Presentiamo un estratto della dissertazione che S.E.R. il Card. Albert Malcolm Ranjith, Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka), ha tenuto al Convegno "Adoratio2011" (Roma, 20 - 23 giugno 2011). L’intervento completo lo potete trovare qui.
del Card. Malcolm Ranjith
“Quando siamo davanti al SS. mo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca; apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui. Egli verrà a noi, l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro”, queste erano le parole con le quali il curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, cercava di spiegare l’adorazione (Il piccolo Catechismo del Curato d’Ars, Tan Books & Publishers, Inc. Rockford, Illinois, 1951, p.42).
1. Adorazione è stare dinanzi a Dio onnipotente in un atteggiamento di silenzio, potente espressione di fede: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam.3,10). E’ davvero inspiegabile in termini umani. Papa Benedetto XVI ha spiegato il significato di adorazione come una proskynesis, “il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire”, e come ad – oratio “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Omelia del 21 agosto 2005 a Marienfeld, Colonia). E’ tale processo di presenza davanti a Dio che ci trasforma. San Paolo, parlando di coloro che si volgono verso il Signore come fece Mosè, dichiara: “quando ci volgeremo verso il Signore, il velo sarà tolto…e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (meta morfoumetha) in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2 Cor. 3,16.18). E’ interessante notare che il verbo usato qui è lo stesso usato per spiegare la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor (metemorfothè).
La presenza dell’adorante dinanzi a Dio lo trasforma. Ciò è mirabilmente espresso in quelle parole del libro dell’Esodo: “quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es. 34, 29-30). E’ come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto; dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume un colorito dorato.
[…]
OBIEZIONI ALL’ADORAZIONE
[…]
Papa Paolo VI, da parte sua, era seriamente preoccupato riguardo a una certa tendenza nella Chiesa, successiva al Concilio Vaticano II, di attenuazione di fede sulla sostanza dell’Eucaristia, in particolare sulla transustanziazione e sulla presenza permanente. Egli dichiarò: “ben sappiamo che… ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione..” (Mysterium Fidei 10). E continua il papa: “non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede” (ibid 14). Il papa, durante la cui vita si svolse la maggior parte del Concilio Vaticano II, affermava: “la costante istruzione impartita dalla Chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal Concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la SS.ma Eucaristia ci obbligano a professare che ‘l’Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato’ (S. Ignazio di Antiochia, Epistola ai smirnesi 7,1; PG 5,714). Alle parole del martire sant’Ignazio, Ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della Chiesa: ‘Il Signore, egli scrive, non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma a credere che essa con l’azione di grazia si è tramutata in carne e sangue’” (Mysterium fidei 44). In effetti, l’intera enciclica di Paolo VI è una solida difesa della retta fede della Chiesa sulla SS.ma Eucaristia. Inoltre, nella solenne professione di fede del 30 giugno 1968, egli affermò che “ogni spiegazione teologica che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica, deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad essere realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino” (25, AAS60 (1968) 442-443). Di conseguenza, il Papa sollecita i vescovi “affinché questa fede… rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura e integra nel popolo” e “promoviate il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium fidei 65).
Risulta chiaro dunque che le obiezioni all’adorazione eucaristica basate su una contestazione o una falsa interpretazione della fede e dottrina ecclesiali, sono disapprovate e fermamente respinte.
