a tanto. Siamo di
orrore a noi stessi, veramente, quanto più ci conosciamo, tanto
più ci rendiamo conto di non riuscire a vivere nemmeno con
noi stessi. Chi ci libererà da noi stessi? Non dal nostro corpo di
morte, come diceva San Paolo, ma dalla nostra stessa anima.
Non ci sopportiamo più. Come è possibile che Dio, mentre
facciamo orrore a noi stessi, mentre viviamo l'inferno per esser
legati a questa lordura, non solo ci sopporti , ma ci ami? Come
possibile che Dio realmente si doni? Supera ogni capacità di
immaginazione, ogni nostro pensiero.
Per questo il mondo moderno non crede più. Chi potrebbe
credere senza un miracolo di Dio? È un miracolo credere,
credere che Dio sia qui e mi dica: "Confida figliolo, i tuoi
peccati ti sono rimessi". È vero? Può essere vero?
Non dico solo Sartre, ma tutti i filosofi e i letterati moderni mi
riderebbero dietro con riso beffardo: non credono che l'uomo
possa cambiare. L'uomo è un animale; ed essi accettano la vita
così com'è: non vi è male, non vi è bene. Non c'è più libertà,
tutto è opaco. L'uomo è quello che è: non ha più spirito, non ha
più anima.
Possiamo davvero credere che Dio ci ami e che possiamo
essere diversi da quello che siamo e possiamo essere salvati?
Possiamo crederlo? Ecco quello che fa il nostro cristianesimo:
se possiamo credere questo, siamo cristiani, se non possiamo
crederlo non siamo cristiani. Essere cristiani vuol dire essere
santi, non vuol dire esser già liberati, già luminosi; vuol dire
poter credere che la salvezza è possibile, poter credere che Dio
realmente ci possa amare. E se Dio ci può amare allora è segno
davvero che noi possiamo essere cambiati, possiamo veramente
sperare di essere diversi.
E noi dobbiamo crederlo: possiamo e dobbiamo crederlo. Il
messaggio cristiano è tutto qui. Oh, lo so, mi sento solidale con
tutto il peccato umano, mi sento responsabile di tutti i peccati.
Come capisco ora certe pagine di San Gregorio, il grande poeta
armano del IX secolo! Quando lo lessi la prima volta rimasi
spaventato: quest'uomo si confessava di stupri, di violenze, di
tutti i peccati del mondo, e su tutti i peccati implorava la
misericordia di Dio. Come lo capisco, oggi! Allora mi spaventai,
oggi mi sento con lui.
Quello che mi fa cristiano non è sentirmi peccatore soltanto, è
il fatto che nel mio peccato io mi volgo a Uno perché abbia
pietà di me e veramente mi salvi, e veramente mi sollevi da
questo pozzo nel quale sono caduto, sono immerso: mi sollevi
nella luce, mi trasformi in Sé.
Ecco il messaggio della salvezza: Ecce nunc dies salutis. È
tutto qui il Cristianesimo. La salvezza è possibile. L'uomo può
essere veramente redento purché implori il perdono. Il perdono
viene dato gratuitamente a colui che, cosciente del suo peccato,
si affida alla misericordia infinita di Dio. Ma per far questo
bisogna essere coscienti del nostro peccato; e tanto più grande
sarà la misericordia divina quanto più grande sarà la coscienza
del nostro peccato. Perché giustamente Dio ti colma di Sé nella
misura che offri a Lui una capacità più grande, e la capacità che
offri a Dio è la coscienza di essere tu colpevole di tutto l'umano
peccato. Non vi è nulla che ritengo alieno da me: Nihil umano
a me alienum puto. Veramente solo questa coscienza di un
peccato che ci rende solidali con tutti – con gli assassini, con le
prostitute – solo questa solidarietà che ci fa sentire fratelli a chi
è caduto più in basso, perché in nulla migliori di loro, solo
questo può anche colmarci di una misericordia realmente
infinita.
Il mondo moderno non soltanto ha perso Dio, ma ha perso
anche l'uomo. L'uomo piano piano si riduce a puro animale.
Nemmeno i greci erano giunti a tanto, perché almeno, per loro,
anche se non esisteva Dio, esisteva lo spirito; mentre oggi
quanti credono veramente nell'immortalità? Non vogliono
dirlo, non vogliono porsi il problema per non dover rispondere,
ma io credo che la maggior parte non ci creda più. Anche fra i
cristiani la maggior parte arriva a dire: "Eh, se c'è qualcosa si
vedrà!".
Questo vuol dire che non soltanto non si crede più in Dio, ma
non si crede neanche nell'uomo. L'uomo stesso si è ridotto a un
puro prodotto biologico, animale.
Vi posso sembrare un po' duro, ma non lo sono, perché i
risultati di una certa concezione sono paurosi; e potrebbero
essere ancora più paurosi se noi non ci rendessimo conto di
tutto questo per riaffermare non quei principi filosofici, ma
quei principi di fede dai quali il nostro Cristianesimo dipende o
cade; e non soltanto il nostro Cristianesimo, ma la nostra
nobiltà di creature razionali, di uomini cioè che trascendono il
mondo. Perché Dio trascende anche il mondo, ma l'uomo già di
per sé trascende ogni processo biologico, trascende la creazione
fisica: egli è spirito. Dobbiamo rendercene conto.
Per questo l'uomo vale sempre più non soltanto di tutti i
processi biologici e storici, ma di tutte le manifestazioni
puramente esteriori e visibili, anche della Chiesa stessa in
quanto visibile. Io valgo di più di tutta la Chiesa: non della
Chiesa Corpo Mistico, non della Chiesa Comunione dei Santi,
ma della Chiesa fatta di Cardinali, di Vescovi, fatta di San
Pietro… queste sono tutte cose esteriori. La mia comunione col
Cristo e anche coi Santi della Chiesa stessa è immensamente
superiore, perché questo qui è un piano storico che ancora non
è definitivo, che è ancora segno. Siamo ancora sul piano
profetico, sul piano significativo, non sul piano definitivo
dell'essere, mentre per quanto riguarda la persona umana, già la
persona umana realizza questa trascendenza del visibile, del
fisico, dello storico: la persona umana in un atto di fede giunge
a Dio; la persona umana, anche senza l'atto di fede, nella sua
vita spirituale già vive una libertà spirituale onde si libera dalla
legge necessitante propria del determinismo delle cose fisiche.
