domingo, 17 de novembro de 2019

Don Divo Barsotti (Fondatore della Comunità dei Figli di Dio) · LA VITA CONTEMPLATIVA RINASCE DALL’IMITAZIONE DI MARIA


La vita contemplativa è in crisi.
È una crisi di preghiera.
Donde nasce un rinnovamento se non nasce dalla vera preghiera?
Da una imitazione sempre più grande di Maria?
Da una unione sempre più intima con lei?
Ha vissuto soltanto di amore, di sacrificio, di un amore di silenzio, di un amore di preghiera.
Ma vivendo una vita così apparentemente senza fecondità, senza efficacia, essa è divenuta la Madre di tutta la Chiesa.
È per Cristo che siamo salvi, ma è in lei che possediamo la salvezza.
Don Divo Barsotti - Da "Maria nel Mistero del Cristo"



Divo Barsotti poeta e mistico

Non è lecito confondere l’inquietudine spirituale con l’irrequietezza intellettuale. La prima, infatti, è data dalla volontà di non attardarsi e di procedere alla conoscenza approfondita di se stessi e, quindi, di staccarsi da ciò che in un modo o nell’altro chiude nel quotidiano. Non che vada evitato, ma non ci si deve lasciar condizionare e dominare.
Un esempio di vita può essere in questa epoca lunare il poeta e mistico Divo Barsotti.
Mi ci è voluto tempo per capirlo, mi è stata necessaria una vita. Succede quando non ci si contenta di un approccio ma si desidera un’intesa solida e duratura con un’altra anima. Perciò servono decenni prima di avvertire, pur nel diverso livello spirituale raggiunto, la somiglianza.
Al tramonto avanzato dell’esistenza, ho sentito quanto don Divo mi fosse vicino. Ne sarà felice, dall’altra parte, Adolfo Oxilia che usò tutta la finezza dell’uomo di studio e di meditazione per farmi superare le perplessità dinanzi a certi atti ed a certe pagine. Oggi finalmente mi avvalgo della forza determinata dalla sua paternità spirituale. Per i cristiani russi – e Barsotti lo sapeva bene – la paternità spirituale è il carisma più alto e più arduo. E’ un’ascesa tremenda e privilegiata. Per questo è costata tanto a don Divo.
Su tale ascesa, sulle sue asperità, sui momenti bui, sulle sue non brevi e di non poco conto lotte con se stesso per superare la sfiducia, è stato pubblicato un resoconto appassionato e scrupoloso: “Divo Barsotti – Il sacerdote, il mistico, il padre”. Ne è autore Serafino Tognetti, membro anziano, pur nella sua ancora giovane età, della “Comunità dei figli di Dio”, fondata proprio dal prete ardente e pugnace del quale nel libro suddetto si narra la vita. Tognetti unisce alla devozione verso colui che l’ha guidato magistralmente, una sapienza monacale oggi introvabile nel disordine e nel frastuono provocato da frati e monache in fregola di esibizioni.
Perciò ha ragione il cardinale Carlo Caffarra nell’affermare che “dobbiamo essere grati a padre Serafino Tognetti per il dono che ci fa con questo libro”. Grazie all’amorevole biografo, possiamo ripercorrere quella via alla sofferenza sulla quale ha proceduto don Divo spesso trovandosi solo. Ma solo con Cristo, modello del dolore e vittima dell’incomprensione umana.
Il contemplativo Barsotti visse quasi quotidianamente in quello stato di disagio e di disadattamento che prova chi, sapendo autodisciplinarsi, non ha necessità di discipline esterne. Questo non vuole essere una critica, tantomeno un rifiuto di quegli istituti ecclesiali, spesso venerandi pur nella corrosione del tempo; istituti che offrirono e continuano ad offrire alle anime una via sicura nel perseguimento delle finalità evangeliche. Ma il mistico non vuole intermediari o intermediazioni. E’ un cercatore solitario. Da qui, le tribolazioni di Barsotti che, fino agli ultimi giorni dell’esistenza terrena teme di non aver saputo rispondere alla chiamata del Cristo.
Questo tormento, questo assillo è posto in evidenza da padre Serafino Tognetti che ha rivissuto e oggi fa rivivere la lotta interiore affrontata dal suo maestro. Il mistico è inevitabilmente soggetto ad un doppio rifiuto. Innanzi tutto al proprio, verso la vita “normale” compresa quella del prete e poi l’altro, non meno duro e pesante, costituito dal rifiuto di chi non accetta la sua singolarità: non l’accetta perché non la comprende. E’ troppo, infatti, tentar di immedesimarsi nello sforzo compiuto dal mistico al fine di superare “ogni limite umano per entrare nella solitudine della vita divina”. Lo sforzo che lo porta a scrivere con la sincerità di un cuore ansioso del soprannaturale: “Sono stanco di vivere, perché voglio la vita.” Come fa una “persona normale” a capire questa affermazione-invocazione di don Divo: “Tutta la vita è gettar via tutto per possedere Lui solo. Andiamo via, o Cristo, fuggiamo via fintanto che non saremo indisturbati e soli. Lontano.”
