segunda-feira, 30 de dezembro de 2013

Tutto, praticamente tutto viene permesso, tutto eccetto la Tradizione. Il video della Terza Santa Messa di Natale in rito tradizionale a Vocogno di don Alberto Secci.

TUTTO, ECCETTO LA TRADIZIONE!

Editoriale "Radicati nella fede" Anno VII, n° 1 - Gennaio 2014



Tutto, praticamente tutto viene permesso, tutto eccetto la Tradizione.

Dopo il coraggioso e, nello stesso tempo, timido gesto di Benedetto XVI, costituito dal motu proprio del 2007, si è assistito ad una costante opera di “confino” della Tradizione della Chiesa.
Il Santo Padre disse che la Messa antica non fu mai abolita. In qualche modo confermò che non si può abolire, perché l'Autorità nella Chiesa serve a custodire la Tradizione come fonte della Rivelazione, così come serve a custodire la Sacra Scrittura, e non può mai far da padrona su di esse; se facesse da padrona, l'Autorità non sarebbe quella voluta da Nostro Signore e si configurerebbe come autoritarismo.
Ebbene, dopo il motu proprio Summorum Pontificum, le varie curie diocesane si impegnarono in una instancabile opera per fermare, arginare, confinare qualsiasi tentativo di ritorno alla gloriosa Tradizione della Chiesa, in campo sia liturgico che dottrinale.
È stato il boicottaggio totale della volontà del Papa, volontà che poi era un semplice atto di giustizia: non si può abolire la Messa che la Chiesa ha celebrato per quindici secoli e che ha fatto i Santi.

Nemmeno la terribile mancanza di preti, cui assisteremo in questi anni, nemmeno questa potrà liberare la tradizione dal suo confino. Piuttosto staranno senza preti, piuttosto chiuderanno le chiese, ma non permetteranno a un sacerdote tradizionale di celebrare la messa di sempre.
Quanti preti erano pronti a passare alla Tradizione, quanti erano seriamente interessati a riappropriarsi di ciò che è il più profondo patrimonio della Chiesa, quanti chiesero di imparare la Messa antica. Poi, come mannaia implacabile, la scure scese su coloro che con gioiosa semplicità iniziarono a celebrarla: processi canonici, rimozione dalle parrocchie, sottili accuse di scisma!... ecc... la storia la conoscete. Così il gelo cadde sui sacerdoti, molti dei quali giovani, che sognavano già di poter dire salendo all'altare “Introibo ad altare Dei...”. E che dire dei chierici? “Se ami la Tradizione sei pericoloso e non puoi essere ordinato per questa “Chiesa”, questo è il refrain dei superiori dei seminari obbedienti ai loro vescovi.

Un gelo tremendo è così calato su una primavera possibile per le anime, dei sacerdoti prima e dei fedeli poi. Il Papa aveva sperato in un cambio di clima nella Chiesa, ma la vecchia guardia, fatta di ex- sessantottini oggi nelle curie diocesane, non ha permesso alcunché.

I preti amanti della Tradizione si sono rinchiusi in un mutismo prudenziale, i seminaristi in una “apnea” di coscienza per poter giungere alla sospirata ordinazione, illusoriamente convinti che le cose cambieranno quando saranno preti.

Ma è normale tutto questo? No di certo, non è normale nella Chiesa!

Tutti questi signori che osteggiano la Tradizione e la impediscono con strani bizantinismi, sono ancora preoccupati per la salvezza delle anime? Vogliono ancora fare il Cristianesimo? O aspirano a qualcosa di diverso? E se è così perché occupano la Chiesa di Dio?

Hanno promosso una nuova religione con dei timidi riferimenti al Cristianesimo di un tempo. Hanno lavorato, spendendo notevoli soldi!, per una trasformazione del Cattolicesimo in una religione presentabile nei salotti della cultura; si perdono dietro un dipinto da restaurare o dietro un testo da commentare, ma sono assenti sul campo... non vanno in confessionale e non salgono tutti i giorni all'altare, perché impegnati in qualche progetto culturale.

Sono ancora preoccupati che le anime si accostino ai sacramenti? Reputano ancora i sacramenti necessari alla salvezza, o sono solo preoccupati di fare “comunità”, sostituendo la struttura all'essenziale, cioè a Dio?

Ci auguriamo di tutto cuore che il nuovo anno porti due cose:

1. Un sussulto di coraggio in tutti quei preti e seminaristi che stanno soffrendo per una chiesa sempre più nemica del suo passato. Vorremmo dire loro “Cosa aspettate a ribellarvi? Sì, a ribellarvi per obbedire a Dio! Considerate l'esito di questa Chiesa malamente ammodernata, considerate la grande tristezza che ha prodotto e obbedite gioiosamente a Dio. Solo così servirete con amore la Chiesa, perché la Chiesa è Tradizione.

2. Un ravvedimento in coloro che hanno così osteggiato la Messa tradizionale e l'hanno confinata. Sappiamo che non tutti sono in cattiva coscienza. A loro vorremmo dire “lasciateci fare l'esperienza della Tradizione”, dateci le Chiese, permetteteci la cura delle anime e poi venite con tutta semplicità a considerare i frutti. Avete dato le chiese anche agli ortodossi scismatici, pubblicate anche gli orari di culto degli eretici protestanti, quando farete uscire dal limbo la Messa di sempre? Cosa direbbero i vostri vecchi parroci, i vostri nonni e i santi di duemila anni di cristianesimo?

Perdonateci se vi abbiamo parlato in tutta schiettezza, non vogliamo offendere nessuno ma suscitare un sussulto di coscienza: nelle situazioni drammatiche non c'è tempo per i convenevoli.

Che l'anno 2014 possa smuovere, per grazia di Dio e per la preghiera di molti, dal torpore tante anime sincere.

http://radicatinellafede.blogspot.pt/

HA DATO IL POTERE DI DIVENTARE FIGLI DI DIO

Il video della Terza Santa Messa
di Natale in rito tradizionale a Vocogno
e il file MP3 dell'Omelia
di don Alberto Secci.






Video Santa Messa


Omelia MP3



VOCOGNO
Martedì 31 Dicembre 2013

ore 17.00
SANTA MESSA cantata
e Solenne TE DEUM di ringraziamento

SANTO NATALE 2013: I VIDEO

Dopo aver pubblicato il video dell'Omelia di don Alberto Secci della Notte di Natale, è la volta dei video della Santa Messa e delle foto.


Video Santa Messa dela Notte [Prima Parte]

Video Santa Messa della Notte [Seconda Parte]

Le Foto [Vocogno e Cappella Ospedale Domodossola]



Dal 23 giugno del 1990 padre Stefano Maria Manelli è Ministro Generale dei Frati Francescani dell’Immacolata

Fondatori

Fondatore e Cofondatore dei Francescani dell'Immacolata

Il 2 agosto del 1970 padre Stefano Maria insieme a padre Gabriele Maria Pellettieri, con il permesso e la benedizione dei Superiori Maggiori, inizia a vivere l’esperienza di una vita francescana rinnovata secondo un programma di vita denominato Traccia mariana di vita francescana.

