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sábado, 11 de janeiro de 2014

Prof. De Mattei: Universalità, sacralità, gerarchia: questa era l’immagine che l’11 ottobre del 1962 di sé dava al mondo la Chiesa militante sulla terra, soprannaturalmente unita alla Chiesa sofferente e alla Chiesa trionfante nell’unica Comunione dei Santi.

Convegno di Roma sul Vaticano II, 16 dicembre. Testo integrale della Relazione del Prof. De Mattei   



Sono in grado di pubblicare, per gentile concessione del Prof. de Mattei, il testo integrale del suo intervento al Convegno sul Concilio Vaticano II, organizzato dai Francescani dell'Immacolata, un evento che fornisce materiale e spunti rilevanti per le nostre riflessioni e approfondimenti e sarà fondante per l'evoluzione ulteriore di un discorso serio, ormai ineludibile per il futuro della nostra Chiesa. (il testo che sarà pubblicato tra gli Atti del Convegno sarà arricchito anche delle note)

L'intervento di De Mattei, ricco del pathos dato dal coinvoglimento spirituale dell'autore ma anche del rigore e dell'appassionata ricerca dello storico, delinea il filo conduttore attraverso il quale acquistano collocazione e senso documenti ed immagini di un repentino cambiamento: fatti, concatenamenti, causalità, con un metodo e dei criteri che per la prima volta, dopo anni di egemonia incontrastata, ci consentono di misurarci ad un livello serio e autorevole con la poderosa opera storiografica che, iniziata da Giuseppe Alberigo e poi da Alberto Melloni (la nota "Scuola di Bologna"), aveva prodotto fino a oggi l'unica organica ricostruzione del fenomeno conciliare, che Gnocchi e Palmaro definiscono efficacemente: "Ricostruzione tendenziosa, ideologica e persino eversiva, certo, ma fatta da gente che il mestiere di storico, innegabilmente, lo conosce bene."

E così abbiamo il controcanto di tutto rispetto offerto dal prof. de Mattei, preceduto dalla sua opera storica: Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino 2010, che possiamo considerare una delle strutture portanti - insieme all'opera filosofica di Romano Amerio, a quella teologica di Brunero Gherardini ed agli altri autorevoli e magistrali interventi dei quali proseguiremo l'esame - della ricostruzione sulle macerie della cosidetta "nuova Pentecoste" conciliare.

Esso fornisce a studiosi e fedeli la visione cattolica non 'spuria' né ammaliata dai canti delle sirene delle avventurose arbitrarie innovazioni, foriere per molti di "magnifiche sorti e progressive". Esse stanno aprendo orizzonti nuovi e sconosciuti, avulsi dalla linfa vitale delle Radici della Tradizione perenne, che può essere oggetto di "trasformazione evolutiva", ma nella 'continuità' e non nella 'rottura', come ricordato da Benedetto XVI nel discorso alla curia del 2005. E' questo lo spartiacque che, evidenziando la contrapposizione tra due ermeneutiche del concilio, lungi dall'aver chiuso il discorso, ha di fatto aperto il confronto tra due visioni inconciliabili della chiesa.

Se nel convegno si è evidenziato come la lettura progressista enfatizzi il concilio come "evento" fondante della "nuova Pentecoste" e, dando priorità all'evento-impulso di novità che si voleva imprimere, ha fatto e fa sì che l'evento assorba il testo e lo sposti nella sua ricezione, si è tuttavia constatato proprio con De Mattei come le pericolose spinte eversive, dentro e fuori l'aula conciliare, non abbiano dato vita ad un soggetto in qualche modo nuovo; il che ha espulso dall'orizzonte storiografico il concetto mitico di "evento conciliare", eliminando automaticamente con esso quello di "nuova chiesa".

Inserisco quindi il testo della relazione. Offrirò in apertura della discussione alcune chiavi di lettura, tra le più significative.

Istituto Maria Santissima Bambina
Roma, 16 dicembre 2010
Concilio Vaticano II

1. L’immagine della Chiesa nel 1962

Eccellenze reverendissime, Monsignori, Reverendi Padri, Signore e Signori,

chi vi parla è uno storico ed è dalla storia che vorrei partire, tornando assieme a voi a quel giorno dell’11 ottobre 1962, in cui si aprì a Roma il Concilio Vaticano II, ventunesimo Concilio ecumenico della storia della Chiesa.

Il lungo corteo dei Padri conciliari, che quella mattina uscì dalla Porta di Bronzo e avanzò lentamente all’interno della Basilica di San Pietro stracolma, offriva una straordinaria immagine della Chiesa militante sulla terra.

In testa i superiori di ordini religiosi, gli abati generali e i prelati nullius; quindi i vescovi, gli arcivescovi, i patriarchi, i cardinali, e per ultimo, in sedia gestatoria, scortato dalla Guardia nobile, tra gli applausi della folla, il Papa Giovanni XXIII. Mentre il corteo dei padri incedeva con solennità, i cantori intonarono il Credo e poi il Magnificat. Il corteo era lungo complessivamente circa 4 chilometri; vi partecipavano quasi tremila dignitari della Chiesa. Di essi 2.381 vescovi, direttamente collegati mediante la successione apostolica ai primi Apostoli. Essi erano riuniti attorno al sovrano supremo, il Papa, Vicario di Cristo, con giurisdizione piena e diretta su tutti i vescovi e su tutti i fedeli del mondo.

La presenza del Vicario di Cristo e dei successori degli Apostoli, nel quadro incomparabile della Basilica di San Pietro, fecero di quella cerimonia uno spettacolo unico al mondo. Mai come in questo momento la Chiesa cattolica manifestò il suo carattere, gerarchico e visibile: visibile perché la Chiesa militante, in quanto fondata sull’Incarnazione del Verbo, deve rendere manifesto nella sua struttura il suo aspetto invisibile, come l’organismo umano rende tutto l’uomo visibile, benché la sua anima in sé resti invisibile. Per amare questa gerarchia era, ed è, necessaria una profonda umiltà. Bisogna ammettere che non esiste uguaglianza nel mondo creato, che tutto dipende da Dio, che partecipa l’essere a ogni creatura in maniera diversa: e con l’essere ogni creatura riceve qualità, doni, grazie in base alle quali occupa nella società terrena e in quella soprannaturale un posto diverso. Il primo peccato, quello degli angeli ribelli, fu il rifiuto di riconoscere la sapienza di Dio, nel calare la propria divinità nel seno di un'umile creatura, come avvenne per il Verbo Incarnato, e per elevare questa creatura, Maria, al vertice dell’universo creato. I cori degli Angeli Fedeli esprimono nel cielo questa sublime dipendenza gerarchica e la Chiesa e la società cristiana sono chiamate a riflettere sulla terra la gerarchia dei cori celesti.

Universalità, sacralità, gerarchia: questa era l’immagine che l’11 ottobre del 1962 di sé dava al mondo la Chiesa militante sulla terra, soprannaturalmente unita alla Chiesa sofferente e alla Chiesa trionfante nell’unica Comunione dei Santi. La Chiesa appariva davvero la città posta sul monte di cui parla il Vangelo (Mt, 5,14).

2. Il rapporto tra la Chiesa e il mondo

Ma qual era l’immagine che di sé offriva il mondo all’inizio degli anni Sessanta?
Il mondo di quegli anni era immerso in un clima psicologico di ottimismo, se non di euforia. Tre icone brillavano nel firmamento internazionale, incarnando questo clima di ottimismo: Nikita Sergeevic Krusciov, dal 27 marzo 1958 premier dell’Unione Sovietica; Angelo Giuseppe Roncalli, asceso al soglio pontificio il 28 ottobre di quello stesso 1958 con il nome di Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, che il 21 gennaio 1961 aveva assunto la carica di Presidente degli Stati Uniti.

Il 12 aprile 1961 il maggiore sovietico Yuri Gagarin aveva compiuto il primo volo di un uomo nello spazio. La sua impresa sembrava suggellare un’epoca di trionfo della scienza, campo in cui l’Unione Sovietica contendeva agli Stati Uniti il primato nel mondo. Ma il 13 agosto di quello stesso 1961 era iniziata la costruzione del Muro di Berlino e l’imperialismo sovietico estendeva la sua ombra minacciosa su larga parte del mondo. leggere...

 

