terça-feira, 19 de novembro de 2024

A Irmã Lúcia entre nós: testemunho do Carmelo de Santa Teresa

São Rafael Kalinowisk


José Kalinowski, nasce em Vilna (Lituânia) a 1 de setembro de 1835, filho de André Kalinowski e Josefina Polonska, nobres católicos. Estuda na academia militar de São Petersburgo, com bons resultados; mas, devido à insurreição do seu país diante da ocupação russa, decide deixar o exército e, apesar de saber que o êxito da insurreição é impossível, decide ajudar os seus compatriotas, aceitando o cargo de ministro de guerra e evitando tanto quanto possível o maior derramamento de sangue.

Em março de 1864 é preso e condenado à pena capital, comutada em 10 anos de trabalhos forçados na Sibéria. Com um crucifixo e a Imitação de Cristo, vai para a Sibéria e, após 9 meses de uma dura viagem, chega com os sobreviventes ao lago Bajkal. Naquelas circunstâncias especialmente duras, demonstrou uma grande caridade, suportando os sofrimentos, partilhando com os outros o que tinha e o que recebia dos seus familiares: “Escrevo-o claramente: a miséria aqui é grande; encontrar dinheiro na pátria é sempre mais fácil que na Sibéria. É-me inconcebível ser indiferente”.

A 2 de fevereiro de 1874 concedem-lhe a liberdade, mas não pode voltar a viver na Lituânia. Aceitou então o cargo de tutor de Augusto Czartoryski, de 16 anos, que vivia a maior parte do tempo em Paris.

A 15 de julho de 1877, entra no convento carmelita de Grantz, com o nome de Rafael de São José. Pronuncia os primeiros votos em 26 de novembro de 1878 e parte para a Hungria para estudar filosofia e teologia no convento de Raab. A 27 de novembro de 1881, pronuncia os votos perpétuos e é enviado à Polônia, ao convento de Czerna, onde é ordenado sacerdote a 15 de janeiro de 1882. Um ano depois deram-lhe responsabilidades de governo.

Reorganiza a Ordem na Polônia, assim como a Ordem Secular. Publica algumas biografias. Em 1906, toma a direção do colégio de teologia em Wadowice. É apreciado por todos como diretor espiritual e confessor. Dedica-se com especial interesse ao cuidado das suas irmãs carmelitas descalças.

Morre a 15 de novembro de 1907 em Wadowice. Foi beatificado em Cracóvia a 22 de junho de 1983 pelo Papa João Paulo II e canonizado em Roma a 17 de novembro de 1991. A sua festa foi instituída a 19 de novembro.

Na sua vida, destaca-se de forma especial o espírito de caridade e de reconciliação, bem como a dedicação à formação, especialmente dos jovens. Ensina a ter coragem de perseverar na fé e confiar nas dificuldades; também aponta que somente à luz da reconciliação proveniente de Deus se pode avançar para o encontro com o homem e para o perdão. Ensina ainda que, para poder perdoar, é preciso saber-se perdoado.

Tinha um carácter aberto, cheio de cordialidade. Da sua permanência na Sibéria, regressou convencido da necessidade de dedicar-se à juventude, porque nessa etapa da vida a aprendizagem configura a pessoa e se decide o futuro. Procurava uma formação integral do ser humano; motivava-o um interesse espiritual e intelectual.

https://www.carmelitaniscalzi.com/pt-br/quem-somos/nossos-santos/sao-rafael-kalinowski/


quinta-feira, 14 de novembro de 2024

SERVO DE DEUS O Padre Abílio Gomes Correia

O Cura d’Ars português

Por: António da Costa Neiva

O Padre Abílio Gomes Correia entregou-se de alma e coração ao progresso de São Mamede de Este e os seus esforços deram abundantes frutos. Homem de personalidade forte, educado, orientando a sua vida pelos mais sublimes valores do Evangelho, comunicou, como por osmose, esses mesmos valores cujos frutos estão presentemente a ser colhidos e saboreados pela maior parte da população aqui residente.

O Padre Abílio Gomes Correia entregou-se de alma e coração ao progresso de São Mamede de Este e os seus esforços deram abundantes frutos.
Homem de personalidade forte, educado, orientando a sua vida pelos mais sublimes valores do Evangelho, comunicou, como por osmose, esses mesmos valores cujos frutos estão presentemente a ser colhidos e saboreados pela maior parte da população aqui residente.