P. Stefano Maria Pio Manelli (del Cuore Immacolato e degli Angeli) - Fondatore

Padre Stefano Maria Manelli, è nato a Fiume\Rijeka (Hrvatska) il 1° maggio 1933, sesto di ventuno figli, da due servi di Dio, guidati spiritualmente da S. Pio da Pietrelcina, Settimio Manelli e Licia Gualandris, di cui è in corso il processo di beatificazione apertosi ufficialmente il 20 dicembre 2010.
Riceve la prima Santa Comunione da padre Pio nel 1938. Entra nel Seminario minore dei Frati Minori Conventuali a Copertino (Lecce) l’8 dicembre del 1945, all’età di 12 anni.
Fa la professione semplice il 4 ottobre del 1949; la professione solenne il 27 maggio 1954; viene ordinato sacerdote il 30 ottobre 1955, Solennità di Cristo Re.
Nel 1960 si laurea in Sacra Teologia difendendo la tesi di dottorato sull’Immacolata, presso la Pontificia Facoltà Teologica “Seraphicum” (Roma). È stato professore di Teologia (Patristica, Mariologia) nei Seminari dell’Ordine, nel Seminario Arcivescovile di Benevento, nell’Istituto di Scienze Religiose di Avellino.
È stato Prefetto degli Studi della Provincia Conventuale di Napoli.
Intorno al 1965 inizia per padre Stefano Maria una lunga riscoperta e meditazione delle Fonti Francescane e degli Scritti di S. Massimiliano Maria Kolbe.
Il richiamo del Concilio Vaticano II ai religiosi sul «ritorno alle fonti e l’adattamento alle mutate condizioni dei tempi» come principi del vero rinnovamento religioso, ispirano padre Stefano a vivere integralmente la vita francescana sulle orme del Poverello d’Assisi seguendo gli esempi di S. Massimiliano Kolbe, «il san Francesco del ventesimo secolo», come lo definì il beato Giovanni Paolo II.
Il 2 agosto del 1970 padre Stefano Maria insieme a padre Gabriele Maria Pellettieri, con il permesso e la benedizione dei Superiori Maggiori, inizia a vivere l’esperienza di una vita francescana rinnovata secondo un programma di vita denominato Traccia mariana di vita francescana.
In tal modo si costituisce la prima Casa Mariana presso il Santuario della “B.V. del Buon Consiglio” in Frigento (AV). Dopo 20 anni, il 22 giugno 1990, quest’esperienza condivisa da numerosi altri frati animati dallo stesso ideale di radicalità evangelica, riceve il sigillo del decreto di erezione in Istituto di diritto diocesano – firmato dall’allora Arcivescovo di Benevento mons. Carlo Minchiatti di v. m., «per decisione del Santo Padre» (cfr Segreteria di Stato Prot. n. 258.501) – e il 1 gennaio 1998 quello di erezione in Istituto di diritto pontificio.
Il 1° novembre del 1982 insieme a padre Gabriele, padre Stefano fonda la prima comunità delle Suore Francescane dell’Immacolata, a Novaliches (Manila), che vive la stessa forma di vita francescano-mariana dei frati di Casa Mariana. Questa novella comunità viene guidata inizialmente da padre Gabriele Maria Pellettieri.
L’8 settembre 1990 a Loreto ha l’ispirazione di fondare un’Associazione pubblica di fedeli – la Missione dell’Immacolata Mediatrice (MIM) – che vive il carisma dell’Istituto secondo il proprio stato di vita e nei diversi gradi di consacrazione all’Immacolata (Missionari dell’Immacolata con l’Atto di Consacrazione, Missionari dell’Immacolata con voto privato, i Terziari Francescani dell’Immacolata). Tale Associazione è approvata canonicamente una prima volta il 6/1/1991 dall’Arcivescovo di Benevento, una seconda volta il 24/5/1997 con decreto proprio dall’arcivescovo mons. Serafino Sprovieri e in ultimo ufficialmente riconosciuta nel decreto di erezione pontificia dei Francescani dell’Immacolata, il 1/1/1998 per i frati e il 9/11/1998 per le suore.
Dal 23 giugno del 1990 padre Stefano Maria Manelli è Ministro Generale dei Frati Francescani dell’Immacolata.

P. Gabriele M. Pellettieri (dell’Annunciazione) - Cofondatore

Pellettieri Antonio, in religione padre Gabriele Maria, è nato a Vaglio Basilicata (Potenza) l’11 giugno del 1940 da Raffaele e Antonia Biscione.
All’età di 10 anni, entra nel Seminario minore dell’Ordine dei Conventuali di Ravello, dove frequenta le scuole medie. Conosce padre Stefano Maria Manelli nel Seminario di Sant’Anastasia (Napoli) dove completa i suoi gli studi.
Il 17 settembre del 1957 fa la professione semplice; il 17 settembre del 1961 la professione solenne; il 14 marzo 1965 viene ordinato Sacerdote. Consegue la licenza in Sacra Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica “Seraphicum” (Roma).
Negli anni 1966-69, risiedendo in vari conventi della Provincia napoletana, padre Gabriele ritrova in Comunità, come confratello, padre Stefano Maria Manelli ed inizia con lui una più profonda comunione spirituale. Negli anni 1967-70 è vicerettore e professore di lettere nel Seminario minore dell’Ordine.
Il 2 agosto del 1970, dopo l’approvazione del Ministro Generale e il plauso del Capitolo Provinciale dei Conventuali di Napoli, si unisce a padre Stefano Maria Manelli, per avviare l’esperienza di una vita francescana rinnovata nella Casa Mariana di Frigento (AV), regolata dalla “Traccia mariana di vita francescana”.
È Superiore della Casa Mariana di Frigento per due trienni (dal 1973 al 1979).
Il 23 agosto 1979, insieme ad altri tre confratelli della Comunità di Casa Mariana di Frigento, parte missionario per le Isole Filippine e vi rimane quale Superiore della Missione fino all’aprile del 1989 quando ritorna in Italia. Per tre anni (1980-83) è parroco nella parrocchia di San Francesco e Santa Quiteria di Manila e per tre anni è anche maestro dei novizi nel Seminario dell’Immacolata di Novaliches (Manila).
Sempre a Novaliches assiste e dirige il primo gruppo delle ragazze che costituiranno la Comunità religiosa delle Suore Francescane dell’Immacolata.
In occasione dell’erezione diocesana dell’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata, viene eletto Vicario generale (23/6/1990), carica che ricopre tuttora. Dal 2008 è anche Delegato Nazionale per l’Italia.

http://cuoreimmacolato.com/chi-siamo/i-fondatori

sábado, 28 de dezembro de 2013

Benedetto XVI: La questione della riforma liturgica del Vaticano II oggi


L’intensità dello scontro sulla liturgia è sotto molti aspetti un buon segno (da papa Benedetto XVI)
  • Il primato di Dio e il Vaticano II (da Benedetto XVI)
  • La questione della riforma liturgica del Vaticano II oggi (da Benedetto XVI)
  • Continuità e novità del Vaticano II: l’esempio del “subsistit” (da papa Benedetto XVI)