sexta-feira, 15 de março de 2013

Francesco I sulla Cattedra di Pietro di Roberto de Mattei

Francesco I sulla Cattedra di Pietro di Roberto de Mattei
L'ARGENTINO BERGOGLIO E' PAPA FRANCESCO (di Roberto de Mattei) La Chiesa ha un nuovo Papa: Jorge Mario Bergoglio, il primo Papa non europeo, il primo Papa latino americano, il primo Papa di nome Francesco. I mass-media cercano di indovinare, attraverso il suo passato di cardinale, di arcivescovo di Buenos Aires e di semplice sacerdote, quale sarà il futuro della Chiesa sotto il suo pontificato. Di quale “rivoluzione” sarà portatore? Hans Küng lo definisce «la migliore scelta possibile» (“La Repubblica”, 14 marzo 2013). Ma solo dopo la nomina dei suoi collaboratori e dopo i suoi primi discorsi programmatici si potranno prevedere le linee del pontificato di Papa Francesco. Per ogni Papa vale quello che disse, nel 1458, il cardinale Enea Silvio Piccolomini al momento della sua elezione, con il nome di Pio II: «dimenticate Enea, accogliete Pio».
La storia non si ripete mai esattamente, ma il passato aiuta a comprendere il presente. Nel XVI secolo la Chiesa cattolica attraversava una crisi senza precedenti. L’umanesimo, con il suo edonismo immorale, aveva contagiato la Curia Romana e gli stessi Pontefici. Contro questa corruzione era sorta la pseudo-riforma protestante di Martin Lutero, liquidata da Papa Leone X, della famiglia Medici, come «una bega tra monaci». L’eresia aveva iniziato a divampare quando, alla morte di Leone X, nel 1522, fu inaspettatamente eletto il primo Papa tedesco, Adrian Florent, di Utrecht, con il nome di Adriano VI.
La brevità del pontificato gli impedì di portare a termine i suoi progetti, in particolare, scrive lo storico dei Papi Ludwig von Pastor, «la guerra gigantesca contro lo sciame di abusi che deformava la curia romana come quasi l’intera Chiesa». .Se pure egli avesse avuto un governo più lungo, il male, nella Chiesa, era troppo radicato, osserva Pastor, «perché un pontificato solo potesse produrre quel grande cambiamento che era necessario. Tutto il male che era stato commesso in parecchie generazioni poteva migliorarsi soltanto con un lavoro lungo, ininterrotto».
Adriano VI comprese la gravità del male e le responsabilità degli uomini di Chiesa, come emerge chiaramente da una istruzione che, a suo nome, il nunzio Francesco Chieregati lesse alla Dieta di Norimberga, il 3 gennaio 1523. Si tratta, come osserva Ludwig von Pastor, di un documento di straordinaria importanza non solo per conoscere le idee riformatrici del Papa, ma perché è un testo senza precedenti nella storia della Chiesa.
Dopo aver confutato l’eresia luterana, nell’ultima e più notevole parte dell’istruzione, Adriano tratta della defezione della suprema autorità ecclesiastica di fronte ai novatori. «Dirai ancora», ecco la espressa istruzione che egli dà al nunzio Chieregati, «che noi apertamente confessiamo che Iddio permette avvenga questa persecuzione della sua Chiesa a causa dei peccati degli uomini e in particolare dei preti e prelati; è certo che la mano di Dio non s’è accorciata sì che egli non possa salvarci, ma gli è il peccato a distaccarci da lui sì che Egli non ci esaudisce. La Sacra Scrittura insegna chiaramente che i peccati del popolo hanno la loro origine nei peccati del clero e perciò, come rileva il Crisostomo, il nostro Redentore, quando volle purgare l’inferma città di Gerusalemme, andò prima al tempio per punire innanzi tutto i peccati dei preti, a guisa d’un buon medico, che sana la malattia nella radice.
Sappiamo bene che anche presso questa Santa Sede già da anni si sono manifestate molte cose detestabili: abusi in cose ecclesiastiche, lesioni dei precetti; anzi, che tutto s’è cambiato in male. Non è pertanto da far meraviglia se la malattia s’è trapiantata dal capo nelle membra, dai Papi nei prelati. Tutti noi, prelati e ecclesiastici, abbiamo deviato dalla strada del giusto e da lunga pezza non v’era alcuno che facesse bene. Dobbiamo quindi noi tutti dare onore a Dio e umiliarci innanzi a Lui: ognuno mediti perché cadde e si raddrizzi piuttosto che venir giudicato da Dio nel giorno dell’ira sua. Perciò tu in nome nostro prometterai che noi vogliamo porre tutta la diligenza perché venga migliorata prima di tutto la Corte romana, dalla quale forse hanno preso il loro cominciamento tutti questi mali; allora, come di qui è partita la malattia, di qui anche comincerà il risanamento, a compiere il quale noi ci consideriamo tanto più obbligati perché tutti desiderano tale riforma.
Noi non abbiamo mai agognato la dignità papale ed avremmo più volentieri chiuso i nostri occhi nella solitudine della vita privata: volentieri avremmo rinunciato alla tiara e solo il timore di Dio, la legittimità dell’elezione e il pericolo d’uno scisma ci hanno indotto ad assumere l’ufficio di sommo pastore, che non vogliamo esercitare per ambizione, né per arricchire i nostri congiunti, ma per ridare alla Chiesa santa, sposa di Dio, la sua primiera bellezza, per aiutare gli oppressi, per innalzare uomini dotti e virtuosi, in genere per fare tutto ciò che spetta a un buon pastore e a un vero successore di san Pietro. Però nessuno si meravigli se non eliminiamo d’un colpo solo tutti gli abusi, giacché la malattia ha profonde radici ed è molto ramificata. Si farà quindi un passo dopo l’altro e dapprima si ovvierà con medicine appropriate ai mali gravi e più pericolosi affinché con un’affrettata riforma di tutte le cose non si ingarbugli ancor più il tutto. A ragione dice Aristotele che ogni improvviso cambiamento è pericoloso alla repubblica (…)».
Le parole di Adriano VI ci aiutano a comprendere come la crisi che oggi attraversa la Chiesa possa avere le sue origini nelle mancanze dottrinali e morali degli uomini di Chiesa nel mezzo secolo seguito al Concilio Vaticano II. La Chiesa è indefettibile, ma i suoi membri, anche le supreme autorità ecclesiastiche, possono sbagliare e devono essere pronti a riconoscere, anche pubblicamente, le loro colpe. Sappiamo che Adriano VI ebbe il coraggio di intraprendere questa revisione del passato. Come affronterà il nuovo Papa il processo di autodemolizione dottrinale e morale della Chiesa e quale atteggiamento avrà di fronte ad un mondo moderno impregnato di uno spirito profondamente anticristiano? Solo il futuro risponderà a queste domande, ma è certo che le cause dell’oscurità del tempo presente affondano nel nostro più recente passato.
La storia ci dice anche che ad Adriano VI successe Giulio de’ Medici, con il nome di Clemente VII (1523-1534). Sotto il suo pontificato avvenne, il 6 maggio 1527, il terribile sacco di Roma, ad opera dei lanzichenecchi luterani dell’imperatore Carlo V. È difficile descrivere quante e quali furono le devastazioni e i sacrilegi compiuti durante questo evento che superò per efferatezza il sacco di Roma del 410. Con particolare crudeltà si infierì contro le persone ecclesiastiche: religiose stuprate, preti e monaci uccisi e venduti come schiavi, chiese, palazzi, case distrutte. Alle stragi seguirono, in rapida successione, la fame ed un’epidemia di peste. Gli abitanti vennero decimati.
Il popolo cattolico interpretò l’evento come un meritato castigo per i propri peccati. Fu solo dopo il terribile sacco che la vita di Roma cambiò profondamente. Il clima di relativismo morale religioso si dissolse e la miseria generale diede alla Città sacra un’impronta austera e penitente. Questa nuova atmosfera rese possibile la grande rinascita religiosa della Contro-Riforma cattolica del XVI secolo. (Roberto de Mattei)