MENSAGEIRO

O Mensageiro foi a única revista eucarística publicada em Portugal durante mais de 50 anos. O padre Abílio Gomes Correia foi o autor, redator e administrador da revista.

A publicação do Mensageiro aconteceu numa época verdadeiramente tortuosa para o país. O padre Abílio começou a divulgar a antiga tradição portuguesa da Adoração ao Santíssimo Sacramento através da publicação do Mensageiro (1914). Em poucos anos atingiu mais de 3.000 assinantes de todo o mundo, sendo a publicação recomendada por todos os bispos portugueses.

No Mensageiro, algumas paróquias conseguem encontrar a sua história do século XX, através das crónicas que os seus responsáveis enviavam para serem publicadas na revista.


 

14 de Novembro - dia de São José Pignatelli

quarta-feira, 13 de novembro de 2024

DON DIVO BARSOTTI, SITO DELLA COMUNITÀ FIGLI DI DIO, DA LUI FONDATA

Uno con tutti

«Se sei uno con tutti, allora non vi è un peccato tuo e un peccato degli altri, ma tuo è ogni peccato.Tu non puoi ...

Tutto è alienante se…

«Come più intelligente e più vera la concezione platonica di quella che vorrebbe oggi sostituirla! In realtà non ...

Osare l’impossibile

«Dobbiamo capire che la fede è sempre un miracolo, ed esige da noi il superamento di ogni timore e la sicurezza ...

Molto… o poco?

«Ci sembra di far molto? È a Dio che dobbiamo rispondere, a un Amore infinito: tutto quello che noi possiamo fare ...


Notte di Natale Il cristianesimo e credere veramente che Dio ci ama

Divo Barsotti

19:54

terça-feira, 12 de novembro de 2024

Don Divo Barsotti

Fuoco sulla terra (Lc 12, 49-53)

La realtà, la vita, l’amore, le parole di Gesù, hanno aspetti paradossali, apparentemente contraddittori e sconcertanti, ma noi, che assomigliamo a degli elefanti in un negozio di cristalli, non rispettiamo la realtà, la vita, l’amore, e neanche le parole di Gesù; per questo viviamo in un mondo che non funziona e soffriamo a causa di relazioni che non funzionano. 

La nostra tendenza è di aderire all’aspetto del paradosso o della realtà che sembra più accettabile, distogliamo però lo sguardo da ciò che non comprendiamo e ci inquieta; esempio: il nostro modo di intendere e desiderare l’amore rischia di considerare solo ciò che nell’amore è piacevole, arricchente, consolante, ma tendiamo a fuggire l’aspetto per cui l’amore è anche impegno, sacrificio, purificazione, dolore e morte: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo (Gv 12, 24). Il guaio è che, essendo un popolo di dura cervice (Dt 9, 6), ci intestardiamo a ridurre la realtà secondo l’aspetto del paradosso che riusciamo a digerire, e allora combiniamo guai, perché pecchiamo contro la Verità, e dove c’è errore c’è disordine e c’è sofferenza. Peccare contro la Verità non è senza gravi conseguenze.

Altro esempio, noi vorremmo un mondo in cui tutti vadano d’accordo e ci stupiamo perché questo desiderio, universalmente accettato, così buono e così giusto, non si realizza. Non si realizza e non si realizzerà mai perché le cose funzionano come dice Gesù e non come le immaginiamo noi, e Gesù ci dice: Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera. Quindi, per andare d’accordo dobbiamo accettare la divisione; la Verità, prima di unire divide. Divide la Verità dall’errore, coloro che amano la verità da coloro che non la amano; e non può che essere così perché: o c’è unità e accordo sulla Verità oppure non è possibile nessun accordo e nessuna unità; l’accordo è solo possibile in chi riconosce e accoglie Gesù che ha detto di sé: Io sono la Verità; e questa Verità è venuta a gettare fuoco sulla terra per dividere coloro che si lasciano incendiare, illuminare e purificare, dal fuoco dell’amore di Dio, da coloro che: o fuggono dal fuoco, o si illudono che il suo effetto sia un confortevole tepore. Gesù dice inoltre che i gruppi così divisi, non sono in pace, ma vi è fra essi una lotta continua, perché la verità non può tollerare l’errore, la menzogna, l’ipocrisia, la simulazione, ma neanche l’errore e la menzogna possono tollerare la Verità; questa lotta è senza esclusione di colpi, ogni contendente vuole mettere a morte l’avversario.

