Mons. Mario Oliveri Vescovo di Albenga-imperia, nella Prefazione al libro di Mons. Brunero Gherardini Il Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, concludendo nell’unirsi alla supplica finale, scrive (i corsivi sono nel testo originale):
«Il filo conduttore di tutti i suoi scritti è sempre quello che mette in logico e - direi - ferreo collegamento verità rivelata e verità meditata dall’umano intelletto illuminato dalla fede sostenuto dalla teologia dei Padri della chiesa, sistematizzata dalla grande teologia scolastica, tramandatasi per secoli; sorretto dall’insegnamento del Magistero della chiesa, che mai può essere in contraddizione con se stesso, che solo può avere uno sviluppo così omogeneo da non dire mai nova, ma tutt’al più nove (secondo la terminologia del “Commonitorium” di san Vincenzo di Lerino).Mi accorgo che con queste espressioni mi riferisco ad una concezione filosofica e quindi anche teologica (nella misura in cui si dà attenzione alla verità rivelata) che riconosce all’umano intelletto il suo vero valore e la sua vera natura, così da considerarlo capace di raggiungere e di aderire ad una verità che è immutabile, come immutabile è l’essere di tutte le cose, perché dall’essere Assoluto, da colui che è, trae per creazione la sua natura. Ma l’intelletto non crea la verità, poiché non crea l’essere: l’intelletto conosce la verità, quando conosce il ciò che è delle cose.Al di fuori di una tale visione, al di fuori di una tale Filosofia, qualsiasi discorso sullaimmutabilità della verità e sulla continuità di adesione dell’intelletto alla stessa identica verità non terrebbe più, non avrebbe più alcuna sostenibilità. non resterebbe che accettare una mutabilità continua di ciò che l’intelletto elabora, esprime e crea.Anche un discorso sullo sviluppo omogeneo del dogma, o dell’insegnamento della chiesa attraverso i secoli, nel fluire del tempo e della storia, non potrebbe più farsi con la possibilità che sia compreso, proposto ed accolto. ci si dovrebbe arrendere ad uncontinuum fieri sul piano di una “verità” non più conosciuta e riconosciuta dall’intelletto, ma da questo elaborata in base a ciò che appare e non a ciò che è».
Inoltre, nell’articolo “La riscoperta di Romano Amerio”, pubblicato dal mensile Studi Cattolici, Milano, giugno 2009, Mons. Oliveri afferma:
Continuità o rottura con la tradizione?«Perché ora, qui e là, sembra esservi a riguardo del pensatore di Lugano una qualche attenzione, un atteggiamento un poco mutato? Forse perché almeno in certi ambienti ecclesiali (non però sicuramente in tutti) ci si sta accorgendo, e quasi si sta costatando, che senza continuità di pensiero, e quindi nell’azione; che senza continuità nella conoscenza e nell’adesione alla verità conosciuta, non è possibile fare un discorso serio su alcuna cosa, non è possibile dire una parola che valga la pena di ascoltare, di credere, di trasmettere, di farne la base per l’umano comportamento, per l’umano vivere?».
___________________http://chiesaepostconcilio.blogspot.pt/2014/10/lepurazione-continua-mons-mario-oliveri.html«Si sta forse prendendo atto che là dove il concilio vaticano II è stato interpretato come discontinuità con il passato, come rottura, come rivoluzione, come cambiamento sostanziale, come svolta radicale, e dove è stato applicato e vissuto come tale, è nata davvero un’altra “chiesa”, ma che non è la chiesa vera di Gesù Cristo; è nata un’altra fede, ma che non è la vera Fede nella divina Rivelazione; è nata un’altra liturgia, ma che non è più la liturgia divina, ma che non è più la liturgia tutta intessuta di trascendenza, di Adorazione, di Mistero, di grazia che discende dall’Alto per rendere davvero nuovo l’uomo, per renderlo capace di adorare in spirito e verità; si è andata diffondendo una morale della situazione, una morale che non è ancorata se non al proprio modo di pensare e di volere, una morale relativistica, a misura del pensiero non più sicuro di nulla, perché non più aderente all’essere, al vero, al bene».