Dobbiamo rendercene conto: un uomo solo vale più di tutti i
movimenti politici, un uomo solo vale più di tutto uno Stato.
Certo, qui il problema si fa complesso, perché lo Stato è anche
la somma delle persone; però la persona realizza se stessa più
nella sua intimità che nei rapporti sociali. I rapporti sociali
obbediscono alla sociologia, a qualche cosa che è ancora
deterministico. L'atto interiore dell'uomo è sempre l'atto più
alto. Ecco perché la vita contemplativa è sempre il massimo
vertice dell'attività umana.
Nell'atto esteriore l'uomo si aliena sempre a se stesso.
Sant'Agostino diceva: In teipsum rede: in interiore homine
inhabitat veritas. Se l'uomo è alienato lo è perché dopo il
peccato originale è stato cacciato dal Paradiso Terrestre, cioè è
stato cacciato nella socialità, nella storia, secondo il pensiero
dei Padri, è stato cacciato in un mondo fisico facendone parte.
Il suo mondo vero non lo possiede più: si trova in regione
dissimilitudinis che è la storia, è il mondo fisico, è il mondo
politico, è questo mondo, che traduce soltanto imperfettamente
la mia vita interiore e molto spesso, più che tradurla la tradisce.
Noi siamo stati traditi nel nostro medesimo amore anche nel
rapporto che abbiamo gli uni con gli altri: amandoci non ci
possiamo amare. Ci amiamo, e nella misura che manifestiamo
l'amore si tradisce l'amore.
Pensavo in questi giorni all'amore sensibile, all'amore carnale.
È chiaro che se ci si ama, ci si dona l'uno all'altro, ci si deve
donare l'uno all'altro. L'amore esige una risposta; anche Dio la
esige. Se è vero amore implica l'unità, e l'unità implica il dono
reciproco. D'altra parte l'uomo, se è uomo, non è solamente
spirito, è anche carne, dunque l'amore sensibile, l'amore
carnale, dovrebbe essere il massimo dell'amore. Perché allora
c'è l'ambiguità di questo amore che è invece peccato? È chiaro:
perché il corpo ci aliena. Non è il vero corpo. Il mio atto
d'amore, la mia comunione, implica il dono del corpo, ma non
implica questa alienazione che invece oggi noi viviamo sul
piano fisico e sul piano sensibile.
Quando si vive questa comunione di amore? Nella
Comunione. Nella Comunione Dio mi dona Se stesso nel suo
Corpo e io mi dono a Lui nel mio corpo, ma non c'è nessuna
ambiguità, perché è il corpo glorioso. In questo mio corpo che
non è un corpo glorioso io vivo necessariamente una mia
alienazione, il mio corpo mi tradisce, tradisce la mia vita
spirituale, non è strumento della mia vita spirituale. Nell'amare,
nel dono di me stesso, io perdo me stesso, perdo la mia anima
invece di conquistarla. Invece nella vita futura saremo non
soltanto un solo spirito, ma un solo corpo. Unità anche fisica
oltre che spirituale. Ma non ci sarà alienazione, non ci sarà
nessuna umiliazione: sarà la piena manifestazione e la piena
perfezione di un amore che esige ed opera la perfetta unità.
Non trovo che di per sé non ci sia nulla di male nell'amore
sensibile. l'amore sensibile è l'amore. Non per nulla ci si deve
amare e troviamo una difficoltà ad amarci proprio nella nostra
costituzione presente. Per questo l'amore esige la morte: esige
il superamento di una condizione terrestre nella quale l'amore
ci è imposto e non lo possiamo vivere fino in fondo.
Questa mia presa di posizione non è quella di un conservatore
o di un progressista, ma quella di un cristiano. Un cristiano che
vuol continuare a credere in Dio, vuol continuare a credere nel
Cristo, nell'Incarnazione, nella Morte di Croce, nella
Risurrezione, che vuol continuare a credere, e non ammette un
post-cristianesimo, perché sarebbe un cadere nell'inferno: ci
sarebbe un post-Dio , e dopo Dio che cosa ci può essere se non
il nulla? Ammesso che ci sia un post-cristianesimo, l'uomo
sarebbe veramente solo, in una solitudine immensa, perché per
lui Dio non ci sarebbe più.
L'uomo realizza totalmente se stesso nella sua comunione con
Dio. E questo è proprio dell'uomo. Tutta la tradizione ce lo
insegna, e non soltanto la tradizione religiosa, ma anche quella
culturale dell'Occidente: l'uomo è un microcosmo. In lui
veramente tutta la creazione si riassume perché attraverso di lui
tutta la creazione deve essere salvata. Ma come può l'uomo
salvare tutta la creazione?
Fino alla fine del 1800 si poteva pensare che l'uomo fosse un
essere che quasi totalmente emergeva nella luce: soltanto
qualche piccolo angolo dell'essere suo rimaneva nell'ombra, ma
tutto l'essere umano era un essere di luce, un essere cioè
pienamente cosciente di sé, pienamente responsabile dei suoi
atti. Nel 1900, prima Freud e poi Jung ci hanno insegnato che
in realtà quello che dobbiamo pensare dell'uomo è il contrario.
Ed è vero quello che essi ci dicono, almeno riguardo a questo:
che cioè l'uomo si trova in massima parte sommerso
nell'inconscio e nel subconscio; tutte le sue azioni hanno un
carattere, direi, non libero, ma determinato e dall'ereditarietà e
dal temperamento e da fattori biologici e fisici. Tutto è quasi
sommerso nell'animalità, se vogliamo usare questo termine.
soltanto il vertice della sua anima emerge, e la fatica che
l'uomo deve compiere perché tutto quello che è inconscio
divenga pura luce, pura coscienza, pura responsabilità, è quello
che lo realizza. Vivere, per noi, vuol dire divenire uomini; e
divenire uomini significa emergere da questa melma, da questa
ombra, emergere da questo fango, risalire. Però il salire nella
luce è un'impresa gigantesca. Non ci rendiamo conto di quanto
siamo giocati dai nostri istinti, di quanto siamo in qualche
modo determinati (in qualche modo, non totalmente) dalla
nostra educazione, dall'ambiente nel quale viviamo, dai nostri
antenati, dal nostro temperamento, dalla nostra salute e dai
nostri atti precedenti.
