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Divo Barsotti Esegeta di Leopardi e di Dostoevskij
di Ferdinando Castelli S.I
Riportiamo una accurata analisi del Padre Ferdinando Castelli S.I, sul pensiero di don Divo Barsotti , fondatore della Comunità dei Figli di Dio,recentemente scomparso, circa la spiritualità di Leopardi e Dostoevskij.” In Leopardi il dolore non nasce solo dalla fine delle illusioni. Il dolore ha una radice religiosa: l’uomo cerca disperatamente un suo partner che non può che essere fuori dal mondo mutevole.” «S’avessi io l’ale»
“La visione dell’uomo come epifania di Dio, in senso sia positivo sia negativo, viene descritta da Dostoevskij nei suoi personaggi: una galleria che offre una rappresentazione metafisica e religiosa del dramma umano che è la nostra vita. Tutti sono alla ricerca di verità, di vita, di felicità, di libertà; tutti danno l’idea di idee incarnate; tutti sono portatori di un messaggio. Dostoevskij li insegue, li scova nei segreti del loro animo, non di rado si immedesima in essi, rivivendo esperienze personali. Pochi scrittori «hanno saputo discendere negli abissi del cuore umano come Dostoevskij, e proprio per questo ben pochi hanno saputo dirci più di lui come l’uomo sia al centro di tutto, come sia senza fondo e senza confine la sua vita»
I due testi che seguono sono tratti dalla Civiltà Cattolica, 3 febbraio 2007, quaderno 3759, pp. 231-243. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di questi testi sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.Divo Barsotti è nato a Palaia (PI) nel 1914.
Pochi anni dopo l’ordinazione sacerdotale per interessamento di Giorgio La Pira si è trasferito a Firenze, dove ha iniziato la sua attività di predicatore e di scrittore. Oggi è unanimemente riconosciuto come mistico e come uno degli scrittori di spiritualità più importanti del secolo. La sua produzione letteraria è notevolissima: più di 150 libri, molti dei quali tradotti in lingue straniere, tra cui il russo e il giapponese, più centinaia di articoli presso quotidiani e riviste di spiritualità. Ha scritto commenti alla Sacra Scrittura, studi su vite di santi, opere di spiritualità, Diari e poesie. Tra i sui testi di più importanti: Il Mistero cristiano nell’anno liturgico; Il Signore è uno; Meditazioni sull’Esodo; La teologia spirituale di San Giovanni della Croce; La legge è l’amore; Cristianesimo russo; La religione di Giacomo Leopardi; La fuga immobile.
Ha fondato la « Comunità dei figli di Dio », famiglia religiosa di monaci formata da laici consacrati che vivono nel mondo e religiosi che vivono in case di vita comune; in tutto circa duemila persone. La Comunità è presente in Italia e nel mondo (Africa, Australia, Sri Lanka, Colombia) e si impegna a vivere la radicalità battesimale con i mezzi che sono propri della grande tradizione monastica.
Vicino per anni alla sensibilità del cristianesimo orientale, Divo Barsotti ha fatto conoscere in Italia le figure dei santi russi Sergio, Serafino, Silvano. Nel 1972 è stato chiamato a predicare gli Esercizi spirituali in Vaticano al Papa.
Ha insegnato teologia presso la Facoltà teologica di Firenze e ha vinto diversi premi letterari come scrittore religioso. Ha predicato in tutti i continenti e ultimamente è stato inserito tra le dieci personalità religiose più eminenti del ’900, in Storia della spiritualità italiana, curato da P. Zovatto (Edizioni Città Nuova).
Don Divo è ritornato alla casa del Padre il 15 febbraio 2006
26/08/2007
“La visione dell’uomo come epifania di Dio, in senso sia positivo sia negativo, viene descritta da Dostoevskij nei suoi personaggi: una galleria che offre una rappresentazione metafisica e religiosa del dramma umano che è la nostra vita. Tutti sono alla ricerca di verità, di vita, di felicità, di libertà; tutti danno l’idea di idee incarnate; tutti sono portatori di un messaggio. Dostoevskij li insegue, li scova nei segreti del loro animo, non di rado si immedesima in essi, rivivendo esperienze personali. Pochi scrittori «hanno saputo discendere negli abissi del cuore umano come Dostoevskij, e proprio per questo ben pochi hanno saputo dirci più di lui come l’uomo sia al centro di tutto, come sia senza fondo e senza confine la sua vita»
I due testi che seguono sono tratti dalla Civiltà Cattolica, 3 febbraio 2007, quaderno 3759, pp. 231-243. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di questi testi sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.Divo Barsotti è nato a Palaia (PI) nel 1914.