  • da Papa Benedetto XVI – Il Circolo degli studenti – Card. K. Koch, Il Concilio Vaticano II. L’ermeneutica della riforma, LEV, Città del Vaticano, 2013, pp. 180-186
    Papa Benedetto XVI: […] Siamo lieti che la liturgia sia diventata trasparente, siamo anche lieti che ora sia celebrata in lingua corrente.
    Per quanto concerne il latino anche adesso nella candidatura a vescovo emerge il problema della conoscenza della lingua. «Lui conosce un po' di latino» si dice qualche volta. Non si può certo fare grande sfoggio di questa cosa. Tuttavia ritengo che non si debba perdere totalmente il latino. Negli incontri internazionali dovrebbe poter legare una componente fondamentale in tutti i testi. Si dovrebbe poter cantare il Pater noster, il Sanctus e l'Agnus Dei. Questo rinforza anche il senso di comunitarietà e dona un'esperienza concreta di cattolicità. Per questo scopo non è necessario lo studio del latino. L'essenziale di ciò che è stato detto dovrebbe essere reso noto: cioè quello che il Sanctus, l'Agnus Dei e il Pater noster significano. In San Pietro già lo facciamo: preghiamo il Canone con l'assemblea in latino in modo che anche i credenti sappiano di cosa si tratta. Naturalmente è importante che nessuno venga a messa senza alcune conoscenze fondamentali, che piuttosto esiste una formazione di base che consente la comprensione anche di quegli elementi che sebbene non si comprendano a livello linguistico, possono essere compresi nel loro nucleo essenziale. Qualcosa in riferimento al canone: la grande preghiera di ringraziamento in cui il Signore si fa presente in mezzo a noi e a noi si dona.
    Direi: in generale dobbiamo essere grati. Dobbiamo certamente riflettere su ciò che può essere fatto meglio. lo sono contrario a grandi modifiche esteriori e strutturali che generano nuove inquietudini. Si ottiene molto di più attraverso un'interiore educazione all'essenza della liturgia. Questo ha inteso anche Udo Schiffers dicendo che deve avvenire un'iniziazione interiore attraverso cui si impara ciò che è la liturgia e ciò che in essa accade. Dipende insomma dal fatto che non si coltiva il proprio fare, con il quale in definitiva si approda sempre a se stessi e alla fine non ci si arricchisce, ma ci si svuota; che ciascuno sappia: qui succede qualcosa, qui Lui viene incontro a noi, qui Egli ci parla, qui noi gli rispondiamo, qui noi nel silenzio ci lasciamo toccare da Lui, qui si dona a noi.
    Secondo il mio parere, rinnovare queste essenziali conoscenze dovrebbe essere il compito della catechesi e delle omelie. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha deciso di fare una specie di campionario per le liturgie - non un libro con testi già pronti ma con alcuni dati di base, in che senso si deve parlare in taluni giorni affinché possa avvenire una continua educazione alla fede e alla liturgia. Così a proposito della direzione da assumere durante la preghiera ho proposto che non si debbano spostare di nuovo gli altari, girarli e così via, si dovrebbe piuttosto mettere sull'altare il crocifisso, la croce. Così si può […] vedere e guardare.
    Abbiamo allora un punto di riferimento comune. Che stiamo davanti oppure dietro alla croce, guardiamo tutti verso il crocifisso e veniamo uniti dallo sguardo comune. Ed egli, il Crocifisso, è il vero oriens.
    Naturalmente è sempre molto bello quando l'«orientamento» (a est) si può esprimere in maniera concreta, come avviene per molte chiese di epoca medievale nelle quali si trova una piccola apertura dalla finestra nella quale la luce del sole penetra nell'attimo in cui sorge. Celebrare insieme al cosmo è qualcosa di meraviglioso. Per questo sento le chiese in cemento che hanno solo luce artificiale e temperature artificiali come qualcosa di spaventoso, perché ci estraiamo dalla creazione e ci immettiamo in ciò che facciamo da soli. Superare questo avvitarsi, questo imprigionarsi in ciò che si produce da soli e uscire verso la libertà della creazione credo sia uno dei grandi aspetti della vera liturgia: che non siamo solo presenti a noi stessi nello spazio in cui noi facciamo, ma che noi ci proiettiamo nella grandezza del cosmo e della storia e andiamo incontro al Signore che ci viene incontro e anticipa la parusia già durante ogni liturgia.
    In altre parole: l'aspetto decisivo mi sembra prima di tutto l'educazione liturgica attraverso la quale gli uomini diventano consapevoli che qui non ci troviamo insieme in modo che io faccia qualcosa e l'altro qualcos'altro, che egli dica qualcosa e che io dica qualcos'altro. Invece ci troviamo insieme perché l'Altro, perché Dio stesso si rivolge a noi. E ci troviamo perché noi così entriamo dentro alla grande dimensione d'insieme della Chiesa di ieri, oggi e domani arrivando nell'eternità. Ci troviamo insieme in un'assemblea che è più della comunità e certo con questo trovarsi diventa comunità che si immerge in tutta la Chiesa intera con la quale vive e impara a pregare. Naturalmente le preghiere autoprodotte sono più semplici da comprendere ma scivolano altrettanto facilmente nel banale. E forse è difficile pregare con i grandi testi della Chiesa.
    Ma penso che uno dei contenuti della catechesi dovrebbe essere che nella preghiera noi ci leghiamo ai grandi oratori e pregando siamo parte della grande corrente di coloro che pregano - che a questo aggiungiamo e subordiniamo il nostro singolo pensiero affinché compiamo le grandi cose predisposte per noi con il nostro modesto io che è ancorato saldamente alla grandezza di tutta la Chiesa.
    Entrambi i punti sono quindi: da una parte una vera conoscenza di ciò che è la liturgia e un lasciarsi condurre in essa. Questa deve essere vista nell'ottica del grande obiettivo da raggiungere con l'annuncio e la catechesi e far così ritornare la liturgia nuovamente alla sua grandezza cosmica e storico-salvifica, al suo incontro con Dio. D'altra parte - in ogni caso al momento - non si tratta di alcuna riforma strutturale ma solo di segno concreto collocare la croce come centro di entrambe le parti, il sacerdote e i credenti che non pregano diretti gli uni verso gli altri ma verso lo stesso Signore.
    Anche per la musica vale il concetto di non perdere la continuità con quanto avuto sinora e al contempo di procedere in avanti: ermeneutica della continuità. Non si dovrebbe buttare via ciò che è vecchio ma custodire in tutto il mondo gli elementi della comunitarietà che ci aiutano ad andare gli uni incontro agli altri. Mi ha sempre colpito quello che hanno detto alcuni soldati della Seconda Guerra Mondiale: «Per quanto fossi in Francia o in qualsiasi altra parte - quando andavo a messa, ero a casa». Questi elementi di comunitarietà li dobbiamo imparare nuovamente e dobbiamo così mantenere saldi anche gli elementi della lingua latina e del corale gregoriano.
    […] vorrei anche sottolineare la questione dell'immagine. Veramente dopo il Concilio ci fu un'iconoclastia, una distruzione delle immagini. Ci furono chiese in cemento nelle quali non vi doveva essere appeso neanche un quadro. Ma da quando il Signore è diventato un uomo e si è reso visibile, l'immagine è stata introdotta nella Chiesa e quindi lo scontro iconoclasta è stato solo uno scontro per l’ortodossia. La celebrazione delle immagini che si è diffusa in seguito al secondo Concilio di Nicea è la celebrazione dell'Orthodoxia, della visibilità di Dio, che si comunica anche attraverso le immagini e in questo senso è anche una celebrazione della ricchezza dei sensi che vengono raccolti e orientati. li cardinale Meisner ha scritto un libro sulla sensorialità della fede. Questo lo ritengo giusto, nel senso che davvero il corpo e quindi i sensi entrano a far parte della grandezza e vengono innalzati e purificati casi da essere destinati non solo allo spirito ma a tutto l'uomo, anima e corpo, con i suoi sensi.
    Credo che da quanto detto divenga evidente come noi possiamo essere grati per la riforma della liturgia anche se il suo corso è stato talvolta catastrofico. Non ho mai detto, credo, che fosse una catastrofe ma che il suo percorso in qualche tratto è stato catastrofico, questo lo si può e lo si deve davvero dire. Nel contempo, dobbiamo superare la mentalità del fare da sé e la mentalità dell'adeguamento, quindi della perdita di Dio e spingerei verso l'aspetto nodale.
    fonte

    SUA SANTIDADE BENTO XVI: Teologia della liturgia - questo significa che Dio agisce per mezzo del Cristo nella liturgia e che noi non possiamo agire che per mezzo Suo e con Lui.


  • La liturgia: opera del Cristo vivente
  • Il messaggio del Nuovo Testamento: fine del rito o nascita della liturgia nuova?
  • Partecipazione all’azione liturgica
  • Il nesso indissolubile tra il sacramento e la Chiesa, nella storia
  • Il senso delle realtà sacramentali
  • La liturgia: fedeltà irreformabile e rinnovamento
  • Due esempi
  • I Templi pagani e l’edificio liturgico nell’ebraismo e nel cristianesimo
  • In cosa consiste il sacrificio del Cristo
  • La liturgia: opera del Cristo vivente

    Teologia della liturgia - questo significa che Dio agisce per mezzo del Cristo nella liturgia e che noi non possiamo agire che per mezzo Suo e con Lui. Da noi stessi non possiamo costruire la nostra via verso Dio. Questa via non è percorribile, eccetto il caso che Dio stesso si faccia la via. E una volta per sempre: le vie dell’uomo che non pervengono accanto a Dio sono delle non-vie.

    Teologia della liturgia significa inoltre che nella liturgia il Logos stesso ci parla e non solo parla: viene con il Suo corpo, la Sua anima, la Sua carne, il Suo sangue, la Sua divinità, la Sua umanità per unirci a Lui, per fare di noi "un solo corpo". Nella liturgia cristiana tutta la storia della salvezza, anzi tutta la storia della ricerca umana di Dio, è presente, viene assunta e portata al suo compimento. La liturgia cristiana è una liturgia cosmica - abbraccia la creazione intera che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (Rm 8, 19).