L'emersione del nostro spirito da questo mare impone all'anima
uno sforzo gigantesco. E molto spesso l'uomo non lo fa. Si deve
dire, al contrario, che in massima parte gli uomini continuano a
vivere quasi sommersi.
Il cammino dell'uomo per essere uomo è in gran parte anche il
cammino dell'uomo per essere figlio di Dio. L'emersione
dell'uomo verso la sua umanità e l'emersione dell'uomo verso la
sua vocazione soprannaturale, in qualche modo, almeno per un
certo tratto, vanno di pari passo. Coincidono. Si può dire a
questo proposito che la vita religiosa sia uno dei mezzi più
universali di promozione umana. Fino ad oggi – e sarà così fino
alla fine del mondo – in massima parte gli uomini diverranno
uomini non attraverso la filosofia o la psicologia o la medicina
o la psichiatria, ma soltanto attraverso la religione. E
probabilmente la massima parte delle malattie si potrebbe
guarire proprio attraverso un processo religioso, proprio perché
un processo religioso non soltanto avvicina l'uomo a Dio, ma
porta l'uomo ad essere uomo.
La promozione dell'uomo da animale a uomo, fino ad un certo
punto del cammino va di pari passo con la promozione
dell'uomo dall'essere di natura alla grazia. D'altra parte
dobbiamo anche renderci conto che gli altri strumenti che
l'uomo può usare per divenire uomo sono sempre strumenti
inefficaci. Cioè, lo psicanalista, lo psicologo, ecc. non avranno
mai l'efficacia che ha un sacerdote. Perché? Perché l'uomo nel
suo mistero non è comprensibile e non è compreso che nel
piano religioso. Gli altri piani – cultura, sanità mentale, sanità
fisica – riguardano soltanto un settore della sua vita. La sanità
totale dell'uomo non può essere realizzata che in un processo
onde egli risponde alla sua vocazione prima, alla sua vocazione
essenziale, che è una vocazione religiosa.
Si può dire dunque che di fatto, tranne pochissime eccezioni,
gli uomini sono realizzati in una vita religiosa. E quello che
dico, in fondo, trova una giustificazione nella teologia, la quale
insegna che il peccato originale ha disgregato e la grazia, prima
ancora di divinizzarci, ci risana; la grazia prima ancora che
elevarci a Dio ci rifà uomini, ci ristabilisce in una perfetta
sanità e unità.
Il nostro cammino verso Dio va di pari passo col nostro
cammino ad essere veramente uomini che cosa vuol dire essere
uomini? Vuol dire che sempre più lo spirito umano investe
dall'intimo tutta la natura umana, anche corporea, in tal modo
che non sfugga più alla coscienza e alla responsabilità
dell'uomo nessuna sua attività, ma ogni suo atto sia penetrato di
spirito, cioè in ogni suo atto l'uomo sia cosciente e pienamente
responsabile: cosa che non avviene quasi mai. Su milioni di atti
che compiamo ogni giorno solo poche migliaia sono atti umani
e di questi pochissimi sono atti squisitamente religiosi. Quando
sarà che tutti questi milioni di atti dell'uomo saranno atti
umani? E qui bisogna che spieghi che cosa intendo per atto
dell'uomo e che cosa per atto umano.
Atto dell'uomo è qualunque atto che compia un uomo, anche
se lo compie dormendo, anche se lo compie
inconsapevolmente; sono quegli atti che si possono compiere
per puro automatismo, per pura abitudine, senza che l'anima
veramente rifletta sull'atto, veramente lo voglia, veramente sia
libera e si determini a compierlo. Quanti atti compio mentre
parlo, con le mani, col viso, con la bocca con gli occhi! Ma di
quanti sono consapevole? Di quanti sono perfettamente libero e
cosciente? Gli atti dunque di cui non ho piena coscienza e
piena responsabilità sono atti dell'uomo perché sono atti
compiuti da un uomo, ma non sono atti umani perché non sono
investiti, trasfigurati dall'intimo da questa responsabilità piena
che è propria dell'uomo come spirito. L'uomo è veramente
uomo quando tutte le sue attività promanano da lui non come
animale, dalle sue potenze soltanto animali, ma anche in quanto
è lo spirito suo che le dirige, che le vuole e dà loro un
contenuto. Per questo tanto più l'uomo è uomo quanto più è
responsabile di tutti gli atti che compie.
Per la massima parte gli uomini sono portati via, così, dai loro
istinti; non si impegnano mai, non riflettono, non c'è mai in
loro un esercizio di volontà vera. Quanti sono gli uomini che si
lasciano vivere in questo modo! E non fanno del male: la vita
animale non è una vita peccaminosa, è vita animale. Il peccato
implica la vita umana perché per fare un peccato ci vuole la
piena coscienza di quello che si fa. Ci può essere la
responsabilità in radice, ma fino ad un certo punto, perché se
uno rimane sempre un bambino sul piano morale, non acquista
nemmeno il senso di una sua responsabilità di essere promosso
ad essere uomo.
In fondo è così per la massima parte degli uomini; non è che
non compiano mai un atto umano: prima o poi lo compiono, ed è
quello che li salva o li perde; ma in massima parte gli uomini
rimangono bambini. E vanno in Paradiso, magari attraverso il
Purgatorio, ma ci vanno. Ma quanto più l'uomo diviene uomo,
tanto più diviene consapevole dei suoi atti, e tanto più cresce il
rischio della sua salvezza, ma cresce anche la possibilità di una
sua santificazione. La santità è il puro consumare di tutto l'uomo
in una vita spirituale pura. Ecco la preghiera pura. È l'uomo che
consuma tutto senza più nessuna opacità, senza più nessuna
passività nei confronti del temperamento, dell'ereditarietà, degli
automatismi animali dell'essere. Di tutto quello che fa è
pienamente cosciente, egli ha piena padronanza di sé. È la piena
libertà che l'uomo ha conquistato. E proprio per questo la
perfezione umana si unisce alla perfezione della santità e si può
unire alla perversione totale.
