source Sacerdote, fondatore, poeta, insigne mistico e maestro spirituale, don Divo Barsotti si spegneva il 15 febbraio 2006. Ha lasciato molti scritti, una comunità monastica sparsa per il mondo e un testamento spirituale contrassegnato da una profonda devozione mariana. Allo scorso Meeting di Rimini organizzato, come ogni anno, nel mese di agosto da Comunione e liberazione c’era, fra le molte cose proposte, una mostra insolita, dedicata a una personalità cristiana non particolarmente nota, almeno finché era in vita, eppure spiritualmente grandissima: Divo Barsotti. Qualcuno l’ha chiamato «l’ultimo mistico del Novecento», circola già la voce nel tam tam cattolico che non è tanto lontana l’apertura del suo processo di beatificazione e di giorno in giorno cresce sensibilmente l’interesse per la sua figura. Proprio in febbraio, precisamente il 15, cade il secondo anniversario della sua morte e vogliamo per questo presentare agli amici lettori questa splendida figura di monaco e di poeta, fondatore di una comunità religiosa con un suo originale carisma e, soprattutto, grande innamorato di Maria. Don Barsotti era un mistico mariano. Nel suo testamento spirituale egli si dice sicuro che la Madre di Dio lo accoglierà con suo Figlio al termine della vita: «Mi verrà incontro», scriveva, «avrà già ottenuto per me il perdono di tutti i miei peccati e delle mie innumerevoli infedeltà…». Don Divo Barsotti (1914-2006). Tutto cominciò un giorno lontano, alla metà degli anni Cinquanta, a Settignano, sulle colline di Firenze. Dopo aver vissuto per qualche anno presso un istituto di suore di Firenze, don Barsotti sentì chiaramente dentro di sé che doveva iniziare un’esperienza più forte, da solo o con dei compagni. Lasciate le suore, alloggiò per qualche mese presso un dormitorio a Monte Senario, con un giovanissimo discepolo. Non potendo restare sempre lì, a un certo punto si mise a cercare attorno a Firenze qualcosa che potesse fare al caso suo. Lo trovò a Settignano, alle pendici dei colli fiorentini: là c’era una casa disabitata da molti anni, in un posto veramente incantevole fra gli ulivi, e la comprò. La Casa fu dedicata a san Sergio di Radonež, padre del monachesimo russo e patrono della stessa Russia. Nessuno a quei tempi conosceva il monachesimo degli staretz: don Divo l’aveva studiato sui rarissimi testi che all’epoca si riuscivano a reperire appassionandosi a questo tipo di monachesimo, più semplice rispetto a quello occidentale. Da allora, e per tutta la sua vita, il Padre ha sempre vissuto a Casa San Sergio, che è diventata la Casa madre della sua Comunità. Qui egli si è spento serenamente il 15 febbraio 2006, all’età di 92 anni, in una celletta del piccolo eremo scoperto ben cinquant’anni prima. Il carisma dei Figli di Dio«Non serve a Dio l’orgoglioso che crede di poter fare senza di lui, non serve a Dio la persona che si piega solo verso di sé, non serve a Dio l’uomo che ha il potere umano e la ricchezza dei soldi, della fama. Servono gli umili, gli uomini che sul piano umano sembra che abbiano fallito e invece sono quelli che vincono il mondo». È l’assunto di don Divo Barsotti che spiega l’essenza stessa della vita di ogni cristiano autentico e che rivela anche la missione, al tempo stesso semplice ed esigente, dei membri della sua Comunità. Figli di Dio. Che cosa significa? Sono certamente figli di Dio tutti i cristiani, ma con questo nome la Comunità intende vivere in modo più diretto e profondo la filiazione divina, con una consacrazione che impegna a riscoprire il battesimo in modo consapevole e responsabile. Il significato di questo nome sta allora nell’impegno a vivere il mistero dell’adozione filiale nella carità, che è l’essenza del cristianesimo; a obbedire non più alla natura umana, ma soltanto all’azione di Dio che vive in ognuno. Don Divo Barsotti con il cardinale Biffi nel 1998. Quella dei Figli di Dio è una comunità che vuole vivere, nel mondo, l’esperienza monastico-contemplativa, vale a dire il cosiddetto "monachesimo interiorizzato". Nei suoi quattro rami, che sono distinti fra loro ma complementari: i fratelli e le sorelle che vivono la consacrazione da soli, in famiglia o da sposati; quelli che vivono la consacrazione nel matrimonio con i voti di povertà, castità coniugale e obbedienza; quelli che vivono la consacrazione con i voti di povertà, castità perfetta e obbedienza (celibi e nubili), e infine il quarto ramo, con quelli che vivono la consacrazione con i voti di povertà, castità perfetta e obbedienza nelle case di vita comune. La Comunità dei Figli di Dio non vuole essere un’élite in seno alla Chiesa, ma vuol far vivere veramente, nella Chiesa, la sua cattolicità. E vuole vivere nel mondo il mistero dell’adozione filiale basandosi su quelli che da sempre sono nella Chiesa i fondamenti della spiritualità monastica: preghiera, ascolto della parola di Dio, contemplazione, vita liturgica e sacramentale. Attualmente sono più di duemila i suoi membri, presenti anche fuori dell’Italia, in Colombia, Benin, Sri Lanka e Australia. Dal settembre 1995 è suo superiore don Serafino Tognetti. Maria guida i suoi figliSacerdote, teologo, fondatore e insigne mistico, poeta dalla vena profonda e grande maestro spirituale, don Divo Barsotti nella vita si è trovato spesso solo e incompreso. «Se è l’amore che dà un prezzo alle cose», scriveva, «il mio prezzo è l’amore di Dio». Con lui infatti era al sicuro pure nei giorni di burrasca, anche quando la navicella della sua vita imbarcava acqua, perché sapeva che al timone c’era la mano materna e consolatrice di Maria. Maria sarebbe stata la bussola per tutti i suoi figli: ai piedi della Madre, infatti, la preghiera dei figli di Dio sarebbe diventata un’accorata intercessione per il mondo intero, per quel mondo che cerca sempre una roccia come appiglio per trovare sicurezza e stabilità e che anela – anche se non sempre se ne rende conto – al Vangelo, l’unica guida perché l’uomo ritrovi pienamente se stesso in Dio. Don Divo Barsotti. Di questa Chiesa, Maria è Madre e Maestra per tutti quanti, è il segno vivo, l’immagine tenerissima che nel suo continuo riconsegnare il Vangelo del Figlio e nel suo richiamare familiarmente al mistero del suo primo incontro con la parola di Dio nell’Annunciazione, schiude i portali di una gioia perfetta, destinata ad ardere come un fuoco acceso per tutta l’eternità.
Maria Di Lorenzo
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