    Trento non si ingannò, si appoggiò sul solido fondamento della Tradizione della Chiesa.
    (da La teologia della liturgia, Conferenza tenutasi nel monastero di Fontgombault dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, svoltasi presso l’Abbazia benedettina di “Notre Dame de Fontgombault”, in Francia, 22-24 luglio 2001)

    Penso che ciò che avviene nel Battesimo si chiarisca per noi più facilmente, se guardiamo alla parte finale della piccola autobiografia spirituale, che san Paolo ci ha donato nella sua Lettera ai Galati. Essa si conclude con le parole che contengono anche il nucleo di questa biografia: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Vivo, ma non sono più io. L'io stesso, la essenziale identità dell'uomo – di quest'uomo, Paolo – è stata cambiata. Egli esiste ancora e non esiste più. Ha attraversato un "non" e si trova continuamente in questo "non": Io, ma "non" più io. Paolo con queste parole non descrive una qualche esperienza mistica, che forse poteva essergli stata donata e che, semmai, potrebbe interessare noi dal punto di vista storico. No, questa frase è l'espressione di ciò che è avvenuto nel Battesimo. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande. Allora il mio io c'è di nuovo, ma appunto trasformato, dissodato, aperto mediante l'inserimento nell'altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Paolo ci spiega la stessa cosa ancora una volta sotto un altro aspetto quando, nel terzo capitolo della Lettera ai Galati, parla della "promessa" dicendo che essa è stata data al singolare – a uno solo: a Cristo. Egli solo porta in sé tutta la "promessa". Ma che cosa succede allora con noi? Voi siete diventati uno in Cristo, risponde Paolo (Gal 3, 28). Non una cosa sola, ma uno, un unico, un unico soggetto nuovo. Questa liberazione del nostro io dal suo isolamento, questo trovarsi in un nuovo soggetto è un trovarsi nella vastità di Dio e un essere trascinati in una vita che è uscita già ora dal contesto del "muori e divieni". La grande esplosione della risurrezione ci ha afferrati nel Battesimo per attrarci. Così siamo associati ad una nuova dimensione della vita nella quale, in mezzo alle tribolazioni del nostro tempo, siamo già in qualche modo introdotti. Vivere la propria vita come un continuo entrare in questo spazio aperto: è questo il significato dell'essere battezzato, dell'essere cristiano. È questa la gioia della Veglia pasquale. La risurrezione non è passata, la risurrezione ci ha raggiunti ed afferrati. Ad essa, cioè al Signore risorto, ci aggrappiamo e sappiamo che Lui ci tiene saldamente anche quando le nostre mani si indeboliscono. Ci aggrappiamo alla sua mano, e così teniamo le mani anche gli uni degli altri, diventiamo un unico soggetto, non soltanto una cosa sola. Io, ma non più io: è questa la formula dell'esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo. Io, ma non più io: se viviamo in questo modo, trasformiamo il mondo. È la formula di contrasto con tutte le ideologie della violenza e il programma che s'oppone alla corruzione ed all'aspirazione al potere e al possesso.
    (dall’omelia di Benedetto XVI nella Veglia Pasquale nella Notte Santa del 15 aprile 2006)

    Cari fratelli... il Giovedì Santo è il giorno in cui il Signore diede ai Dodici il compito sacerdotale di celebrare, nel pane e nel vino, il sacramento del suo corpo e del suo sangue fino al suo ritorno. Al posto dell'agnello pasquale e di tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza subentra il dono del suo corpo e del suo sangue, il dono di se stesso. Così il nuovo culto si fonda nel fatto che, prima di tutto, Dio fa un dono a noi, e noi, colmati da questo dono, diventiamo suoi: la creazione torna al Creatore. Così anche il sacerdozio è diventato una cosa nuova: non è più questione di discendenza, ma è un trovarsi nel mistero di Gesù Cristo. Egli è sempre Colui che dona e ci attira in alto verso di sé. Soltanto Lui può dire: «Questo è il mio corpo - questo è il mio sangue». Il mistero del sacerdozio della Chiesa sta nel fatto che noi, miseri esseri umani, in virtù del sacramento possiamo parlare con il suo io: in persona Christi. Egli vuole esercitare il suo sacerdozio per nostro tramite. Questo mistero commovente, che in ogni celebrazione del sacramento ci tocca di nuovo, noi lo ricordiamo in modo particolare nel Giovedì Santo. Perché il quotidiano non sciupi ciò che è grande e misterioso, abbiamo bisogno di un simile ricordo specifico, abbiamo bisogno del ritorno a quell'ora in cui egli ha posto le sue mani su di noi e ci ha fatti partecipi di questo mistero.
    (dall’Omelia di Benedetto XVI per la Messa del Crisma del Giovedì Santo 13 aprile 2006)

    http://www.gliscritti.it/index.html

    Benedetto XVI: La liturgia è ciò che fa Dio per l’uomo, non ciò che l’uomo fa per Dio

    La liturgia è ciò che fa Dio per l’uomo, non ciò che l’uomo fa per Dio (Benedetto XVI)


    Liturgia_celeste
    La liturgia manifesta il “Dio-con-noi”
    Messaggio del Papa alla 62ma Settimana Liturgica Nazionale Italiana
    Alcuni passaggi del messaggio che il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone ha inviato – a nome del Santo Padre – alla 62maedizione della Settimana Liturgica Nazionale Italiana, promossa dal Centro di Azione Liturgica (Cal) sul tema: “Dio educa il suo popolo. La liturgia, sorgente inesauribile di catechesi”, inaugurata lunedì a Trieste.
    10 agosto 2011
    * * *
    La Chiesa, specialmente quando celebra i divini misteri, si riconosce e si manifesta quale realtà che non può essere ridotta al solo aspetto terreno e organizzativo. In essi deve apparire chiaramente che il cuore pulsante della comunità è da riconoscersi oltre gli angusti e pur necessari confini della ritualità, perché la liturgia non è ciò che fa l’uomo, ma quello che fa Dio con la sua mirabile e gratuita condiscendenza. Questo primato di Dio nell’azione liturgica era stato evidenziato dal Servo di Dio Paolo VI alla chiusura del secondo periodo del Concilio Vaticano II mentre annunciava la proclamazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium: “In questo fatto ravvisiamo che è stato rispettato il giusto ordine dei valori e dei doveri: in questo modo abbiamo riconosciuto che il posto d’onore va riservato a Dio; che noi come primo dovere siamo tenuti ad innalzare preghiere a Dio; che la sacra Liturgia è la fonte primaria di quel divino scambio nel quale ci viene comunicata la vita di Dio, è la prima scuola del nostro animo, è il primo dono che da noi deve essere fatto al popolo cristiano…” (Paolo VI, Discorso per la chiusura del secondo periodo, 4 dicembre 1963, AAS [1964], 34).
    La liturgia, oltre ad esprimere la priorità assoluta di Dio, manifesta il suo essere “Dio-con-noi”, perché “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.” (Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, 1). In tal senso, Dio è il grande educatore del suo popolo, la guida amorevole, sapiente, instancabile nella e attraverso la liturgia, azione di Dio nell’oggi della Chiesa.
    A partire da questo aspetto fondativo, (occorre) riflettere sulla dimensione educativa dell’azione liturgica, in quanto “scuola permanente di formazione attorno al Signore risorto, luogo educativo e rivelativo in cui la fede prende forma e viene trasmessa” (Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 39). A tale proposito, è necessario approfondire sempre meglio il rapporto tra catechesi e liturgia, rifiutando, tuttavia, ogni indebita strumentalizzazione della liturgia a scopi “catechistici”. Al riguardo, la vivente tradizione patristica della Chiesa ci insegna che la stessa celebrazione liturgica, senza perdere la sua specificità, possiede sempre un’importante dimensione catechetica (cfr Sacrosanctum Concilium, 33). Infatti, in quanto “prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possano attingere uno spirito veramente cristiano” (ibidem, 14), la liturgia può essere chiamata catechesi permanente della Chiesa, sorgente inesauribile di catechesi, preziosa catechesi in atto (cfr Conferenza Episcopale Italiana, Il rinnovamento della catechesi, 7 febbraio 1970, 113). Essa, in quanto esperienza integrata di catechesi, celebrazione, vita, esprime inoltre l’accompagnamento materno della Chiesa, contribuendo così a sviluppare la crescita della vita cristiana del credente e alla maturazione della sua coscienza…
    http://www.enzocaruso.net/site/la-liturgia-e-cio-che-fa-dio-per-luomo-non-cio-che-luomo-fa-per-dio-benedetto-xvi/
     

    sexta-feira, 27 de dezembro de 2013

    BISHOP RUDOLF GRABER ON VATICAN II

    BISHOP RUDOLF GRABER ON VATICAN II




    BISHOP RUDOLF GRABER (1903-1992)