2. Il Santo Padre, papa Benedetto XVI, nella Esortazione apostolica post-sinodale “Sacramentum Caritatis”, parla di un’opinione che si era diffusa “mentre la riforma liturgica conciliare muoveva i primi passi”, secondo cui “l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del SS.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito”. Dichiara il papa, “un’obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato” (Sacr. Car. 66). Una situazione scaturita probabilmente da qualche influsso della teologia protestante, dal momento che tracce di tale errore riflettono quanto avvenuto durante la riforma protestante. Quasi tutti i riformatori contraddicevano la dottrina tridentina sulla presenza permanente e transustanziata di Cristo nel pane e vino consacrati, riducendolo a un mero fatto simbolico, affermando peraltro che l’Eucaristia era solo una cena conviviale, ma non un sacrificio riattualizzato, per cui veniva meno l’adorazione. Benché Lutero, Zwingli, Melantone e Giovanni Calvino avessero prospettive particolari tra loro a volte contraddittorie, in genere la loro interpretazione dell’Eucaristia era in contrasto con la teologia cattolica del tempo. Lutero sosteneva che la presenza reale si limitava alla ricezione della Santa Comunione (in usu, non extra). Infatti i luterani credono nella presenza reale solo tra la consacrazione e la Santa Comunione. Posizione che fu fermamente condannata dal Concilio di Trento, che decretò che “se qualcuno dirà che, una volta terminata la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’Eucaristia non vi sono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma che vi sono solo durante l’uso, mentre lo si riceve, ma né prima né dopo; e che nelle ostie o particole consacrate, che si conservano o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore: sia anatema” (canone 731). Per la Chiesa cattolica dunque la presenza di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia, non è limitata solo al momento della Comunione, ma permane. In altre parole, non è fatta solo per essere “mangiata”, ma anche per essere adorata.
Papa Benedetto XVI sottolinea proprio questo aspetto quando dichiara che “ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso colui che riceviamo” (Sacramentum Caritatis, 66). Effettivamente, l’Eucaristia non è semplicemente l’anticipazione gioiosa del banchetto celeste che avverrà alla parusia, ma è pure il Sacrificio del Calvario e suo memoriale. Non è solo una festa per la nostra fame ma anche per i nostri occhi, poiché fissiamo stupiti l’autodonazione di amore per la nostra salvezza. Ma Lutero non la vede così.
Per lui, non esiste alcun legame ontologico tra quanto avvenne sul Calvario e quanto avviene sull’altare, per questo la teologia luterana non dà adeguato valore all’aspetto sacrificale della Santa Messa. Pone soprattutto l’accento sull’aspetto conviviale della Cena. E’ forse questa la ragione per cui Lutero non diede molta importanza alla teologia del sacerdozio, specialmente nella sua dimensione sacrificale, come è esposto nella lettera agli Ebrei. Al contrario, per la teologia cattolica, ogni volta che si celebra l’Eucaristia, si rinnova il sacrificio di Cristo sul Calvario, così come ha dichiarato papa Pio XII: “L’augusto sacrificio dell’altare non è una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima” (Mediator Dei, 68). Nell’Eucaristia, il nostro sguardo si eleva con profonda fede, umile venerazione e adorazione dinanzi all’augusta persona di Gesù sulla croce. Infatti, il vangelo di san Giovanni (19,37) presenta la crocifissione quale compimento della profezia di Zaccaria: “guarderanno a colui che hanno trafitto” (Zac. 12,10). E’ il sacrificio verso il quale guardò e sperimentò la fede il centurione, quando riconobbe in Gesù il Salvatore: “davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc. 15,39).
[…]
E’ guardando al sacrificio di Cristo che viene confermata la fede e si è salvati. Ad ogni Eucaristia in cui l’unico sacrificio di Cristo sul Calvario è ripresentato, nasce la fede e lo adoriamo come Figlio di Dio. E’ un pregustare la nostra salvezza – un pregustare il paradiso. Per questo, un’Eucaristia senza sguardo adorante su Cristo, sarebbe più povera. Diversamente, se i nostri cuori non si innalzano allo stupore della salvezza sulla croce, l’Eucaristia stessa si ridurrebbe a una formalità in più, a uno schiamazzo rumoroso, a una vuota esperienza senza fede e senza gusto. La tendenza, pertanto, a rendere la Messa più moderna e colorita è, come minimo, di cattivo gusto. Se quando lo riceviamo, non lo adoriamo, non sapremmo nemmeno chi è Colui che viene a farci Suoi. Sarebbe un modo di ricevere l’Eucaristia senza senso. Proprio questo il papa sottolinea quando dice “soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera” (Sacramentum Caritatis, 66).