In Solov'ëv l'Anticristo è un uomo perfetto: proprio perché
l'uomo è perfetto può essere anche perfettamente demonio. La
vita spirituale più intensa, più alta è quella che rende possibile
la vita di santità più luminosa come la vita di perversione più
assoluta.
Essendo allora pienamente responsabile e cosciente di sé,
l'uomo ha la libertà di ordinarsi pienamente a Dio o a se stesso,
di donarsi all'amore divino o di rifiutarsi a questo amore
nell'orgoglio che lo chiude in se stesso. Cioè il crescere in
questa vita spirituale porta sempre con sé un rischio, rischio
che diviene sempre più grave via via che scegliamo.
L'ambiguità della vita umana è tutta qui. Per coloro che vivono
una vita animale c'è meno rischio perché c'è meno possibilità di
andare a destra o a sinistra: tutto è pura passività. In questa
passività però Dio ha innestato la sua grazia: infatti i bambini
hanno ricevuto il Battesimo e si salvano anche se sono incapaci
di atti umani. E questi bambini che rimangono bambini anche
da grandi, vanno in Paradiso lo stesso. Per questo c'è da
pensare che la massima parte degli uomini si salvi. Invece per
coloro che emergono il pericolo cresce, come cresce però
anche la possibilità di una santificazione, di una trasfigurazione
in Dio.
La vita spirituale totale l'uomo non può viverla che in Dio,
perché l'intelligenza e la volontà non possono essere attuate che
da Dio stesso: da Dio come somma verità l'intelligenza; da Dio
come supremo bene la volontà. Di qui deriva che in fondo,
l'atto supremo dell'essere, l'uomo non lo può compiere senza la
grazia. Fino ad un certo punto, dunque, può giungere a sottrarsi
a Dio: quando fosse pienamente attuato in tutte le sue
possibilità umane, non potrebbe essere attuato che da Dio. E
l'atto supremo dell'essere umano, allora, non potrà essere che
preghiera, cioè adesione a Dio come verità e come bene.
Questa adesione a Dio come bene e come verità è l'atto di
contemplazione pura, quello che l'Oriente chiama la preghiera
pura. Che non è – si badi bene – una conoscenza di Dio
razionale, successiva, attraverso un ragionamento: è pura
intuizione. E non è nemmeno adesione della volontà a Dio
attraverso uno sforzo: è, si direbbe, quasi pura identificazione
con questo bene divino. Tanto la volontà divina si unisce al
bene sommo che la conformità della volontà creata con la
volontà increata diviene quasi assoluta. Si tratta di conformità e
non di identità, perché rimane sempre una conformità, cioè un
aderire. Può essere conformità assoluta, ma è conformità, non
identità. La creatura rimane creatura e Dio rimane Creatore.
Ora, il cammino della vita spirituale è un cammino pericoloso,
un cammino di supremo rischio. Ma è un cammino che porta
l'essere umano sempre più ad attuarsi in una vita che è autocoscienza, che è libertà. Voi vedete anche in San Paolo, nella
Lettera ai Romani, che quello che distingue la vita religiosa di
Israele nei confronti del Cristianesimo è il fatto che noi non
siamo sotto la legge: la legge del cristiano è la libertà. E anche
il Concilio Ecumenica Vaticano II nei suoi decreti ha
dimostrato una fiducia estrema nell'uomo. Finora si vedeva
l'uomo ancora, in qualche modo, sotto l'Antico Testamento:
l'Indice, ecc. Certe cose dimostrano che eravamo sotto tutela.
Ora non siamo più sotto tutela e gli uomini non sanno più cosa
fare. Non siamo abituati alla libertà. La vita cristiana esige
sempre un esercizio di maggiore libertà. A un certo momento
quello che è legge deve finire. Via via che l'uomo diviene
uomo egli è chiamato ad agire secondo la propria coscienza.
L'obbedienza a Dio è obbedire a noi stessi nella misura appunto
che noi procediamo. In Paradiso l'amore abolisce la legge, ma
anche quaggiù l'uomo che diviene uomo deve essere capace da
se stesso di "prendere il giogo della legge", come dicevano gli
antichi Israeliti. Gli uomini stessi devono rendersi conto di
quello che può imporre una vita religiosa, nei confronti di Dio
e degli uomini. Cosicché le prescrizioni della Chiesa
diverranno sempre più rispettose del nostro essere umano. Però
tutto questo ci lascia un po' perplessi e sconcertati. È come uno
che è abituato ad essere sorretto dalla mano della mamma e
deve camminare da solo: incespica e cade. Però, camminare da
solo, anche se cade, è sempre meglio che andare portato dalla
mano della mamma. E questo avverrà sempre di più.
L'uomo che diviene uomo non è più sotto la legge e agisce
sempre più con piena coscienza. Deve essere adulto. Deve
saper da sé cosa Dio gli chiede e in che modo rispondere a Dio.
E la risposta dell'uomo sarà sempre diversa. Fino ad oggi,
proprio perché eravamo bambini, il fare il venerdì voleva dire
per tutti una medesima cosa. Ed era una cosa stupida, perché
per uno il mangiar pesce poteva essere davvero una
mortificazione, mentre per un altro poteva essere un pranzo
prelibato. L'uomo deve fare da sé perché se subentra una legge
tu scagli sul legislatore la tua responsabilità e ti attieni soltanto
ad un'obbedienza passiva. Invece ora per ciascuno si impone
una cosa diversa. Per uno il fare il venerdì vorrà dire non
andare al cinema, per un altro portare il cilicio: per ognuno una
cosa diversa perché in ognuno la legge divina nel cuore agisce
in modo diverso secondo il grado di grazia che l'uomo ha
raggiunto. Quale legge può essere valevole per tutti dal
momento che siamo tutti diversi? Si deve rispondere a Dio e
Dio non parla lo stesso linguaggio a due anime.
