Seguire il padre don Divo nelle sue meditazioni sulla Messa e in particolare sull’Eucarestia certo significa proporsi di “volare alto”… Così scrive nel 1967: «Tutta la storia precipita in quell’atto, vive in quell’atto, tutto tende a quell’atto e vi trova il suo compimento. È l’atto del Cristo. Al di là non vi è storia, non vi è vita, ma ogni vita, ogni storia non è che partecipazione a quell’atto che riassume e compie la vita dell’intero universo».
Si capisce che per un uomo che parla così, la Messa è tutto. Di questo danno testimonianza concorde tutti i fratelli che hanno vissuto con lui a casa San Sergio e tutti coloro che hanno preso parte alle sue meditazioni, esercizi spirituali, ritiri… concordi nell’affermare quanto il padre desiderava che comprendessimo bene, investendo in questo tutte le nostre potenze, che per la vita di ciascun battezzato la Messa deve essere tutto: esperienza vissuta, preparata, sentita come incontrovero vivo e drammatico con Gesù Cristo. E questo incontro, come si sa, è di due tipi: l’incontro misterioso e indicibile con il sacramento eucaristico che si fa presente sull’altare e si fa cibo e, nella prima parte del rito, l’incontro con Cristo che si fa Parola e nutre l’intelligenza e il cuore.
In questo articolo focalizziamo la nostra attenzione su questa “mensa della Parola” che precede e dà contenuto al Sacramento.
Se già all’inizio della sua vita sacerdotale il rapporto con la Sacra Scrittura è all’origine della sua vita interiore e dà l’occasione per innumerevoli commenti e meditazioni, con la riforma liturgica don Divo si fa guidare totalmente dalla Parola proclamata nella liturgia del giorno. È felice della nuova ricchezza di testi che dal 1974 la Chiesa offre ai fedeli e da quel momento, con pochissime eccezioni, le letture della Messa saranno il punto di partenza non solo dell’omelia del giorno, ma spesso di interi ritiri o corsi di esercizi. E sovente don Divo scoprirà con commozione che la Parola proclamata risponde proprio ai bisogni o alle tematiche che egli propone alla sua Comunità. Da qui deriva la venerazione per questa Parola che sente interagire attivamente con la sua vita.
Più volte [e specialmente nel volume LA MESSA, ed. Parva] parlando delle tre tappe del processo di rivelazione di Dio – rivelazione cosmica, profetica, cristiana – ci ha spiegato che nella Messa è presente, nel pane e nel vino, la dimensione della creazione e naturalmente il Cristo che è presente nell’Atto del suo sacrificio. Tra le altre due, la dimensione profetica è quella del Verbo che si comunica nella Scrittura.
Ma lasciamo a lui la parola:
«La liturgia della Parola cui prendiamo parte nella Messa non è “soltanto” la Parola di Dio, una narrazione che accogliamo col nostro intelletto, è la prima manducazione, nutrimento dell’anima, ci introduce progressivamente ma realmente nella conoscenza di Dio e questa conoscenza progressivamente ci trasforma. Di fatto Geremia, Ezechiele, Giovanni nell’Apocalisse, divorano il libro della parola di Dio. Questa manducazione che è caratteristica dominante della rivelazione profetica però riguarda anche noi; fintanto che la storia continua si è in un tempo parzialmente profetico: la parola di Dio attende d’incarnarsi in noi dilatando l’incarnazione divina senza distruggere la nostra distinzione personale dal Cristo che si comunica a noi come lo sposo alla sposa. La liturgia della parola ci dice che c’è ancora una liturgia parzialmente profetica come quella dell’antico Testamento, che riguarda noi che ancora non siamo entrati nel suo mistero. Noi quaggiù, nella Messa, dobbiamo inserirci nel Cristo, realizzando progressivamente la sua parola. La partecipazione assidua alla Messa ci aiuterà a giungere ad una identificazione sempre maggiore con Lui. Se fossimo capaci di conseguirla subito, basterebbe una sola Messa per realizzare tutto il piano di Dio!… Abbiamo a disposizione la nostra vita per rendere piena la nostra partecipazione al suo sacrificio».