In questo senso, assicurare una celebrazione devota e contemplata dell’Eucaristia non sarebbe più una questione di scelta, ma di necessità. In questo, personalmente preferirei l’atmosfera devota e orante della Messa tridentina dove la partecipazione dell’assemblea è più sommessa, pacata e raccolta, il che è rispettoso del grande mistero che avviene sull’altare.Forse è arrivato il tempo di pensare di inquadrare bene che cosa significhi “partecipazione attiva”. Papa Benedetto XVI ha infatti dedicato un capitolo intero su questo tema nella Sacramentum Caritatis. Dichiara il Papa: “conviene mettere in chiaro che con tale parola “partecipazione”, non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana” (Sacramentum Caritais, 52). Questa è adorazione, e considerando in tal modo tutti questi elementi, possiamo affermare che l’Eucaristia non è soltanto per mangiare ma anche per adorare.
[…]
Alcuni purtroppo affermano che il Concilio Vaticano II non ha dato tanta importanza alle devozioni eucaristiche, per cui non merita grande attenzione. In effetti, potrebbe essere questa un’analisi corretta, dato che il documento conciliare sulla sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium”, sia nella presentazione generale, sia nella esposizione sulla SS.ma Eucaristia (cap. II) e degli altri sacramenti e sacramentali, non fa menzione delle devozioni al SS.mo Sacramento. Fa accenno alle devozioni popolari in un breve passaggio (n. 13), ma nulla sulle devozioni eucaristiche. Ciò è in forte contrasto con l’esposizione sul tema che si hanno nei decreti del Concilio di Trento e nell’enciclica “Mediator Dei” di Pio XII. Se sia stata una dimenticanza voluta o accidentale, è una questione aperta. Molto probabilmente, quelle devozioni venivano date per scontate come un dato di fatto e perciò non trattate in modo esplicito. Tuttavia, si sarebbe dovuto fare qualche menzione, data l’importanza dei pronunciamenti del Concilio per il futuro e l’importanza data a queste devozioni lungo i secoli. Tale omissione fu la probabile ragione della succitata pretesa che l’Eucaristia non è per l’adorazione ma per essere mangiata, e che il Concilio non ha dato molta importanza a quell’aspetto di culto liturgico.
Anche questo può aver spinto Papa Paolo VI a lamentarsi nell’enciclica sulla Santa Eucaristia del 3 settembre 1965, Mysterium Fidei che “non mancano… motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede” (MF 9-10). Il Papa prosegue poi spiegando che cosa intende per “opinioni” e tra queste nomina “l’opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente” (Mysterium Fidei, 11). L’errore menzionato dimostra una diminuzione del ruolo della fede eucaristica della Chiesa e della sua pratica di adorazione.
Il Papa continua affermando il valore dell’adorazione eucaristica in modo esteso nell’enciclica. Egli dichiara “la Chiesa Cattolica professa questo culto latreutico al Sacramento Eucaristico non solo durante la Messa ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana” (Mysterium Fidei, 57). Spiega poi con grande dettaglio e citazioni dei Padri della Chiesa, vari elementi di devozione eucaristica (no. 56-65) e il dovere di conservarli. Esorta i Vescovi “affinché questa fede, che non tende ad altro che a custodire una perfetta fedeltà alla parola di Cristo e degli Apostoli, rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura ed integra nel popolo affidato alla vostra cura e vigilanza e promoviate il culto eucaristico a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium Fidei, 65).
E così, alla luce di una quasi totale assenza di menzione sull’adorazione e devozioni eucaristiche nella costituzione conciliare sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, e alla tendenza riemergente in alcuni ambienti di ridimensionare o rigettare tale fede, questa enciclica di Paolo VI pubblicata ancor prima della conclusione formale del Concilio (8 dicembre 1965), può essere considerata una risposta adeguata a quegli elementi protestantizzanti in seno alla Chiesa e una dovuta correzione certamente, per cui dobbiamo essere grati a Papa Paolo VI.
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Anche ricevere la Comunione richiede fede nella immensità di ciò che sta per avverarsi – il Signore viene a me, o meglio, venendo da me, mi abbraccia e desidera trasformarmi in se stesso. Non si tratta di un semplice atto meccanico di ricevere un pezzo di pane – qualcosa che avviene in un istante. Ma è l’invito a essere in comunione con il Signore: invito all’amore. Il Papa spiega l’adorazione con queste parole testuali: “La parola greca (per adorazione) è proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire… la parola latina per adorazione è ad–oratio, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere” (Omelia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia, 21 agosto 2005).