Un’altra realtà che non comprendiamo, maltrattiamo e intiepidiamo è l’amore di Dio per noi, anche se ne parliamo con presunta sapienza, anche se ci illudiamo di essere nella pace perché diciamo a noi e agli altri che Dio ci ama, che il suo amore è immenso, che la sua misericordia è senza limiti. La prova sono le seguenti affermazioni: “L’immensità dell’amore di Dio per noi è la fonte di tutti i nostri guai”; e: “Accogliere il fuoco che Gesù è venuto a gettare sulla terra, è accettare di morire”; qualcuno si sente di sottoscrivere queste affermazioni? Di meditarle e di verificare se sono vere o false? ... Eppure, sono queste le conseguenze del fuoco che Gesù è venuto a gettare sulla terra: infatti, d’ora innanzi si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera. Queste divisioni sono dei guai e fanno soffrire proprio perché sono divisioni fra gli affetti più forti e più intimi. Gesù poi non manca di evidenziare l’altro aspetto del paradosso dell’amore, quello per cui l’amore, prima di far risorgere, fa morire: Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Il battesimo di cui parla è la sua passione e morte.

Anche a proposito della passione e morte del Signore di solito è predicato solo un aspetto della realtà, quello secondo cui la morte in croce di Gesù esprime l’immenso amore di Dio per noi; un po’ meno si sente dire che esprime anche l’immenso amore di Gesù verso il Padre; ma praticamente non si sente mai dire che manifesta anche fin dove può giungere la malvagità dell’uomo manovrato da Satana, la crocifissione manifesta l’orrore sommo del peccato: la creatura che uccide il suo Creatore. Se non vogliamo guardare tutta la realtà, la nostra vista sarà parziale e vedrà male, ma una vista che vede male, inevitabilmente, non riuscirà a evitare gli ostacoli, a inciampare e a cadere. Giustamente il santo curato d’Ars attirava l’attenzione su questo aspetto: “Comprendere che noi siamo l'opera di Dio è facile; quello che è incomprensibile è che la crocifissione di Dio sia opera nostra”; questo aspetto è per lo più rimosso dalle nostre considerazioni.

Perché non sembri che queste siano riflessioni poco ortodosse, ascoltiamo alcune parole di un maestro spirituale di sicuro valore: don Divo Barsotti. “Se Dio vive nel cuore dell'uomo non è per dargli soltanto la pace e la gioia; Dio gli impedisce di riposare in sé stesso, lo spinge continuamente a un rapporto più vero con Lui”. “Scegliere Dio è l'unica possibilità della vita, ma non ti toglie dalla tua solitudine, ti rende impossibile anzi ogni illusione, ogni inganno, ti fa sentire questa vita com'è veramente, una morte”. “Se l'uomo vive realmente, non vive che la sua morte”. “L'amore di Dio è terribile. Ci vuole dell'eroismo a lasciarsi amare da Lui, ad abbandonarsi al suo amore”. “Ma come Dio ci ama se ci castiga? È proprio perché ci castiga che ci ama”. “Dio non può non eliminare il mio peccato, non distruggerlo, non consumare in me tutto quello che si oppone alla sua santità. Non perché non ci ama ci perseguita e ci tortura, ma perché amandoci ci vuole simili a Sé”. “Dio non lascia impunito il nostro peccato, non può tollerare che noi rimaniamo nella nostra mediocrità”. “Dio entra in possesso di noi attraverso le vie più impensate. Ci monda attraverso umiliazioni e malattie, incomprensioni e dolori, peso del lavoro, senso della solitudine umana, prove interiori, ingiustizie dal di fuori”. “Abbandonarci all'Amore vuol dire morire. Egli non ti ama se non ti strappa da tutto. Per questo credere vuol dire accettare di morire”.