Scrive Don Divo nell’agosto del 1998: «il passaggio dal nulla all’essere è quello che distingue la creazione da Dio. Ma se Dio ha creato – come insegna la IV preghiera eucaristica – lo ha fatto per effondere il suo amore su tutte le creature ed allietarle con gli splendori della sua luce. L’esistenza stessa della creazione viene ordinata a Dio come suo fine. La creazione dell’uomo diviene un cammino, e il cammino può essere compiuto dall’uomo solo nella misura che egli ascolta la Parola che continuamente lo chiama. L’uomo, quasi ipostasi dell’universo, è chiamato a percorrere il cammino che deve portarlo a Dio. Potrà vivere questa sua vocazione se, pur camminando ogni giorno, perde la strada che a Dio lo conduce? […] Il cammino dell’uomo esige una continuità, perché è immutabile la Parola di Dio […]l’uomo deve mantenersi in ascolto …Questa Parola immediatamente non realizza il fine, non porta immediatamente l’uomo alla meta […] la Parola realizzanel tempo ciò che Dio ha voluto fin dall’eternità. Vi è qualcosa di immutabile anche nell’uomo: il progetto di Dio. Di fatto fin dall’eternità Egli ci ha voluto, anche se quello che fin dall’eternità ha voluto si compie poi attraverso un tempo che esige un cammino»
Già ne “Il mistero della Chiesa nella liturgia”, del 1967, don Divo scriveva: «Alla parola di Dio che chiama e alla parola dell’uomo che risponde, subentra una sola Parola che è insieme di Dio e dell’uomo: Cristo Gesù; al dramma e al dialogo dell’Antico Testamento succede nel Nuovo la Parola nella quale l’uomo e Dio divengono Uno. Se la liturgia nel Nuovo Testamento termina necessariamente nella presenza reale del Cristo col Sacrificio Eucaristico, al compimento del culto cristiano è ordinata tuttavia la lettura della parola di Dio, è ordinata la preghiera di tutta l’assemblea che attende e invoca questa stessa presenza che realizza la sua unione con Lui. […] Scritti per il servizio liturgico i libri ispirati, d’altra parte, solo nel servizio liturgico esprimono pienamente la loro verità, realizzano quello che sono».
E ancora: «Certo, se Dio rivelandosi agli uomini, comunicando ad essi la sua volontà usa la parola, Egli in questa parola già inizia il mistero di una kenosis. Egli si adatta all’umano linguaggio, sottopone la sua verità alle leggi del pensiero umano. E non potrebbe l’uomo entrare in comunione con Dio che gli parla, se non capisse questa Parola come parola umana, nella lingua che Egli ha voluto usare, nel genere letterario che Egli si è scelto. Ma non basteranno mai la filologia, l’archeologia, la storia a dirci il contenuto, a interpretare fino in fondo la parola di Dio consegnata all’umano linguaggio. È solo della Chiesa l’interpretazione autentica della Parola di Dio. E la prima interpretazione che la Chiesa dà di questa Parola è precisamente la lettura che essa fa di queste pagine nella sua liturgia. In questa lettura essa esercita già il suo Magistero.
È per questo magistero, che Dio le ha conferito, che la lettura dei libri ispirati è in verità, per gli uomini che ascoltano, non solo la lettura di un documento di storia o di dottrina, ma la parola viva, attuale, di Dio, rivolta personalmente a ciascuno e divinamente efficace. (….)»