Lectio meditatio, oratio, contemplatio: è la linea di condotta di Barsotti negli anni del raccoglimento e del nascondimento in cui viene a trovarsi quando l’autorità diocesana lo costringe alla solitudine di Palaia, il paesetto toscano dove è nato e dove vivono i suoi familiari. Solitudine creativa come quella dei Padri del deserto, dei grandi Padri della Chiesa d’oriente e d’occidente. La solitudine creativa di Sergio di Radonez, il mistico russo che mi fece conoscere e sul quale mi indusse a meditare.
E’ questa solitudine a temprarlo per il passaggio a Firenze dove dimora per il resto della vita. Non che gli anni trascorsi nella città del Fiore, rappresentino un tempo senza la triste constatazione dell’incuria pastorale di tanti preti, della vaghezza e dell’inconsistenza di certe teorie inconciliabili con la dottrina. Non è un tempo senza contrasti e senza affanni. Per il sacerdote di Palaia molte nuvole attraversano frequentemente il cielo di Firenze: il capoluogo toscano ha dato esemplari testimoni di Cristo, ma ha pure registrato momenti di deviante superbia da chi avrebbe dovuto sapere che la fedeltà non è un accessorio della fede. Quindi, come sarebbe possibile un suo rapporto, sia pure soltanto intellettuale, una sua collaborazione, dopo i loro pronunciamenti antiecclesiali, con un Lorenzo Milani ed un Ernesto Balducci?
Ma la mestizia non prevale sulle energie interiori di Divo Barsotti che seguita a studiare, a meditare e soprattutto insiste nella orazione contemplativa. Le sue Messe sono senza limiti di tempo. Del resto, non erano lunghe, lunghissime anche quelle di Filippo Neri, il fiorentino chiamato nell’Urbe a coltivare la devozione (non il plumbeo bigottismo) del popolo romano? A Firenze, dopo amarezze e sanzioni, gli è affidato l’insegnamento. Due cattedre: Cristologia e Dottrina sociale della Chiesa.
Gli anni trascorrono. Le relazioni, i compiti e anche le afflizioni non mancano, ma il  prete venuto da San Miniato è di buona scorza spirituale. I contatti sono molti. Sia pur lentamente c’è chi vede in lui l’uomo e il sacerdote la cui intelligenza, la cui cultura, la cui volontà e sensibilità lo differenziano e lo distanziano da molti altri del suo stesso ambiente. Certo, le chiusure mentali sono sempre gravi e non prive di conseguenze, ma al tempo stesso c’è chi si rivolge a lui per ricevere quella parola che aiuta ad affrontare le debolezze proprie ed altrui. Frequenta circoli e monasteri finché giunge il momento di creare una piattaforma sulla quale possano ritrovarsi anime oranti.
Un dovere da adempiere. Ed oggi è lecito dire che si trattò di una vera ispirazione. Dinanzi ai sussulti ecclesiali, i credenti provano sofferenza e insofferenza. Quando Giovanni XXIII indice il Concilio, dopo l’entusiasmo iniziale, non pochi vivono il momento della consapevolezza: troppi prelati, teologi, esegeti sembrano aver perduto la bussola spirituale. Il  Concilio non risolve alcun problema, al contrario. L’affastellamento dei concetti nei documenti conciliari ed il conseguente disordine dottrinario e liturgico del postconcilio – favorito pure dal frequente ed insensato protagonismo di frati, monache e zelanti di vario tipo – produce un susseguirsi di equivoci. In molte chiese si predica un cristianesimo “adatto ai tempi”, malleabile, al servizio di un pensiero e di un comportamento che con il cristianesimo autentico – quello del Verbo diffuso dagli Apostoli, dai Padri e dai Dottori – non ha alcuna parentela. Ebbene a queste operazioni riduttivistiche Divo Barsotti, fino all’ultimo giorno, non si presta.
Lo testimonia la sua “Comunità dei figli di Dio” il cui progetto non prevede “alcuna forma di impegno sociale o pubblico, ma solo vita nella preghiera e nello Spirito Santo”. Un caposaldo contro ogni tentativo sgretolatore e demonitore.
E’ sempre più richiesto per conferenze, lezioni, esercizi e convegni su temi spirituali, libri di chiarimento e di approfondimento allo scopo di controbattere, fronteggiare le nuove eresie e impedire nuove fratture. E il bisogno di essere solo….. l’eremitaggio a Monte Senario prima del trasferimento a Settignano. Molti personaggi si rivolgono a lui per avere una sicura direzione spirituale. Tra gli altri Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti, che però, non sanno afferrare il senso profondo del suo insegnamento, non sono in grado di seguire il suo esempio.