Ecco la libertà dell'anima, il crescere dell'anima. Com'è
faticoso però! È faticoso essere uomini. E sarà sempre più
faticoso essere cristiani. Finora consisteva nell'andar a Messa la
domenica, nel far la Comunione per Pasqua, ed era tutto a
posto. Quando avevi osservato i precetti della Chiesa e
Comandamenti di Dio eri a posto. Ma i Comandamenti non
sono la vita cristiana: sono soltanto la condizione per vivere.
Perché sono un non-fare, ma cosa devi fare non te lo dicono. E
invece il Cristianesimo è un fare, la legge cristiana è tutta
positiva: è amare. Sicché non può consistere nel non fare. E
nessuno può parlare un linguaggio uguale all'altro, per nessuno
vale la legge che vale per l'altro. La legge rimane interiore. Tu
certo non puoi rubare, non puoi fornicare, ma quando hai fatto
questo hai obbedito ai Comandamenti di Dio? No, perché il
comandamento di Dio è positivo: consiste nell'amare. Cosa
vuol dire per te amare Dio, amare il prossimo? Tu solo lo sai,
nella misura che sei diventato uomo, nella misura che sei
cristiano.
Questo per quanto riguarda i Comandamenti di Dio. Per
quanto riguarda i precetti della Chiesa è lo stesso; saranno tolti
tutti, probabilmente, con l'andar del tempo, perché l'uomo
diviene uomo, cioè non è più sotto tutela, non è più sotto la
legge, è sotto la libertà. Cosa vorrà dire questo? Che impresa! È
più facile, più sicuro, siamo più garantiti se c'è un altro che
risponde per noi. Ma è giusto che un altro risponda per noi?
Non è giusto che la Chiesa risponda per noi. Ognuno deve
prendere il proprio peso e andare avanti.
Pensate un po' come erano buffe le cose nei tempi passati: un
qualunque studente di liceo andava in Curia e si faceva dare il
permesso di leggere i libri proibiti e ne leggeva fin che voleva.
San Pietro Canisio, il più grande Dottore della Chiesa contro i
protestanti, non ha mai avuto il permesso di leggere i libri
proibiti! E l'uomo si sentiva sicuro perché la Chiesa si
assumeva le responsabilità per il liceale e non le assumeva per
quell'altro a cui non dava il permesso. Ora ciascuno deve
rispondere da se stesso.
"Ma non sappiamo allora quando si fa peccato e quando non
si fa peccato!". Precisamente. È questo che vuol dire essere
uomini. Perché nessuno te lo può dire dal di fuori, devi essere
tu a saperlo nella misura che tu ti opponi alla legge divina che
vive nel tuo cuore, che tu senti di andare contro quello che Dio
ti suggerisce.
Ecco perché mentre i cristiani mediocri esaminano la loro
coscienza alla luce di un libretto nel quale c'è scritto: "Ho
ascoltato la Messa tutte le domeniche? Ho fatto vigilia al
venerdì?" il santo invece si mette di fronte a Dio, vede la sua
anima alla luce di Dio; e quello che per un semplice cristiano
può sembrare soltanto uno scrupolo diviene per il santo un
peccato enorme. Chi può giudicare? Ognuno è giudicato solo
da Dio. E l'anima deve mettersi nella luce di Dio per subire
questo giudizio.
È un'impresa difficile essere cristiani, estremamente difficile!
Quanto era meglio se la Chiesa ci trattava un po' più come
bambini! Invece non siamo più bambini. Già il Concilio ci ha
un po' sconcertato con le sue riforme, ma probabilmente,
quanto più si va avanti più sarà così, tanto più il Papa assisterà
senza intervenire. Già ora c'è questo smarrimento delle
coscienze perché si è data una maggiore libertà agli uomini,
non perché la esercitino nei confronti di Dio, ma perché se ne
servano proprio per legarsi a Dio, per rispondere a Lui.
Non so se gli uomini sono abbastanza maturi per accettare
questa libertà. Avete presente il "Grande Inquisitore" nei
Fratelli Karamazoff? Ivan si ribella contro Dio perché Dio ha
raggiunto. Quale legge può essere valevole per tutti dal
momento che siamo tutti diversi? Si deve rispondere a Dio e
Dio non parla lo stesso linguaggio a due anime.
Ecco la libertà dell'anima, il crescere dell'anima. Com'è
faticoso però! È faticoso essere uomini. E sarà sempre più
faticoso essere cristiani. Finora consisteva nell'andar a Messa la
domenica, nel far la Comunione per Pasqua, ed era tutto a
posto. Quando avevi osservato i precetti della Chiesa e
Comandamenti di Dio eri a posto. Ma i Comandamenti non
sono la vita cristiana: sono soltanto la condizione per vivere.
Perché sono un non-fare, ma cosa devi fare non te lo dicono. E
invece il Cristianesimo è un fare, la legge cristiana è tutta
positiva: è amare. Sicché non può consistere nel non fare. E
nessuno può parlare un linguaggio uguale all'altro, per nessuno
vale la legge che vale per l'altro. La legge rimane interiore. Tu
certo non puoi rubare, non puoi fornicare, ma quando hai fatto
questo hai obbedito ai Comandamenti di Dio? No, perché il
comandamento di Dio è positivo: consiste nell'amare. Cosa
vuol dire per te amare Dio, amare il prossimo? Tu solo lo sai,
nella misura che sei diventato uomo, nella misura che sei
cristiano.
Questo per quanto riguarda i Comandamenti di Dio. Per
quanto riguarda i precetti della Chiesa è lo stesso; saranno tolti
tutti, probabilmente, con l'andar del tempo, perché l'uomo
diviene uomo, cioè non è più sotto tutela, non è più sotto la
legge, è sotto la libertà. Cosa vorrà dire questo? Che impresa! È
più facile, più sicuro, siamo più garantiti se c'è un altro che
risponde per noi. Ma è giusto che un altro risponda per noi?
Non è giusto che la Chiesa risponda per noi. Ognuno deve
prendere il proprio peso e andare avanti.
Pensate un po' come erano buffe le cose nei tempi passati: un
qualunque studente di liceo andava in Curia e si faceva dare il
permesso di leggere i libri proibiti e ne leggeva fin che voleva.
