domingo, 20 de março de 2016

Mgr Aillet et la forme extraordinaire du rite romain

Mgr Aillet et la forme extraordinaire du rite romain

Lu sur le site du Journal du Pays Basque, qui reprend les propos tenus par Mgr Aillet, nouvel évêque de Bayonne, à la presse :
AAWOPOJCA14UPYQCAGL20P5CAZY3NDRCAGVG8DOCA35ORSUCAA1W3HSCA95OEQECAPOF3UECA5D33YMCAWIOOSSCAMDOET6CAGHZ1QMCAYWPM33CA4I1H03CATUA0ESCACM06P9CAN3UP91CAUOG2F3CA4HEFBPQ :"La messe traditionnelle en latin ?
R :"Je ne parle pas de tradition. Je parle de sacralité, de beauté de la liturgie qui passe en effet par des rites, fixés par l'Eglise, qui sont les rites d'aujourd'hui, car je suis pour la forme ordinaire. J'ouvrirai aussi ma porte à ceux qui sont attachés à la forme extraordinaire, dans la mesure où ils sont en communion avec le siège de Pierre et le concile de Vatican II (...)"

MISSA GREGORIANA E SEUS APÓSTOLOS ATUAIS






sábado, 19 de março de 2016

Cardinal Burke : pour une réforme en profondeur de l’Église

Cardinal-Burke

Cardinal Burke : pour une réforme en profondeur de l’Église

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Venu présenter à Paris la version française de son livre La Sainte Eucharistie, sacrement de l’amour divin (Via Romana), le cardinal Raymond Burke a lancé ce thème fort : « Je suis convaincu de la nécessité d’une réforme en profondeur de l’Église » (entretien dansL’Homme nouveau12 mars 2016). Et de développer : « Il faut des hommes de foi et de doctrine, des hommes en parfaite adéquation avec la foi catholique ». Ces hommes existent : « Dans divers pays du monde, je rencontre beaucoup de gens très bien formés, animés d’un saint et véritable zèle pour la réforme de l’Église. Je note aussi dans la jeune génération un grand désir d’écouter l’enseignement de l’Église en profondeur. Et aussi un intérêt pour la beauté de la sainte liturgie ». Et encore : il faut une transmission de la foi par « une bonne catéchèse » ; il faut des écoles qui soient vraiment catholiques ; il faut une formation des prêtres centrée sur l’eucharistie ; il faut un développement d’universités catholiques « fortes ».
Il a largement développé ces éléments, le 14 mars, dans une rencontre avec des prêtres diocésains, des religieux et des prêtres de communautés, puis dans une conférence de presse. À la manière de Joseph Ratzinger, il a donné son expérience douloureuse de la réforme liturgique : « Le chant grégorien et la polyphonie sacrée étaient abandonnés en faveur de musiques contemporaines, médiocres et souvent banales. Le latin ne se faisait guère ou jamais entendre, et les traductions anglaises des textes liturgiques utilisaient un langage ordinaire et peu soutenu. La chose la plus frappante fut le changement radical du rite de la Messe, réduisant largement son expression. Cette situation a été aggravée par les expérimentations liturgiques apparemment interminables et qui parfois m’ont laissé l’impression de ne pas avoir vraiment assisté à la Sainte Messe » (voir ici). Répondant à une objection qui faisait valoir que cette situation tenait aux « abus » de l’époque, il a insisté : il est vrai que les abus l’ont aggravée, mais le rite même de la messe a été « dénudé » par la réforme. La forme ancienne doit enrichir la forme nouvelle.
En comparant les propos du cardinal Burke sur la nécessité d’une réforme de l’Église, on est frappé par le fait que, à la différence de la « réforme » dont on parle à Rome depuis trois ans, sans jamais lui donner aucun contour précis, celle que veut promouvoir Raymond Burke – en citant constamment le cardinal Sarah – développe des éléments déterminés, dont on a l’impression qu’ils constituent une sorte de programme spirituel et institutionnel : restauration d’une catéchèse authentique ; promotion de la« confession fréquente » ; formation solide des séminaristes ; promotion des écoles catholiques. Avec ce leitmotiv : « La première catéchèse à entreprendre est la célébration de la sainte liturgie elle-même. Elle doit être restaurée dans sa propre dignité, non seulement en ce qui concerne la célébration du prêtre, mais également pour la participation des fidèles qui doit être digne, en fonction justement du profond mystère qui est célébré » (entretien dans L’Homme nouveau).