Ricordare coloro che gli si avvicinano e le iniziative che lo vedono protagonista: è l’impegno di padre Serafino che tutto registra. Un’esattezza che è fusione di affetto e di rispetto per la storia di uno spirito tanto ricco e tanto tormentato dal desiderio di Dio. Il desiderio di un “custode obbediente e rigoroso della grande Tradizione e insieme umilmente aperto alle novità del Soffio Divino”. Novità – sia ben chiaro – che nulla avvicina alle scomposte “innovazioni” verificatesi nei decenni trascorsi dal Concilio. Innovazioni che non sembra possano essere spiegate con “l’ermeneutica della continuità”.
La sua vita è un’esistenza dedicata all’adorazione ed alla contemplazione. Ma anche allo studio per meglio far comprendere in tutta la sua ricchezza spirituale la fede nel Verbo. Divo Barsotti, come tutti i Padri ed i Dottori, sa che il vero amore è sempre fattore di conoscenza. E viceversa. “Io non riesco a capire – scrive – come si possa vivere senza sentire la necessità di studiare, di conoscere.”
E proprio studiando e meditando sui testi ci si accorge che “i veri responsabili della crisi del mondo – parola di Barsotti – sono i teologi”.
Studiare per conoscere meglio e amare di più. Per testimoniare più intensamente la fede nel Dio uno e trino. Ma questo non gli si perdona. La congrega dell’ipocrisia, le sette del clerico-progressismo, trincerate nella curia di Firenze, fomentano in modo che don Divo paghi per la sua coerenza, per la chiarezza delle proprie posizioni. I Giovanni Vannucci, Lorenzo Milani, David Maria Turoldo, Ernesto Balducci ecc….. non faticano ad additare nel mistico studioso un provocatore, uno che si oppone alla disponibilità del neocristianesimo a fare causa comune con il marxismo, il laicismo, lo scientismo, l’ateismo.
L’ostracismo sistematico non ammette  repliche e censura i suoi libri. Tante le miserie curiali succedutesi nei secoli e presenti anche oggi. Ma debbono essere affrontate annientando gli insidiosi attacchi della delusione. Don Divo supera i momenti in cui ha modo di verificare fino a che punto può arrivare la viltà clericale ed antiecclesiale.
Intanto nella Comunità non si coltivano soltanto rose e fiori profumanti. Satana agisce pure lì dentro: incomprensioni, divisioni, allontanamenti, rotture. Umano, troppo umano. Le conseguenze di un Concilio che, purtroppo, non ha risposto alle speranze: un’assise svoltasi all’insegna della fretta, dell’improvvisazione, dell’arroganza intellettuale, del sopravvento fazioso. Un Concilio male impostato, peggio condotto, pessimamente concluso. L’orlo del baratro da cui Benedetto XVI vuole allontanare la Chiesa.
Su questa realtà Divo Barsotti medita molto. Gli è presto evidente che l’ottimismo, pure il suo, è stato fuori luogo, senza alcuna giustificazione. Riconosce che la fiducia nel vedere genericamente in tutte le religioni, nella poesia, nella filosofia, nell’arte i segni della preparatio evangelica è priva di fondamento. Sono indispensabili accortezza e pastorale severità. Mancano l’una e l’altra o, almeno, è assente la dovuta prudenza. Ancora oggi i credenti soffrono dinanzi ad un clero pavido, disorientato e tentato dalla diserzione. Le recenti, insensate prese di posizione di non pochi preti dell’Europa centrosettentrionale – sia detto per inciso –  lo confermano.
Una catastrofe dinanzi alla quale il sacerdote di Palaia e San Miniato non chiude gli occhi e non si tappa la bocca. Parla, scrive, registra quel che sente, quel che vede. Tenta di mettere in guardia e rimprovera paternamente e fraternamente per quello che è stato abbandonato e perduto. E vive ancora a lungo per assistere alla inconsulta profanazione e devastazione. Il Concilio ha evidenziato “la presunzione dei Vescovi” e “la povertà del loro insegnamento”. Più che povertà, una miseria desolante. Ma, con vero strazio, rimane ubbidiente.
Molto ci sarebbe ancora da dire su Divo Barsotti perché molto ancora è quel che racconta Serafino Tognetti in questo libro da leggere se si vuole riconquistare l’antica certezza e rimanere noi stessi.
Divo Barsotti preconizza momenti durissimi. La nuova ondata di cristofobia è appena agli inizi. Tuttavia, non perdere la speranza. “Il vero compito di ciascuno – è i messaggio che rimane – consiste nell’assumere la responsabilità di una salvezza universale”. E’ impellente la necessità di un riferimento spirituale e intellettuale: Divo Barsotti lo indica.