San Pietro Canisio, il più grande Dottore della Chiesa contro i
protestanti, non ha mai avuto il permesso di leggere i libri
proibiti! E l'uomo si sentiva sicuro perché la Chiesa si
assumeva le responsabilità per il liceale e non le assumeva per
quell'altro a cui non dava il permesso. Ora ciascuno deve
rispondere da se stesso.
"Ma non sappiamo allora quando si fa peccato e quando non
si fa peccato!". Precisamente. È questo che vuol dire essere
uomini. Perché nessuno te lo può dire dal di fuori, devi essere
tu a saperlo nella misura che tu ti opponi alla legge divina che
vive nel tuo cuore, che tu senti di andare contro quello che Dio
ti suggerisce.
Ecco perché mentre i cristiani mediocri esaminano la loro
coscienza alla luce di un libretto nel quale c'è scritto: "Ho
ascoltato la Messa tutte le domeniche? Ho fatto vigilia al
venerdì?" il santo invece si mette di fronte a Dio, vede la sua
anima alla luce di Dio; e quello che per un semplice cristiano
può sembrare soltanto uno scrupolo diviene per il santo un
peccato enorme. Chi può giudicare? Ognuno è giudicato solo
da Dio. E l'anima deve mettersi nella luce di Dio per subire
questo giudizio.
È un'impresa difficile essere cristiani, estremamente difficile!
Quanto era meglio se la Chiesa ci trattava un po' più come
bambini! Invece non siamo più bambini. Già il Concilio ci ha
un po' sconcertato con le sue riforme, ma probabilmente,
quanto più si va avanti più sarà così, tanto più il Papa assisterà
senza intervenire. Già ora c'è questo smarrimento delle
coscienze perché si è data una maggiore libertà agli uomini,
non perché la esercitino nei confronti di Dio, ma perché se ne
servano proprio per legarsi a Dio, per rispondere a Lui.
Non so se gli uomini sono abbastanza maturi per accettare
questa libertà. Avete presente il "Grande Inquisitore" nei
Fratelli Karamazoff? Ivan si ribella contro Dio perché Dio ha
imposto all'uomo un carico che l'uomo non sopporta.quale?
quello della libertà.
"Noi – dice l'Inquisitore al Cristo che gli appare – finalmente
abbiamo corretto l'opera tua. Tu avevi addossato all'uomo il
peso terribile della sua libertà, ma noi glielo abbiamo tolto. Noi
gli provvediamo il pane, gli provvediamo tutto, e gli diciamo:
Fai così! E l'uomo si sente sicuro e ci ringrazia e dice: Oh Santa
Chiesa di Dio quanto sei bella!".
Quante sono le anime che si sentivano tranquille di essere
cristiane perché osservavano il venerdì! Ora i cristiani non
possono più sentirsi tranquilli. È il peso della nostra libertà che
dobbiamo portare. Il crescere nella vita cristiana implica
sempre uno spazio maggiore di libertà. Il santo può arrivare
veramente come Sant'Antonio Abate, a non fare più la Pasqua,
a non ascoltare più la Messa… Non credo che noi arriveremo a
questo… comunque, è vero che quanto più progrediamo tanto
più il peso della nostra libertà diventerà grave, cioè tanto più
dovremo assumerci in pieno, personalmente, la responsabilità
di ogni nostra azione, nei confronti dei fratelli, nei confronti
della Chiesa, nei confronti di Dio.
Pensate cosa ha chiesto Dio a una bambino come Santa
Giovanna d'Arco! Di andar contro i vescovi, di essere ferma
per essere fedele a Dio contro tutti i vescovi, gli inquisitori, i
sacerdoti… Un momento di debolezza l'ha avuto, e ha firmato,
ma poi ha ritrattato la sua firma, e per questo è santa: perché ha
accettato di morire come eretica, come scomunicata, come
strega, come perversa. L'uomo deve rispondere soltanto a Dio.
Certo che Dio non lo metterà mai contro la Chiesa: anche
Giovanna d'Arco non va contro la Chiesa di Roma, e infatti la
malvagità dei suoi giudici è stata quella di non aver voluto
accettare il suo ricorso alla suprema sede.
E lo stesso accadde con Tommaso Moro: contro tutti i teologi
e contro tutti i vescovi di Inghilterra, lui, laico, si assume la sua
responsabilità, e non solo muore, ma manda sul lastrico la sua
famiglia (aveva 14 figli). La fedeltà a Dio, alla propria
coscienza!
Essere cristiani vuol dire questo; vuol dire crescere nella
libertà interiore, crescere nel senso di responsabilità nei
confronti dei nostri atti: responsabilità nostra nei confronti di
Dio, della Chiesa, degli uomini. Non ti puoi riposare. Una certa
tutela si ammette sempre, per gli uomini quaggiù: la tutela
suprema sarà Roma; ma tu puoi anche affrontare la scomunica
semplice per seguire la tua coscienza. La scomunica maggiore
no, secondo i teologi, perché lì interviene lo Spirito Santo, che
fa coincidere la suprema tua libertà con l'autorità. Cioè, l'uomo
non elimina mai la tutela della legge, la tutela di un'obbedienza
suprema: l'obbedienza al vertice. Può esserti chiesto veramente
di assumerti la tua responsabilità nei confronti di tutto e di tutti.
Libertà che cresce, senso di responsabilità che cresce
nell'anima. Ecco tutta la vita spirituale.
Non siamo davanti che a Dio solo. Non siamo di fronte ad un
legislatore che parla dal di fuori: siamo di fronte a Dio, ma Dio
ci parla nel più intimo di noi stessi. Mai – notatelo bene, mai –
la Chiesa sostituisce questo foro interno in cui Dio parla a
ciascuno. Noi dobbiamo credere che in suprema istanza il foro
della coscienza coinciderà sempre con la Chiesa visibile, ma
mai la Chiesa visibile potrà sostituire il foro interno. Ecco il
senso della dichiarazione della libertà data dal Concilio
Vaticano II, che del resto è giustificata già da un grande
teologo, che pure sembra così contrario a questo pensiero: San
Roberto Bellarmino; che cioè l'uomo deve, per essere
ubbidiente a Dio, lasciare anche la Chiesa se questo è nella sua
coscienza.