L’adorazione quindi è sottomissione per amore ed intimità con il Signore. Ciò significa che accogliere il Signore, l’atto che ci permette l’esperienza del Suo amore al massimo livello, invitandoci a stare con Lui, non può aver luogo se non in un clima di adorazione. E anche l’immolazione di Cristo alla consacrazione del pane e del vino, il culmine del Suo sacrificio per amor nostro, non può non essere un momento che esige adorazione. Per cui si può dire che l’Eucaristia richiede adorazione sia durante la celebrazione sia nel ricevere la Comunione. Afferma Papa Benedetto: “la Comunione e l’adorazione non stanno fianco a fianco o addirittura in contrasto tra loro, ma sono indivisibilmente uno… L’amore o l’amicizia sempre portano con sé un impulso di riverenza, di adorazione. Comunicare con Cristo perciò esige che fissiamo lo sguardo su di Lui, permettere al Suo sguardo di fissarsi su di noi, ascoltarlo, imparare a conoscerlo” (God is near us. Ignatius Press, San Francisco 2003, p. 97).
E’ in questa luce che dovremmo comprendere la famosa frase di Sant’Agostino: “nemo autem illam Carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando” – o “nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo” (Enarrationes in Psalmos 98,9, CCL XXXIX, 1385). Soltanto l’adorazione infatti apre il nostro cuore verso un senso autentico di partecipazione all’Eucaristia, poiché lo dilata all’esperienza del profondo amore di Dio manifestato nell’Eucaristia e verso un’unione vera e profondamente personale con Cristo al momento della Comunione (“Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” – Ap. 3,20).
In questo senso, le parole del Papa sono chiare: “Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste” (Sacramentum Caritatis, 66). E’ l’adorazione quindi capace di rendere la celebrazione della Santa Eucaristia e il ricevere il SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, pieni di significato e profondamente trasformanti. Altrimenti, si ridurrebbe a puro esercizio meccanico o a cacofonia sociale; un evento dell’uomo e non di Dio, perché l’adorazione fa dell’Eucaristia un’esperienza di grazia divina salvifica e di eternità. Non solo, l’adorazione trova un suo naturale sbocco in tutte le altre devozioni eucaristiche, dando ad esse significato e profondità. Il momento supremo dell’adorazione è l’Eucaristia e fluisce in tutte le devozioni ad essa connesse. L’una dà significato e profondità all’altra.
E’ triste notare come in alcuni luoghi le chiese e i santuari si sono trasformati in piazze da mercato o teatri o sale da concerto. Mi è capitato di entrare un giorno in una cattedrale di un’importante città europea dove vi era gente che aspettava la celebrazione di una Messa nuziale: era come una grande piazza di mercato dove tutti erano impegnati in animata conversazione. Non vi era certo alcun spirito di raccoglimento o il minimo senso di riverenza adorante in preparazione all’Eucaristia. Mi hanno raccontato di una Eucaristia in una chiesa parrocchiale in Germania, dove rappresentavano un dramma teatrale con l’assemblea che partecipava mediante preghiere e scenette, e il parroco faceva il presentatore. Ho chiesto all’amico che mi raccontava la vicenda, che effetto gli aveva fatto, e lui mi ha risposto con le parole “tanto rumore per nulla”.
[…]
Lasciate che concluda con le belle parole del Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, vero apostolo di adorazione: “Oh, se avessimo gli occhi degli angeli per vedere nostro Signore Gesù Cristo, che è qui presente su questo altare e ci guarda, come Lo ameremmo! Mai vorremmo andarcene via da Lui. Vorremmo restare sempre ai Suoi piedi; sarebbe pregustare il Cielo: tutto il resto non avrebbe più gusto per noi” (Il Curato d’Ars,il piccolo catechismo del Curato d’Ars, Tan Books and Publishers Inc. Rockford, Illinois 61105, 1951, p.41).Grazie.