http://www.corrispondenzaromana.it/francesco-i-sulla-cattedra-di-pietro/

sexta-feira, 15 de fevereiro de 2013

Roberto de Mattei ,Considerações sobre o ato de renúncia de Bento XVI

Roberto de Mattei
Em 11 de fevereiro, dia da Festa de Nossa Senhora de Lourdes, o Santo Padre Bento XVI comunicou ao Consistório de cardeais e a todo o mundo sua decisão de renunciar ao Pontificado.
O anúncio foi acolhido pelos cardeais, “quase inteiramente incrédulos”, “com a sensação de perda”, “como um raio em céu sereno”, segundo as palavras dirigidas em seguida ao Papa pelo cardeal decano Angelo Sodano.
Se foi tão grande a perda dos cardeais, pode-se imaginar quão forte tem sido nesses dias a desorientação dos fieis, sobretudo daqueles que sempre viram em Bento XVI um ponto de referência e agora se sentem de algum modo "órfãos", senão mesmo abandonados, em face das graves dificuldades da Igreja no momento presente.
No entanto, a possibilidade da renúncia de um Papa ao sólio pontifício não é de todo inesperada. O presidente da Conferência Episcopal da Alemanha, Karl Lehmann, e o primaz da Bélgica, Godfried Danneels, haviam apresentado a ideia da “renúncia” de João Paulo II, quando a sua saúde havia se deteriorado.
O cardeal Ratzinger, no seu livro-entrevista Luz do Mundo, de 2010, disse ao jornalista alemão Peter Seewald que se um Papa percebe que não é mais capaz, “fisicamente, psicologicamente e espiritualmente, de desempenhar os deveres de seu ofício, então ele tem o direito e, em certas circunstâncias, também a obrigação, de renunciar”.
Ainda em 2010, cinquenta teólogos espanhóis haviam manifestado sua adesão à Carta Aberta do teólogo suíço Hans Küng aos bispos de todo o mundo, com estas palavras: “Acreditamos que o pontificado de Bento XVI pode ter-se exaurido. O Papa não tem a idade nem a mentalidade para responder adequadamente aos graves e urgentes problemas com os quais a Igreja Católica se defronta. Pensamos, portanto, com o devido respeito por sua pessoa, que deve apresentar sua demissão ao cargo”.
E quando, entre 2011 e 2012, alguns jornalistas como Giuliano Ferrara e Antonio Socci escreveram sobre a possível renúncia do Papa, esta hipótese havia despertado entre os leitores mais desaprovação que consenso.
Não existe dúvida sobre o direito de um Papa a renunciar. O novo Código de Direito Canônico prevê a possibilidade de renúncia do Papa no cânon 332, parágrafo segundo, com estas palavras: “Se acontecer de o Romano Pontífice renunciar a seu cargo, requere-se para a validade que a renúncia seja feita livremente e seja manifestada ritualmente, portanto, que não seja aceita de qualquer um”.
Nos artigos 1 º e 3 º da Constituição Apostólica Universi Dominicis Gregis, de 1996, sobre a vacância da Santa Sé, é prevista de resto a possibilidade de que a vacância da Sé Apostólica seja determinada não só pela morte do Papa, mas também por sua renúncia válida.
Na História não são muitos os episódios documentados de abdicação. O caso mais conhecido continua sendo o de São Celestino V, o monge Pietro da Morrone, que foi eleito em Perugia no dia 5 de julho e coroado em L’Aquila no dia 29 de agosto de 1294.
Após um reinado de apenas cinco meses, ele julgou oportuno renunciar, por não se sentir à altura do cargo que assumira. Em seguida, preparou a sua abdicação, consultando primeiramente os cardeais e promulgando uma Constituição com a qual confirmava a validade das regras já estabelecidas pelo Papa Gregório X para a realização do próximo Conclave.
A 13 de dezembro daquele mesmo ano, em Nápoles, pronunciou sua abdicação diante do Colégio dos Cardeais, despojou-se da insígnia papal e das roupas, e tomou o hábito de eremita. No dia 24 de dezembro de 1294, por sua vez, foi eleito Papa Benedetto Caetani com o nome de Bonifácio VIII.
Outro caso de renúncia papal – o último registrado até hoje – ocorreu no decurso do Concílio de Constança (1414-1418). Gregório XII (1406-1415), o Papa legítimo, a fim de recompor o Grande Cisma Ocidental (1378-1417), enviou a Constança o seu plenipotenciário Carlo Malatesta para dar a conhecer sua intenção de se retirar do ofício papal; as demissões foram oficialmente acolhidas pela assembleia sinodal em 4 de julho de 1415, que ao mesmo tempo depôs o antipapa Bento XIII.
Gregório XII foi reintegrado ao Sacro Colégio com o título de cardeal-bispo do Porto e com o primeiro posto após o Papa. Abandonando o nome e o hábito pontifício e retomando o nome de cardeal Angelo Correr, ele se retirou como legado papal na província de Marche e morreu em Recanati em 18 de outubro 1417.
Portanto, o caso de renúncia em si não escandaliza: está contemplado no Direito Canônico e verificou-se historicamente ao longo dos séculos. Note-se, no entanto, que o Papa pode renunciar, e por vezes tem historicamente renunciado ao Pontificado, enquanto considerado um “escritório jurisdicional da Igreja”, não indelevelmente ligado à pessoa que o ocupa.
A hierarquia apostólica exerce de fato dois poderes misteriosamente unidos na mesma pessoa: o poder da ordem e o poder de jurisdição (ver, por exemplo, São Tomás de Aquino, Summa Theologica, II-IIae, q 39, a 3, resp., III, q 6-2).
Ambos os poderes são destinados a realizar os objetivos peculiares da Igreja, mas cada um com suas características próprias, que o distinguem profundamente do outro: o potestas ordinis é o poder de distribuir os meios da graça divina e refere-se à administração dos sacramentos e ao exercício do culto oficial; o potestas iurisdictionis é o poder de governar a instituição eclesiástica e os simples fiéis.
O poder da ordem distingue-se do poder de jurisdição não só pela diversidade de natureza e de objeto, mas também pelo modo como é conferido, uma vez que tem como propriedade ser dado com a sagração, isto é, por meio de um sacramento e com a impressão de um caráter sagrado. A posse da potestas ordinis é absolutamente indelével, porquanto seus graus não são ofícios temporários, mas imprimem caráter em quem é concedido.
De acordo com o Código de Direito Canônico, uma vez que um batizado se torna diácono, sacerdote ou bispo, é para sempre e nenhuma autoridade humana pode excluir essa condição ontológica. Pelo contrário, o poder de jurisdição não é permanente, mas temporário e revogável; suas atribuições, exercidas por pessoas físicas, cessam com o término do mandato.
Outra característica importante do poder da ordem é a não territorialidade, pois os graus da hierarquia da ordem são absolutamente independentes de cada circunscrição territorial, pelo menos no que respeita à validade do exercício.
As atribuições do poder de jurisdição, ao contrário, são sempre limitadas no espaço e têm no território um de seus elementos constitutivos, exceto o do Sumo Pontífice, que não está sujeito a qualquer limitação de espaço.
Na Igreja, o poder de jurisdição pertence, jure divino, ao Papa e aos Bispos. A plenitude deste poder, no entanto, está apenas no Papa que, como fundamento, sustenta todo o edifício eclesiástico. Nele está todo o poder pastoral, e na Igreja não se pode conceber outro independente.
A teologia progressista, pelo contrário, sustenta, em nome do Vaticano II, uma reforma da Igreja no sentido sacramental e carismático que opõe o poder da ordem ao poder de jurisdição, a igreja da caridade à do direito, a estrutura episcopal à monárquica.
O Papa, reduzido a primus inter pares no interior do colégio dos bispos, exerce apenas uma função ético-profética, um primado de “honra” ou de “amor”, mas não de governo e jurisdição.
Nesta perspectiva, Hans Küng e outros invocaram a hipótese de um Pontificado “temporário”, e não vitalício, como uma forma de governo exigida pela celeridade das mudanças do mundo moderno e da novidade contínua de seus problemas.
“Não podemos ter um Pontífice de 80 anos que já não está totalmente presente do ponto de vista físico e mental”, disse Küng à emissora Südwestundfunk, que vê na limitação do mandato do Papa um passo necessário para a reforma radical da Igreja.
O Papa seria reduzido a presidente de um Conselho de administração, a uma figura meramente de arbitragem, ladeada por uma estrutura eclesiástica "aberta", qual sínodo permanente, com poder de decisão.
No entanto, caso se acredite que a essência do Papado esteja no poder sacramental da ordem e não no poder supremo de jurisdição, o Pontífice jamais poderia renunciar; se o fizesse perderia com a renúncia apenas o exercício do poder supremo, mas não o poder em si, que é indelével como a ordenação sacramental da qual deflui.
Quem admite a hipótese da renúncia deve admitir com isso que o Papa deriva sua summa potestas da jurisdição que exerce, e não do sacramento que recebe. A teologia progressista está, portanto, em contradição consigo mesma quando procura estabelecer o Papado sobre sua natureza sacramental e depois reivindica a renúncia de um papa, a qual por sua vez só pode ser admitida se sua posição se basear sobre o poder de jurisdição.
Pela mesma razão não pode haver, após a renúncia de Bento XVI, “dois papas”, um no cargo e outro “aposentado”, como tem sido impropriamente dito. Bento XVI voltará a ser Sua Eminência o Cardeal Ratzinger e não poderá exercer prerrogativas, como a da infalibilidade, que são intimamente ligadas ao poder de jurisdição pontifício.
O Papa, portanto, pode renunciar. Mas é oportuno que o faça? Um autor, por certo não "tradicionalista", Enzo Bianchi, escreveu em “La Stampa” de 1º de julho de 2002:
"Segundo a grande tradição da Igreja do Oriente e do Ocidente, nenhum papa, nenhum patriarca, nenhum bispo deveria renunciar apenas por ter atingido o limite de idade. É verdade que há cerca de trinta anos na Igreja Católica há uma disposição que convida os bispos a oferecer as próprias renúncias ao Papa ao atingirem 75 anos, e é verdade que todos os bispos recebem com obediência esse convite e apresentam-na, como também é verdade que normalmente elas são aceitas e as renúncias acolhidas. Mas esta é uma regra e uma prática recente, definida por Paulo VI e confirmada pelo Papa João Paulo II: nada exclui que no futuro possa ser revista, depois de pesadas as vantagens e os problemas que ela tem produzido nas últimas décadas de aplicação”.
A norma pela qual os bispos renunciam sua diocese a partir dos 75 anos de idade é uma fase recente na história da Igreja e parece contradizer as palavras de São Paulo, para quem o Pastor é nomeado ad convivendum et commoriendum (2 Cor 7, 3), para viver e morrer ao lado de seu rebanho.
A vocação de um Pastor, como a de todos os batizados, vincula de fato não somente até certa idade e boa saúde, mas até a sua morte.
A este respeito, a renúncia de Bento XVI ao Pontificado aparece como um ato legítimo do ponto de vista teológico e canônico, mas, no plano histórico, em ruptura absoluta com a tradição e a prática da Igreja.
Do ponto de vista do que poderiam ser suas consequências, trata-se de um ato não simplesmente “inovador”, mas radicalmente “revolucionário”, como o definiu Eugenio Scalfari em “La Repubblica” de 12 de fevereiro.
A imagem da instituição pontifícia, aos olhos da opinião pública de todo o mundo, é de fato despojada de sua santidade para ser consignada aos critérios de julgamento da modernidade.
Não por acaso, no “Corriere della Sera” do mesmo dia, Massimo Franco fala do "sintoma extremo, final, irrevogável, da crise de um sistema de governo e de uma forma de papado”.
Não se pode fazer uma comparação, nem com Celestino V, que renunciou após ter sido arrancado à força de sua cela eremítica, nem com Gregório XII, quem por sua vez se viu forçado a renunciar para resolver a gravíssima questão do Grande Cisma do Ocidente.
Tratava-se de casos excepcionais. Mas qual é a exceção no gesto de Bento XVI? A razão, oficial, esculpida nas suas palavras pronunciadas em 11 de fevereiro, mais do que a exceção exprime a norma:
No mundo de hoje, sujeito a rápidas mudanças e agitado por questões de grande importância para a vida da fé, para governar o barco de Pedro e anunciar o Evangelho, é também necessário o vigor, seja do corpo, seja da alma, vigor que, nos últimos meses, diminuiu em mim de modo tal, que devo reconhecer a minha incapacidade”.
Não se defrontava com uma deficiência grave, como foi o caso de João Paulo II no final de seu pontificado.
As faculdades intelectuais de Bento XVI estão totalmente intactas, como o demonstrou uma de suas últimas e mais importantes meditações para o Seminário Romano, e sua saúde é “geralmente boa”, como afirmou o porta-voz da Santa Sé, padre Federico Lombardi, segundo o qual o Papa alertou nos últimos tempos para “o desequilíbrio entre as tarefas, entre os problemas a serem resolvidos e as forças das quais sente não dispor”.
No entanto, desde o momento da eleição, cada pontífice experimenta um compreensível sentimento de inadequação, sentindo a desproporção entre suas capacidades pessoais e o peso da tarefa para a qual ele é chamado.
Quem pode afirmar-se capaz de suportar com suas próprias forças o munus de Vigário de Cristo?
Mas o Espírito Santo assiste o Papa não apenas no momento da eleição, mas até a sua morte, em cada momento, até nos mais difíceis de seu pontificado. Hoje, o Espírito Santo é frequentemente invocado de forma inadequada, como quando se pretende que Ele inspira cada ato e cada palavra de um Papa ou de um Concílio.
Nestes dias, no entanto, Ele é o grande ausente dos comentários da mídia, que avaliam o gesto de Bento XVI de acordo com um critério puramente humano, como se a Igreja fosse uma multinacional guiada em termos de pura eficiência, prescindindo de qualquer influxo sobrenatural.
Mas a questão é: em dois mil anos de história, quantos foram os Papas que reinaram com boa saúde, que não experimentaram o declínio da força nem sofreram com doenças e provas morais de qualquer gênero? O bem-estar físico nunca foi um critério de governo da Igreja. Sê-lo-á a partir de Bento XVI?
Um católico não pode deixar de se colocar estas perguntas, e se não o fizer elas serão colocadas pelos fatos, como no próximo conclave, quando a escolha do sucessor de Bento XVI será inevitavelmente orientada para um jovem cardeal em pleno vigor, que seja considerado adequado para a grave missão que o espera.
A menos que o cerne do problema não esteja naquelas “questões de grande relevância para a vida da fé” às quais se refere o Papa, e que poderiam aludir à situação de ingovernabilidade em que parece encontrar-se hoje a Igreja.
Seria pouco prudente, sob este aspecto, considerar já “fechado” o pontificado de Bento XVI, dedicando-se a balanços prematuros antes de aguardar o prazo fatal anunciado por ele: a noite de 28 de fevereiro de 2013, uma data que ficará gravada na história da Igreja.