Pochi anni dopo l’ordinazione sacerdotale per interessamento di Giorgio La Pira si è trasferito a Firenze, dove ha iniziato la sua attività di predicatore e di scrittore. Oggi è unanimemente riconosciuto come mistico e come uno degli scrittori di spiritualità più importanti del secolo. La sua produzione letteraria è notevolissima: più di 150 libri, molti dei quali tradotti in lingue straniere, tra cui il russo e il giapponese, più centinaia di articoli presso quotidiani e riviste di spiritualità. Ha scritto commenti alla Sacra Scrittura, studi su vite di santi, opere di spiritualità, Diari e poesie. Tra i sui testi di più importanti: Il Mistero cristiano nell’anno liturgico; Il Signore è uno; Meditazioni sull’Esodo; La teologia spirituale di San Giovanni della Croce; La legge è l’amore; Cristianesimo russo; La religione di Giacomo Leopardi; La fuga immobile.
Ha fondato la « Comunità dei figli di Dio », famiglia religiosa di monaci formata da laici consacrati che vivono nel mondo e religiosi che vivono in case di vita comune; in tutto circa duemila persone. La Comunità è presente in Italia e nel mondo (Africa, Australia, Sri Lanka, Colombia) e si impegna a vivere la radicalità battesimale con i mezzi che sono propri della grande tradizione monastica.
Vicino per anni alla sensibilità del cristianesimo orientale, Divo Barsotti ha fatto conoscere in Italia le figure dei santi russi Sergio, Serafino, Silvano. Nel 1972 è stato chiamato a predicare gli Esercizi spirituali in Vaticano al Papa.
Ha insegnato teologia presso la Facoltà teologica di Firenze e ha vinto diversi premi letterari come scrittore religioso. Ha predicato in tutti i continenti e ultimamente è stato inserito tra le dieci personalità religiose più eminenti del ’900, in Storia della spiritualità italiana, curato da P. Zovatto (Edizioni Città Nuova).
Don Divo è ritornato alla casa del Padre il 15 febbraio 2006
26/08/2007
Dostoevskji mi ha svegliato dal sonno
Due testi di Barsotti ci introducono alla comprensione del suo Dostoevshij. Il primo è nella premessa al volume: «Io debbo molto a Dostoevskij e per onestà, oltre che per gratitudine, io dovevo scrivere. Non importa il giudizio che si vorrà dare oggettivamente del lavoro. Il lavoro comunque, se non rivelerà cose nuove, potrà sempre rivelare qualcosa di me e prima di tutto a me stesso [...]. L’opera di Dostoevskij è stata per me un messaggio e mi ha svegliato dal sonno». Sonno? Un altro testo chiarisce: «Io devo la mia « conversione » a Dostoevskij [...]. Ci fu un momento della mia vita in cui io sognavo di diventare un grande poeta, ed ero perciò sul punto di lasciare il seminario. Poi cominciai a leggere Dostoevskij, che mi aprì gli occhi». Per Barsotti, Dostoevskij è certamente un grande scrittore, ma è anche un profeta nel senso che svela l’uomo a se stesso, ne scandaglia le pieghe nascoste, ne rivela la grandezza e la miseria, ne proclama la missione, ne narra la drammaticità delle scelte. Profeta soprattutto perché, appassionato com’è del Cristo, lo addita come amore che redime e verità che salva. «Forse è ia sua passione per Cristo che mi svegliò dal sonno come non mi aveva svegliato né la visione della Provvidenza in Manzoni, né la teologia di Dante». Attraverso Cristo don Divo avverte la presenza di Dio che gli parla e fuga i fantasmi che abitavano la sua crisi. «Per lui mi ha parlato Dio. L’ho riconosciuto nel tormento di Raskòlnikov dopo il delitto, nella pietà e nella forza di Sonja [...]; l’ho amato nell’umiltà e nella dolcezza di Sonia de L’adolescente, nella luminosa bellezza di Macario, l’ho sentito presente nell’umiltà di Tichon ma anche nell’orrore della morte di Kirillov e nella condanna di Stavrògin, finalmente l’ho veduto nello staretz Zosima e in Aljòsa. Sempre Dio era presente. La sua presenza dava un senso agli avvenimenti, dava un nome a ogni uomo. Il silenzio non era vuoto, era il silenzio di Dio che riempiva di sé ogni luogo, ogni avvenimento, era la vita nella comunione con lui, era la morte nella volontà di rifiutarlo, di volerlo negare» (p. 6 s). I1 volume si sviluppa sostanzialmente su questi convincimenti, esaminati nelle loro varie sfaccettature lungo l’arco delle quattro parti: L’uomo e lo scrittore, I personaggi dei cinque maggiori romanzi, Il messaggio di Dostoevskij, La teologia di Dostoevskij.
