Premessa
P. Vassallo ci ricorda che dalla lettura di Romano Amerio, Mons. Gherardini rileva l'unicità della passione di Cristo e della Chiesa, "unico essendo il martirio che, nella corsa del tempo, s'accanisce sul Cristo mistico con quella medesima virulenza con cui a suo tempo s'accanì contro le carni immacolate del Cristo fisico" (Cfr.: Aa. Vv. Passione della Chiesa. Amerio e altre vigili sentinelle, Il Cerchio, Rimini 2011, pag. 21). Egli afferma: "Qualcosa di più sottile e di più diabolico della persecuzione cruenta stringe la Chiesa in una strozza mortale, nell'intento di soffocare il rapporto della mistica Sposa con lo Sposo celeste, d'aprirla all'amplesso neomodernistico e soffocante della cultura contemporanea pacificandola con essa e con il mondo totus in maligno positus (1Gv 5,9)".
Causa della passio Ecclesiae, che si rinnova ad ogni epoca e segnatamente dopo il Concilio Vaticano II, è l'illusione di poter trovare un'intesa con gli apostati odierni. Possibilità totalmente infondata, fatta propria da una gran parte della gerarchia, che sta trascinando la Chiesa in una spirale di deviante ottimismo e superficiale buonismo.
Si avverte l'influenza della "nouvelle Théologie" e della scuola di Francoforte. L’ordine diventa l’ordinamento rigido e ostile, la legge diventa la legislazione tirannica e malvagia... Il limite che nello schema cosmologico antico era garante dell’ordine armonico, nel clima conciliare diventa la barriera esteriore che bisogna superare. E la Chiesa rompe con la gerarchia per lasciarsi abbracciare dalla Comunione, come se prima del Concilio non ci fosse la Comunione e come se questa non fosse la ragion d'essere o meglio lo 'status' che qualifica la Chiesa perché è la Comunione dell'ut unum sint, operata dal Signore e realizzabile solo in Lui.
Stroncature vaticane ed altre.
E' in questo clima che messaggi come quello di Mons. Gerardini, del Prof. de Mattei, nonché le recenti fatiche dei Francescani dell'Immacolata promosse e coordinate da padre Serafino Lanzetta, almeno apparentemente, "non passano" e non fecondano una discussione attenta a recuperare la Verità tutta intera per incarnarla e quindi trasmetterla senza svianti commistioni 'spurie' o deplorevoli abbandoni delle sue più splendenti espressioni. Anzi, essi rischiano di rimanere soffocati e vanificati dalle arbitrarie sperimentazioni dalle radici aeree e inconsistenti sganciate dalla Tradizione - protese ad introdurne una nuova, con le 'vesti' ma non con la sostanza della "continuità" - pretendendo prenderne il posto. Possiamo vedere dove gira il vento proprio dalla lettura di alcuni fatti significativi susseguitisi di recente.
- 2 febbraio - Tra impliciti inviti al sincretismo religioso e velate accuse al rito tradizionale. L’Osservatore Romano attacca la “Dominus Jesus” e l’ “Ecclesia Dei”?
- 6 marzo - Liturgia in continua evoluzione? Nuovo 'attacco' alla Tradizione da parte dell'Osservatore Romano [commentato qui]
- 8 aprile - Andrea Tornielli, dopo il precedente clamoroso (perché tanto inopinatamente quanto inopportunamente sferrato il giorno di Natale) attacco alla Tradizione [commentato qui], rincara la dose su "Quei cattolici con la sindrome del Concilio" [commentato qui - con un seguito qui]
- 14 aprile - Su L'Osservatore Romano l'arcivescovo Agostino Marchetto recensisce lo storico Roberto de Mattei attribuendogli una scrittura ideologica, tendenziosa.
- 15 aprile - Inos Biffi recensisce l'ultima fatica di mons. Gherardini definendo implausibile qualunque ipotesi di "rottura" e stroncando come denigrazione basata su tesi preconcette, l'articolata e limpida esposizione, fatto salvo il riconoscimento della "rozza situazione d'anarchia che è sotto gli occhi di tutti" in campo liturgico. Su queste sue "letture conciliari" in raffronto a quella di Mons. Gherardini si dilungherà il commento che segue.
- 18 aprile - Gherardini e de Mattei vengono presentati come i cosiddetti "grandi delusi da Papa Benedetto", da Sandro Magister. Più che “delusi” credo che gli insigni studiosi, ai quali nel precedente articolo Magister aveva associato E.M. Radaelli, amerebbero essere definiti “non deludenti”, proprio in virtù delle loro critiche propositive.