    AUTHOR OF "ST ATHANASIUS AND THE CHURCH OF OUR TIME"



    ....A few years ago, Bishop Rudolf Graber asked, "Where do the conciliar texts speak of communion in the hand, for example, or where do they enjoin the so-called altar facing the people (which is scant testimony to that `giving perfect glory to God' which the Liturgy Constitution says [in Par. 5] is the goal and purpose of worship)? The answer is: NOWHERE. This good bishop went on to mention a number of other things which fall into the same category: elimination of the subdiaconate and the four minor orders the monotonous enumeration of "Sundays in ordinary time" _ while the Protestants of course have retained the pre-Lenten season and the Sundays "after Trinity" <de facto> abandonment of Latin as liturgical language of the Western Church; elimination of the second imposition of hands during priestly ordination, and many others.....

    . http://www.ewtn.com/library/LITURGY/FR94103.TXT
     
    http://triregnum.blogspot.pt/2013/06/bishop-rudolf-graber-on-vatican-ii.html

    MONS. RUDOLF GRABER: ATANASIO Y LA IGLESIA DE NUESTRO TIEMPO


    ATANASIO Y LA IGLESIA
    DE NUESTRO TIEMPO


    (En su lucha contra el Modernismo)
    MONSEÑOR RUDOLF GRABER
    Obispo de Regensburg
    El 1600 aniversario de la muerte de San Atanasio no debe pasar, sin que se haga mención del mismo por lo menos en un comentario. San Atanasio se encuentra entre aquellos escasos Santos a los cuales la Historia ha concedido el calificativo de "el Grande".
    Para no extendernos demasiado, citaremos aquí lo que Juan Adán Möler, dice de él en el prefacio de su obra "Atanasio el grande y la Iglesia de su tiempo", especialmente en la lucha contra el Arrianismo (Maguncia, 1844): "Ya cuando entablé mis primeros contactos con la Historia de la Iglesia, me pareció Atanasio de tal importancia, tan extraordinaria su vida, sus persecuciones por causa de la fe, su resurgimiento, su nueva caída y reiterada subida, su alta dignidad cristiana, y su sublimidad sobre toda desgracia vislumbrada en toda su historia, que despertó tanto mi simpatía, que sentí un profundo deseo de conocer más íntimamente a este gran hombre y estudiarlo en sus propios documentos. El vago sentimiento que me atraía hacia estos escritos, no quedó defraudado; de ellos manaba una rica fuente de alimento espiritual. Pero, cuanto más iba comparando lo que yo hallaba en Atanasio, con lo que se hablaba del santo en otros libros, más me dolía que este gran Padre de la Iglesia no hubiese sido conocido y reconocido durante tantísimo tiempo, tal como se merecía. Esto me hizo tomar la determinación de trabajar sobre él, de sacar a la luz del día los tesoros de fe y de sabiduría cristiana que albergaba y exponer al mismo tiempo su historia".
    En reminiscencia del título de esa obra, hemos escogido el título de "ATANASIO Y LA IGLESIA DE NUESTRO TIEMPO" (En su lucha contra el modernismo).
    Ojalá este humilde escrito pudiera contribuir a la actualización de las palabras que San Basilio el Grande escribió en el año 371 a Atanasio: "En todo, el Señor realiza lo grande, por medio de aquellos que son dignos de Él. Confiamos por ello, que este servicio tan excelso valga también para ti, y en consecuencia que finalice el descarriamiento del pueblo, que todos se sometan al mutuo amor y que se renueve la antigua fuerza de la Iglesia".LEER TODA LA OBRA...
    Regensburg, en la Fiesta de San Atanasio, 2 de mayo de 1973.
    RUDOLF GRABER, Obispo de Regensburg

    Mons. Rudolf Graber: Con lo pseudo-altare non più sacro, perde poco alla volta il carattere sacro anche Quello che si mette sopra: il Figlio di Dio, Gesù Cristo eucaristico è dimenticato e persino negato.

    serve un nuovo Sant'Atanasio



    Il posto di Atanasio. Rudolf Graber
    tratto dal Settimanale di Padre Pio dal Numero 38 del 29 settembre 2013
    di Paolo Risso
    Vescovo per trent’anni, mons. Graber vive anni difficili per la Chiesa. Si trova a dover denunciare una “teologia” sempre più lontana da Cristo, snaturata a partire dalla Liturgia, che ha distrutto ormai il senso del “Sacro”. Crisi tutt’altro che risolta, dati i nostri stessi tempi bui.
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    Lo sguardo luminoso dietro le lenti. Il volto sereno atteggiato a sorriso. Uno stile serio e lieto con la sicurezza della Verità. Così si presentava già al primo incontro mons. Rudolf Graber, vescovo di Ratisbona, il quale nella sua lunga vita si distinse per le virtù e per le opere. Una vita incentrata in Gesù Cristo e tutta “giocata” per Lui e per la sua Chiesa.

    Profilo di un uomo
    Era nato il 13 settembre 1903. Intelligentissimo e lucido, presto appassionato di Gesù, il giovane si avvia rapidamente al Sacerdozio con l’intento di prolungare Gesù in primo luogo nel servizio alla Verità. A soli 23 anni, il 1° agosto 1926, è ordinato sacerdote.
    Vorrebbe dedicarsi subito all’apostolato diretto, ma i superiori lo mandano a Roma a laurearsi in Sacra Teologia all’Angelicum, l’ateneo dei Domenicani che sulla scia del Fondatore, il beato padre Giacinto Cormier (†1916) e dei suoi illustri docenti, tra i quali il padre Reginaldo Garrigou-Lagrange (†1964), allora era assai prestigiosa scuola di Filosofia e di Teologia, alla sequela di san Tommaso d’Aquino.
    Addottoratosi in modo brillante, don Rudolf, dal 1929 al 1962, lavorerà nella sua diocesi di Eichstâtt in Baviera. Dal 1941 è professore di Storia della Chiesa, di Teologia fondamentale, di Ascetica e Mistica all’Università. Intraprende la sua attività scientifica di studi e ricerche e le sue pubblicazioni, tradotte in diverse lingue, lo rendono noto in Germania e nel mondo.
    Nello studio della Teologia intorno a Gesù Cristo, don Rudolf scopre in modo singolare il posto della Madonna e di Lei si innamora a fondo, intravedendo presto una forza di irradiazione sulle anime che solo Maria Santissima può donare. Così dal 1957 al 1962 diventa capo della redazione del Bote von Fatima (Messaggero di Fatima). Sale su molti pulpiti e cattedre a parlare della Madonna: la sua identità, i suoi privilegi, il suo ruolo nell’opera della Salvezza, nella conversione delle anime e del mondo a Gesù, il Figlio suo e nostro unico Salvatore. Nel 1973 vengono pubblicati due volumi delle sue splendide omelie mariane e di altri suoi scritti sui grandi problemi della Chiesa, da lui sempre studiati e illuminati.
    Un grande avvenimento è accaduto intanto nella sua vita. Il 28 marzo 1962, da papa Giovanni XXIII è elevato alla dignità di vescovo e insediato nella antica e illustre Ratisbona. Come vescovo ratisbonese partecipa al Concilio Vaticano II, impegnandosi nella difesa della Verità.

    Centenario di sant’Atanasio
    Sarà un nobile Presule, ma a renderlo ancora celebre a più di 20 anni dalla sua morte avvenuta il 31 gennaio 1992 (un trentennio di Episcopato!), è il suo libro Sant’Atanasio e la Chiesa del nostro tempo (edizioni Civiltà, Brescia 1973), pubblicato nel XVI centenario della morte di sant’Atanasio (†373), vescovo di Alessandria d’Egitto, il grande difensore della Divinità di Gesù Cristo contro l’eresia di Ario, al Concilio di Nicea (325) e sino alla sua fine, subendo attacchi, condanne, esilio e sofferenze di ogni genere.

