I L 15 FEBBRAIO 2006, non lontano dal suo 92° compleanno, spirava don Divo Barsotti, nella sua stanza a Casa San Sergio, il piccolo eremo che dal 1955, a Settignano (sulle colline di Firenze) accoglie la Comunità dei Figli di Dio, da lui fondata nel lontano 1948 e che oggi conta più di duemila aderenti, tra religiosi e laici, sparsi in tutto il mondo.
Nei giorni successivi alla sua morte la stampa nazionale, sottraendolo per qualche giorno al silenzio e alla dimenticanza – non incolpevole per altro, in quanto fu molto amato dai lettori, figli spirituali,dagli amici, dai religiosi, ma spesso ignorato dal mondo accademico – lo definiva: l’ultimo mistico del Novecento. Effettivamente don Divo ha passato la vita intera ad ascoltare la voce dello Spirito, meditandola nel suo cuore e facendola sua, per poi trasmetterla. Basti pensare che ha scritto più di 150 libri, un vero record, fra
cui uno spicca per profondità, profezia e densità spirituale vissuta, dai suoi più esperti estimatori definito il suo capolavoro: Il mistero cristiano dell’anno liturgico. Un testo con il quale aprì una scuola nuova, puntando sempre ad entrare nel mistero di Cristo, della sua vita, della sua morte e risurrezione, per salvare con Lui il mondo. I libri del Barsotti sono stati tradotti in molte lingue, per questo è assai conosciuto all’estero, in Francia, in Germania, in Spagna, persino in Russia. Ha scritto migliaia di pagine, articoli di agiografia, di spiritualità, di commenti biblici.
Unanimemente riconosciuto come una delle figure più luminose della Chiesa del Novecento, è stato appunto scrittore, poeta, predicatore, fondatore come già detto, un autentico uomo di Dio. Amico di Giorgio La Pira, il Sindaco santo di Firenze, dei grandi intellettuali, cattolici e non, italiani, di tanti Cardinali e Vescovi, non amò né cercò mai la ribalta, piuttosto la vita nascosta, semplice, povera, evangelica, soprattutto la contemplazione. Predicò gli esercizi spirituali al Papa e alla Curia romana, chiamato da Paolo VI, era cercato come predicatore in decine di monasteri in Italia e all’estero, a seminaristi, a sacerdoti, a Vescovi... sempre vivendo con vera umiltà.
foto omessa Il padre fondatore don Divo Barsotti con il primo Superiore generale: padre Serafino Tognetti.
Ho sempre nutrito grande ammirazione e subito il forte fascino spirituale di don Barsotti. Il giorno della sua morte non ho potuto fare a meno di ricordare quanto avvenne nella casa parrocchiale di Bardonecchia, in un freddo e cupo giorno dell’autunno del 1985. Eravamo nella stanza del Parroco ed aprimmo un pacco: conteneva un libro che don Divo Barsotti inviava a don Bellando, sul messaggio della Madonna della Salette, intitolato Una Madre tra noi. L’accompagnava un biglietto con il quale l’autore ringraziava chi l’aveva, per la prima volta, guidato alla Salette, nei primi anni ’50. Sulle pagine del Bollettino parrocchiale di Bardonecchia, fu il Parroco stesso a segnalarlo, con testuali parole: «Mons. Divo Barsotti, il teologo mistico di Firenze, che fu nostro villeggiante, ha pubblicato un nuovo libro, questa volta sul messaggio della Salette: “Una Madre tra noi”. Siamo lieti di essere stati noi ad accompagnarlo per la prima volta alla Salette e ce lo ha ricordato, riconoscente».
Don Bellando raccontava che don Barsotti era venuto a Bardonecchia un po’ a riposare, ed era stato accompagnato in automobile da un autista, ospite di una sua benefattrice, Elisa Uzzielli, convertita nota alla famiglia spirituale del Barsotti. Fu ospitato, la prima notte, nella casa parrocchiale. Poi, il giorno dopo, insieme raggiunsero il Santuario francese.
Punto di contatto per la conoscenza fu mons. Enrico Bartoletti, compagno di studi al Capranica, che fu sempre legato da profonda amicizia con don Bellando ed anche lui fu varie volte a Bardonecchia. Bartoletti diventò Vescovo di Lucca e Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana.
È importante ricordare questi legami e questi passaggi nella nostra bella cittadina di Bardonecchia, perché nella Provvidenza tutto ha un senso, e soprattutto perché lasciano sempre un segno.
