La Comunità dei figli di Dio
Una comunitá di monaci nel mondo
La Comunità dei figli di Dio (CFD) è una “Associazione
pubblica di fedeli” che desiderano vivere nel mondo
il mistero dell'adozione filiale, avendo come
strumenti quelli che nella Chiesa sono da sempre i
mezzi propri della spiritualità monastica: ascolto
della Parola di Dio, vita liturgica e sacramentale,
preghiera del cuore, esercizio della carità fraterna.
Nel mondo: i membri della Comunità non si ritirano
negli eremi, non vivono ordinariamente in piena
solitudine, ma vivono da monaci nel mondo, tra gli
uomini e nelle strutture sociali. Lavorano negli uffici,
nelle scuole, nei posti pubblici, nelle case; sono
uomini e donne, sono giovani e anziani, sono sposati
e non sposati: uniti in un'unica famiglia mediante
una consacrazione, si donano e si consegnano al
Verbo di Dio, alla Vergine Madre e alla Chiesa.
La Comunità è nata negli anni 1947-48 per opera di
don Divo Barsotti. Arrivato a Firenze dalla diocesi di
San Miniato nel 1945 e accolto benevolmente dal
Cardinal Elia Dalla Costa su sollecitazione di Giorgio
La Pira, viveva presso un convento di suore vicino a
Porta Romana. Fu un piccolo gruppetto di donne, già
legate tra loro da un forte legame religioso, che
chiese a don Divo di essere guidato nel cammino
spirituale. Egli, che passava le sue giornate presso il
convento di Porta Romana dividendosi tra preghiera
e studio, accettò la proposta. Il Padre - da allora fu
sempre chiamato così - presto dette loro un
programma di vita ben preciso: celebrazione
quotidiana della liturgia delle Ore, impegno a
custodire il sentimento della Divina Presenza pur nel
consueto scorrere della vita di ogni giorno, studio e
meditazione della Sacra Scrittura e dei testi della
grande Tradizione cristiana orientale e occidentale,
incontro di gruppo tutte le settimane e una giornata
al mese di ritiro. L'intendimento del Padre era di
dare a queste sue figlie una vita interiore ben
strutturata, basata sull’ascolto della Parola di Dio,
sulla preghiera e soprattutto sull'esercizio delle virtù
teologali. Egli sentiva fortemente la necessità che
nella Chiesa si risvegliasse la sensibilità al primato dei
valori contemplativi come parte integrante della
vocazione del battezzato, in qualunque stato di vita si
trovasse a vivere. Di qui anche il nome scelto da don
Divo per la famiglia religiosa che gli si andava
formando intorno: Comunità dei figli di Dio, il nome
stesso della Chiesa. Le parole della
Scrittura: “Occorre pregare sempre” sono rivolte a
tutti. Questo ‘monachesimo interiorizzato’ per quegli
anni era una vera e propria novità.
Pian piano la Comunità andò crescendo e negli anni
dal 1950 al 1960 si formarono gruppi in varie parti
d'Italia: a Viareggio, Venezia, Palermo, Modena,
Napoli... Anche la struttura della Comunità si andò
pian piano delineando, fino alla sua ultima
definizione, che si ebbe quando all’interno
della Comunità si realizzò la vita comune, e si
aprirono alcune case, maschili e femminili, con una
impostazione di vita molto vicina alla disciplina
religiosa in senso classico.
La Comunità dei figli di Dio si costituì allora come
“famiglia religiosa” pur comprendendo al suo interno
tutti i diversi stati di vita. E’ la sua struttura attuale,
oggi che la CFD si è diffusa anche all’estero (Gran
Bretagna) fino in Africa (Benin), in America latina
(Colombia), in Asia (Sri Lanka) e in Oceania
(Australia).
Questa la struttura:
Laici che vivono nel mondo, sposati o non
sposati, e che, dopo un congruo periodo di
preparazione, si consacrano a Dio nella
Comunità. È questo il primo ramo
della Comunità.