Benedetto XVI: la liturgia, una ripetizione solenne




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Tempo fa il cardinale Ratzinger sosteneva che la liturgia non è data all’arbitrio del celebrante che ne fa quel che vuole. È, piuttosto, la ripetizione solenne di atti e parole (1).
È abbastanza difficile rendersi conto di tutto questo entrando in una qualsiasi chiesa cattolica-latina. L’ultima volta che l’ho fatto il prete ha deciso di sua volontà di saltare a pié pari il “Gloria”, nonostante fosse domenica e questo non si potesse fare.
Ovviamente di lì a poco ho preferito girare i tacchi e uscire, per non vedere altro. Chi ben inizia è a metà dell’opera, dice un proverbio. Ma se un celebrante inizia con delle omissioni, logicamente ci si aspetta ben altro in seguito …
Nel mondo ortodosso, in qualsiasi chiesa si entri, con un prete fior di santo o un poveraccio, la liturgia non cambia. È quella. In quest’ultimo caso le parole di Joseph Ratzinger, quand’era cardinale, si adattano a pennello: la liturgia è ripetizione solenne di atti e parole.
Non so se il cardinale spiegò il perché di questa ripetizione o se si limitò a dire che la liturgia dev’essere così, per essere tale, e basta.
Quel che so è che oggi, venendo a contatto con una liturgia che “non cambia” ne ho immediatamente capito la ragione profonda.
Gli atti, che qualsiasi uomo compie normalmente, anche se sono simili tra loro (alzarsi, andare a lavorare, mangiare…) non sono mai “atti rituali” perché, oltre a non avere un riferimento teologico, hanno ogni giorno qualcosa di diverso. Ogni giorno ci si può alzare in modo diverso, ad un orario leggermente differente, con un umore e uno stile diverso, ecc. Ogni giorno ci si può vestire differentemente. Questo perché gli atti ordinari sono sottomessi ad un genere di tempo che scorre, il tempo lineare: ieri non è identico a oggi e oggi non sarà identico a domani. Pur nella similarietà delle azioni esiste una variabilità data dal fatto di viverle in una modalità mondana sottomessa, dunque, a mille condizioni e influenzata pure dalla dispersione.
Queste azioni sono immerse in un tempo lineare, con un passato, un presente e un futuro. Ne è segno chiarissimo la moda che non è mai identica a se stessa.
Le azioni rituali, invece, per essere tali, dunque sacre, oltre ad avere un riferimento teologico non possono essere sottomesse alle condizioni di un tempo lineare (2). È vero che anche loro possono essere materialmente fatte oggi, in un momento preciso, ma è pur sempre vero che, simbolicamente, si collegano ad un tempo ciclico, non lineare. Il rito è immerso nel tempo ciclico e ne è espressione.
Il tempo della liturgia è ciclico perché prevede una continua identica ripetizione: l’anno liturgico si ripete identicamente ogni anno cronologico. Anche  una singola celebrazione è identica ogni domenica, pur avendo qualche piccolo elemento variabile dato dalle esigenze della festa celebrata.
Perché una volta nella liturgia romana latina il canone di consacrazione era uno solo e non c’erano alternative? Proprio per sottolineare quest’aspetto!
Sono convinto che anticamente fecero questa scelta non perché privi di fantasia ma perché dovevano sottolineare la sacralità dell’azione liturgica.
Il tempo ciclico è un tempo liturgico, un tempo che simbolicamente interrompe la frantumazione inserita nel mondo dal tempo lineare in cui una persona nasce, cresce, invecchia e muore. Viceversa il tempo ciclico ripresenta, in ogni epoca, sempre la stessa messa, nel 1500, nel 1700, nel 1900…. La messa non invecchia – sarebbe una bestemmia definire “vecchia” una liturgia come fecero gli innovatori cattolici che, con questa definizione, dimostrarono di non capire l’identità profonda della liturgia (3) -, gli uomini sì.