La Salette è rimasto un luogo “sacro” per i discepoli di don Divo. Mi è capitato più di una volta di incontrare qualche Padre della Comunità e qualche sorella, sulla santa montagna, e sono rimasto sempre ammirato per il loro buon esempio, la gioia che trasmettevano e in quelle poche parole scambiate, ti lasciavano un certo contagio per il Vangelo vissuto. Ho letto con piacere nella biografia di don Divo che agli inizi del rapporto fra don Barsotti ed il suo attuale successore alla guida della Comunità dei Figli di Dio, Padre Serafino Tognetti, che allora era un giovane spensierato e si chiamava Matteo, c’è proprio un pellegrinaggio organizzato alla Salette dal Barsotti nel 1982.
Può interessare sapere che la Comunità da lui fondata è strutturata in quattro rami: del primo fanno parte anche le persone sposate che si impegnano soprattutto nella preghiera; il secondo riguarda gli sposati ma con voti di povertà, obbedienza e castità matrimoniale; al terzo accedono coloro che emettono anche i voti di castità perfetta e vivono nel mondo; il quarto riguarda i “fratelli” e le “sorelle” che vivono una forma di vita monastica. Hanno una casa anche in Piemonte a Vigliano Biellese.
Mi è sempre piaciuto, in don Divo un certo anticonformismo, nel senso che non seguiva la corrente e le mode “ecclesiastiche” od “ecclesiali”. Anzi, come scrive il suo successore alla guida della Comunità dei Figli di Dio, Padre Serafino Tognetti: «Fu insofferente alle mode e capace con una parola di illuminare un’intera esistenza». Due riflessioni di Padre Barsotti affascinano me sacerdote, ma possono aiutare tutti:
«Il sacerdote non porta nulla agli uomini se non porta Dio. Il sacerdote non evade dal mondo. È un uomo che deve essere per il mondo, ma non può essere nulla per gli altri se prima non è un uomo di Dio ... L’unica cosa che chiedo ai sacerdoti – diceva ancora don Barsotti – è di credere veramente in Dio», perché «quello che si impone oggi per il sacerdote è rendersi credibile e rendersi credibile vuol dire credere veramente. Cercando di essere uguali agli altri, perdiamo di credibilità e soprattutto di efficacia».
Don Barsotti aveva questo segreto... dovremmo farlo capire a chi pensa che la fede sia un aderire a strani costumi, a strane idee, mentre essa, la fede è questione di scoprire d’avere un Padre, e di essere figlio. Aveva davvero ragione a pensare che la cosa più importante nella vita di un uomo fosse la fede, come disse nella sua ultima intervista. E alla domanda: «Se fosse stato Papa, quale sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto?», rispondeva: «Dare un’importanza maggiore alla preghiera, cercare di stimolare la fede, per credere davvero che non si può fare nulla senza di Lui».
Il Cardinale Antonelli, Arcivescovo di Firenze, nell’omelia del funerale, raccontava: «Ho un ricordo personale che riemerge spesso in me e mi interpella con forza. In una delle mie prime visite a don Divo si parlava, tra le altre cose, dell’impegno sociale e dell’attività caritativa dei cristiani. Don Divo osservò che spesso non sono segno di autentica fede e carità, e aggiunse mestamente: “Molti non amano Gesù Cristo”. E vidi due rivoli di lacrime scendere dai suoi occhi e rigare il suo volto. Rimasi intimamente commosso...».
Di questo amore abbiamo tanto bisogno, perché è ciò di cui si nutre l’esperienza cristiana autentica. Amore fatto per anime esigenti, che rifiutano i surrogati del mondo di oggi, falsi e illusori. L’amore per Gesù Cristo, quello che fa piangere e fa ridere, per il quale si soffre e si spera, perché quello che si vive per il Signore Gesù è un amore vero.
Mons. Barsotti aveva le idee molto chiare che lo portavano a non risparmiare la polemica: «La missione della Chiesa non è la pace delle nazioni, l’unità dei popoli, la giustizia sociale. La missione della Chiesa è, con l’evangelizzazione, l’inserimento di ogni uomo, di tutta l’umanità nel Cristo morto e Risorto...». Era anche molto concreto, come davvero un buon padre di famiglia che sa dire dove e che cosa bisogna tagliare: «La Chiesa è nel mondo, ma non del mondo. Invece spesso si aspira a salvarsi in questo mondo, e magari si preferirebbe che il Signore fosse anche un po’ a servizio dell’uomo. Così si parla molto nelle chiese della mafia, dei debiti, del terzo mondo, degli armamenti, del governo... Ma chi parla di Cristo morto e risorto?». Come non rimpiangere preti di questo stampo? In fondo sono la fortuna del nostro tempo, perché se ci salviamo è anche grazie alla fede di questi Padri.
don Claudio Jovine