Alcune osservazioni sulla recensione di Inos Biffi a Mons. Gheradini
La recensione di Biffi sorvola sul fatto che Il discorso mancato va ormai ben oltre la critica al Concilio, già diffusamente contenuta in opere precedenti [Un discorso da fare - Quod et tradidi vobis - Quaecumenque dixero vobis e Il discorso mancato] che, più che critiche, sono propositive a partire da analisi serie e ben argomentate. Quest'ultima opera direttamente chiamata in causa, rivela con adamantina chiarezza le ragioni che non hanno consentito il discorso da fare per dirimere e sanare, con la necessaria autorità, ambiguità e elementi di rottura che appartengono al post-concilio nella misura in cui esso rappresenta il momento attuativo di quelle spinte innovatrici già presenti e operanti nell'Assise conciliare. Fenomeni ben evidenti (vedi successivo riferimento al gegen-Geist) alla consapevolezza di molti studiosi costretti a subire un pesante silenziamento (Gherardini, Siri...) oppure una vera e propria damnatio memoriae (Amerio, Spadafora, Ottaviani, lo stesso Siri...).
Lo "spirito del Concilio" viene denunciato dall’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI, sostenitore dell’ermeneutica della continuità con il passato «in una sorta di mai interrotta autoriforma», e in esso scorse gli estremi di un «gegen-Geist», ovvero «contro-spirito». Le due pubblicazioni di Gheradini - il discorso da fare e il discorso mancato - «hanno in comune con l'ermeneutica ratzingeriana la rilevazione ed il rifiuto del gegen-Geist, se per esso si intende quell'assurdo giudizio sul Vaticano II che avrebbe messo a tacere più di venti secoli di storia ed avrebbe dato voce ad un modo sostitutivamente e costitutivamente altro rispetto all'intero corso della Tradizione ecclesiastica, oltre che al contenuto integrale di essa. Le due pubblicazioni tuttavia non assumono l'idea che quel gegen-Geist avrebbe cancellato radicalmente o avrebbe tentato di farlo, il vero "spirito" del Concilio. Si chiedono, anzi paradossalmente e provocatoriamente se l'autentico "spirito" del concilio non abbia praticamente colluso con il "contro-spirito". (v. Il discorso mancato, pag.25)»
Ignorare questo e partire per la tangente, dimostrando una proclamata - e finora presunta in quanto non dimostrata - continuità, soprattutto a partire da citazioni mirate della Mediator Dei, mi pare sia, nella recensione di Biffi, un criterio già privo in partenza di elementi valutativi e propositivi in ricerca di soluzioni ormai ineludibili oltre che indifferibili e miri a mantener lo status quo, lasciando quindi aperte, senza neppure sfiorarle, tutte le pressanti e serie questioni tuttora sul tappeto. Sostanzialmente si richiama l'ormai celebre "mantra": gli abusi ci sono, ma non è colpa dei documenti conciliari. E lì ci si ferma, limitandosi oltretutto alla questione liturgica, mentre nei libri di Gherardini c'è ben dell'altro e di più fondamentale, addirittura in crescendo nelle conclusioni. Questioni che, invece, risultano eluse. Perchè? Può arrivare a definire -del tutto arbitrariamente- ideologica la chiave interpretativa di Mons. Gherardini, solo chi segue l’ostinata ripetitività dell’accennato "mantra". Tant’è che la stessa questione "antropocentrica" viene liquidata senza entrare troppo nel merito e genericamente risolta con riferimento alla partecipazione attiva, cui si accenna più avanti.
La conoscenza della Storia della Chiesa non dovrebbe far trascurare che fu proprio la crisi del movimento liturgico, che già aveva in sé i germi della rottura, ad ispirare a Pio XII la Mediator Dei. I copiosi riferimenti che Biffi fa ad essa, che effettivamente ha ispirato in molti punti la Sacrosanctum Concilium, non tengono in alcun conto quanto l'attuazione della Costituzione conciliare si sia di fatto allontanata dalle prescrizioni originarie, facendo leva su alcune eccezioni che poi sono divenute una regola - che oggi sembrerebbe intoccabile - in alcuni casi in contrasto evidente con indirizzi dati dalla SC stessa. Non è già questa la dimostrazione pratica che il gegen-Geist era già presente in alcune pieghe apparentemente nascoste in quanto affidato a elementi secondari e scollegati dalla dichiarazione di principio cui risultano susseguenti nel testo? E' ormai sotto gli occhi di tutti che la forza normativa dei principi, attenuata dalle non poche eccezioni previste, ha provocato un'anarchia - anzi un'anomia - che sta ingigantendosi.