In una chiesa ortodossa abbiamo la stessa liturgia pressapoco dall’XI secolo ad oggi e anche prima le liturgie non erano variabili a piacere. Le generazioni, soggette al tempo lineare, passano ma la liturgia, soggetta al tempo ciclico, rimane.
Questa liturgia, sostanzialmente immutabile perché legata al tempo ciclico, è sacra, dunque slegata alla frantumazione delle realtà soggette al tempo ordinario e, proprio perché tale, fa da ponte simbolico tra la terra e il cielo. Se così non fosse decadrebbe inevitabilmente a prodotto secolare, come ogni cosa del mondo normale (e decaduto) che passa e và.
Il vero rito è dunque quello immutabile per queste precise ragioni. Ne consegue che quanto vediamo oggi, nella maggioranza delle chiese cattoliche di rito latino, non è un vero rito ma tende in non pochi casi ad essere una parodia dello stesso. Ovviamente lo si fa senza rendersene conto perché già a partire dai seminari queste spiegazioni elementari non si dicono affatto! Ne consegue che i sacerdoti di nuova formazione più modellano secolarmente la liturgia più credono di fare “bene”, senza capire che, invece, rovesciano l’ordine anticamente stabilito.
Anche osservando i riti occidentali, dal punto di vista appena esposto, si giunge, dunque, alla medesima conclusione spesso tratteggiata in questo blog: siamo spesso davanti ad una profonda alterazione in cui si equivoca per rito quanto oramai ha cessato di esserlo. In molti casi il culto non essendo rito, nel senso esposto, ha come perso i pioli di una scala che, altrimenti, porterebbe in Paradiso. Infatti non si può scherzare con i simboli impunemente facendo decadere una liturgia dalla sua ciclicità e immutabilità ad una sorta di linearità soggetta alle mode del secolo. Anche chi non ci capisce nulla di rito e di simbolo lo vive inevitabilmente e vi si conforma: il suo spirito o si eleverà o si adagierà!
__________
1) “La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere “fatta” da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il “successo” in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è l’assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi”. La citazione è ripresa da un libro dello stesso cardinale: Rapporto sulla fede.
È un discorso che ha tutta la mia approvazione. Tuttavia non mi pare di vedere, qui, il concetto di “tempo ciclico” e di “tempo lineare” che ben spiegherebbe perché una liturgia deve essere fissa e non variabile!
2) Anche qui si consideri come la liturgia cristiana abbia preso la moda di un determinato tempo (gli abiti della corte romana e bizantina) per assumerli nella liturgia e NON CAMBIARLI PIU’, “eternizzandoli” nel tempo.
3) Nonostante il rischio di apparire polemici si deve, tuttavia, ricordare che gli artefici della liturgia rinnovata (attualmente in voga nella maggioranza delle chiese cattoliche) erano uomini, più o meno, soggetti a quest’ideologia. Non a caso, all’atto pratico, molto clero si mise contro le “cose vecchie” della liturgia tradizionale. Erano passate delle disposizioni nuove ma pure uno spirito nuovo con il quale, d’ora in poi, si doveva giudicare il mondo passato. Inutile dire che questi uomini, nonostante dichiarino un certo apparente interesse soprattutto per motivi “ecumenici” verso i riti orientali, in realtà li vedono come anticaglie medioevali.
Sò bene che qualcuno potrà contestare questa mia tesi dicendo che, in fondo, pure il nuovo messale della Chiesa cattolica latina ha elementi fissi. In realtà la possibilità di fare innovazioni, di avere diversi testi opzionali a scelta e di cambiare nel tempo lo stesso messale (ne sono state fatte già alcune edizioni con ampliamenti nel giro di pochi anni), è un dato di fatto inconstestabile.
Così mentre la liturgia antica (anche romano cattolica) rispettava il tempo ciclico, quella rinnovata è sempre più sottomessa al tempo lineare.
Fonte: http://traditioliturgica.blogspot.it/