Perché in ultima istanza l'uomo si trova davanti a Dio e il suo
atto deve essere maturato soltanto in rapporto a Dio che gli
parla dentro. Noi sappiamo che per i cattolici questo coinciderà
sempre con la Chiesa visibile, ma alcune volte soltanto con
l'autorità suprema, e forse neanche con questa, nel senso che
questa autorità suprema ci lascerà nel silenzio, non vorrà
intervenire. Può darsi che per obbedire a Dio tu debba, non
ribellarti al tuo vescovo, ma sfuggire alla sua autorità, come
hanno dovuto fare certe fondatrici di ordini religiosi.
Per questo non si può mai giudicare, perché noi possiamo
giudicare in base a delle norme oggettive, in base ad un codice,
ma come si fa a giudicare in base ad una legge che è Dio stesso
vivente nel cuore e che può vivere più in te che in me, più in
me che in te?
Che cosa grande la vita spirituale! Ogni anima ha un destino
unico, ogni anima è sola davanti a Dio. E questo è
importantissimo per noi; perché voi credete di aver fatto tutto
quando avete adempiuto al regolamento… ma non è nulla di
tutto questo. È una premessa, una condizione per vivere, come i
Comandamenti di Dio. Bisogna leggere la Sacra Scrittura, dire
l'Ufficio, ecc., ma come tu devi dire l'Ufficio, come devi
leggere la Sacra Scrittura e ascoltare Dio attraverso questa
lettura, tu solo lo sai; come devi rispondere a Dio che ti
sollecita intimamente, tu solo lo sai, e nessuno può intervenire
a rassicurarti, a dire "va bene così", perché può darsi che non
vada assolutamente bene così, anche se tu fai tutto, anche se
agli altri puoi apparire come un modello. Tu solo lo sai,, se ti
poni di fronte a Dio, se ascolti Dio che ti parla nel cuore.
È importante per la nostra vita spirituale renderci conto che
non si può mai trasformare la vita religiosa in una morale. La
vita religiosa è un rapporto con Dio, con un Dio vivente, e
questo rapporto tende a divenire sempre più intimo, più
profondo, e non può divenire né più intimo né più profondo se
non ti trasporta da una vita animale a una vita umana, da una
vita umana a una vita angelica, cioè puramente spirituale, in cui
tutta la vita è pura coscienza, pura libertà, puro senso di
responsabilità interiore.
Quanto più l'anima vive un rapporto con Dio che è somma
libertà, tanto più diviene anch'essa libertà. Ed ecco perché per il
santo non vi è più legge, come dice San Paolo e ripete San
Giovanni della Croce; ecco perché per il santo non vi è altra
legge che la sua libertà, dal momento che nel santo non vive
più che l'amore. Amore che implica il superamento di ogni
passività, perché è nell'amore che l'anima vive e realizza
totalmente se stessa. Non subisce nulla: si dona. È l'amore che
ci realizza. Per questo, se la legge dell'uomo è soltanto l'amore,
l'uomo ora non è più sotto nessuna legge: deve soltanto amare,
cioè deve aprirsi come un fiore si apre alla luce; deve gettare
profumo come un fiore che per il fatto che si apre alla luce
manda profumo. Così il santo.
È pura spontaneità animale? No. Vedete, gli estremi si
congiungono: c'è la vita puramente animale dell'uomo che non
è emerso a nessuna vita spirituale, e questa è puramente vita
istintiva; gli uomini che rimangono bambini fino alla morte. Il
santo ugualmente vive la pura libertà, ma non è la libertà
animale, non l'innocenza dell'animale: è l'innocenza di un
amore che è aldilà di ogni legge. Non vive più nemmeno il
libero arbitrio perché non ha più da scegliere. Pura effusione di
luce, tutta la vita non è che dono di sé. Non tare nulla a sé: pura
effusione, puro dono. Egli non vive che la libertà stessa di Dio.
Dio non ha legge: Egli è l'Amore; e il santo ugualmente non
conosce più legge: ama. È superato il libero arbitrio, che
importa una scelta; è superato nella pienezza di una libertà che
implica di per sé il superamento di ogni opacità e di ogni
possibilità di scelta. È un'adesione pura, totale dell'essere a Dio,
come quella dei santi nel Cielo.
Ma anche se l'uomo non giunge mai a questo, quaggiù sulla
terra, però sempre più si avvicina. Ed ecco perché San
Francesco scrive a frate Leone: "Se tu vuoi venire e vuoi la mia
obbedienza per venire, vieni". Cioè il santo non deve fare che
la sua volontà perché la sua volontà, ora, è perfettamente
conforme alla volontà divina; non ha altra cosa che la realizzi
se non la sua adesione a questa volontà.
Il primo atto di Dio che si accosta all'uomo, il primo effetto
della grazia che lo raggiunge e lo tocca, è quello di dare
all'uomo il senso del proprio peccato. L'uomo senza la grazia
non conosce nemmeno se stesso, non sa nemmeno quale è il
suo vero male.
Forse l'umanità non è giunta mai così in basso come oggi
perché forse mai come oggi ha perduto il senso del proprio
peccato. Non aveva il senso del proprio peccato nemmeno
l'umanità al di fuori dell'Ebraismo e del Cristianesimo: c'era
soltanto il senso di una colpa legale, non il vero senso del
peccato, di una contaminazione interiore, di una opposizione a
Dio. È stata la Redenzione del Cristo che ha dato agli uomini il
senso di una loro colpa. E non è vero affatto che il dono della
grazia implichi di per sé la diminuzione di questo senso; anzi,
lo accresce. Quanto più uno è santo, tanto più si sente
peccatore, perché nella luce divina tanto più realizza non solo
la sproporzione che vi è fra la creatura e il Creatore, ma quella
opposizione, sia pure istintiva, che vi è nella natura creata,
dopo il primo peccato, nei confronti di Dio. Tutti noi, coma
Adamo, come Caino, non facciamo che fuggire Dio. In ogni
movimento che facciamo per avvicinarci a Lui noi siamo
portati dalla grazia. Un movimento autonomo, nostro, è
soltanto un movimento di fuga.