Depois dessa data, Bento XVI ainda poderá ser protagonista de cenários novos e inesperados. De fato, o Papa anunciou sua demissão, mas não seu silêncio; e sua escolha restitui-lhe uma liberdade da qual talvez se sentisse privado.
O que dirá e fará Bento XVI, ou o cardeal Ratzinger, nos próximos dias, semanas e meses? E, sobretudo, quem guiará, e de que maneira, a barca de Pedro nas novas tempestades que inevitavelmente se avizinham?

sexta-feira, 9 de novembro de 2012

O Concílio Vaticano II, uma história nunca escrita (III): Os ‘vota’ os Padres conciliares.

O Concílio Vaticano II, uma história nunca escrita (III): Os ‘vota’ os Padres conciliares.



Lançado em 2011 na Itália, a prestigiosa obra do Professor Roberto de Mattei, intitulada “O Concílio Vaticano II – Uma história nunca escrita”, chega agora ao público lusófono. A Editora Caminhos Romanos, detentora dos direitos sobre a versão portuguesa do laureado livro — Prêmio Acqui Storia 2011 e finalista do Pen Club Italia — , concedeu ao Fratres in Unum a exclusiva honra de divulgar alguns excertos deste trabalho que é um verdadeiro marco na historiografia do Concílio Vaticano II.
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Como os "cahiers de doléance" da Revolução Francesa.
Bispos no Vaticano II.No verão de 1959, chegaram a Roma, sob a forma de vota, as respostas dos bispos, dos superiores das ordens religiosas e das universidades católicas à solicitação de pareceres do Cardeal Tardini [então Secretário de Estado]. O apuramento do imenso material foi iniciado no mês de Setembro e ficou concluído em finais de Janeiro de 1960. As cerca de três mil cartas constituíram a matéria dos oito volumes de Acta et documenta concilio Vaticano II apparando" [1].
Uma análise atenta deste material permite hoje ao historiador -- como permitiu então ao Papa, à Cúria e à Comissão Preparatória -- obter um quadro dos desiderata do episcopado mundial nas vésperas do Concílio.
As solicitações dos futuros Padres conciliares, consideradas no seu conjunto, não exprimem o desejo de uma radical reviravolta, e ainda menos de uma "Revolução" no interior da Igreja [2]. Se é certo que as tendências anti-romanas de alguns episcopados afloram claramente em respostas como a do Cardeal Alfrink [3], arcebispo de Utrecht, de uma maneira geral os auspícios dos Padres são de uma "reforma" moderada, na linha da tradição. A maioria dos vota solicitava uma condenação dos males modernos, internos e externos à Igreja, sobretudo do comunismo, bem como novas definições doutrinais, nomeadamente a respeito da Bem-Aventurada Virgem Maria. Nos vota do episcopado britânico, por exemplo, está presente a denúncia dos males da sociedade contemporânea, mas não se encontram aí instâncias de uma reforma radical [4]; e mesmo entre bispos franceses, considerados dos mais progressistas, muitos pediam a condenação do marxismo ou do comunismo, e uma minoria consistente pedia a definição do dogma da mediação de Maria [5]. Quanto aos bispos belgas, Claude Soetens, que analisou os respectivos vota, sublinha ‹‹ o caráter assaz decepcionante ›› das propostas, ‹‹ que eram pouco susceptíveis de provocar uma verdadeira renovação eclesial ››, confirmando a impressão de quantos salientaram a diferença entre as respostas dos bispos à consulta de 1959 e as atitudes por eles posteriormente assumidas durante o Concílio [6].
Os bispos italianos, que eram os mais numerosos, queriam que o Concílio proclamasse o dogma da ‹‹ mediação universal da Bem-Aventurada Viagem Maria ›› [7]; o segundo dogma cuja definição pediam era o da Realeza de Cristo, para ser contraposto ao laicismo dominante [8]. Muitos pediam ainda ao Concílio a condenação de erros doutrinais: 91 queriam ver reiteradas a condenação do comunismo, 57 exprimiam-se contra o existencialismo ateu, 47 contra o relativismo moral, 31 contra o materialismo, 24 contra o modernismo [9]. ‹‹ Nas milhares de cartas chegadas a Roma e enviadas de todo o mundo, o comunismo era referido como o erro mais grave que o Concílio deveria condenar. Eram 286 bispos que a ele se referiam. Para além das numerosas referências ao socialismo, ao materialismo e ao ateísmo ››, refere Giovanni Turbanti [10].
No Relatório sintético, que enuncia os vota dos bispos por nações e foi elaborado pela Secretaria-Geral das Comissões Preparatórias, o comunismo também figura como o primeiro erro que o Concílio deveria condenar [11].
É interessante fazer uma analogia entre os vota dos Padres conciliares e os Cahiers de doléance redigidos em França com vista aos Estados Gerais de 1789. Antes da Revolução Francesa, nenhum destes cahiers se propunha subverter as bases do Ancien Régime, nomeadamente a monarquia e a Igreja. ‹‹ Nenhum Cahier foi redigido como se os Estados Gerais devessem ter como objectivo anular todo o poder pré-existente e criá-lo ou recriá-lo ex-novo ››, sublinha o historiador Armando Saitta [12]. Aquilo que se pedia era uma moderada reforma das instituições e não a subversão das mesmas, como inesperadamente aconteceu quando os Estados Gerais se reuniram. Também no caso do Vaticano II, conclui o Padre O'Malley, ‹‹ em geral, as respostas vinham pedir um reforço do status quo, uma condenação dos males modernos, quer no interior, quer no exterior da Igreja, e outras definições doutrinais, em especial relacionadas à Virgem Maria›› [13].
O Concilio não atendeu às solicitações presentes nos vota dos Padres Conciliares, optando por secundar as reivindicações de uma minoria que conseguiu, desde o princípio, digirir a assembléia e orientar as suas decisões. Esta é a conclusão irrefutável da análise dos factos históricos.
* * *
[1] Os votos foram coligidos em Acta et documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando -- Series I (Antepraeparatoria), cit.. Em 2594 futuros Padres Conciliares, responderam 1988, ou seja, 77% (cf. E. FOUILLOUX), ‹‹ La fase ante-preparatoria (1959-1960) ››, cit., pp. 112-113).
[2] Para uma análise global dos vota veja-se À la veille du Concile Vatican II, cit., bem como Le deuxième Concile du Vatican, pp. 101-177. Para os prelados italianos, cf. MAURO VELATI, ‹‹ I consila et vota dei vescovi italiani ››, in À la veille du Concile Vatican II, cit., pp. 83-97; ROBERTO MOROZZO DELLA ROCCA, ‹‹ I "voti" dei vescovi italiani per il Concilio ›› , in Le deuxième Concile du Vatican, pp. 119-137.
[3] AD, I-II, pp. 509-516. Bernard Jan Alfrink (1900-1987), holandês, ordenado em 1924, arcebispo de Utrecht a partir de 1955, feito cardeal em 1960, membro da Comissão Preparatória e do Conselho dos Presidentes, Cf. FABRIZIO DE SANTIS, Alfrink, il cardinale d'Olanda, Longanesi, Milão, 1969; TON H. M. VAN SCHAIK, Alfrink, Een biografie, Authos, Amesterdão, 1997. Sobre o papel de Alfrink no Concílio, cf. Actes et Acteurs, pp. 522-553.
[4] Cf. SOLANGE DAYRAS, ‹‹ Les voeux de l'episcopat britannique. Reflets d'une église minoritaire ›› , in Le deuxième Concile du Vatican, pp. 139-153.
[5] CFf. YVES-MARIE HILAIRE, ‹‹ Les voeux des évêques français après l'annonce du Concile ››, in Le deuxième Concile du Vatican, p. 102 (pp. 101-117).
[6] Cf. C. SOETENS, ‹‹ Les vota des évêques belges en vue du Concile ››, in À la veille du Concile Vatican II, cit., p. 49 (pp. 38-52).
[7] Cf. R. MOROZZO DELLA ROCCA, ‹‹ I vota dei vescovi italiani ›› , cit., p. 127.
[8] Cf. ibid.
[9] Cf. ibid., pp. 119-137.
[10] G. TURBANTI, ‹‹ Il problema do comunismo al Concilio Vaticano II ›› , in Vatican II in Moscow, p. 149 (pp. 147-187).´
[11] Ibid., p. 150. Especialmente notórios são os votos das universidades católicas, como por exemplo a do Ateneu De Propaganda Fide de Roma, que apresenta um longo e aprofundado estudo do padre estigmatino Cornelio Fabro sobre as origens e a natureza do ateísmo contemporâneo. (Cf. De atheismo positivo seu constructivo ut irreligiositatis nostri temporis fundamenta, AD, I-I/1, pp. 452-463).
[12] ARMANDO SAITTA, Constituenti e Costituizioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), Giuffrè, Milão, 1975, p. 3.
[13] J. W. O'MALLEY, s.j., Introdução a Vatican II. Did anything happen?, cit., p. 4
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Roberto de Mattei nasceu em Roma, em 1948. Formou-se em Ciências Políticas na Universidade La Sapienza. Atualmente, leciona História da Igreja e do Cristianismo na Universidade Europeia de Roma, no seu departamento de Ciências Históricas, de que é o director. Até 2011, foi vice-presidente do Conselho Nacional de Investigação de Itália, e entre 2002 e 2006, foi conselheiro do Governo italiano para questões internacionais. É membro dos Conselhos Diretivos do Instituto Histórico Italiana para a Idade Moderna e Contemporânea e da Sociedade Geográfica Italiana. É presidente da Fundação Lepanto, com sede em Roma, e dirige as revistas Radici Cristiane e Nova Historica e colabora com o Pontifício Comitê de Ciências Históricas. Em 2008, foi agraciado pelo Papa com a comenda da Ordem de São Gregório Magno, em reconhecimento pelos relevantes serviços prestados à Igreja.