Benedetto XVI: chi disprezza la liturgia antica disprezza l’intero passato della Chiesa


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«C’è bisogno come minimo di una nuova consapevolezza liturgica che sottragga spazio alla tendenza a operare sulla liturgia come se fosse un oggetto della nostra abilità manipolatoria.
La cosa più importante oggi è riacquistare il rispetto della liturgia e la consapevolezza della sua non manipolabilità. Reimparare a riconoscerla nel suo essere una creatura vivente che cresce e che ci è stata donata, per il cui tramite noi prendiamo parte alla liturgia celeste.
Questa, credo, è la prima cosa: sconfiggere la tentazione di un fare dispotico, che concepisce la liturgia come oggetto di proprietà dell’uomo, e risvegliare il senso interiore del sacro. Tutto ciò deve essere preceduto da un processo educativo che argini la tendenza a mortificare la liturgia con invenzioni personali.
Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l’atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuità con questa liturgia viene messo all’indice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto niente di questo genere; così è l’intero passato della Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente, se le cose stanno così? Non capisco nemmeno, a essere franco, perchè tanta soggezione, da parte di molti confratelli Vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione all’interno della Chiesa.
Oggi il latino nella Messa ci pare quasi un peccato. Ma così ci si preclude anche la possibilità di comunicare tra parlanti di lingue diverse, che è così preziosa in territori misti. Se nessuno sa più nemmeno cosa significhi “Kyrie” o “Gloria”, allora si è verificato un depauperamento culturale e il venire meno di elementi comuni. Ci dovrebbe anche essere una parte recitata in latino che garantisca la possibilità di ritrovarci in qualcosa che ci unisce.» (Benedetto XVI, Teologia della Liturgia)