Roma, 22 giugno 2011
Malcolm Card. Ranjith Arcivescovo di Colombo
(traduzione dall'inglese di don Giorgio Rizzieri)
“Quando siamo davanti al SS. mo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca; apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui. Egli verrà a noi, l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro”, queste erano le parole con le quali il curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, cercava di spiegare l’adorazione (Il piccolo Catechismo del Curato d’Ars, Tan Books & Publishers, Inc. Rockford, Illinois, 1951, p.42).
1. Adorazione è stare dinanzi a Dio onnipotente in un atteggiamento di silenzio, potente espressione di fede: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam.3,10). E’ davvero inspiegabile in termini umani. Papa Benedetto XVI ha spiegato il significato di adorazione come una proskynesis, “il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire”, e come ad – oratio “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Omelia del 21 agosto 2005 a Marienfeld, Colonia). E’ tale processo di presenza davanti a Dio che ci trasforma. San Paolo, parlando di coloro che si volgono verso il Signore come fece Mosè, dichiara: “quando ci volgeremo verso il Signore, il velo sarà tolto…e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (meta morfoumetha) in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2 Cor. 3,16.18). E’ interessante notare che il verbo usato qui è lo stesso usato per spiegare la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor (metemorfothè).
La presenza dell’adorante dinanzi a Dio lo trasforma. Ciò è mirabilmente espresso in quelle parole del libro dell’Esodo: “quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es. 34, 29-30). E’ come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto; dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume un colorito dorato.
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OBIEZIONI ALL’ADORAZIONE
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Papa Paolo VI, da parte sua, era seriamente preoccupato riguardo a una certa tendenza nella Chiesa, successiva al Concilio Vaticano II, di attenuazione di fede sulla sostanza dell’Eucaristia, in particolare sulla transustanziazione e sulla presenza permanente. Egli dichiarò: “ben sappiamo che… ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione..” (Mysterium Fidei 10). E continua il papa: “non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede” (ibid 14). Il papa, durante la cui vita si svolse la maggior parte del Concilio Vaticano II, affermava: “la costante istruzione impartita dalla Chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal Concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la SS.ma Eucaristia ci obbligano a professare che ‘l’Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato’ (S. Ignazio di Antiochia, Epistola ai smirnesi 7,1; PG 5,714). Alle parole del martire sant’Ignazio, Ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della Chiesa: ‘Il Signore, egli scrive, non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma a credere che essa con l’azione di grazia si è tramutata in carne e sangue’” (Mysterium fidei 44). In effetti, l’intera enciclica di Paolo VI è una solida difesa della retta fede della Chiesa sulla SS.ma Eucaristia. Inoltre, nella solenne professione di fede del 30 giugno 1968, egli affermò che “ogni spiegazione teologica che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica, deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad essere realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino” (25, AAS60 (1968) 442-443). Di conseguenza, il Papa sollecita i vescovi “affinché questa fede… rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura e integra nel popolo” e “promoviate il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium fidei 65).
Risulta chiaro dunque che le obiezioni all’adorazione eucaristica basate su una contestazione o una falsa interpretazione della fede e dottrina ecclesiali, sono disapprovate e fermamente respinte.
2. Il Santo Padre, papa Benedetto XVI, nella Esortazione apostolica post-sinodale “Sacramentum Caritatis”, parla di un’opinione che si era diffusa “mentre la riforma liturgica conciliare muoveva i primi passi”, secondo cui “l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del SS.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito”. Dichiara il papa, “un’obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato” (Sacr. Car. 66). Una situazione scaturita probabilmente da qualche influsso della teologia protestante, dal momento che tracce di tale errore riflettono quanto avvenuto durante la riforma protestante. Quasi tutti i riformatori contraddicevano la dottrina tridentina sulla presenza permanente e transustanziata di Cristo nel pane e vino consacrati, riducendolo a un mero fatto simbolico, affermando peraltro che l’Eucaristia era solo una cena conviviale, ma non un sacrificio riattualizzato, per cui veniva meno l’adorazione. Benché Lutero, Zwingli, Melantone e Giovanni Calvino avessero prospettive particolari tra loro a volte contraddittorie, in genere la loro interpretazione dell’Eucaristia era in contrasto con la teologia cattolica del tempo. Lutero sosteneva che la presenza reale si limitava alla ricezione della Santa Comunione (in usu, non extra). Infatti i luterani credono nella presenza reale solo tra la consacrazione e la Santa Comunione. Posizione che fu fermamente condannata dal Concilio di Trento, che decretò che “se qualcuno dirà che, una volta terminata la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’Eucaristia non vi sono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma che vi sono solo durante l’uso, mentre lo si riceve, ma né prima né dopo; e che nelle ostie o particole consacrate, che si conservano o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore: sia anatema” (canone 731). Per la Chiesa cattolica dunque la presenza di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia, non è limitata solo al momento della Comunione, ma permane. In altre parole, non è fatta solo per essere “mangiata”, ma anche per essere adorata.