L’uomo come epifania di Dio
Il concetto di Dostoevskij sulla religione si fonda sulla sua visione dell’uomo: «L’uomo supera la natura e annuncia un’altra realtà» (p. 20). Quale altra realtà? La realtà di Dio come realizzazione delle aspirazioni umane che superano il puro ambito naturale e riempiono il vuoto di Dio, che comporta malessere ontologico e morte. Dio non è un accessorio della natura umana, ne è il respiro vitale, è la presenza senza la quale essa si smarrisce e si frantuma. « È Dio che non cessa di torturare chi ha compiuto il delitto, finché nel pentimento non trova la pace del perdono, è Dio che vive nella pietà di Sonia per Raskòlnikov, nel suo amore senza limiti per i fratelli, è Dio che vive nella pietà e semplicità del principe Myskin, nella pace di Macario, il pellegrino che ormai ha finito di camminare e attende sereno la morte» (p. 21). Contro Dio c’è il maligno, che è «la realtà del male in una vita di menzogna, in una volontà di distruzione e di morte». Così la vita umana è una lotta tra Dio e il maligno, che si contendono il suo dominio. Per descriverla Dostoevskij scende negli abissi del cuore dove abitano il peccato e la Grazia, e vede il peccato che corrode l’uomo, e Dio impegnato a conservare nella sua creatura la propria immagine nella quale risplende soprattutto l’amore. Da queste considerazioni lo scrittore deduce che l’inferno e il paradiso non sono realtà estranee all’uomo. Sono nel suo cuore: le accoglie nella sua vita come parte di sé, e con esse si avvia all’eternità. Deduce anche che «l’uomo non è senza Dio» (p. 22). E’ in rapporto con Dio «non soltanto nella misura in cui lo ama; egli è in un suo rapporto con Dio, sia che questo sia odio o sia amore. Anche nella trasgressione alla legge egli vive un suo rapporto con Dio. Non può chiudersi in sé, rifiutare un suo rapporto con lui; nel peccato stesso l’uomo, che vorrebbe sganciarsi da Dio per affermarsi e acquistare una sua « libertà », non vive nell’opposizione al suo Creatore che la sua distruzione e la sua morte. Al contrario, vive già un suo rapporto d’amore con Dio nel suo rapporto con la creazione, e più ancora nel suo rapporto di amore con l’uomo, perché la creazione è il primo segno di Dio, e l’uomo, immagine di Dio, è il segno più alto della sua presenza. Così nell’amore del prossimo l’uomo vive la sua più alta esperienza di Dio» (p. 152).