Vi sono poi sposi o coppie di sposi che
desiderano impegnarsi a vivere in famiglia
seguendo i dettami dei consigli evangelici e
quindi professando i voti di povertà, castità
coniugale e obbedienza. E’ il secondo ramo.
Chi poi, pur restando a vivere nel mondo, vuole
vivere la sua donazione a Dio nello stato
verginale può professare i voti religiosi di
povertà, castità piena e obbedienza. Il terzo
ramo.
Infine il quarto ramo comporta la vita religiosa
nelle case di vita comune, con fratelli e sorelle
che lasciano tutto per vivere in piccole fraternità
la cui impostazione di vita è tipicamente
monastica: preghiera, silenzio, lavoro, studio.
Sono quattro rami, ma la famiglia religiosa è unica,
perché unica per tutti è la chiamata universale alla
santità, come detta la Lumen Gentium. Anche i
sacerdoti diocesani possono far parte
della Comunità, mantenendo la propria identità
secolare e collocandosi o nel primo o nel terzo ramo.
“Non vogliamo le opere, ma il servizio ai fratelli,
l'umile testimonianza di una carità semplice, pratica,
fraterna e sentiamo la necessità di affermare che la
carità non può avere un contenuto religioso, se
un'anima non s'impegna prima a fare di sé un'offerta
al Padre celeste. Così tutta la Comunità si consuma
nell'atto onde Cristo muore sulla croce. Non
dobbiamo fare, ma essere”.
Superiore di tutta la Comunità (canonicamente ne è
il Moderatore) è un fratello sacerdote del quarto
ramo, eletto ogni sei anni, affiancato nel governo da
due laici consacrati, un uomo e una donna (gli
Assistenti Generali). I tre insieme costituiscono la
Presidenza. Altri organi centrali sono l’Assemblea
generale e il Consiglio della Comunità.
Responsabili in loco delle diverse Famiglie,
geograficamente costituite, sono gli Assistenti di
Famiglia.
Si entra nella Comunità dei figli di Dio per mezzo di
un atto di consacrazione, mediante il quale la
persona si dona interamente a Dio, esprimendo la
volontà di vivere la perfezione della carità secondo
l'ideale e i mezzi che la Chiesa riconosce propri
della Comunità.
Al consacrato viene chiesto di recitare ogni giorno le
“quattro preghiere”; l’“Ascolta Israele”, il “Padre
nostro”, le “Lodi di Dio altissimo” di san Francesco
d’Assisi, le “Beatitudini” dal Discorso della montagna.
Per entrare nella Comunità c'è un periodo di
aspirantato, durante il quale chi è interessato viene
affidato ad un responsabile della formazione, che gli
fa conoscere la Comunità nei suoi fini, nei suoi intenti
e nei suoi mezzi, così da realizzare un discernimento
serio e ben fondato in ordine alla chiamata a questo
tipo di vita.
La Comunità dei figli di Dio è stata canonicamente
riconosciuta dalla Chiesa come “Associazione
pubblica di fedeli” con decreto dell'Arcivescovo di
Firenze, il card. Silvano Piovanelli il 6 gennaio 1984.
La spiritualità della CFD vuole essere una spiritualità
monastica. Soprattutto nell’Oriente cristiano lo stato
di vita monastico è inteso come la realizzazione piena
della condizione di grazia del battezzato. Essere
monaci vuol dire vivere come specifica vocazione la
tensione alla piena realizzazione della vocazione
battesimale, comune a tutti. Su questa base don
Divo, ispirandosi alla spiritualità orientale e
specificatamente russa, ha ritenuto possibile
proporre al semplice battezzato, pur immerso nelle
realtà del mondo, l’ideale monastico, nella
dimensione - come si è detto - di un ‘monachesimo
del cuore’, un ‘monachesimo interiorizzato’.
La Comunità non realizza nulla se non realizza
una Comunità di oranti.
Per questo, si è detto, i mezzi che la Comunità offre
per rispondere a questa specifica vocazione sono
quelli propri della grande tradizione monastica.