Chi si avvicina alla Messa tradizionale finisce per innamorarsene



Il rito antico della Santa Messa e la purificazione della Chiesa

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 […] E’ innegabile che la Chiesa soffra oggi una delle crisi più profonde e gravi della sua bimillenaria storia: nella sua fede, nella disciplina, nella pratica religiosa. Non tutto è da attribuirsi ai tempi mutati e al “mondo”: cercare giustificazioni esterne senza affacciarsi all’interno stesso della Chiesa sarebbe un po’ deresponsabilizzante. Del resto, lo ha sottolineato in maniera efficace il Papa (Benedetto XVI – ndr) nel suo viaggio a Fatima: i mali peggiori per la Chiesa vengono dal suo interno stesso, come se per implosione il Demonio volesse farla cadere. E da dove partire, nell’analisi di questa “implosione”, se non proprio dalla liturgia, azione con cui la Chiesa rende presente Cristo stesso? Ben si capisce, allora, come la crisi della Chiesa sia intimamente connessa alla crisi della liturgia, come ebbe a dire l’allora cardinale Ratzinger: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’ (come se Dio non esistesse -ndr), come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero di Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale?”.
Il motu proprio (Summorum Pontificum – ndr) del Santo Padre offre quindi la possibilità di beneficiare dei tesori della liturgia antica e ricuperare così il senso del Sacro e del Mistero, che spesso si è perduto, ridando alla liturgia la dignità che le è propria. […] E’ chiaro, quindi l’auspicio del Papa affinché sia recuperato questo tesoro, innanzitutto per il bene della anime, che vi potranno attingere grazie su grazie. Non si tratta semplicisticamente della ‘messa in latino’ dove il celebrante ‘dà le spalle ai fedeli’: stiamo parlando invece di un rito antichissimo, in cui tutti sono rivolti al Signore e dove si gusta e si sperimenta una Presenza silenziosa che parla la lingua del mistero!
Si impara così che la Chiesa non è un ideale stare in cerchio a guardarsi l’uno in faccia all’altro, chiusi in se stessi, bensì è un popolo che, insieme, compatto, guarda al Sole che mai tramonta, all’Oriente da cui solo viene la salvezza. Il bello è che se non hai un messalino per seguirla, puoi uscire dalla messa antica senza aver capito nulla, ma hai scoperto… di aver capito tutto: parli con Qualcuno usando una lingua che non appartiene all’uso quotidiano – una lingua sacra, sperimenti una centralità che non è del prete né dell’assemblea che partecipa, ma di Colui che è Grande e a cui spetta l’Adorazione. Alloravedi che la liturgia non è questione di comprensione intellettuale e linguistica, bensì di adorazioneSe la liturgia non veicola l’incontro verso Dio e perde conseguentemente la sua sacralità, semplicemente fallisce, non serve, diventa un’evasione inutile, una cabala, mero teatro o, come disse ancora una volta il Cardinal Ratzinger, “una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi. Celebrare se stessi senza neanche rendersi conto di Lui” (Via Crucis 2005).
La difficoltà di tornare ad apprezzare questo tesoro si capisce facilmente, ed è né più né meno la stessa difficoltà che l’uomo di oggi trova nell’aprirsi al mistero della Redenzione. L’uomo del nostro mondo ama il protagonismo, è assolutamente convinto della propria autosufficienza: egli può tutto, non ha bisogno di nessuno, non ha bisogno di nessuno per essere salvato. Egli si salva da sé, con le proprie forze. Così egli mal tollera un rito in cui gli si chiede di mettere da parte questa superbia e di farsi solo adoratore, in ginocchio, del mistero che gli è donato. Eppure, quello che è successo dopo il Motu Proprio di Benedetto XVI sembra andare in una direzione contraria: chi si avvicina, senza pregiudizi e con cuore aperto, alla Messa tradizionale, finisce per innamorarsene. E la spiegazione è semplice: il Dio che parla nel silenzio non intavola discussioni con la mente dell’uomo, sempre restia ad aprirsi al mistero, ma bussa al Suo cuore, risvegliando la nostalgia del sacro. È proprio per questa sua caratteristica, per questo suo andare direttamente al cuore, che la Messa tridentina attira, e attira molto…[…] soprattutto in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di purificarsi e di tornare all’essenziale: preghiera e penitenza, come chiede il Papa, facendo proprio il messaggio della Vergine a La Salette, a Fatima e in molte altre apparizioni del XX secolo. La riscoperta della Messa tradizionale e il suo approfondimento possono aiutare davvero a ‘rimettere ordine’ nel nostro rapporto col sacro, aiutandoci a riconoscere il primato di Dio e dei suoi comandamenti, certi che il Cuore Immacolato di Maria trionferà – secondo il messaggio di Fatima – e che si avvererà il sogno di San Giovanni Bosco, quello in cui egli vide che due colonne salveranno la Chiesa: l’Eucaristia e l’Immacolata!
Don Luigi Iandolo

Cardinale Robert Sarah: il Vaticano II non ha mai chiesto di respingere il passato e abbandonare la Messa di San Pio V, che ha generato molti santi, e neppure di abbandonare il latino.


Cardinal Sarah : « Il Vaticano II non ha mai chiesto di abbandonare la Messa di S. Pio V »