Personaggi come testimoni
La visione dell’uomo come epifania di Dio, in senso sia positivo sia negativo, viene descritta da Dostoevskij nei suoi personaggi: una galleria che offre una rappresentazione metafisica e religiosa del dramma umano che è la nostra vita. Tutti sono alla ricerca di verità, di vita, di felicità, di libertà; tutti danno l’idea di idee incarnate; tutti sono portatori di un messaggio. Dostoevskij li insegue, li scova nei segreti del loro animo, non di rado si immedesima in essi, rivivendo esperienze personali. Pochi scrittori «hanno saputo discendere negli abissi del cuore umano come Dostoevskij, e proprio per questo ben pochi hanno saputo dirci più di lui come l’uomo sia al centro di tutto, come sia senza fondo e senza confine la sua vita» (p. 23). Nella galleria dei personaggi che testimoniano in negativo la presenza di Dio, Barsotti fa incontrare gli eroi del romanzo I demoni: Nikolaj Stavrògin, Pètr Verkovenskij, Aleksej Kirillov. Qui lo scrittore narra il tentativo di un gruppo di «indemoniati» di sganciare il popolo dalle miserie del vivere quotidiano e di liberarlo da ogni alienazione, sostituendo la fede in Dio con la religione del popolo, non importa se ciò debba realizzarsi con la forza e il massacro. Kirillov vuole la divinizzazione dell’uomo, nega Dio, ne desidera la morte, e per realizzare tutto ciò si suicida; Stavrògin dissipa ogni sua possibilità nel vizio e nella volontà di sfidare la legge e la pubblica opinione: incapace di amare, «non vive che il vuoto». Pètr « è l’incarnazione del maligno, tutto in lui è menzogna, il suo impegno è quello di contraffare la verità, la sua opera è la distruzione e la morte» (p. 72). Dalla lettura de I demoni si esce come da un incubo perché, respinto Dio, che è vita, fa irruzione la morte. «La ribellione verso Dio, l’ateismo, il peccato non sembrano dare alcun frutto. La morte è la conseguenza irreparabile del peccato. Verso questa morte, che è il suicidio di Stavrògin, converge tutto il romanzo, ne è il compimento e il cuore» (p. 61). Ne I fratelli Karamazov la morte si configura con la follia. Ivàn nega Dio per orgoglio e lo sostituisce con la propria ragione; conseguentemente diviene preda di pensieri e desideri malsani, incontra Satana e precipita nella follia. Morte, follia, disperazione, solitudine, vuoto ínteriore: sono l’eredità di quanti rifiutano Dio. Tra i personaggi che testimoniano in positivo la presenza di Dio, Barsotti ne predilige due: Sonia in Delitto e castigo e lo staretz Zosima ne I fratelli Karamazov. Sonia è «la figura cristianamente più pura di tutta l’opera di Dostoevskij: è una prostituta, ma vive incontaminata in un mondo di peccato» (p. 129). Per salvare la famiglia dalla miseria, vende il suo corpo, ma il peccato non tocca la sua anima. «La sua bellezza è tutta spirituale. La sua apparizione, la sua presenza non turba, non eccita i sensi. Può discendere e può vivere nell’ambiente di peccato e di depravazione e non contaminarsi; anzi è lei che purifica [...]. Il suo sembra l’atteggiamento stesso di Dio nei confronti dei peccatori» (p. 40 s). Sa che la sua condizione non le consente di vivere una vita sacramentale e non osa partecipare alla vita della Chiesa, ma legge il Vangelo, che la fortifica e le dà la forza di accettare la sua abiezione. Nello staretz Zosima, Dostoevskij ha inteso offrire un’icona del cristianesimo: un’icona che fosse la negazione di quanto, sullo stesso argomento, aveva sostenuto Ivàn Karamazov. Nel cristianesimo, personificato nello staretz, c’è un’invasione di pace, di gioia, di forza, di amore. Nella luce della fede tutta la realtà si trasfigura.