Onde encontrar:

Em Portugal – Nas maiores livrarias do país. Em Lisboa, nas livrarias Fnac e Férin (próxima ao Chiado, centro histórico). Em Porto, pelos telefones 936364150 e 911984862.

No Brasil -- Nas livrarias Loyola, da rua Barão de Itapetininga, no centro de São Paulo, e Lumen Christi, do Mosteiro de São Bento, Rio de Janeiro. Pela internet, na Livraria Petrus e Editora Ecclesiae.

* * *fonte

resteranno le rovine....

resteranno le rovine....


Colloquio con Roberto de Mattei, docente di Storia della Chiesa e Storia Moderna all’Università Europea di Roma ed è autore di Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau 2011)

A cinquant’anni dalla sua apertura il Concilio cosa ha lasciato in eredità alla chiesa di oggi? Celebrare o vivere il Vaticano II ?

La Chiesa di oggi vive uno dei momenti più difficili della sua storia, tanto che Benedetto XVI ha sentito la necessità di indire un Anno per la fede, per riproporre il messaggio perenne del Vangelo, non solo alla società secolarizzata occidentale, ma alla Chiesa stessa. Si tratta di capire quali sono le cause di questa crisi della Chiesa e in che misura sono legate al Concilio Vaticano II. Io credo che le radici della crisi religiosa e morale contemporanea preesistano al Concilio, ma in esso abbiano avuto un indubbio momento di deflagrazione. Sotto questo aspetto il Concilio ci ha lasciato una pesante eredità. E’ giunta l’ora, mi sembra, di prender atto del fallimento del metodo pastorale del Vaticano II.

Le interpretazioni storiche, le ermeneutiche, rottura, discontinuità o riforma i tempi lunghi della recezione. Una sua valutazione?

C’è il rischio di perdersi in discussioni inutili. Benedetto XVI, nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, ha dichiarato che all’ermeneutica della discontinuità non si oppone un’ermeneutica della continuità tout court, ma un’”ermeneutica della riforma” la cui vera natura consiste in un “insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi”. Tutti accettano l’esistenza di livelli diversi di continuità e di discontinuità del Concilio Vaticano II nei confronti della Chiesa precedente. Si tratta però di capire su quali piani ci si muove. Io ritengo che sia importante distinguere l’evento storico dai documenti, e prima di leggere e valutare i documenti, sia necessario ricostruire la verità storica di ciò che è accaduto a Roma tra il 1962 e il 1965. Qualcuno mi rimprovera di utilizzare lo stesso metodo della scuola di Bologna, mentre c’è una differenza di fondo. La scuola progressista di Bologna trasforma la storia in un locus theologicus, affidando allo storico il ruolo del teologo. Io, al contrario, affermo la distinzione dei ruoli e credo che l’interpretazione dei testi non spetti allo storico, ma al Magistero della Chiesa,

Un Concilio ecumenico, quali sono state le grandi novità che hanno cambiato il mondo di essere della chiesa, soprattutto per i nativi conciliari e per coloro che del Vaticano II hanno sentito solo parlare. Quando i testimoni saranno scomparsi cosa resterà?

Sarei tentato di rispondere che resteranno le rovine. Le rovine degli altari devastati, delle chiese spopolate, dei seminari abbandonati e soprattutto le rovine della diserzione, ovvero l’abbandono di quelle trincee in cui la Chiesa preconciliare combatteva il mondo per evangelizzarlo. Il nuovo metodo della “mano tesa” non ha convertito il mondo, ma lo ha reso più aggressivo. I nemici della Chiesa, che ci sono sempre stati e non mancheranno mai, dimostrano nei confronti della Chiesa dialogante una intolleranza molto maggiore di quanta non ne nutrissero verso la Chiesa“intransigente”. Quando i testimoni saranno scomparsi rimarrà la domanda di fondo: perché è accaduto tutto questo?

Incontro universale della chiesa, prospettiva pastorale, riconciliazione con il mondo e la modernità, rispetto della tradizione aggiornata ai segni dei tempi. Concetti espressi più volte che molti faticano a comprendere oggi.

Il Concilio Vaticano II è stato il primo Concilio della Chiesa che si è autoproclamato pastorale. Tutti i venti Concili precedenti avevano espresso in termini pastorali adeguati al mondo del loro tempo i dogmi e i canoni disciplinari che avevano promulgato. Nel Vaticano II, l’”aggiornamento” elevò la “pastoralità” a principio alternativo alla“dogmaticità. La dimensione pastorale, per sé accidentale e secondaria rispetto a quella dottrinale, divenne nei fatti prioritaria, operando una rivoluzione nel linguaggio e nella mentalità. Ma esprimersi in termini diversi dal passato, significa compiere una trasformazione culturale più profonda di quanto possa sembrare.. Secondo il padre John O’Malley, il Vaticano II fu soprattutto un“evento linguistico”. La novità linguistica secondo i progressisti era in realtà dottrinale, perché, per essi, il modo in cui si parla ed agisce è dottrina che si fa prassi.

Il vissuto della chiesa e il Concilio. Più delle dispute storiche e teologiche valgono le esperienze delle comunità, la testimonianza di laici e religiosi, uomini che il Concilio l’hanno applicato nella loro vita.

Molti degli uomini che il Concilio lo hanno applicato nella loro vita hanno abbandonato la Chiesa. Si pensi, ad esempio, all’ex-abate di San Paolo Giovanni Franzoni, uno degli ultimi Padri conciliari italiani viventi, tuttora punto di riferimento per la teologia progressista. Franzoni si distinse come animatore della “Comunità di base” neo marxista dell’abbazia di San Paolo, prese apertamente posizione per il divorzio, aderì alla teologia della liberazione in America Latina, si sposò con rito civile con una giornalista giapponese. Altri protagonisti del Concilio, come Hans Kueng, uno degli ultimi “esperti” teologici del Concilio sopravissuti, non si sono sposati e rimangono all’interno della Chiesa, celebrando regolarmente Messa, ma non professano più la fede cattolica. Laddove invece si è voltato le spalle al metodo pastorale del Concilio e si è fatta l’esperienza della Tradizione, la fede rinasce, fioriscono le vocazioni religiose e crescono numerose e stabili le famiglie. Questo è il “vissuto” della Chiesa che io conosco.
tratto da: http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/concilio-19386/

sexta-feira, 26 de outubro de 2012

Fratres in Unum entrevista o Professor Roberto de Mattei.

   