Dall'edizione francese di Aleteia [qui]. L'intervista tocca molti 'punti caldi'. Per ora stralcio quello sulla Liturgia. Luci e ombre... che ne dite?
Dovete credermi, mi sento male ad esprimere quel che dirò perché è duro farlo nei confronti dei pastori. Ma pensate si possa e si debba tacere su quanto ha a che fare con la nostra appartenenza e fedeltà al Signore?
Non dimentichiamo che coloro che hanno applicato la Riforma liturgica, e di fatto vietato la Messa Tradizionale, sono gli stessi che hanno pilotato il Vaticano II. Dobbiamo molta gratitudine a Benedetto XVI, ma il Summorum è una delle questioni che gli hanno causato tra le più dure opposizioni finché non è stato in qualche modo costretto alle dimissioni per molteplici ragioni, alcune note perché emerse, e chissà quante altre sconosciute. E il card. Sarah sembra ignorare che la «guerra» è in un'unica direzione: contro il Rito Antiquior. Nessuno di noi - o solo qualche frangia di duri e puri - si oppone al NO. Anche se, l'ho ripetuto più volte, non si è mancato di sottolinearne pecche e diminutio in diversi studi, com'è prassi in ogni contesto che voglia rimanere vivo attraverso il connubio fede-ragione. Pecche peraltro riconosciute anche da Benedetto XVI quando ha detto letteralmente:
...accadde qualcosa di più: si fece a pezzi l'edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l'edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti. Non c'è alcun dubbio che questo nuovo messale comportasse in molte sue parti degli autentici miglioramenti e un reale arricchimento, ma il fatto che esso sia stato presentato come un edificio nuovo, contrapposto a quello che si era formato lungo la storia, che si vietasse quest'ultimo e si facesse in qualche modo apparire la liturgia non più come un processo vitale, ma come un prodotto di erudizione specialistica e di competenza giuridica, ha comportato per noi dei danni estremamente gravi.[...] (La mia vita, Ed San Paolo 1997, pag.114)
È vero quel che leggiamo di seguito nelle parole del cardinale sul mistero e anche sul fatto che nella Liturgia non c'è alcun posto per l'odio e il risentimento. Negli studi in cui accenno sopra non c'è alcun risentimento, ma solo dolorosa consapevolezza. Il risentimento e il disprezzo, insieme a capziose ragioni di ostinato rifiuto, lo incontriamo in molti vescovi e sacerdoti ogni volta che mendichiamo un Altare per le nostre celebrazioni.
E non manca, in queste parole - possiamo forse darlo per scontato? - l'accenno chiaro al Sacrificio di Cristo, oltre che all'incontro con Dio? Non c'è Cena senza il Sacrificio, non c'è mensa senza altare: è solo il Sacrificio di Cristo che ci rende commensali di Dio, figli redenti nel Figlio che, in Lui, offrono come lode e ringraziamento - sì a Sua gloria - le loro vite, partecipi del grande mistero della Creazione della caduta della redenzione e della rigenerazione nella Resurrezione. Cos'è, altrimenti, il cristianesimo?

Né politichese né lingua di legno. Colloquio esclusivo di Aleteia col cardinale della Guinea Robert Sarah, in visita in Francia.
La guerra Liturgica, le critiche del Papa, Manif pour tous, Islam e islamismo, grandezza dell'Africa ... Presente a Parigi per alcuni giorni in occasione della pubblicazione del suo libro Dio o nulla, [ne abbiamo parlato qui e qui] redatto in collaborazione con lo scrittore Nicolas Diat, il nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha risposto alle domande di Aleteia.
Eminenza, nel suo libro Dio o nulla, lei evoca più volte la «guerra liturgica» che divide i cattolici da decenni. Guerra particolarmente deplorevole, lei dice che su questa questione, essi dovrebbero essere particolarmente uniti. Come uscire ora queste divisioni e riunire tutti i cattolici intorno al culto reso a Dio?
Cardinale Robert Sarah: il Vaticano II non ha mai chiesto di respingere il passato e abbandonare la Messa di San Pio V, che ha generato molti santi, e neppure di abbandonare il latino. Bisogna d'altronde promuovere la riforma liturgica voluta dal Concilio stesso. La liturgia è il luogo dell'incontro con Dio faccia a faccia, per portarGli tutta la nostra vita, il nostro lavoro; e fare di tutto ciò un'offerta alla sua gloria. Non possiamo celebrare la liturgia in armi; e indossare una corazza d'odio di lotta, di rancore. Gesù stesso ha detto: «Prima di presentare la tua offerta, riconciliati con il tuo fratello». In questo «faccia a faccia» con Dio, il nostro cuore deve essere puro, privo di ogni odio, di ogni rancore. Ognuno deve rimuovere dal suo cuore ciò che può oscurare questo incontro. Ciò presuppone che ognuno sia rispettato nella sua sensibilità.