La teologia di Dostoevskij
La figura dello staretz ci introduce nell’ambito di quanto Barsotti chiama, un po’ enfaticalnente, La teologia di Dostoevskij. In realtà, lo scrittore non è un teologo né ha inteso fare teologia. E, un analista dell’animo umano; indagandone la natura, le esigenze e le leggi, intuisce che l’uomo è immagine di Dio e che, se distrugge questa immagine, distrugge se stesso e diventa immagine del maligno. Al centro del mondo dostoevskiano dunque c’è «l’uomo, e nell’uomo si fa presente il mistero stesso di Dio. La vita dell’uomo è lo scontro del male e del bene; il problema del male e la concezione del bene dominano tutti i romanzi, e il bene e il male suppongono la libertà, postulano Dio» (p. 143). In Dio c’è la vita e la pace, senza Dio c’è la disgregazione e la rovina. Il problema dell’esistenza e della natura di Dio ha tormentato lo scrittore. È approdato alla fede non per via di ragionamento, ma attraverso la conoscenza di Gesù, incarnazione dell’amore che salva. Una fede, la sua, conquistata metro per metro, giorno dopo giorno, durante un’esistenza trascorsa all’insegna dell’insicurezza, della sofferenza e della macerazione interiore. Una volta incontrato, Cristo non ha mai cessato di presentarglisi come salvezza dell’uomo, sorgente e salvaguardia della libertà, ideale di ogni grandezza, fondamento della civiltà e della convivenza. Barsotti difende l’ortodossia della fede cristiana dello scrittore contro quanti sostengono che la sua, più che religione cristiana, è religione del popolo e della terra. «E certo che la tentazione di una religione del popolo e della terra non è stata mai assente dalla sua vita», ma «quando scriveva I demoni [in cui si ipotizza questa concezione] aveva ben chiaro che Dio non si identificava con l’anima di un popolo, e che la fede in Dio trascendeva una fede nel destino della nazione» (p. 142).
E la tentazione del «Dio russo»? questa tentazione «rimase [in lui] fino alla fine, ma non provocò il suo allontanamento da Cristo. Il Cristo ha rotto l’incantesimo di una natura chiusa, nella quale l’uomo è prigioniero. Quel Dio che si è incarnato nel Cristo non è, come nel paganesimo, una personificazione o un elemento della natura, ma è un Dio che trascende la natura. Nel rapporto con lui, l’uomo è salvo precisamente perché rompe l’incantesimo di una natura che lo tiene prigioniero. Nel suo rapporto con Cristo ogni uomo è salvo, perché Dio lo ama, e non è inghiottito e digerito dal processo del tempo e della storia: l’uomo supera la natura e supera il tempo» (p. 144). Il Dio della religione di Dostoevskij pertanto «non si confonde col divino della natura e non è il Dio della metafisica, ma non è neppure il Dio della storia: è il Dio che si è rivelato all’uomo nella vita e nella morte del Cristo, è, in ultima istanza, il Dio che vive nel cuore dell’uomo» (p. 1.45). E vero che questo Dio «non è mai esplicitamente il Dio Trinità della rivelazione cristiana», ma «non si può chiedere a un romanziere un trattato di teologia». E anche vero che lo scrittore «esplicitamente non parla dell’incarnazione», tuttavia la centralità del suo Cristo e l’amore che gli porta «suppongono una sua trascendenza». A questo proposito vorremmo ricordare la splendida affermazione cristologica – Gesù Cristo è il Verbo fatto carne – che si trova nei Taccuini per «I demoni». Dopo aver respinto la concezione, in quel tempo ricorrente, di un Cristo soltanto uomo, filosofo benefico e maestro di vita, afferma: «Ma io e voi, Satov, sappiamo che sono tutte sciocchezze, che Cristo-uomo non è il Salvatore e fonte di vita e che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano e che la pace per gli uomini, la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: Il Verbo si è fatto carne e la fede in queste parole» 8.
Conclusione
Come definire i due volumi di Barsotti? Non sono opera critica: nessuna nota, nessun riscontro con altri studiosi, nessun confronto interpretativo. Don Divo va avanti per conto suo, solitario e tranquillo, in ascolto soltanto di se stesso. Li definiremmo pertanto una conversazione con due eccellenti compagni di strada, Leopardi e Dostoevskij, fatta con intelligenza d’amore e suggerita da comuni esperienze di vita e da approfondimenti spirituali. Volumi ricchi d’interesse, vivi, solcati da squarci di luce, per vari aspetti simpatetici. Non privi di limiti: ripetizioni, talune forzature interpretative, qualche carenza d’informazione. - Se volessimo sintetizzarli in poche battute, trascriveremmo un pensiero del loro autore: «Tutto è ombra; ogni creatura, ogni avvenimento è segno. L’unica realtà sei Tu- e solo l’amore ti scopre»9.