Papa Benedetto XVI sottolinea proprio questo aspetto quando dichiara che “ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso colui che riceviamo” (Sacramentum Caritatis, 66). Effettivamente, l’Eucaristia non è semplicemente l’anticipazione gioiosa del banchetto celeste che avverrà alla parusia, ma è pure il Sacrificio del Calvario e suo memoriale. Non è solo una festa per la nostra fame ma anche per i nostri occhi, poiché fissiamo stupiti l’autodonazione di amore per la nostra salvezza. Ma Lutero non la vede così.
Per lui, non esiste alcun legame ontologico tra quanto avvenne sul Calvario e quanto avviene sull’altare, per questo la teologia luterana non dà adeguato valore all’aspetto sacrificale della Santa Messa. Pone soprattutto l’accento sull’aspetto conviviale della Cena. E’ forse questa la ragione per cui Lutero non diede molta importanza alla teologia del sacerdozio, specialmente nella sua dimensione sacrificale, come è esposto nella lettera agli Ebrei. Al contrario, per la teologia cattolica, ogni volta che si celebra l’Eucaristia, si rinnova il sacrificio di Cristo sul Calvario, così come ha dichiarato papa Pio XII: “L’augusto sacrificio dell’altare non è una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima” (Mediator Dei, 68). Nell’Eucaristia, il nostro sguardo si eleva con profonda fede, umile venerazione e adorazione dinanzi all’augusta persona di Gesù sulla croce. Infatti, il vangelo di san Giovanni (19,37) presenta la crocifissione quale compimento della profezia di Zaccaria: “guarderanno a colui che hanno trafitto” (Zac. 12,10). E’ il sacrificio verso il quale guardò e sperimentò la fede il centurione, quando riconobbe in Gesù il Salvatore: “davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc. 15,39).
[…]
E’ guardando al sacrificio di Cristo che viene confermata la fede e si è salvati. Ad ogni Eucaristia in cui l’unico sacrificio di Cristo sul Calvario è ripresentato, nasce la fede e lo adoriamo come Figlio di Dio. E’ un pregustare la nostra salvezza – un pregustare il paradiso. Per questo, un’Eucaristia senza sguardo adorante su Cristo, sarebbe più povera. Diversamente, se i nostri cuori non si innalzano allo stupore della salvezza sulla croce, l’Eucaristia stessa si ridurrebbe a una formalità in più, a uno schiamazzo rumoroso, a una vuota esperienza senza fede e senza gusto. La tendenza, pertanto, a rendere la Messa più moderna e colorita è, come minimo, di cattivo gusto. Se quando lo riceviamo, non lo adoriamo, non sapremmo nemmeno chi è Colui che viene a farci Suoi. Sarebbe un modo di ricevere l’Eucaristia senza senso. Proprio questo il papa sottolinea quando dice “soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera” (Sacramentum Caritatis, 66).