    Mons. Rudolf Graber, partendo dalla crisi ariana del IV secolo d.C. e presentando la figura e l’opera gigantesca di sant’Atanasio, passa poi a illustrare come una gravissima crisi sta dilagando ora nel secolo XX, nella Chiesa, crisi tutt’altro che risolta. Egli osserva lucidamente che il pericolo che ci sovrasta e ci minaccia nel nostro tempo è assai peggiore dell’assalto di Ario nell’epoca dell’intrepido Atanasio.
    È entrato ora nel popolo già cristiano-cattolico un veleno mortale. Noi sappiamo qual è il canale di infiltrazione: sul popolo hanno presa non tanto le idee astratte, ma ciò che tocca con mano, ciò che in pratica gli è proposto, ciò che vive. In una parola, la Liturgia. Gli incessanti cambiamenti, le inattese e, per la maggioranza, non motivate sorprendenti novità liturgiche, hanno gettato l’allarme hanno confuso gli spiriti semplici e retti, pronti a ricevere tutto, in modo indiscriminato. Attraverso una riforma liturgica, condotta spesso in modo scanzonato, è stata scossa e sofisticata la fede retta e semplice nei Sacramenti: il Battesimo e la Confessione, soprattutto l’Eucaristia.
    Si è diffusa – denuncia mons. Graber – una deplorevole confusione nelle coscienze, che è la causa principale dello smarrimento del “Sacro”. Una desacralizzazione, voluta e imposta da certo clero progressista, che fa parte del “complotto” delle forze sovversive (leggi: Massoneria) che vogliono rovinare la fede e la preghiera. Cambiata la regola della preghiera (lex orandi), si cambia in modo facilissimo la regola della fede (lex credendi), e viceversa, per cui a un certo punto, nulla più regge.
    Oggi, a 45-50 anni dall’inizio di queste cose, ne vediamo la gravità, ma chi pone mano ad esse? L’attenzione, purtroppo, continua a essere rivolta più all’uomo che a Dio.
    Mons. Graber, in questo suo capolavoro, accusa e documenta tale complotto, ripetendo il monito dello statista barone Von Hertling, uomo pio e saggio, che già nel 1905 aveva scritto: «Gli indecisi, i titubanti, gli uomini di poca fede sogliono subire l’assalto senza possibilità di opporre resistenza; così si spezzano gli ultimi legami che li tenevano uniti alla Chiesa. Credono di avere il diritto di condannare tutta la pietà cattolica».
    Queste parole dette del modernismo d’inizio secolo XX, mons. Graber le applica in modo ancora più denso al modernismo del nostro tempo che giunge alla negazione piena di Gesù Cristo stesso e del Cattolicesimo che viene da Lui: «Del Cattolicesimo così non resta più nulla» (ven. Pio XII), solo un umanitarismo come vogliono la Massoneria e gli “utili idioti” che di essa fanno il gioco, sorridendo alle “aperture”, all’“aria aperta” fatta entrare nella Chiesa!
    Il servirsi della “tavola” come faceva Cranmer (1489-1556) all’inizio dell’anglicanesimo, al posto del vero altare ormai trascurato e disprezzato, nuoce assai in questo senso. “Assemblea” e celebrante si “autocelebrano” a vicenda, incentrandosi sull’uomo e non su Dio. è sminuita la realtà del Sacrificio di Gesù e si fa risaltare invece la convivialità.
    Con lo pseudo-altare non più sacro, perde poco alla volta il carattere sacro anche Quello che si mette sopra: il Figlio di Dio, Gesù Cristo eucaristico è dimenticato e persino negato. Le molte, irriverenti e diverse maniere di dare la Comunione (“sulla mano”, ma si poteva trovare una cosa peggiore?) fanno il resto. E il continuo chiasso di vario genere, musiche e canti stolti e brutti, persino da osteria, uccidono lo spirito di preghiera, che non può esserci senza raccoglimento.
    Dal lucido libro di mons. Graber, questi sono soltanto appunti. Ciò che qui viene chiamata «crisi della Chiesa», papa Paolo VI ha chiamato «autodistruzione della Chiesa»: occorre ascendere alle sue cause, per correggere e riemergere, ma chi lo fa? Ci si illude ancora in un falso ottimismo che aggrava il male, senza rimedio.

    Una teologia senza Cristo
    Mons. Graber addita il “documento” della Società segreta (si trova nell’Archivio Vaticano), che suona così: «Noi cerchiamo di distogliere il prete dall’altare e procuriamo di occuparlo in altre cose; rendiamolo politicante e gaudente; in breve diverrà ambizioso, intrallazzatore e perverso. La nostra impresa mira alla corruzione del popolo per mezzo del clero. E con questa corruzione siamo certi di vedere la Chiesa precipitare nella tomba». Nel suo libro, mons. Graber fa vedere (scrive ai primi anni ’70 del secolo scorso) che il programma della Massoneria si sta realizzando. In tutti i Paesi marciano «i pornoteologi», come li definì padre Cornelio Fabro (1911-1995), uno dei maggiori filosofi italiani del nostro tempo. Tutto va a rotoli, si difendono, si giustificano le relazioni pre-matrimoniali, gli adulteri, l’amore di gruppo, gli atti contro natura e quant’altro di perverso possa esistere.
    Si pensi ora quanto più tutto ciò si è realizzato oggi, ma la Chiesa come ai tempi di sant’Atanasio, non scenderà nella tomba, perché Essa appartiene a Gesù, l’Uomo-Dio che l’ha acquistata con il suo Sangue e con il medesimo Sangue la nutre.
    Infine, mons. Graber rammenta Karl Rahner, prima del Concilio Vaticano II: già allora non era senza macchia. Infatuato di Heidegger e di tutta la filosofia esistenzialistica, portò fin dal principio una nascosta (neppur troppo) contraddizione di se stesso, che si è aggravata negli anni del Concilio e del post-Concilio, quando tutto è stato posto in discussione. Oggi, anche rileggendo il Rahner pre-conciliare, lo si vede come un vero camaleonte che prende sempre il colore dell’ambiente, a dir poco un opportunista.
    Quindi è passato alla testa della schiera attivissima non solo in Germania, ma nel mondo intero, lanciatasi all’assalto del Cristo stesso e della sua Chiesa. Sotto un linguaggio fine e persino a volte edificante, egli elabora una “teologia” incentrata sull’uomo e sul mondo, una teologia senza Cristo. Altri “teologi”, altre “cattedre” lo hanno seguito, così che oggi una triste, tristissima gloria resta a Rahner. Egli ha minato e quasi distrutto la fede nel Battesimo – imposto e voluto da Cristo – con il suo slogan: «Ogni uomo è cristiano».
    Ci troviamo così di fronte a una nuova “strage degli innocenti”: i bimbi morti senza Battesimo, perché le nuove pratiche e la svalutazione del Battesimo hanno preso forza dalle tesi di Rahner. Ma tutta una pastorale (che è la negazione della pastorale vera), proprio a causa di Rahner professato da legioni, non si occupa più della Salvezza delle anime, della lotta al peccato, della vita in grazia di Dio, della Confessione frequente e della necessaria, indispensabile, continua conversione a Gesù Cristo. Una realtà terribile: sembra non esistere il problema più urgente, l’unico vero problema, la Salvezza delle anime. Al punto che malati e morenti sono spesso lasciati morire senza Sacramenti: certi preti e parroci non se ne interessano più!
    Conclude così il libro mons. Graber: «La terra tremi sotto i nostri piedi. Si può presagire con certezza che la Chiesa uscirà incolume da una tale rovina, ma nessuno può dire e congetturare chi e che cosa sopravvivrà. Noi, dunque, avvisando, raccomandando, alzando le mani, vorremmo impedire il male mostrandone i segni. Persino i giumenti che portano i falsi profeti, si impennano, arretrano e rinfacciano con linguaggio umano la loro ingiustizia a chi li batte e non vede la spada sguainata (da Dio), che chiude loro la strada. Operate dunque finché è giorno, perché di notte nessuno può operare. Non serve nulla l’aspettare: l’attesa non ha fatto altro che aggravare tutte le cose».
    Ecco, ciò che serve oggi: un nuovo sant’Atanasio. O meglio: molti sant’Atanasio. Ma Gesù, per mezzo di Maria Santissima Immacolata, non mancherà di mandarceli quando Lui vorrà. A noi pregare, agire, soffrire e offrire per Lui e affrettare l’ora.
     

