«Mi eri fratello,sei diventato maestro»
DI DON MASSIMO NARO
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«Con spirito di monaco, alla scuola di don Barsotti»
DI LORENZO ROSOLI
ncontrarlo era
sempre bello –
racconta padre
Serafino Tognetti –. Bastava una mezz’ora con lui
per gustare il sapore di
un’esistenza che si pone
costantemente al cospetto
di Dio. Questo, in fondo,
significa essere monaco: testimoniare il primato di Dio in
ogni aspetto e condizione di vita. E Cataldo Naro – prete
diocesano, poi vescovo; intellettuale e pastore; uomo dalla grande cultura storica e teologica chiamato a crescenti responsabilità nella Chiesa e nella società – seppe trovare nell’esperienza e nella spiritualità monastica il cuore che dà armonia e sintesi a tutti questi aspetti, illuminato dal carisma e dall’amicizia di don Divo Barsotti».
Padre Serafino Tognetti è il successore di don Divo Barsotti alla guida della Comunità dei Figli di Dio, fondata nel
1946 dal mistico e scrittore spirituale toscano spentosi il
«I
15 febbraio 2006. «Cataldo Naro entrò a far parte della nostra comunità monastica quando era ancora giovane prete della diocesi di Caltanissetta – spiega Tognetti –. L’allora rettore del seminario nisseno, don Giovanni Speciale,
era amico di don Barsotti e lo invitava spesso a tenere incontri con i seminaristi e i giovani sacerdoti; in quelle occasioni Naro conobbe Barsotti e restò affascinato dal suo
carisma monastico, tanto che nel 1983 fece voti personali di povertà, castità e obbedienza nelle mani di don Divo. Era il segno del legame profondo con la Comunità dei
Figli di Dio, un’appartenenza che rinnovò e mai nascose
anche da vescovo».
Quale rapporto si sviluppò fra Naro e Barsotti? «Un rapporto di profondissimo affetto. Anche per la differenza
d’età si consideravano come padre e figlio. Barsotti chiamava Naro il mio vescovo; Naro ebbe in Barsotti un vero
padre spirituale, col quale si confidava anche nelle prove
più aspre del ministero episcopale. Quando gli era possibile si recava da don Divo, in Toscana; prima di divenire
vescovo ha tenuto esercizi spirituali nella nostra comunità
e – da preside della Facoltà teologica di Sicilia – ha promosso due convegni nazionali dedicati alla figura e al carisma di don Divo, a Palermo nel 2000 e a Trento nel 2002.
Nel 2005 ci aveva chiesto di aprire una comunità monastica nella sua diocesi di Monreale. Il 21 ottobre prossimo
– appena dopo la chiusura del Convegno ecclesiale di Verona – doveva recarsi a Milano, al Centro San Fedele, per
parlare di don Divo collocandone la vicenda nella storia
della Chiesa del ’900».
La Comunità dei Figli di Dio, va ricordato, non è costituita solo da monaci nel senso tradizionale del termine, ma
anche da preti diocesani e da laici, sposati e no, che invece di "ritirarsi dal mondo" vivono la spiritualità e la profezia monastica in famiglia, nella professione, nella società. E nella Chiesa. «Così fu anche per Naro, e in modo
esemplare – conclude Tognetti –. Lo dicono i suoi scritti –
incluse le lettere pastorali, da arcivescovo di Monreale –
ma prima di tutto lo stile di vita. Naro era affabile, accogliente, umile: aveva un senso forte della dignità di sacerdote e di vescovo – non era un tipo dalla battuta facile
o da pacche sulle spalle – ed era consapevole delle sue
qualità intellettuali, ma mai dimenticava che ogni dono
viene da Dio. E che la vita intera è dono, da vivere sempre
al cospetto di Dio».