Nesta semana, a obra O Concílio Vaticano II: uma história nunca escrita, de autoria do Professor Roberto de Mattei, foi apresentada em Portugal. Por esta ocasião, o autor gentilmente aceitou trocar algumas palavras com o Fratres in Unum.
De Mattei nasceu em Roma, em 1948. Formou-se em Ciências Políticas na Universidade La Sapienza. Atualmente, leciona História da Igreja e do Cristianismo na Universidade Europeia de Roma, no seu departamento de Ciências Históricas, do qual é o diretor. Até 2011, foi vice-presidente do Conselho Nacional de Investigação da Itália, e entre 2002 e 2006, foi conselheiro do Governo italiano para questões internacionais. É membro dos Conselhos Diretivos do Instituto Histórico Italiano para a Idade Moderna e Contemporânea e da Sociedade Geográfica Italiana. É presidente da Fundação Lepanto, com sede em Roma, e dirige as revistas Radici Cristiane e Nova Historica e colabora com o Pontifício Comitê de Ciências Históricas. Em 2008, foi agraciado pelo Papa com a comenda da Ordem de São Gregório Magno, em reconhecimento pelos relevantes serviços prestados à Igreja.
Primeiramente, Professor Roberto de Mattei, muito obrigado por atender ao nosso convite. A sua obra tem causado grande agitação nos meios eclesiais — entre o acolhimento entusiasmado de uns e a recepção nada amistosa de outros. Afinal, o que há de tão especial em seu trabalho que o caracterize como “uma história nunca escrita”?
Professor Roberto de Mattei.
Professor Roberto de Mattei.
O Concílio Vaticano II foi considerado, por 50 anos, como um monólito histórico-teológico que era aceito em bloco, resultando com que muitos o tenham rejeitado em bloco. A minha abordagem é a de distinguir os documentos do Concílio do evento histórico, procurando, no âmbito histórico, a verdade dos fatos. Isso significa que o Concílio Vaticano II deve ser encarado não só na esfera teológica, mas, sobretudo, na histórica, como evento.
Alguns me acusam de usar o mesmo método da Escola de Bolonha, enquanto há uma diferença substancial. A escola progressista de Bolonha transforma a história em um locus theologicus, atribuindo ao historiador o papel do teólogo. Eu, pelo contrário, afirmo a distinção dos papéis. O teólogo exerce a sua reflexão sobre os textos; o historiador, sem desprezar os textos, reserva a sua atenção sobretudo à sua gênese, às suas consequências, ao contexto em que elas se situam. Os dois níveis, o histórico e o hermenêutico, não podem ser confundidos, a menos que você acredite que a história coincida com a sua interpretação. É só após a reconstrução histórica, e não antes, que intervém o teólogo ou o Pastor, para formular os seus juízos. Se, então, os fatos históricos colocam problemas teológicos, o historiador não pode ignorá-los e deve trazê-los à luz, remetendo-se sempre à doutrina da Igreja.
Como o senhor avalia a recepção do livro por parte dos clérigos, em especial dos bispos? Alguma apreciação do Papa ou de seus colaboradores mais próximos? É possível entrever alguma abertura das autoridades eclesiásticas a uma discussão sobre esse tema, até hoje considerado tabu?
Roberto de Mattei e o Cardeal Burke.
Cardeal Burke e Roberto de Mattei
Tenho recebido expressões de aprovação e elogios por parte de bispos e cardeais, não só italianos. Entre estes, o Cardeal Raymond Leo Burke e Dom Athanasius Schneider. Na Itália, o meu livro foi apresentado com sucesso em muitas dioceses e, em alguns casos, os apresentadores foram os próprios bispos, como Dom Luigi Negri, bispo de Montefeltro-San Marino, e Dom Simone Giusti, bispo de Livorno. Ademais, é de conhecimento que o Cardeal Brandmüller organizou, em 2012, uma série de debates “a portas fechadas” sobre o Concílio Vaticano II com estudiosos de diferentes tendências. Fui convidado para estas discussões, tendo a oportunidade de apresentar a minha tese e de criticar as de outros estudiosos presentes. Tudo se desenvolveu sempre em um clima de sereno e profícuo aprofundamento cultural.
Nas últimas décadas, percebe-se claramente uma polarização entre os historiadores do Vaticano II. De um lado, as idéias da Escola de Bolonha, que prevalecem atualmente no panorama eclesial; de outro, uma corrente mais recente, cujo expoente de maior destaque é o Arcebispo Agostino Marchetto. O senhor poderia expor, em linhas gerais, as teses defendidas por cada uma destas correntes? Como a sua obra se enquadra nesse contexto?
A corrente hermenêutica hoje dominante é a Escola de Bolonha, que teve seu iniciador no prof. Giuseppe Alberigo e hoje é representada principalmente pelo prof. Alberto Melloni. Esta escola contrapõe aos documentos do Vaticano II o seu “espírito”, e vê no evento conciliar um Pentecostes para a Igreja “traído” por Paulo VI e seus sucessores. A sua expressão é uma História do Concílio Vaticano II, em cinco volumes, publicada em vários idiomas, em um trabalho de vários autores de diferentes nacionalidades. Contra a escola de Bolonha, em 2005, vem a campo Dom Agostino Marchetto, com o volume Il Concilio ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia (Libreria Editrice Vaticana, 2005), que foi seguido, neste ano, por um outro estudo: Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica (Libreria Editrice Vaticana, 2012). Dom Marchetto não escreveu uma história alternativa à de Bolonha, mas se limitou a examinar criticamente alguns estudos de autores que ele considera “descontinuístas”, tanto do lado progressista como tradicional (e eu sou um deles), em nome de “hermenêutica da continuidade”. Porém, contra a história tendenciosa de Alberigo e seus seguidores não basta afirmar que os documentos do Concílio devem ser lidos em continuidade e não em ruptura com a Tradição. Quando, em 1619, Paolo Sarpi escreveu uma história heterodoxa do Concílio de Trento, não lhe foram contrapostas as fórmulas dogmáticas de Trento, mas uma história diversa, a célebre Storia del Concilio di Trento, escrita por ordem do Papa Inocêncio X pelo Cardeal Pietro Sforza Pallavicino (1656-1657): a história se combate efetivamente com a história, não com hermenêutica.
Com o meu livro, espero ter aberto o caminho para “reescrever”, de maneira objetiva, o que aconteceu, não só nos três anos em que se desenvolveu o Concílio Vaticano II, de 11 de outubro de 1962 a 8 de Dezembro de 1965, mas nos anos que o precederam e que imediatamente lhe seguiram, a época do chamado “pós-concílio”.
Alguns, inclusive Cardeais, sustentam que a Missa de Paulo VI não seria, propriamente, a Missa do Concílio. O que o senhor pensa a respeito?
João XXIII nunca partilhou da ideia de uma reforma litúrgica que era defendida, em vez, por uma minoria de teólogos e liturgistas progressistas. Pouco antes de abrir o Concílio, em 22 de fevereiro de 1962, o Papa Roncalli publicou uma Constituição Apostólica, a Veterum Sapientia, na qual confirmava a liturgia tradicional e enfatizava a importância do uso do latim, “língua viva da Igreja”, recomendando que as mais importantes disciplinas eclesiásticas deveriam ser ensinadas em língua latina (n. 5) e que os aspirantes ao sacerdócio, antes de empreender os seus estudos eclesiásticos, deveriam ser “instruídos na língua latina com sumo cuidado e com método racional, por mestres extremamente capazes, por um conveniente período de tempo” (n. 3).
Por sua obra, De Mattei recebeu o prêmio 'Acqui Storia', o mais prestigioso reconhecimento da Europa dedicado à História.
Por sua obra, De Mattei recebeu o prêmio ‘Acqui Storia’, o mais prestigioso reconhecimento da Europa dedicado à História.
O Vaticano II, embora admitindo uma certa introdução do vernáculo, insistiu sobre o papel do latim, estabelecendo, em seu n. 36 da Constituição Sacrosanctum Concilium, de 4 de dezembro de 1963: “Deve conservar-se o uso do latim nos ritos latinos, salvo o direito particular”. O Concílio solicitou também aos seminaristas “adquirir o conhecimento da língua latina, com que possam compreender e utilizar as fontes de numerosas ciências e os documentos da Igreja”. Embora estabelecendo limites, os padres conciliares propuseram, no entanto, a possibilidade de um uso mais amplo do vernáculo. O artigo 54 da Sacrosanctum Concilium, com efeito, acrescenta: “Se algures parecer oportuno um uso mais amplo do vernáculo na missa, observe-se o que fica determinado no art. 40 desta Constituição”. O artigo 40 dá orientações quanto ao papel das Conferências Episcopais e da Sé Apostólica sobre tal matéria tão delicada. O Concílio, embora recomendando o uso do latim, abriu, portanto, uma brecha.
Por que o Novus Ordo de Paulo VI, que entrou em vigor em todo o mundo em 03 de abril de 1969, foi apresentado como uma conseqüência do Concílio Vaticano II, que não havia previsto nenhuma reforma litúrgica? Trata-se, a meu ver, de uma aplicação, por Paulo VI, do “princípio de pastoralidade” do Vaticano II, segundo o qual o “aggiornamento” não deveria tocar a doutrina, mas o modo de expressá-la. A dimensão pastoral, por si acidental e secundária em relação à doutrina, tornou-se, de fato, prioritária, operando uma profunda revolução na linguagem e na mentalidade. Segundo o Padre John O’Malley, o Vaticano II foi, sobretudo, um “evento lingüístico”. A novidade lingüística segundo os progressistas era, na realidade, doutrinal, porque para eles o modo com que se fala e se age é doutrina que se faz praxe. A reforma litúrgica apresentou, portanto, uma nova lex orandi que comportava uma nova lex credendi. Sob este aspecto, a reforma litúrgica se mostra como uma coerente realização, na prática, do princípio de pastoralidade do Vaticano II.
Que personagens lusófonos tiveram atuação de destaque no Concílio? Qual o seu grau de influência durante o evento conciliar?
O episcopado português, como em geral os episcopados latinos, distinguiu-se no Concílio pelo seu apego à Tradição da Igreja. Mas deve-se recordar especialmente os protagonistas da resistência ao progressismo, reunidos no Coetus Internationalis Patrum. Dentre eles, destaco as figuras de Dom Geraldo de Proença Sigaud, Dom Antônio de Castro Mayer e Professor Plínio Corrêa de Oliveira, particularmente em relação ao pedido de condenação do comunismo que foi ilegalmente deixado de lado pelas comissões conciliares.
O senhor faria uma analogia entre a situação de calamidade surgida após o Vaticano II e algum outro período da história da Igreja? Com os olhos voltados ao passado, é possível antever uma solução futura para a crise pela qual passamos?
A história nunca é “nova”. Bento XVI comparou o nosso tempo ao da decadência e queda do Império Romano do Ocidente. Esta época foi caracterizada não só pelas invasões bárbaras, mas também por uma trágica crise dentro da Igreja, que foi o arianismo. A leitura da obra do Beato Newman sobre Os arianos do século IV me parece esclarecedora para compreender a época atual.
Saindo da esfera do historiador para um questionamento ao fiel Roberto de Mattei: como o senhor vê o surgimento de tantos jovens interessados na Missa Tradicional e a difusão desta após o motu proprio Summorum Pontificum?
Eu acredito que há ao menos duas razões de caráter natural que explicam esse fenômeno tão animador: a primeira é a mudança de clima psicológico que se deu na Igreja com o pontificado de Bento XVI e, em especial, com o seu Motu Proprio Summorum Pontificum de 2007. A segunda é o papel da internet, que permitiu que tanto se expressassem e se unissem, principalmente os jovens, que de outra forma teriam permanecido isolados e sem voz. Mas há, claro, uma razão mais profunda, de ordem sobrenatural: a indubitável existência de novas graças que superabundam a Igreja discente, em um período histórico em que abunda, infelizmente, a deserção dos Pastores.
Por fim, Professor, haverá uma apresentação de seu livro no Brasil?
Seria uma enorme satisfação uma apresentação do meu livro no Brasil e eu ficaria contente em participar, mas me parece que ainda não está na agenda.
 

terça-feira, 16 de outubro de 2012

Questionamentos sobre o Concílio Ecumênico Vaticano II.