«La lettura della Bibbia (..) deve essere considerata e sentita come elemento costitutivo del culto, e deve ricevere dal culto medesimo la sua interpretazione piena. Nella celebrazione liturgica si rende presente il mondo nuovo di Dio, che la Bibbia sola ha il potere di rivelarci. (..) È importante che sempre si sia consapevoli del legame intimo, naturale, necessario della lettura della sacra scrittura con la liturgia. (..) Il carattere liturgico di una lettura dei libri ispirati non è mai così evidente come quando la Chiesa dà a questa lettura un suo posto determinato nella celebrazione del culto. La lettura della Bibbia nella celebrazione del culto cristiano è precisamente una delle mete più importanti che si propone il rinnovamento liturgico, è già ora uno dei valori essenziali della liturgia della Chiesa. (…) Ma la Chiesa non è soltanto l’interprete: è l’organo mediante il quale Dio continua a parlare; anzi l’autenticità della sua interpretazione deriva massimamente da questo, che cioè è per mezzo di lei che i libri ispirati ritornano ad essere la Parola viva e attuale di Dio. Senza la sua mediazione il libro diverrebbe il documento di una grande esperienza religiosa del passato e la sua lettura non potrebbe per sé stabilire un rapporto vivo e personale fra Dio e l’uomo nella successione del tempo. Come il Sacrificio Eucaristico fa presente il mistero del Cristo nella morte di croce così fa presente oggi per te quella Parola. “Il Signore nostro Dio ha concluso con Mosè un’alleanza in Horeb. Non è coi nostri padri che il Signore ha concluso questa alleanza, ma con noi che siamo tutti oggi viventi in questo luogo” (DT 5,2-3). L’esperienza religiosa del Giudaismo è l’esperienza religiosa della Chiesa. L’espressione con la quale la Chiesa inizia la lettura del testo evangelico sembra voler sottrarre l’avvenimento che narra a un tempo preciso. Il tempo nel quale si compiono i Misteri divini, nel quale l’uomo ascolta Dio che gli parla, non è un passato e non è neppure un presente che continuamente passa: è l’”oggi” di cui ci parla il Deuteronomio, di cui canta senza stancarsi la Chiesa nella sua liturgia. Proprio perché questo è il potere del culto liturgico, di sottrarci cioè in qualche modo alla fuga del tempo, è nel culto liturgico che l’uomo si incontra effettivamente con Dio; e l‘incontro non avviene in un punto geografico dello spazio (…) non nelle vie della Galilea, ma precisamente nella “Qahal”, cioè nella Chiesa. Proclamata in seno alla Chiesa dalla lettura dei libri ispirati questa Parola è veramente la parola di Dio che crea. Come per l’Eucarestia, così è per la parola di Dio: non è l’uomo che la assimila e la trasforma, ma è la Parola che trae l’uomo a sé e lo trasforma. (…) La parola di Dio è immutabile ma muta l’uomo via via che egli l’ascolta. Questo è il fondamento dell’esegesi spirituale. Non una parola umana che sostituisce la parola di Dio, ma la parola di Dio che si rivela attuale ed efficace nella vita della Chiesa».
Ci sembra molto importante quanto don Divo disse nell’omelia del 16 gennaio 1979 a Casa San Sergio a proposito dei lettori:
«Il leggere la Sacra Scrittura, specialmente durante la Messa, è l’atto più sacro, il ministero più alto del sacerdozio laicale». Il sacerdote che distribuisce la Comunione presta solo le mani per compiere un gesto sacro; invece il lettore presta tutto se stesso a Dio che parla e che si fa presente attraverso chi legge, come è presente nella consacrazione, sia pure in modo diverso. Perciò non c’è differenza fra i due atti: nella proclamazione Cristo si fa presente come verità, nella consacrazione come corpo immolato. C’è, infatti, una stretta relazione fra la proclamazione della parola e la consacrazione delle specie. Si avverte questa responsabilità non solo nel leggere in modo che sia chiaro il contenuto a chi ascolta, ma anche nell’assumere l’impegno di realizzare per primi la parola che si è proclamata? Rendiamoci conto della grandezza del mistero, perché nell’annuncio della parola il lettore si identifica a colui che parla per suo mezzo. Le letture infatti si concludono con: “Parola di Dio”. Nella recita dell’Ufficio, nella lettura biblica privata una nostra identificazione, unificazione con Dio, può essere meno intensa, perché ordinata alla meditazione, ma nella celebrazione liturgica, uniti all’assemblea, la cosa è ben diversa. Proclamazione della parola e consacrazione sono davvero i due atti che costituiscono i vertici della Messa. Come dice san Pietro, ora siamo tutti divenuti profeti (At 2, 16-18). Dobbiamo pregare il Signore perché ci aiuti a compiere questo ministero così da non mortificare noi la grandezza della parola di Dio»
Concludiamo con uno sguardo che apre una prospettiva escatologica:
«Quando la Parola di Dio avrà compiuto ogni cosa, allora il culto divino non consisterà più in una lettura dei libri ispirati, allora gli stessi libri non saranno più. Sarà solo il Cristo, cioè il Verbo di Dio che a Sé avrà tratto tutte le cose, in Sé avrà assunto in qualche modo tutto l’universo, perché tutto l’universo in Lui viva eternamente la vita stessa di Dio»( da “Il mistero della Chiesa nella liturgia”).