    quinta-feira, 26 de dezembro de 2013

    Sua Santidade Bento XVI: dirijamo-nos ao Menino de Belém, ao Filho da Virgem Maria e digamos: «Vinde salvar-nos»! . Actualité du Message de Benoît XVI .Actualidad del Mensaje de Benedicto XVI





    Pope's Urbi et Orbi Address . Pope's Christmas Eve Homily



    Pope's Urbi et Orbi Address

    Dear Brothers and Sisters in Rome and throughout the world! Christ is born for us! Glory to God in the highest and peace on earth to the men and women whom he loves. May all people hear an echo of the message of Bethlehem which the Catholic Church repeats in every continent, beyond the confines of every nation, language and culture. The Son of the Virgin Mary is born for everyone; he is the Saviour of all.
    This is how Christ is invoked in an ancient liturgical antiphon: "O Emmanuel, our king and lawgiver, hope and salvation of the peoples: come to save us, O Lord our God". Veni ad salvandum nos! Come to save us! This is the cry raised by men and women in every age, who sense that by themselves they cannot prevail over difficulties and dangers. They need to put their hands in a greater and stronger hand, a hand which reaches out to them from on high. Dear brothers and sisters, this hand is Jesus, born in Bethlehem of the Virgin Mary. He is the hand that God extends to humanity, to draw us out of the mire of sin and to set us firmly on rock, the secure rock of his Truth and his Love (cf. Ps 40:2).read...

    Pope's Christmas Eve Homily

    Dear Brothers and Sisters! The reading from Saint Paul’s Letter to Titus that we have just heard begins solemnly with the word "apparuit", which then comes back again in the reading at the Dawn Mass: apparuit – "there has appeared". This is a programmatic word, by which the Church seeks to express synthetically the essence of Christmas. Formerly, people had spoken of God and formed human images of him in all sorts of different ways. God himself had spoken in many and various ways to mankind (cf. Heb 1:1 – Mass during the Day). But now something new has happened: he has appeared. He has revealed himself. He has emerged from the inaccessible light in which he dwells. He himself has come into our midst. This was the great joy of Christmas for the early Church: God has appeared. No longer is he merely an idea, no longer do we have to form a picture of him on the basis of mere words. He has "appeared". But now we ask: how has he appeared? Who is he in reality? The reading at the Dawn Mass goes on to say: "the kindness and love of God our Saviour for mankind were revealed" (Tit 3:4).



    Homélie de Benoît XVI pour la messe de la nuit de Noël. Message de Benoît XVI à Rome et au monde, 25 décembre 2011

     

    Message de Benoît XVI à Rome et au monde, 25 décembre 2011




    Chers frères et sœurs de Rome et du monde entier !

    Le Christ est né pour nous ! Gloire à Dieu au plus haut des cieux et paix sur la terre aux hommes qu’Il aime. Qu’à tous parvienne l’écho de l’annonce de Bethleem, que l’Église Catholique fait retentir dans tous les continents, au-delà de toute frontière de nationalité, de langue et de culture. Le Fils de la Vierge Marie est né pour tous, il est le Sauveur de tous.

    Une antique antienne liturgique l’invoque ainsi : « O Emmanuel, notre Législateur et notre Roi, espérance et salut des nations, viens, Seigneur, viens nous sauver ! » Veni ad salvandum nos ! Viens nous sauver ! C’est le cri de l’homme de tous les temps, qui se sent incapable de surmonter tout seul difficultés et périls. Il a besoin de mettre sa main dans une main plus grande et plus forte, une main qui de là-haut se tende vers lui. Chers frères et sœurs, cette main c’est Jésus, né à Bethléem de la Vierge Marie. Il est la main que Dieu a tendue à l’humanité, pour la faire sortir des sables mouvants du péché et la faire reprendre pied sur le roc, le roc solide de sa Vérité et de son Amour (cf. Ps 39 [40], 3).lire...

    Homélie de Benoît XVI pour la messe de la nuit de Noël



    « Noël est une épiphanie – la manifestation de Dieu et de sa grande lumière dans un enfant qui est né pour nous. Né dans l’étable de Bethléem, non pas dans les palais des rois », explique Benoît XVI qui s’inspire de l’expérience de saint François d’Assise en disant: « Quand, en 1223, François d’Assise célébra Noël à Greccio avec un bœuf et un âne et une mangeoire pleine de foin, une nouvelle dimension du mystère de Noël a été rendue visible. François d’Assise a appelé Noël « la fête des fêtes » – plus que toutes les autres solennités – et il l’a célébré avec « une prévenance indicible ». Avec une profonde dévotion, il embrassait les images du petit enfant et balbutiait des paroles de tendresse à la manière des enfants, nous raconte Thomas de Celano ». lire...

    L'omelia di Benedetto XVI durante la Messa della Notte per il Natale 2011. Messaggio natalizio “Urbi et Orbi” rivolto da Benedetto XVI

    1. Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!
    Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti.
    Così lo invoca un’antica antifona liturgica: "O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio". Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci! Questo è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui. Cari fratelli e sorelle, questa mano è Cristo, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore (cfr Sal 40,3).leggere...
     
     
    L'omelia di Benedetto XVI durante la Messa della Notte per il Natale 2011
    Cari fratelli e sorelle,
    La lettura tratta dalla Lettera di san Paolo Apostolo a Tito, che abbiamo appena ascoltato, inizia solennemente con la parola “apparuit”, che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – “è apparso”.
    È questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo, vuole esprimere l’essenza del Natale. Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini (cfr Eb 1,1: lettura nella Messa del giorno).
    Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale: Dio è apparso.leggere...

    Solemne celebración de la Natividad del Señor en el Vaticano . Mensaje papal por Navidad

    Benedicto XVI: El Príncipe de la paz conceda paz y estabilidad a la Tierra

    Queridos hermanos y hermanas de Roma y del mundo entero:
    Cristo nos ha nacido. Gloria a Dios en el cielo, y paz a los hombres que él ama. Que llegue a todos el eco del anuncio de Belén, que la Iglesia católica hace resonar en todos los continentes, más allá de todo confín de nacionalidad, lengua y cultura. El Hijo de la Virgen María ha nacido para todos, es el Salvador de todos.
    Así lo invoca una antigua antífona litúrgica: «Oh Emmanuel, rey y legislador nuestro, esperanza de las naciones y salvador de los pueblos, ven a salvarnos, Señor Dios nuestro». Veni ad salvandum nos. Este es el clamor del hombre de todos los tiempos, que siente no saber superar por sí solo las dificultades y peligros. Que necesita poner su mano en otra más grande y fuerte, una mano tendida hacia él desde lo alto. Queridos hermanos y hermanas, esta mano es Cristo, nacido en Belén de la Virgen María. Él es la mano que Dios ha tendido a la humanidad, para hacerla salir de las arenas movedizas del pecado y ponerla en pie sobre la roca, la roca firme de su verdad y de su amor (cf. Sal 40,3).
    leer...

