È precisamente attraverso questo processo che il cammino dell’umiltà coincide col cammino
di un amore che ci assimila a Dio.
Un atto è umano, quando per esso si realizza l’uomo nel suo valore più alto di creatura
consapevole e libera e perciò responsabile. L’atto umano proclama la nobiltà dell’essere
spirituale. È la volontà che fa umano l’atto compiuto dall’uomo.
Così, rinunciando a ogni sua
volontà, se l’uomo si lascia possedere da Dio in tal modo che sempre più perfettamente si
compia in lui la volontà del Signore, avviene che egli viva la stessa vita di Dio. “Vivo ego,
iam non ego, vivit vero in me Christus. Vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive
in me” (Gal 2,20).
Un altro mi prende, usa di me come strumento di una sua volontà; e vive
per me. Attraverso l’essere mio Egli si fa presente nella mia vita anzi, nel Cristo, Egli vive in
me la Sua vita.
La vita soprannaturale consiste in una conformità sempre più perfetta al divino volere, in una
certa sostituzione della volontà di Dio alla volontà dell’uomo. Certamente “sostituzione” è un
termine troppo forte: anche in nostro Signore rimane, con la volontà divina, la volontà
umana; ma la volontà umana rimane per aderire e far posto al volere di Dio.
Per questo nel Getsemani Gesù prega: “Non come voglio io, ma come vuoi Tu” (Mt 26,39).
L’esercizio della volontà umana è precisamente quello di rinunziare a se stessa perché si
faccia presente Dio. L’uomo non vive la sua morte che per divenire l’organo del volere
divino.
* * *
Il cammino della vita spirituale va dall’obbedienza all’abbandono perfetto. La perfezione
dell’obbedienza sarà l’abbandono: come se l’uomo non avesse più desiderio, aspirazione, non
avesse più volontà, egli si lascia possedere totalmente da Colui che ama.
Si dona a Dio
totalmente perché Dio solo viva attraverso l’essere umano. L’adesione alla volontà divina
nell’obbedienza suppone ancora uno sforzo, un’ascesi, una costrizione che l’uomo impone
alla propria natura. Ancora gli istinti si oppongono alla volontà di Dio e l’uomo deve
mortificarli, ma l’obbedienza è propria del servo.
Quando pian piano, nel crescere dell’amore,
nulla più contrasta nell’uomo al volere divino, allora docilmente l’uomo asseconda la spinta
che gli viene da Lui.
Poi non basta più; la docilità suppone un consenso, che può essere più o meno facile, che può
essere dato più o meno prontamente; al termine, l’anima non sembra conoscere più una sua
volontà propria: Dio solo sembra agire attraverso di lei, puro strumento nelle mani di Dio,
l’anima lascia che Dio faccia di sé tutto quello che vuole.
Dall’obbedienza all’abbandono: l’anima sale portata dall’amore quanto essa discende
nell’umiltà; l’abbandono che realizza la sua pura trasformazione in Dio si identifica anche
alla sua perfetta abnegazione. L’essere creato, certo, rimane: l’uomo è immortale; ma
psicologicamente è come non fosse; non solo egli non prova più opposizione a Dio, ma
nemmeno ha coscienza di sé se non in Dio. Non confuso con Lui, ma accordato a Lui
pienamente, nella Sua luce egli si perde, come una piccola fiammella nella luce del sole.
La
fiammella rimane, ma non si vede. In questa luce immensa ogni altra luce scompare; sussiste,
ma è come non fosse. Così le stelle nello splendore del giorno.
La vera umiltà coincide con la pienezza della vita in Dio. Non viene prima la purificazione e
poi l’amore. Tanto l’uomo è purificato, quanto ama, e tanto ama quanto è purificato; al
termine la purezza totale coincide con la visione di Dio. Al nulla dell’essere creato risponde
la pienezza della vita divina.
Pura capacità che accoglie Dio, non siamo che Lui in quanto si è donato. Come cristallo che
accoglie in sé la luce del sole, s’illumina e la riflette su tutto