Non è forse proprio ciò che voleva Benedetto XVI?
Cardinale Sarah: Sì, questo è il significato del motu proprio Summorum Pontificum (luglio 2007, ndr) Benedetto XVI ha posto molte energie e speranze in questo impegno. Ahimè, non è riuscito del tutto in quanto sia gli uni che gli altri si sono «aggrappati» al loro rito escludendosi a vicenda. Nella Chiesa, tutti dovrebbero celebrare secondo la propria sensibilità. È una delle condizioni della riconciliazione. Bisogna anche condurre le persone alla bellezza della liturgia, alla sua sacralità. L'Eucaristia non è una «cena con amici» è un mistero sacro. Se la si celebra con fervore e bellezza, si arriva a una riconciliazione, è ovvio. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che è Dio che riconcilia, e questo richiederà tempo.
[...]
[Intervistato per Aleteia da Elizabeth Baldwin - Traduzione a cura di Chiesa e post concilio]

Il valore della liturgia tradizionale.... Anzitutto la millenaria bellezza e solennità di questa liturgia.


Il valore della liturgia tradizionale
di don Claudio Crescimanno
articolo pubblicato su Il Timone n.66 (settembre 2007)
La coraggiosa decisione del Santo Padre di liberalizzare, alle giuste condizioni, l’uso del messale del 1962, ha riportato all’attenzione della Chiesa il valore delle forme liturgiche tradizionali. Questi valori sono sostanzialmente tre.
1. Anzitutto la millenaria bellezza e solennità di questa liturgia.
La struttura essenziale della messa romana si è andata formando nei tempi dei papi Damaso (366-384) e Gelasio (492-494) e ha ricevuto il suo assetto definitivo con l’opera di Gregorio Magno (590-604): con il VII secolo può, dunque, considerarsi costituita, anche se, quale organismo vivente, continuerà a crescere ininterrottamente nei secoli seguenti.
La struttura fondamentale di questa liturgia è così composta:
  • la processione dei ministri dalla sacristia al presbiterio durante il canto dell’Introito;
  • di seguito, quando il celebrante ha raggiunto la sua sede, il canto del Kyrie e del Gloria, e poi il saluto liturgico e la Colletta, cioè l’orazione che chiude i riti di ingresso e apre la liturgia della Parola;
  • quindi la lettura apostolica, i canti interlezionari e il brano evangelico con l’omelia;
  • la processione offertoriale accompagnata dal canto e concluso dalla sua orazione;
  • il Prefazio concluso dal canto del Sanctus e seguito dalla solenne preghiera eucaristica, il Canone romano;
  • poi il Padre nostro e i riti di Comunione con i loro canti;
  • infine il saluto liturgico, l’orazione finale, il congedo proclamato dal diacono e la processione di uscita, durante la quale il celebrante benedice i circostanti.leggere...

La santa messa si può definire come atto supremo del culto di Dio Uno e Trino, mediante il sacrificio redentore di Gesù Cristo compiuto sulla croce, che si rinnova ossia rende presente sull'altare attraverso la ripetizione dell'Ultima Cena, sacramento del sacrificio di Cristo


Spiegazione della
messa tridentina
di don Ivo Cisar








1. Due riti distinti
2. La santa messa
3. Le principali differenze
4. Il sacrificio eucaristico
5. Un solo sacerdote
6. L'altare
7. Il latino e la partecipazione
8. Il sacerdote e i fedeli
9. Profonda umiltà
10. Ricchezza e bellezza
11. Le letture
12. L'Offertorio sacrificale
13. La conclusione
14. Riti e simboli
15. Un recupero pastorale

quarta-feira, 16 de março de 2016