Tutto questo lo si può affermare non solo per la Sc, ma anche per molti altri documenti conciliari, il cui esame è approfondito dai dibattiti tuttora in corso. Ma la Sacrosanctum Concilium assume una rilevanza particolare perché riguarda la Liturgia, culmine e fonte della nostra Fede, mentre il suo intersecarsi con la nuova concezione di sé che la Chiesa esprime nella Lumen Gentium nonché con i punti innovativi della Gaudium et Spes, intesse un nuovo concetto ma anche un nuovo inveramento di Chiesa. Sono dati evidenti, dimostrati in altra sede, su cui occorre qui sorvolare per non perdere il filo di questa trattazione.
Da notare che Inos Biffi si serve dei giudizi espressi dal suo omonimo cardinale sia sulla Gaudium et Spes che sulla "incolpevolezza" della Sacrosanctum Concilium rispetto alle "aberrazioni" successive; il che non risolve il problema delle riconosciute aberrazioni, sulle quali occorrerebbe spostare l'attenzione in termini analitici e propositivi. Ma non se ne riconosce la necessità, perché si dà al dispiegamento dell’opera pastorale il merito di aver favorito la partecipazione sempre più attiva dei fedeli all’azione liturgica, negandone le implicazioni antropocentriche ed orizzontaliste. Anche questo è un discorso tutto da fare - pur se di fatto accantonato e rimosso - perché non si può ridurre la "partecipazione attiva" dei fedeli ad un maggiore coinvolgimento nei ruoli, sostanzialmente ad un 'fare' materiale e ad una facilitazione linguistica (come se la comprensione e l’assimilazione del Mistero potessero dipendere da essa) che oltretutto non è stata rispettosa né della sacralità né della sublime intraducibilità delle antiche formule della Vetus latina. Esse divengono presto comprensibili e il Mistero sempre più assimilabile, per chi si fa presente a Colui che si fa Presente e conosce e vive cosa ‘accade’ nella Liturgia, primariamente Actio di Cristo e non dell’Assemblea.
Passiamo in rassegna velocemente alcune contraddizioni della esecuzione della costituzione SC, tenendo presente che i documenti del concilio vanno letti anche nell'intersezione con gli interventi dei papi prima, durante e dopo le Costituzioni. Che si fossero precocemente evidenziate zone poco chiare lo dimostrano le seguenti parole della Misterium Fidei, nella quale Paolo VI già nel 1965 lamenta: "non si può tollerare che un privato qualunque possa attentare di proprio arbitrio alle forma con cui il concilio tridentino ha proposto a credere il mistero eucaristico". Alla resa dei conti è una delle questioni che risultano maggiormente cadute nell'oblio.
Lo stesso card Antonelli, uno degli autorevoli sostenitori del rinnovamento, dopo aver sottolineato lo sperimentalismo selvaggio, poteva affermare: "Nessuno ha più il senso sacro e vincolante della legge liturgica", denunciando che "i cambiamenti continui imprecisi e qualche volta meno logici e il deprecabile sistema degli esperimenti hanno rotto le file le tutti più o meno agiscono di proprio arbitrio".
Un'altra delle contraddizioni dell'esecuzione della SC è individuabile nello iato tra Sacra liturgia e lingue nazionali, che in un primo momento erano previste solo per le letture e alcune formule delle messe degli sposi. Interviene l'Istruzione Inter oecumenici ad autorizzare la lingua volgare oltre che nelle letture e nella preghiera universale anche nell'ordinario della messa, al di fuori e oltre ogni previsione della SC, mentre il volgare giunge anche al canone della Messa il 31 gennaio 1967, sebbene la prescrizione originaria prevedesse il testo latino.
Lo stesso altare versus populum viene definito da Mons. Gherardini "una dittatoriale disposizione, priva d'ogni giustificazione storica e liturgica".
Se, come detto e ripetuto da Benedetto XVI sin da quando era cardinale, era auspicabile lo sviluppo organico e non l'innovazione radicale né bisognava inventare formule nei riti, per cui non doveva darsi né rottura né rivoluzione, il fatto che la riforma è andata oltre i confini già stabiliti dal concilio è constatabile da chiunque. Gli adattamenti previsti sono diventati rifacimenti personali dei sacri riti da parte del sacerdote... L'influenza grandissima della svolta antropologica di Rahner, non tanto pensata quanto indotta, ha provocato la desacralizzazione e "deformazioni della liturgia ai limiti del sopportabile" (ancora un'espressione di Ratzinger). E tutto questo non è senza fondamenti ecclesiologici e teologici di nuovo conio. Ci troviamo di fronte ad una "continuità" riformistica e ci asteniamo dal comprometterla - al pari di mons. Gheradini - col significato che collega l'aggettivo con la Riforma di Lutero, ma non possiamo non concludere che il discorso mancato è tuttora un discorso da fare.
Maria Guarini