In questo senso, assicurare una celebrazione devota e contemplata dell’Eucaristia non sarebbe più una questione di scelta, ma di necessità. In questo, personalmente preferirei l’atmosfera devota e orante della Messa tridentina dove la partecipazione dell’assemblea è più sommessa, pacata e raccolta, il che è rispettoso del grande mistero che avviene sull’altare.Forse è arrivato il tempo di pensare di inquadrare bene che cosa significhi “partecipazione attiva”. Papa Benedetto XVI ha infatti dedicato un capitolo intero su questo tema nella Sacramentum Caritatis. Dichiara il Papa: “conviene mettere in chiaro che con tale parola “partecipazione”, non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana” (Sacramentum Caritais, 52). Questa è adorazione, e considerando in tal modo tutti questi elementi, possiamo affermare che l’Eucaristia non è soltanto per mangiare ma anche per adorare.
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Alcuni purtroppo affermano che il Concilio Vaticano II non ha dato tanta importanza alle devozioni eucaristiche, per cui non merita grande attenzione. In effetti, potrebbe essere questa un’analisi corretta, dato che il documento conciliare sulla sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium”, sia nella presentazione generale, sia nella esposizione sulla SS.ma Eucaristia (cap. II) e degli altri sacramenti e sacramentali, non fa menzione delle devozioni al SS.mo Sacramento. Fa accenno alle devozioni popolari in un breve passaggio (n. 13), ma nulla sulle devozioni eucaristiche. Ciò è in forte contrasto con l’esposizione sul tema che si hanno nei decreti del Concilio di Trento e nell’enciclica “Mediator Dei” di Pio XII. Se sia stata una dimenticanza voluta o accidentale, è una questione aperta. Molto probabilmente, quelle devozioni venivano date per scontate come un dato di fatto e perciò non trattate in modo esplicito. Tuttavia, si sarebbe dovuto fare qualche menzione, data l’importanza dei pronunciamenti del Concilio per il futuro e l’importanza data a queste devozioni lungo i secoli. Tale omissione fu la probabile ragione della succitata pretesa che l’Eucaristia non è per l’adorazione ma per essere mangiata, e che il Concilio non ha dato molta importanza a quell’aspetto di culto liturgico.
Anche questo può aver spinto Papa Paolo VI a lamentarsi nell’enciclica sulla Santa Eucaristia del 3 settembre 1965, Mysterium Fidei che “non mancano… motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede” (MF 9-10). Il Papa prosegue poi spiegando che cosa intende per “opinioni” e tra queste nomina “l’opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente” (Mysterium Fidei, 11). L’errore menzionato dimostra una diminuzione del ruolo della fede eucaristica della Chiesa e della sua pratica di adorazione.
Il Papa continua affermando il valore dell’adorazione eucaristica in modo esteso nell’enciclica. Egli dichiara “la Chiesa Cattolica professa questo culto latreutico al Sacramento Eucaristico non solo durante la Messa ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana” (Mysterium Fidei, 57). Spiega poi con grande dettaglio e citazioni dei Padri della Chiesa, vari elementi di devozione eucaristica (no. 56-65) e il dovere di conservarli. Esorta i Vescovi “affinché questa fede, che non tende ad altro che a custodire una perfetta fedeltà alla parola di Cristo e degli Apostoli, rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura ed integra nel popolo affidato alla vostra cura e vigilanza e promoviate il culto eucaristico a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium Fidei, 65).
E così, alla luce di una quasi totale assenza di menzione sull’adorazione e devozioni eucaristiche nella costituzione conciliare sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, e alla tendenza riemergente in alcuni ambienti di ridimensionare o rigettare tale fede, questa enciclica di Paolo VI pubblicata ancor prima della conclusione formale del Concilio (8 dicembre 1965), può essere considerata una risposta adeguata a quegli elementi protestantizzanti in seno alla Chiesa e una dovuta correzione certamente, per cui dobbiamo essere grati a Papa Paolo VI.
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Anche ricevere la Comunione richiede fede nella immensità di ciò che sta per avverarsi – il Signore viene a me, o meglio, venendo da me, mi abbraccia e desidera trasformarmi in se stesso. Non si tratta di un semplice atto meccanico di ricevere un pezzo di pane – qualcosa che avviene in un istante. Ma è l’invito a essere in comunione con il Signore: invito all’amore. Il Papa spiega l’adorazione con queste parole testuali: “La parola greca (per adorazione) è proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire… la parola latina per adorazione è ad–oratio, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere” (Omelia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia, 21 agosto 2005).
