Omelia Prima Messa - 24 dicembre 1983: Lc 2, 1-14
"Oggi vi è nato un Salvatore"
Miei cari fratelli, l'annuncio dell'angelo è stato ripetuto per noi in questa notte e l'annuncio è incredibile, è impossibile credere quello che gli angeli anche stasera ci hanno ripetuto: un Dio è nato per noi.
Chi siamo noi perché Dio ci conosca e ci ami? Chi siamo noi perché un Dio si debba fare uomo, bambino, nella povertà della sua nascita, per me? È possibile credere, è possibile davvero pensare che la nostra umile vita debba essere non solo conosciuta da Dio, ma il termine di questo amore infinito? Dagli abissi del cielo Egli è disceso fino a me e mi ha donato Se stesso.
Troppo grande è quello che la Chiesa ci insegna, perché noi riusciamo anche soltanto a pensarlo. È giusto che il mondo di oggi veda nel cristianesimo un mito. Si esige davvero qualche cosa di eroico nella fede, per credere all'annuncio che ci è stato fatto stanotte. Sono amato da un Dio, un Dio mi ama, un Dio che vuol vivere per me, un Dio che si fa bambino perché io lo porti sopra le braccia, un Dio che aspetta da me di esser nutrito, difeso, protetto. Già incomprensibile il fatto che abbia voluto che io nascessi, che Egli abbia voluto che io fossi; quale ragione vi era perché dal nulla io comparissi all'esistenza e mi fosse donata una vita che non conosce più fine? Già incomprensibile il fatto che Dio fin dall'eternità abbia voluto pensarmi, ma è veramente impossibile anche a pensare che questo Dio non mi abbia voluto creare che per darmi Se stesso infinito.
Che cosa dunque ha attirato a me il suo amore immenso? Quale ragione al suo amore? Io che mi sento così indegno di avere anche altri che mi pensi e mi ami, debbo credere che Dio stesso, l'Infinito, l'Eterno, voglia vivere per me, voglia morire per me, voglia farsi mio cibo, voglia divenire il compagno di tutta la mia esistenza, voglia essere Lui la mia ricchezza e la mia gioia, la mia vita.
Miei cari fratelli, è difficile crederei e penso che nessuno veramente creda, perché, se credessimo, la nostra vita quaggiù sarebbe già paradiso. Che cosa importano tutte le malattie, tutte le disgrazie, tutte le rovine? Che cosa importano se ci sentiamo amati da un Dio? Come potrebbero mai tutte le sofferenze, tutte le umiliazioni, togliere qualche cosa alla nostra gioia, alla pienezza di questa gioia che ci dovrebbe riempire e colmare? Ma noi non possiamo avere questa, gioia perché non sappiamo credere di esser; amati così.
Il Natale non è una festa soltanto di tenerezza perché è nato un bambino, ma perché nel bambino che è nato è Dio stesso che ci ha rivelato il suo amore, e il suo amore è immenso, e il suo amore è infinito. Tanto ci ama che non è Lui che sembra volerci donare ogni cosa, è Lui, piuttosto che aspetta da noi la sua vita. Sì, perché proprio questo è l'amore; chi ama non è consapevole di donare, ma trova in quello che riceve la sua gioia. Così Dio non ha la sua gioia e la sua vita che in questo: nell'esser portato sulle braccia dalla sua Vergine Madre, nell'essere stretto al suo seno, nel sentirsi protetto e difeso dalle braccia materne, da noi, che pure siamo sue creature. Questo è l'amore che Egli non ci dona, ma accetta e vuole in quello che noi gli doniamo, vuole trovar la sua vita, vuol avere la sua gioia e la sua ricchezza.
Possibile che Egli aspetti qualche cosa da me? Eppure facendosi bambino, Egli deve aspettar tutto da me. L'amore veramente ha trasformato veramente i ruoli, Dio che è l'Immenso, ecco, si fa più piccolo di me, per essere, dicevo, da me difeso e protetto. Lui che è l'infinito, si fa debole perché io debba essere la sua forza; si fa impotente perché io debba essere la sua difesa e la sua protezione.