 

Ao longo de 2012, desenvolveram-se, como noticiado por alguns blogs, dois seminários de estudo sobre o Concílio Vaticano II presididos por Sua Eminência Cardeal Walter Brandmüller, com a participação de estudiosos de diversas tendências, com a finalidade de viabilizar um construtivo debate sobre um evento que tão fortemente marcou a vida da Igreja e de toda a sociedade. Publicamos a seguir as palavras do Prof. Roberto de Mattei, pronunciadas em Roma, no encontro de 17 de março de 2012.
Uma premissa necessária: a crise da fé contemporânea
O problema que tratamos não é uma questão abstrata, mas toca concretamente o modo de viver a nossa fé, em um momento histórico descrito este ano por Bento XVI com estas palavras: “Como sabemos, em vastas zonas da terra a fé corre o perigo de apagar-se como uma chama que não encontra mais alimento. Estamos diante de uma profunda crise de fé, e uma perda do senso religioso que constitui a grande perda para a Igreja de hoje”[1]. A discussão não pode se limitar a um puro interesse cientifico, mas deve partir da necessidade de compreender a natureza da crise da fé em ato.
A crise da fé e o Concílio Vaticano II
Bento XVI quis fazer coincidir o Ano da Fé com o quinquagésimo aniversário do Concílio, auspiciando que os textos deixados em herança pelos Padres Conciliares “sejam lidos de maneira apropriada”, e “sejam conhecidos e assimilados como textos qualificados e normativos do Magistério, no interior da Tradição da Igreja”, ou seja, integrados à Tradição da Igreja, indicando ainda um instrumento para essa assimilação: o Novo Catecismo da Igreja Católica. Depois de se dizer convicto que o Concílio é “a grande graça da qual a Igreja se beneficiou no século XX”, o Papa, citando o seu Discurso a Cúria Romana de 22 de dezembro de 2005, repetiu que o Concílio Vaticano II, “se o lemos e recebemos guiados por uma justa hermenêutica”, “pode ser e se tornar sempre mais uma grande força para a sempre necessária renovação da Igreja” [2]. Bento XVI admite então a existência de um nexo entre a atual crise de fé e o Concílio Vaticano II, embora considere que esta crise não se deva ao Concílio em si mesmo, mas seja favorecida por uma má hermenêutica, uma incorreta interpretação de seus textos.
Problema hermenêutico ou problema histórico?
Não pretendemos contradizer o quanto afirma o Santo Padre, mas o problema da relação entre a crise da fé e o Concílio Vaticano II exige uma resposta não apenas sobre o plano hermenêutico, mas também, se não sobretudo, sobre o plano histórico. Qualquer que seja o juízo sobre os documentos do Concílio, o problema de fundo não é o de interpretá-lo, mas de compreender a natureza de um evento histórico que marcou o século XX e o nosso. Para desfazer o nó da relação entre o Vaticano II e a crise do nosso tempo, antes de colocar em prática a hermenêutica dos textos, devemos fazer uma avaliação histórica dos fatos. E só depois a reconstrução histórica, e não antes, é que intervirão o teólogo ou o Pastor, para formular os seus juízos. O conhecimento histórico não tem por objeto o significado dos documentos, mas a verdade dos fatos [3]. A história é Das verstehen: compreensão dos acontecimentos. A capacidade do historiador está no compreender a essência de um evento, buscando traçar as causas e as consequências nas ideias e nas tendências profundas de uma época: neste caso, a época do Concílio Vaticano II.
O Concílio Vaticano II: intenção e expectativas
Então, nos atenhamos aos fatos. João XXIII, na alocução com a qual inaugurou o Vaticano II, em 11 de outubro de 1962, explicou que o Concílio foi convocado não para condenar erros ou formular novos dogmas, mas para propor, com linguagem adaptada aos novos tempos, o perene ensinamento da Igreja [4]. O Concílio pareceu a muitos como uma extraordinária oportunidade de renovar a Igreja. Ocorre, na realidade, que a dimensão pastoral, em si acidental e secundária em relação à dimensão doutrinal, essencialmente se tornou prioritária, operando uma revolução no estilo, na linguagem e na mentalidade. O Padre John W. O’Malley explicou bem como as profissões de fé e os cânones foram substituídos por um “gênero literário” que ele chama “epidítico” [5]. Foi este modo de se exprimir que, segundo o historiador jesuíta, “marcou uma ruptura definitiva com os Concílios precedentes” [6]. Exprimir-se em termos diversos do passado significa aceitar uma transformação cultural mais profunda do que possa parecer. O estilo do discurso revela, de fato, mesmo antes das ideias, as tendências profundas da mente de quem se exprime. “O estilo é a expressão última do significado, é significado e não ornamento, e é também o instrumento hermenêutico por excelência” [7].
Os resultados do Concílio
Não discutimos as boas intenções de João XXIII. Todavia, igualmente indiscutível, os resultados não foram proporcionais às expectativas. As palavras com que Paulo VI falava de “auto-demolição” da Igreja, “ferida por quem dela faz parte” [8] são de 1968, aquelas sobre a “fumaça de Satanás no templo de Deus (…)” [9], são de 1972. Permitam-me citar a mim mesmo: “o colapso da segurança dogmática; o relativismo da nova moral permissiva; a anarquia no âmbito disciplinar, o abandono do sacerdócio e da vida religiosa por parte dos sacerdotes e dos religiosos e o distanciamento da prática religiosa de milhões de fiéis, a infiltração da heresia através dos novos catecismos e novos ritos, as contínuas profanações da Eucaristia, o massacre das almas enquanto as igrejas se livravam do altar, mesas da comunhão, crucifixos, imagem de santos, mobiliários sacros, quadros que acabaram em catálogos de antiquários. A ‘primavera da fé’, que deveria seguir ao Concílio Vaticano II, aparecia mais como um rígido inverno, documentado sobretudo pelo colapso nas vocações e do abandono da vida religiosa” [10]. O balanço global dos quarenta anos pós-conciliares 1965-2005, com respeito às perdas totais e percentuais dos principais institutos religiosos, será ainda mais dramático [11].
A tese oficial
“O que deu errado?”, para usar o título de um folheto do filósofo Ralph McInerny [12]. A resposta que escutamos oficialmente repete aquela formulada primeiramente por Paulo VI, que em 23 de junho de 1972, nos mesmos dias em que registrava “a fumaça de Satanás no templo de Deus”, em um discurso aos membros do Sacro Colégio, denunciava “uma falsa e abusiva interpretação do Concílio, que seria uma ruptura com a tradição, também doutrinal, chegando ao repúdio da Igreja pré-conciliar, e a licença de conceber uma Igreja «nova», quase «reinventada» do seu interior, na constituição, no dogma, no costume e no direito” [13]. A tese oficial era aquela do Concílio “traído” pelos progressistas: nesta traição estava, segundo Paulo VI, a raiz dos problemas da Igreja pós-conciliar.
A tese progressista: o Concílio traído.
A esta tese se opunha aquela dos inovadores. A Storia del Concilio Vaticano II [4], de Giuseppe Alberigo, apresenta o Concílio como a tentativa de purificar a Igreja do seu passado. Uma tentativa felizmente iniciada por João XXIII, mas “traída” por Paulo VI e seus sucessores. O Concílio Vaticano II deveria ser a medida de juízo da história e da tradição da Igreja. O leque do progressismo é amplo e variado, mas hoje o ex-sacerdote e abade de São Paulo [Fora dos Muros], Giovanni Franzoni, resume eficazmente esta posição que, a nível hermenêutico, contrapõe-se diretamente àquela de Bento XVI: “Desejando sintetizar, descreverei o nó do contraste que atrapalha a Igreja Católica há décadas: para Wojtyla e Ratzinger, o Vaticano II é lido à luz do Concílio de Trento e do Vaticano I; para nós, pelo contrário, estes dois Concílios são lidos, e relativizados, à luz do Vaticano II [Ndt.: Lembre-se aqui do texto de Mons. Ocariz publicado por nós: “O Vaticano II à luz da Tradição e a Tradição à Luz do Vaticano II: o Vigário-geral do Opus Dei responde aos tradicionalistas no Osservatore Romano,” e também do texto de Paolo Pasqualucci em que aborda a “chave hermenêutica a desenvolver”: a colaboração “do ‘contra-espírito do Concílio’ ao verdadeiro ‘espírito do Concílio’” em “O “debate crítico” que a hierarquia não quer realizar. Recensão à obra “Concilio Vaticano II, il discorso mancato” de Monsenhor Brunero Gherardini]. Então, dada esta divergente perspectiva, os contrastes não podem ser elimináveis. E vemos escorrer da Cátedra Romana, todos os dias, normas, decisões e interpretações que, a nosso juízo, estão em conflito radical com o Vaticano II” [15].
A tese tradicionalista
Com o nome impróprio de “tradicionalistas” são definidos alguns estudiosos que expressaram criticas e perplexidades sobre o Vaticano II e seus documentos. Entre estas obras são recordadas Iota Unum, de Romano Amério [16]; os estudos teológicos de Mons. Gherardini [17], mas também a convenção organizada pelos Franciscanos da Imaculada em dezembro de 2010 [18]; a Súplica promovida em 2011 pelo Prof. Paolo Pasqualucci [19]; e as recentes intervenções do Padre Jean-Michel Gleize [20] e Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira [21].
A minha posição
Embora associando-me aos pedidos de esclarecimento de estudiosos, ofereço, de minha parte, uma contribuição que não é a de teólogo, mas de historiador. Não entro, portanto, nas discussões hermenêuticas sobre continuidade/descontinuidade dos documentos. O que narro no meu estudo são os fatos, o que reconstruo é o contexto histórico em que os documentos do Concílio vieram à luz. E sobre este âmbito histórico afirmo o caráter revolucionário deste evento. Pode-se dizer, de fato, do Concílio Vaticano II, aquilo que os historiadores dizem da Revolução Francesa: “a sua importância está também no fato de ser capaz de agir como um mito, não apenas depois, mas já durante o seu desenrolar. O mito, antes, podemos dizer, é conatural à sua essência” [22].
Questões em discussão
Para o historiador da Igreja, a dimensão histórica não pode ser, todavia, separada daquela teológica. Trata-se de dois âmbitos, mas conexos e interdependentes, como são a alma e o corpo no organismo humano. E se os fatos históricos colocam problemas teológicos, o historiador não pode ignorá-los, mas deve trazê-los à luz, movido por amor à Igreja e não pelo desejo de denegri-la. Ao mesmo tempo, no âmbito teológico, todos os batizados têm o direito de levantar os problemas e colocar questões à legítima autoridade eclesiástica, embora ninguém tenha a faculdade de substituir o supremo Magistério da Igreja para resolver de forma definitiva os pontos controversos. Estas são as questões em discussão.
Primeira questão: os documentos do Concílio Vaticano II
Se existe uma questão hermenêutica, existem documentos pouco claros [23]. Como afirma um antigo brocardo: in claris non fit interpretativo. E se existem documentos pouco claros, a falta de clareza constitui, certamente, um limite, e não uma qualidade destes documentos.
Com o termo hermenêutica, que nasce, sobretudo, depois de Schleiermacher no mundo dos exegetas protestantes, entende-se as “técnicas de algo dificilmente compreensível” [24]. Mas as dificuldades interpretativas que podem apresentar um texto das Sagradas Escrituras não são admissíveis em um documento pastoral, que se propõe dirigir de forma mais eficaz aos homens de seu tempo. A existência de passagens ambíguas e equívocas nos documentos do Concílio Vaticano II é demonstrada pela necessidade de interpretá-los e de esclarecê-los.
Segunda questão: as autoridades que governaram a Igreja
Diz-se que os documentos do Concílio foram mitificados e “descontextualizados”. Mas se é assim que aconteceu, a responsabilidade recai apenas sobre os artífices da mitificação e da descontextualização, ou também sobre a autoridade que poderia impedir tal fato e não o fez? Por que a má hermenêutica não foi suprimida? Paulo VI definiu “falsa e abusiva” certa interpretação do Concílio, mas se alguém foi removido, discriminado, perseguido, foi quem permaneceu fiel à tradição. E não falo nem de Mons. Lefebvre e nem de Mons. Castro Mayer. Penso, por exemplo, em Mons. Antônio Piolanti, talvez o maior teólogo italiano do século XX, que foi removido do cargo de Reitor da Pontifícia Universidade Lateranense. A púrpura que a ele foi negada foi concedida ao Padre Yves Congar [ndr: em 1994, por João Paulo II], que atacava violentamente a “miserável eclesiologia ultramontana da Lateranense” [25].
O Novo Catecismo nos é apresentado como um instrumento de retificação da má hermenêutica. Mas, em vinte anos de sua promulgação, a má hermenêutica continuou a desenvolver-se imperturbada. Não se percebe que, se a preocupação é salvar a suprema autoridade eclesiástica de toda responsabilidade quanto aos males do pós-Concílio, esta colocação do problema agrava o mal que quer evitar. Se, de fato, fosse verdade que o Concílio foi traído por maus intérpretes dos seus documentos, como negar a responsabilidade daquelas autoridades eclesiásticas que viram explodir o mal da má hermenêutica e não a reprimiram? Se houve má interpretação, e há ainda, se reivindicaram indevidamente os documentos conciliares para fazer coisas diversas daquilo que eles estabeleciam, de quem é a responsabilidade? Apenas dos progressistas ou é também de quem deixou que esse progressismo se desenvolvesse na Igreja sem intervir para condená-lo e reprimi-lo?
Terceira questão: o evento histórico
Se nas raízes da crise da fé não está o evento conciliar, mas apenas uma má interpretação de seus documentos, qual o juízo se deverá dar sobre o evento, considerado no seu desenvolvimento concreto, nas ideias e na psicologia dos seus protagonistas, no contexto histórico que o circundou, na mitologia que em torno dele se desenvolveu? O Concílio Vaticano II não foi apenas interpretado, mas vivido pela teologia progressista como uma transformação na história da Igreja. É possível negar que esta transformação foi realizada e que no período pós-conciliar não ocorreram mudanças radicais no interior da Igreja? O dado efetivamente objetivo é que a hermenêutica da descontinuidade, por quanto abusiva, prevaleceu sobre a hermenêutica da continuidade já durante o Concílio, caracterizando-o na sua essência.
Questões legítimas
A tese hermenêutica oficial representa uma proposta de leitura, digna da máxima atenção, ao menos por sua autoridade. Mas ela não é uma afirmação doutrinal: é uma interpretação que, como tal, sobretudo quando nos deslocamos dos documentos para os fatos, pode ser falaz. Ninguém pode dizer ao Papa que ele erra. Com que autoridade poderemos julgar o supremo Pastor da Igreja? Mas cada fiel, enquanto batizado, tem o direito de fazer questões ao Papa, porque o Vigário de Cristo tem o dever de nos confirmar na fé. E, então, coloco estas perguntas.
Se houve uma interpretação falsa e abusiva dos documentos do Concílio, de quem é a responsabilidade? Apenas dos maus hermeneutas ou, também, dos documentos que, por causa dos equívocos ou das ambiguidades, permitiram esta má leitura?
Se houve uma interpretação falsa e abusiva dos documentos do Concílio, de quem é a responsabilidade? Apenas dos maus hermeneutas ou também da autoridade que deixou de condenar com suficiente firmeza as más interpretações?
Se uma interpretação falsa e abusiva dos documentos do Concílio prevaleceu nas mídias, de quem é a responsabilidade? Apenas das mídias ou também do evento histórico que esses documentos produziram? O Concílio, enquanto evento, é estranho à crise do nosso tempo?
O evento; os documentos ou ao menos alguns documentos que este evento produziu; os homens da Igreja que promoveram este evento; e que deste evento cuidaram da aplicação e propõem a interpretação: eis os responsáveis pela crise da fé atual. Ocultá-lo seria prestar um desserviço à verdade.
* * *