Capisaldi sono: la vita liturgica e sacramentale, la
preghiera e l'ascolto della Parola di Dio, la vita
fraterna. Secondo dei programmi stabiliti, i membri
della Comunità meditano ogni mese un libro della
Sacra Scrittura in modo da leggere la Bibbia in un
ciclo sessennale; frequentano per quanto possibile la
vita sacramentale e liturgica della Chiesa; pregano
ogni giorno con la liturgia delle Ore, almeno in alcune
sue parti, vissuta come prolungamento della divina
Liturgia - l’Eucaristia - e partecipazione del cristiano
alla salvezza del mondo.
L’attività della Comunità tende tutta a creare nel
consacrato, ovunque egli viva e in qualunque
condizione, un figlio di Dio con il cuore immerso nella
Divina Presenza, luminoso testimone del Padre tra i
fratelli, amante del raccoglimento e della preghiera,
impegnato nell'esercizio delle virtù teologali - fede,
speranza e carità - in ogni sua attività.
Nel corso della settimana i consacrati s’incontrano in
piccoli gruppi; incontri in cui si prega, si fa
formazione biblica, si assimila la spiritualità del
Fondatore, ci si confronta e ci si aiuta nell’entrare
sempre più nel cuore della vita spirituale. Ogni mese
poi c'è un incontro allargato tra i vari gruppi esistenti
nella stessa zona e una mezza giornata di ritiro,
privilegiando la dimensione religiosa del silenzio.
Durante l'anno infine si organizzano diversi corsi di
esercizi spirituali di cinque giorni in varie regioni
d'Italia, e un pellegrinaggio per la conoscenza di
luoghi significativi per la nostra spiritualità.
"Dobbiamo vivere per Dio, ma senza sentire alcuno
estraneo. Il dono più grande che si possa fare alle
anime è dar loro il senso della trascendenza divina,
davanti alla quale tutti gli altri valori non sono.
Noi vogliamo vivere alla divina Presenza, ci sentiamo
impegnati ad avere questo senso e a darlo agli altri.
Bisogna riportare il mondo al senso del sacro che ha
perduto. Dobbiamo rendere testimonianza di un
contatto con Lui, di una gioia che ci ha dato la Sua
Parola, di un'inquietudine che abbiamo provato
nell'incontrarci con Lui; gioia che deriva dalla Sua
intimità, inquietudine che ci viene dalla fame che ci
ha lasciato il Suo contatto".
L’ideale della CFD è certamente monastico - un
monachesimo nel mondo, ‘interiorizzato’ - perché
educa a vivere e coltivare ciò che è essenziale per il
credente: la ricerca di Dio come Assoluto nella piena
dedizione alla Sua volontà.
“L’antico monachesimo è nato come un movimento
laicale e deve rimanere patrimonio dei laici” - scrive
don Divo Barsotti.
La spiritualità della Comunità dei figli di Dio si può
dunque così sintetizzare:
Spiritualità escatologica. Tutta la vita dell'uomo
tende alla visione di Dio; tutto ciò che l'uomo
vive nell’oggi deve essere ordinato alla realtà
ultima e definitiva.
Spiritualità liturgica. Il carattere escatologico
non si realizza senza la dimensione liturgica.
È nella liturgia che il mistero della realtà ultima si
rende presente.
Di conseguenza la Comunità invita ogni
consacrato ad una sempre più intensa
partecipazione alla vita liturgica e sacramentale,
prediligendo soprattutto il Santo Sacrificio, fonte
e culmine della vita della Chiesa e di ciascun
consacrato.
Spiritualità contemplativa. Il carattere
escatologico e liturgico dicono l'aspetto
oggettivo, mentre il carattere contemplativo
dice l'aspetto soggettivo, ossia la personale
partecipazione del-l'uomo al mistero di Dio. La
vita contemplativa implica prima di tutto il
rapporto dell'anima con Dio e il monaco è
chiamato a vivere e a testimoniare il primato di
Dio su ogni cosa.
source