L’adorazione quindi è sottomissione per amore ed intimità con il Signore. Ciò significa che accogliere il Signore, l’atto che ci permette l’esperienza del Suo amore al massimo livello, invitandoci a stare con Lui, non può aver luogo se non in un clima di adorazione. E anche l’immolazione di Cristo alla consacrazione del pane e del vino, il culmine del Suo sacrificio per amor nostro, non può non essere un momento che esige adorazione. Per cui si può dire che l’Eucaristia richiede adorazione sia durante la celebrazione sia nel ricevere la Comunione. Afferma Papa Benedetto: “la Comunione e l’adorazione non stanno fianco a fianco o addirittura in contrasto tra loro, ma sono indivisibilmente uno… L’amore o l’amicizia sempre portano con sé un impulso di riverenza, di adorazione. Comunicare con Cristo perciò esige che fissiamo lo sguardo su di Lui, permettere al Suo sguardo di fissarsi su di noi, ascoltarlo, imparare a conoscerlo” (God is near us. Ignatius Press, San Francisco 2003, p. 97).
E’ in questa luce che dovremmo comprendere la famosa frase di Sant’Agostino: “nemo autem illam Carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando” – o “nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo” (Enarrationes in Psalmos 98,9, CCL XXXIX, 1385). Soltanto l’adorazione infatti apre il nostro cuore verso un senso autentico di partecipazione all’Eucaristia, poiché lo dilata all’esperienza del profondo amore di Dio manifestato nell’Eucaristia e verso un’unione vera e profondamente personale con Cristo al momento della Comunione (“Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” – Ap. 3,20).
In questo senso, le parole del Papa sono chiare: “Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste” (Sacramentum Caritatis, 66). E’ l’adorazione quindi capace di rendere la celebrazione della Santa Eucaristia e il ricevere il SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, pieni di significato e profondamente trasformanti. Altrimenti, si ridurrebbe a puro esercizio meccanico o a cacofonia sociale; un evento dell’uomo e non di Dio, perché l’adorazione fa dell’Eucaristia un’esperienza di grazia divina salvifica e di eternità. Non solo, l’adorazione trova un suo naturale sbocco in tutte le altre devozioni eucaristiche, dando ad esse significato e profondità. Il momento supremo dell’adorazione è l’Eucaristia e fluisce in tutte le devozioni ad essa connesse. L’una dà significato e profondità all’altra.
E’ triste notare come in alcuni luoghi le chiese e i santuari si sono trasformati in piazze da mercato o teatri o sale da concerto. Mi è capitato di entrare un giorno in una cattedrale di un’importante città europea dove vi era gente che aspettava la celebrazione di una Messa nuziale: era come una grande piazza di mercato dove tutti erano impegnati in animata conversazione. Non vi era certo alcun spirito di raccoglimento o il minimo senso di riverenza adorante in preparazione all’Eucaristia. Mi hanno raccontato di una Eucaristia in una chiesa parrocchiale in Germania, dove rappresentavano un dramma teatrale con l’assemblea che partecipava mediante preghiere e scenette, e il parroco faceva il presentatore. Ho chiesto all’amico che mi raccontava la vicenda, che effetto gli aveva fatto, e lui mi ha risposto con le parole “tanto rumore per nulla”.
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Lasciate che concluda con le belle parole del Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, vero apostolo di adorazione: “Oh, se avessimo gli occhi degli angeli per vedere nostro Signore Gesù Cristo, che è qui presente su questo altare e ci guarda, come Lo ameremmo! Mai vorremmo andarcene via da Lui. Vorremmo restare sempre ai Suoi piedi; sarebbe pregustare il Cielo: tutto il resto non avrebbe più gusto per noi” (Il Curato d’Ars,il piccolo catechismo del Curato d’Ars, Tan Books and Publishers Inc. Rockford, Illinois 61105, 1951, p.41).Grazie.
Roma, 22 giugno 2011
Malcolm Card. Ranjith Arcivescovo di Colombo
(traduzione dall'inglese di don Giorgio Rizzieri)