[1] Bento XVI, Discurso aos participantes da plenária da Congregação para a Doutrina da Fé, 27 janeiro de 2012.
[2] Bento XVI, Discurso a Cúria Romana 22 de dezembro de 2005, in AAS, 98 (2006).
[3] Henri-Irénee Marrou, O conhecimento histórico, tr. it., Il Mulino, Bolonha 1988, pp. 199-218.
[4] João XXIII, Alocução Gaudet Mater Ecclesiae de 11 de outubro de 1962, in AAS, 54 (1962), p. 792.
[5] John W. O’Malley, Que coisa aconteceu no Vaticano II, tr. it. Vita e Pensiero, Milano 2010, pp. 45-54.
[6] Ivi, p. 47. Veja-se também, sobre este ponto, Alessandro Gnocchi-Mario Palmaro, A Bela Adormecida. Porque depois do Vaticano II a Igreja entrou em crise. Porque acordará Editore, Firenze 2011.
[7] J. W. O’Malley, O que aconteceu no Vaticano II, cit., p. 51.
[8] Paulo VI, Discurso ao Seminário Lombardo em Roma, de 7 de dezembro de 1968, em Ensinamentos, vol. VI (1968), pp. 1188-1189.
[9] Paulo VI, Homília pelo nono aniversário de coroação de 29 de junho de 1972, em Ensinamentos, vol. X (1972), p. 707.
[10] Roberto de Mattei, O Concílio Vaticano II, Uma história nunca escrita, Lindau, Turim 2011, p. 575.
[11] Cfr. O estudo do claretiano Angelo Pardilla, Os religiosos ontem, hoje e amanhã, Editora Rogate, Roma 2007. Análogo o quadro das “religiosas”: Id., As religiosas ontem, hoje e amanhã Livraria Editrice Vaticana, Cidade do Vaticano 2008.
[12] Ralph McInerny Vaticano II. O que deu errado?, Prefácio de Massimo Introvigne, Fede e Cultura, Verona 2009.
[13] Paulo VI, Discurso ao Sacro Colégio de 23 de junho de 2012, em ensinamentos, vol. X (1972), pp. 672-673.
[14] G. Alberigo, Historia do Concilio Vaticano II, Peeters/Il Mulino, Bologna 1995-2001, 5 voll.
[15] Discurso de 18 de setembro de 2011 em um Congresso teológico em Madrid, em “Adista”, 8 de outubro 2011.
[16] Romano Amerio, Iota unum, Lindau, Torino 2009.
[17] Brunero Gherardini, Concílio Ecumênico Vaticano II. Um discurso a fazer, Casa Mariana, Frigento 2009 e Id., Um Concílio faltoso, Lindau, Torino 2011.
[18] Concílio Ecumênico Vaticano II. Um Concílio pastoral. Análise histórica-filosófica-teológica, aos cuidados de P. Stefano M. Manelli F.I. e P. Serafino M. Lanzetta F.I., Casa Mariana Editora, Frigento 2011.
[19] Supplica al Santo Padre Benedetto XVI, Sommo Pontefice, felicemente regnante, affinché voglia promuovere un approfondito esame del pastorale Concilio Ecumenico Vaticano II, in www.riscossacristiana.it, 24 settembre 2011.
[20] Veja-se as suas intervenções em “Courrier de Rome” entre 2011 e 2012.
[21] Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira, Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz. Confutazione dell’articolo del Vicario Generale dell’Opus Dei pubblicato ne “L’Osservatore Romano”, in www.arnaldoxavierdasilveira.com, 28 de dezembro de 2012.
[22] Marco Tangheroni, Cristianità, modernità, rivoluzione, Sugarco, Milano 2009, p. 76.
[23] Veja-se, por exemplo, as intervenções do Padre G. Cavalcoli O.P. e Padre Serafino Lanzetta F.I., in Il Vaticano II. In dialogo in modo critico, in “Fides Catholica”, 1 (2011), pp. 207-232, e o debate sobre o tema proposto pelo site de Sandro Magister, www.chiesa.espresso.repubblica.it.
[24] Eugenio Cutinelli-Rendina, voce Ermeneutica, in Dizionario di storiografia, Bruno Mondadori, Milano 1996, p. 360.
[25] Yves Congar, Diario del Concilio, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, vol. II, p. 20.