No, non è possibile credere, troppo grande, ci ha amato troppo, perché noi potessimo veramente accettare di essere amati così, finché ci amava per darci il suo paradiso, l'avremmo accettato, ma è troppo quello che Egli ci dà e non so che farmene nemmeno del paradiso, dal momento che mi ha dato Se stesso e che ha voluto, oltre che a darmi Se stesso, ricevere qualche cosa da me, come se io fossi la sua vita e la sua gioia.
"Oggi vi è nato un Salvatore", diceva il testo liturgico, ma Dio non dice questo quando nasce. Quando nasce Egli piange, vagisce perché vuole il latte della Madre, perché vuole che la Madre lo stringa al suo petto perché non senta più il freddo della notte. È Lui che chiede qualcosa, Lui che ci dà tutto. Eppure, finirà la Messa e noi andremo a dormire. Finirà la Messa e noi continueremo a vivere come se nulla fosse avvenuto: possiamo dire di credere? Possiamo dire davvero che il messaggio cristiano veramente è stato accolto da noi? Com'è possibile che possa dire di credere, quando io posso ancora mangiare e bere e vivere come sempre e non morire di amore dinanzi a tanto amore che Egli ha avuto per me? No, non so che farmene di una vita buona, di una vita santa, l'unica cosa che voglio è morire davvero di amore come Egli è morto, morto per me così. Che me ne faccio della santità e del paradiso? Ho ricevuto ben di più della santità e del paradiso se Egli si è dato a me, se veramente Egli ha voluto essere tutto per me?
Miei cari fratelli, una cosa chiedo per me e la chiedo anche per voi, che riusciamo a credere un poco di essere amati così, ma crederlo veramente. Allora la nostra vita non potrà non cambiare, allora la nostra vita non potrà non essere nuova, una festa, una gioia immensa, pur nella debolezza di questi giorni di vita, pur nella povertà della nostra esistenza terrena. Pensa forse, un innamorato, uno che sposa, alle difficoltà della vita, al lavoro che lo attende, alla pazienza che dovrà avere coi datori di lavoro, alla salute che può mancare? A nulla può pensare, l'amore è sufficiente a se stesso, l'amore può coprire ogni cosa, farci dimenticare di tutto, l'anima che ama già vive fuori di sé. E noi, noi che siamo amati da un Dio e che dobbiamo amarlo, perché Egli ci chiede questo amore - e non so che se ne faccia - noi che dobbiamo amarlo, noi non riusciremo ancora a vivere senza essere ebbri, senza uscire fuori di noi stessi, senza far della nostra vita un solo volo di amore, un solo canto di amore? No, credo che veramente non crediamo, credo che sia tutta una menzogna quello che noi diciamo di credere.
Ma stasera noi vogliamo accogliere l'annuncio dell'angelo; Egli è nato per me "Vi è nato" - dicevano gli angeli ai pastori e ce l'ha ripetuto la Chiesa - è nato per me, è nato per voi. Non è un fatto lontano, non è un avvenimento che non ci riguarda, è l'unica cosa che ci riguarda, perché nessuno vive per noi, nessuno è per noi come lo è il figlio di Dio, nella sua umiltà, nella sua morte di croce; Egli non ha per termine che me, non vede che me, non vuole che me, a me totalmente si dona. Questo è l'annuncio. E io chiedo, per me e per voi, che sappiamo accettare l'annuncio, accogliere questo dono di amore, credere a questo amore infinito, abbandonarci a questo amore infinito, lasciarci possedere da questo amore infinito, lasciarci colmare da questa pienezza di amore per trasformarci anche noi davvero, in una risposta sia pure di amore povero, ma trasformati in amore anche noi, per vivere nella gioia di essere amati e di amare Colui che tanto ci ha amato.
In questa notte del mondo, finché non sorga la luce del giorno ultimo e noi lo possiamo vedere faccia a faccia, che prosegua il nostro cammino verso di Lui nell'umiltà e nella pace, nella fede e nell'amore e sia domani una festa, la festa che non termina più nel possesso eterno di quel Dio che così tanto ci ha amato e ha voluto essere per noi la gioia eterna del cielo.