L’adesione di Naro
alla Comunità dei Figli
di Dio e il rapporto col
fondatore:parla padre
Tognetti,il successore
del mistico toscano
Giornata delle comunicazioni sociali:
i bambini e i media il tema per il 2007
qualcosa di unico e
di speciale.
Regalare un libro, per
esempio.
Aldo tu mi hai insegnato non a scegliere i libri, a leggerli, a
catalogarli. E neppure mi hai insegnato
soltanto e semplicemente a farli i libri, a
scriverli, a curarne la
pubblicazione, a vederli nascere dal computer alla tipografia. Mi hai insegnato anche, partecipandomi l’arte del libro, ad amare. Ogni libro
che spedivi a chiunque, ad amici fraterni
come pure a semplici conoscenti, era accompagnato da una tua parola, da un tuo
cordiale saluto vergato di tuo pugno, a volte anche solo dall’indirizzo sulla busta,
che volevi sempre e testardamente scrivere a mano, per far capire al destinatario che lo avevi presente nel cuore e non
solo nell’indirizzario.
Apprendere da te l’arte del libro significa
per me, davvero, aver appreso l’arte dell’amicizia, lo stile dell’amore. Ogni libro
che mi chiedevi di aiutarti a fare, al Centro Studi Cammarata e al Centro Studi Intreccialagli, come pure in Facoltà Teologica a Palermo, era come una rete di contatti, di relazioni, di confronti, di collaborazioni: era come darsi un appuntamento con tanti amici, con quelli che avrebbero scritto il libro, con quelli che lo avrebbero edito, con quelli che lo avrebbero stampato, con quelli che lo avrebbero letto e presentato, con quelli che lo
avrebbero ricevuto in dono da te. E sempre da tutti, se essi avevano il cuore per vedere e ascoltare questo tuo amore, mi
giungeva puntuale la grata conferma che
il tuo messaggio d’amicizia era stato recepito.
«Dillo tu alla mamma»: così sempre mi dicevi quando c’era qualcosa d’importante,
ma anche di doloroso, da doverle comunicare. Così è stato quando il Signore ti ha
fatto vescovo. E così è stato quando ti sei
sentito male. E così ho fatto, infine, venerdì pomeriggio. Così voglio fare di nuovo stasera, a nome tuo. Cara mamma, non
lasciarti frastornare da chi dice che questo era il disegno di Dio, così era destino
che avvenisse, che i misteri di Dio sono insondabili. Il mistero di Dio è insondabile
perché è mistero di infinita misericordia,
di amore senza fondo e senza fine. La volontà di Dio non è arcana. Semmai è inevidente: bisogna pregarci sopra per riceverne il senso. Dio non si allea mai con la
morte. Dio non se ne serve mai. Dio lotta
contro la morte. E quando la morte si è
scagliata persino contro di Lui, in Cristo
crocifisso, Dio si è ribellato alla morte: e
l’ha vinta. Con la risurrezione.
Anche la morte di Aldo non è gradita a
Dio, e Dio ne prende le distanze infinite
della risurrezione che certamente, in Cristo Gesù, concede anche ad Aldo. Rimane la sua morte come un dono, come un
pegno e come un impegno per tutti noi:
per noi sua famiglia, per la Chiesa monrealese sua famiglia. In essa, nella sua
bruttura, dobbiamo sperare anche per
noi, qui, in questa terra, ciò che ad Aldo è
regalato nel cuore eterno di Dio: la bellezza della resurrezione, la bellezza del risorgere dal peccato e dalla morte ch’esso
semina lì dove si annida.
Stavamo, Aldo, fratello mio e mio maestro, lavorando insieme a un libro sulle icone del Risorto raffigurate in questa tua
basilica cattedrale. E avevamo deciso di
intitolarlo con la frase con cui l’evangelista Giovanni descrive l’effetto delle apparizioni del Risorto nell’esperienza dei suoi
discepoli: Gioirono al vedere il Signore. Ora anche tu Lo vedi in pienezza. Ed è questa la tua gioia eterna.