Le parole di Gesù: Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Esprimono anche il rammarico di chi vorrebbe incendiare il mondo col suo amore e illuminarlo con la sua sapienza, ma vede che il mondo resiste al suo fuoco e fugge dalla sua luce; noi abbiamo paura di un fuoco troppo intenso e di una luce troppo forte; allora, per difenderci dal Fuoco e dalla Luce ci rifugiamo nelle distrazioni e nella mediocrità, ossia in una casa costruita sulla sabbia. Siamo disposti ad accogliere un po’ di amore di Dio, ma non troppo; un po’ di luce, ma non troppa; siamo disposti a dare un po’ di tempo a Dio, ma non troppo. Allora, per tentare di vincere la nostra mediocrità il Signore fa il possibile e l’impossibile, vale a dire: tutti gli sconquassi di cui parla don Divo Barsotti e il battesimo della sua passione, morte e risurrezione. Questo perché, prima o poi, dovremo uscire dalla mediocrità, ma le vie d’uscita sono solo due: o la ribelle e orgogliosa rivendicazione di una visione della realtà: “secondo noi”, il cui approdo è il fuoco dell’inferno; oppure la via della santità il cui approdo è la fornace incandescente e beatificante dell’amore di Dio. L’uscita dalla mediocrità termina in ogni caso nel fuoco.

Che la Santa Vergine ci faccia comprendere queste cose, vinca le nostre paure, addolcisca per quanto possibile le asperità e ci accolga infine nel Regno di suo Figlio.

domingo, 10 de novembro de 2024

San Martin de Porres

3 DE NOVIEMBRE FIESTA DE SAN MARTÍN DE PORRES….YO TE CURO Y DIOS TE SANA



San Martín de Porres
(Lima, Perú,   1579 - 1639)
  • Patrón: barberos, peluqueros, Estilistas, mulatos, problemas inter-raciales, sanidad pública, educación pública.

Religioso peruano de la orden de los dominicos.
Fue el primer santo mulato de América.



Conocido también como:

"El santo de la escoba"
 Y 
"Martín de la Caridad"

Sus milagros en vida son muchos y sorprendentes, estos fueron recogidos como testimonios jurados en los Procesos diocesano (1660-1664) y apostólico (1679-1686), abiertos para promover su beatificación.


En la vida de Martín de Porres los milagros parecían obras naturales.




Película: Vida De San Martín de Porres













Buena parte de estos testimonios proceden de los mismos religiosos dominicos que convivieron con él, pero también los hay de otras muchas personas, pues Martín de Porres trató con gentes de todas las clases sociales.




San Martín tiene un sueño que Dios le desbarata:

 "Pasar desapercibido y ser el último". Su anhelo más profundo siempre es de seguir a Jesús. Se le confía la limpieza de la casa; por lo que la escoba será, con la cruz, la gran compañera de su vida.
Sirve y atiende a todos, pero no es comprendido por todos. 





Aunque él trataba de ocultarse, la fama de santo crecía día por día. Fueron varias las familias en Lima que recibieron ayuda de Martín de Porres de alguna forma u otra. También, muchos enfermos lo primero que pedían cuando se sentían graves era: 

"Que venga el santo hermano Martín". Y él nunca negaba un favor a quien podía hacerlo.








Tenía el don de la bilocación. Sin salir de Lima, fue visto en México, en África, en China y en Japón, animando a los misioneros que se encontraban en dificultad o curando enfermos. 
Mientras permanecía encerrado en su celda, lo vieron llegar junto a la cama de ciertos moribundos a consolarlos o curarlos. 


Muchos lo vieron entrar y salir de recintos estando las puertas cerradas. En ocasiones salía del convento a atender a un enfermo grave, y volvía luego a entrar sin tener llave de la puerta y sin que nadie le abriera. Preguntado cómo lo hacía, respondía: 



"Yo tengo mis modos de entrar y salir".



Tenía control sobre la naturaleza, las plantas que sembraba germinaban antes de tiempo y toda clase de animales atendían a sus mandatos. 

La caridad de Martín no se circunscribía a las personas, sino que también se proyectaba a los animales, sobre todo cuando los veía heridos o faltos de alimentos. Tenía separada en la casa de su hermana un lugar donde albergaba a gatos y perros sarnosos, llagados y enfermos. Parece que los animales le obedecían por particular privilegio de Dios. 




Uno de los episodios más conocidos de su vida es que hacía comer del mismo plato a un perro, un ratón y un gato en completa armonía.


Tenía también el don de la sanación, de los cuales quedan muchos testimonios, siendo los más extraordinarios la curación de enfermos desahuciados. 
Su preocupación por los pobres fue notable. Se sabe que los desvalidos lo esperaban en la portería para que los curase de sus enfermedades o les diera de comer. Martín trataba de no exhibirse y hacerlo en la mayor privacidad.