Ora di questo l'anima diviene cosciente quando si vede nella
luce divina. Abitualmente cerca di nascondersi e di fuggire
Dio, ma se Dio si avvicina a te, se tu veramente, mediante la
grazia, sempre più vivi nella luce divina, allora ti accorgi che
nel tuo fondo non sei che resistenza ed opposizione; nel tuo
fondo allora tu senti quanto in te ripugna al Signore.
Può essere vero che un santo, proprio nella misura che è
santo, non sia responsabile di questa opposizione, però il fatto
di non esserne responsabile, non dice che egli non è cosciente
di una sua opposizione istintiva. Può sembrare un gioco di
parole questo: come può essere cosciente di una opposizione
che è incosciente? È precisamente questo che il santo fa: non fa
altro che un processo continuo di correzione a una natura che
vorrebbe fuggire, che vuole sganciarsi da Dio, allontanarsi da
Lui. È l'anima è cosciente di questo istinto che la porta ad
allontanarsi da Dio, ad opporsi alla grazia.
Ma che cos'è questa opposizione alla grazia divina? È una
opposizione (non diciamo altra parola, opposizione pura e
semplice) che praticamente si esprime nella possibilità di ogni
peccato.
Si diceva prima: se io mi salvo veramente, in me è salvata
tutta l'umanità. Perché in me vi è tutta la possibilità dei peccati
umani. L'opposizione istintiva alla grazia che vi è in ciascuno
di noi è la possibilità che vi è in ciascuno di noi di ogni
peccato. Non possiamo dire del tutto di essere senza
responsabilità nei confronti di tutte le brutture del mondo. È
vero che questa responsabilità non sarà piena, ma è vero anche
che non siamo del tutto liberi da nessuna colpa, perché la
natura dell'uomo è una, e quando l'uomo viene veramente
salvato nelle sue radici, non viene salvata una persona, ma è
salvata la natura, la quale è in tutti. La salvezza di una persona
non può avvenire che nella salvezza di un'altra. Tu sei salvo,
ma per te è redenta in qualche modo una natura che è comune a
ciascuno. Sicché, in atto primo, tutti sono salvati.
Tutto questo vuol dire che tanto più ci avviciniamo al Signore,
tanto più dobbiamo portare il peso di tutto il peccato e
redimerlo in noi. "Non conoscerai i tuoi peccati che via via che
Io li perdonerò", diceva Gesù a Pascal. Un'anima che sale verso
il Signore diviene sempre più consapevole del carico immenso
di peccato che grava sopra di lei. Uno che inizia il suo
cammino crede che i suoi peccati siano "questo, questo e poi
basta", ed è a posto. Ma quanto più vai avanti tanto più senti
che l'essere a posto è un'impresa impossibile, perché i peccati
crescono via via che son redenti: sempre più cresce la tua
responsabilità nella misura che tu sempre meno aderisci al
male.
E non è un fatto libero, questo; non dobbiamo credere che sia
soltanto il gesto di un gran signore che per misericordia, come
Nostro Signore, espia per gli altri, fa la vittima per tutti i
peccatori del mondo. No, non è un gesto gratuito: è una necessità
di natura. Tu non sei salvo se non salvi tutti; tu non ti redimi che
vivendo, appunto, un peccato universale, che in te può essere
rimasto come pura possibilità e in altri invece sarà fiorito e
maturato in frutto; ma la pura possibilità che è in te non esclude
davvero la necessità che Dio ti salvi anche da questa possibilità,
che è una possibilità di reale caduta. Anche se non è avvenuta
finora può avvenire domani.
Una salvezza insomma, implica il superamento di questa
possibilità, oltre che della realtà del peccato; ed è precisamente
nella misura che l'anima cresce che ella avverte questa
possibilità, come qualche cosa che rende sempre non soltanto
incerta la sua sorte, ma la mantiene in uno stato di insicurezza
totale.
Se Dio si accosta a te ti dà la coscienza del tuo peccato; quanto
più si avvicina a te, tanto più tu avrai coscienza di questo peccato,
fintanto che ogni peccato non sarà distrutto non nella sua realtà
soltanto, ma anche nella sua possibilità. E quando ogni peccato
sarà redento e distrutto anche nella sua possibilità, non sarà
distrutto soltanto in te, ma nella natura umana che viene redenta.
Di tuta l'umanità, dunque, ti sei gravato le spalle.
Il cammino dell'anima verso Dio è il crescere della coscienza
di un peccato dal quale Dio soltanto può salvarla. Cresce
l'insicurezza nella misura in cui cresce la santità. Pur tuttavia,
nel crescere dell'insicurezza cresce anche la fiducia e la
speranza in Dio: sfiducia in noi stessi perché avvertiamo
sempre più questa possibilità reale; fiducia in Dio perché
sperimentiamo sempre più la sua grazia. Dio infatti ci fa
conoscere i nostri peccati reali e possibili nella misura che ci
salva. E dunque, nella misura che noi ci avviciniamo, questa
coscienza di un peccato universale si fa profonda, dolorosa,
terribile: ma si fa anche grande l'esperienza di un Dio che ti
salva.
Così veramente la santità è grazia, una grazia che cresce. Ma
che cosa si intende per una grazia che cresce? Si intende che
cresce il senso della sua gratuità. Non il senso di un possesso,
ma il senso di essere amati per nulla, il senso di una salvezza
reale, ma tanto più reale quanto più da te è sperimentata come
puramente gratuita e libera.
Tu cammini sull'acqua, tu rimani sospeso nel vuoto, anzi, sali
senza sapere come, non avendo in te altra forza che quella di
precipitare, eppure tu sali. Ed è impressionante il senso che ha
l'anima del vuoto che la circonda via via che sale e che l'abisso
si fa ancora più fondo. E l'attrazione al male la sentiamo come
sempre più reale e sentiamo sempre più anche la misericordia
di esserne salvati. Invece di cadere, ti senti sollevato.
Sperimenti la grazia come grazia e quanto più è grande tanto
più è grazia!