    Navidad es Epifanía, dijo el santo padre en Nochebuena


    “Queridos hermanos y hermanas: La lectura que acabamos de escuchar, tomada de la Carta de san Pablo Apóstol a Tito, comienza solemnemente con la palabra apparuit, que también encontramos en la lectura de la Misa de la aurora: apparuit – ha aparecido. Esta es una palabra programática, con la cual la Iglesia quiere expresar de manera sintética la esencia de la Navidad. Antes, los hombres habían hablado y creado imágenes humanas de Dios de muchas maneras. Dios mismo había hablado a los hombres de diferentes modos (cf. Hb 1,1: Lectura de la Misa del día). Pero ahora ha sucedido algo más: Él ha aparecido. Se ha mostrado. Ha salido de la luz inaccesible en la que habita. Él mismo ha venido entre nosotros. Para la Iglesia antigua, esta era la gran alegría de la Navidad: Dios se ha manifestado. Ya no es sólo una idea, algo que se ha de intuir a partir de las palabras. Él «ha aparecido». Pero ahora nos preguntamos: ¿Cómo ha aparecido? ¿Quién es él realmente? La lectura de la Misa de la aurora dice a este respecto: «Ha aparecido la bondad de Dios y su amor al hombre» (Tt 3,4). Para los hombres de la época precristiana, que ante los horrores y las contradicciones del mundo temían que Dios no fuera bueno del todo, sino que podría ser sin duda también cruel y arbitrario, esto era una verdadera «epifanía», la gran luz que se nos ha aparecido: Dios es pura bondad. Y también hoy, quienes ya no son capaces de reconocer a Dios en la fe se preguntan si el último poder que funda y sostiene el mundo es verdaderamente bueno, o si acaso el mal es tan potente y originario como el bien y lo bello, que en algunos momentos luminosos encontramos en nuestro cosmos. «Ha aparecido la bondad de Dios y su amor al hombre»: ésta es una nueva y consoladora certidumbre que se nos da en Navidad.leer...

    A mensagem natalícia "Urbi et Orbi" do Papa Bento XVI . Homilia de Bento XVI durante a missa da noite de Natal de 2011


    Amados irmãos e irmãs de Roma e do mundo inteiro!
    Cristo nasceu para nós! Glória a Deus nas alturas e paz na terra aos homens do seu agrado: a todos chegue o eco deste anúncio de Belém, que a Igreja Católica faz ressoar por todos os continentes, sem olhar a fronteiras nacionais, linguísticas e culturais. O Filho de Maria Virgem nasceu para todos; é o Salvador de todos.
    Numa antífona litúrgica antiga, Ele é invocado assim: «Ó Emanuel, nosso rei e legislador, esperança e salvação dos povos! Vinde salvar-nos, Senhor nosso Deus». Veni ad salvandum nos! Vinde salvar-nos! Tal é o grito do homem de todo e qualquer tempo que, sozinho, se sente incapaz de superar dificuldades e perigos. Precisa de colocar a sua mão numa mão maior e mais forte, uma mão do Alto que se estenda para ele. Amados irmãos e irmãs, esta mão é Cristo, nascido em Belém da Virgem Maria. Ele é a mão que Deus estendeu à humanidade, para fazê-la sair das areias movediças do pecado e segurá-la de pé sobre a rocha, a rocha firme da sua Verdade e do seu Amor (cf. Sal 40, 3).

    E é isto mesmo o que significa o nome daquele Menino (o nome que, por vontade de Deus, Lhe deram Maria e José): chama-se Jesus, que significa «Salvador» (cf. Mt 1, 21; Lc 1, 31). Ele foi enviado por Deus Pai, para nos salvar sobretudo do mal mais profundo que está radicado no homem e na história: o mal que é a separação de Deus, o orgulho presunçoso do homem fazer como lhe apetece, de fazer concorrência a Deus e substituir-se a Ele, de decidir o que é bem e o que é mal, de ser o senhor da vida e da morte (cf. Gn 3, 1-7). Este é o grande mal, o grande pecado, do qual nós, homens, não nos podemos salvar senão confiando-nos à ajuda de Deus, senão gritando por Ele: «Veni ad salvadum nos – Vinde salvar-nos!»
    O próprio facto de elevarmos ao Céu esta imploração já nos coloca na justa condição, já nos coloca na verdade do que somos nós mesmos: realmente nós somos aqueles que gritaram por Deus e foram salvos (cf. Est (em grego) 10, 3f). Deus é o Salvador, nós aqueles que se encontram em perigo. Ele é o médico, nós os doentes. O facto de reconhecer isto mesmo é o primeiro passo para a salvação, para a saída do labirinto onde nós mesmos, com o nosso orgulho, nos encerramos. Levantar os olhos para o Céu, estender as mãos e implorar ajuda é o caminho de saída, contanto que haja Alguém que escute e possa vir em nosso socorro.
    Jesus Cristo é a prova de que Deus escutou o nosso grito. E não só! Deus nutre por nós um amor tão forte que não pôde permanecer em Si mesmo, mas teve de sair de Si mesmo e vir ter connosco, partilhando até ao fundo a nossa condição (cf. Ex 3, 7-12). A resposta que Deus deu, em Cristo, ao grito do homem, supera infinitamente as nossas expectativas, chegando a uma solidariedade tal que não pode ser simplesmente humana, mas divina. Só o Deus que é amor e o amor que é Deus podia escolher salvar-nos através deste caminho, que é certamente o mais longo, mas é aquele que respeita a verdade d’Ele e nossa: o caminho da reconciliação, do diálogo e da colaboração.
    Por isso, amados irmãos e irmãs de Roma e do mundo inteiro, neste Natal de 2011, dirijamo-nos ao Menino de Belém, ao Filho da Virgem Maria e digamos: «Vinde salvar-nos»! Repitamo-lo em união espiritual com tantas pessoas que atravessam situações particularmente difíceis, fazendo-nos voz de quem a não tem.
    Juntos, invoquemos o socorro divino para as populações do Nordeste da África, que padecem fome por causa das carestias, por vezes ainda agravadas por um estado persistente de insegurança. A comunidade internacional não deixe faltar a sua ajuda aos numerosos refugiados vindos daquela Região, duramente provados na sua dignidade.
    O Senhor dê conforto às populações do Sudeste asiático, particularmente da Tailândia e das Filipinas, que se encontram ainda em graves situações de emergência devido às recentes inundações.
    O Senhor socorra a humanidade ferida por tantos conflitos, que ainda hoje ensanguentam o Planeta. Ele, que é o Príncipe da Paz, dê paz e estabilidade à Terra onde escolheu vir ao mundo, encorajando a retoma do diálogo entre israelitas e palestinianos. Faça cessar as violências na Síria, onde já foi derramado tanto sangue. Favoreça a plena reconciliação e a estabilidade no Iraque e no Afeganistão. Dê um renovado vigor, na edificação do bem comum, a todos os componentes da sociedade nos países do Norte da África e do Médio Oriente.
    O nascimento do Salvador sustente as perspectivas de diálogo e colaboração no Myanmar à procura de soluções compartilhadas. O Natal do Redentor garanta a estabilidade política nos países da região africana dos Grande Lagos e assista o empenho dos habitantes do Sudão do Sul na tutela dos direitos de todos os cidadãos.
    Amados irmãos e irmãs, dirijamos o olhar para a Gruta de Belém: o Menino que contemplamos é a nossa salvação. Ele trouxe ao mundo uma mensagem universal de reconciliação e de paz. Abramos- Lhe o nosso coração, acolhamo-Lo na nossa vida. Repitamos-Lhe com confiada esperança: «Veni ad salvandum nos».

    Amados irmãos e irmãs!
    A leitura que ouvimos, tirada da Carta do Apóstolo São Paulo a Tito, começa solenemente com a palavra «apparuit», que encontramos de novo na leitura da Missa da Aurora: «apparuit – manifestou-se». Esta é uma palavra programática, escolhida pela Igreja para exprimir, resumidamente, a essência do Natal. Antes, os homens tinham falado e criado imagens humanas de Deus, das mais variadas formas; o próprio Deus falara de diversos modos aos homens (cf. Heb 1, 1: leitura da Missa do Dia). Agora, porém, aconteceu algo mais: Ele manifestou-Se, mostrou-Se, saiu da luz inacessível em que habita. Ele, em pessoa, veio para o meio de nós. Na Igreja antiga, esta era a grande alegria do Natal: Deus manifestou-Se. Já não é apenas uma ideia, nem algo que se há-de intuir a partir das palavras. Ele «manifestou-Se». Mas agora perguntamo-nos: Como Se manifestou? Ele verdadeiramente quem é? A este respeito, diz a leitura da Missa da Aurora: «Manifestaram-se a bondade de Deus (…) e o seu amor pelos homens» (Tt 3, 4). ...


    The Story of Christmas Dom Prosper Gueranger

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