"Yo te curo, Dios te sana"



Era la frase que solía decir para evitar muestras de veneración a su persona. 
Según los testimonios de la época, a veces se trataba de curaciones instantáneas, en otras bastaba tan solo su presencia para que el enfermo desahuciado iniciara un sorprendente y firme proceso de recuperación. 


Normalmente los remedios por él dispuestos eran los indicados para el caso, pero en otras ocasiones, cuando no disponía de ellos, acudía a medios inverosímiles con iguales resultados. 

Con unas vendas y vino tibio sanó a un niño que se había partido las dos piernas, o aplicando un trozo de suela al brazo de un donado zapatero lo curó de una grave infección.


Muchos testimonios afirmaron que cuando oraba con mucha devoción, levitaba y no veía ni escuchaba a la gente. 



A veces el mismo Virrey que iba a consultarle (aún siendo Martín de pocos estudios) tenía que aguardar un buen rato en la puerta de su habitación, esperando a que terminara su éxtasis.

Otra de sus facultades fue la videncia. Solía presentarse ante los pobres y enfermos llevándoles determinadas viandas, medicinas u objetos que no habían solicitado pero que eran secretamente deseadas o necesitadas por ellos. 



Se contó además entre otros hechos, que Juana, su hermana, habiendo sustraído a escondidas una suma de dinero a su esposo se encontró con Martín, el cual inmediatamente le llamó la atención por lo que había hecho. 



También se le atribuyó facultades para predecir la vida propia y ajena, incluido el momento de la muerte.

De los relatos que se guardan de sus milagros, parece deducirse que Martín de Porres no les daba mayor importancia. A veces, incluso, al imponer silencio acerca de ellos, solía hacerlo con joviales bromas, llenas de donaire y humildad. 
En algunos momentos de su vida, tuvo que lidiar con el diablo; especialmente en el día de su muerte, donde finalmente el diablo terminó siendo vencido.

Al morir, la casa donde se encontraba su cuerpo se llenó de un dulce  aroma, según el testimonio de quienes presenciaron su muerte.

 

San Martín de Porres nació en la ciudad de Lima, Perú, el día 9 de diciembre del año 1579.




Caballero de Loyola: Juan de Porres y Miranda., Hidalgo Caballero de Calatrava y Ana Velázquez seres excepcionales fueron los padres de Martín de Porres (Martín de la Caridad) 



 Caballero de Loyola: Juan de Porres y Miranda.


San Martin de Porres, fue hijo de Juan de Porres y Miranda, caballero español de la Orden de Calatravade la ciudad de Burgos, y de una muchacha mulata,  Ana Velásquez, de Panamá que residía en Lima.que, por su gentileza, había obtenido la libertad. ,Era medio negra y medio india. ,  Del noble español, y de la "negrita" Ana nació también una niña: Juana, dos años menor que Martín, pero las diferencias raciales y rango social hicieron que Martín figurase en el acta de Fe de Bautismo como "hijo de padre desconocido". Sus padres no eran casados.



En 1591 recibió el sacramento de la Confirmación de manos del arzobispo Santo Toribio de Mogrovejo.

Martín inició su aprendizaje de boticario en la casa de Mateo Pastor, quien se casaría con la hija de su tutora. 

Esta experiencia sería clave para Martín, conocido luego como gran herbolario y curador de enfermos, puesto que los boticarios hacían curaciones menores y administraban remedios para los casos comunes. 


También fue aprendiz de barbero, oficio que conllevaba conocimientos de cirugía menor.

La proximidad del convento dominico de Nuestra Señora del Rosario y su claustro conventual ejercieron una atracción sobre él. 
Sin embargo, entrar allí no cambiaría su situación social y el trato que recibiría por ser mulato y bastardo: no podía ser fraile de misa e incluso le prohibieron ser hermano lego. 


En 1594, Martín entró en el convento en calidad de aspirante a conventual sin opción al sacerdocio. 

Dentro del convento fue campanero y es fama que su puntualidad y disciplina en la oración fueron ejemplares.





Más aún, dormía muy poco, entre tres a cuatro horas, y para no olvidarse de sus funciones por el cansancio, un gato de tres colores entraba a la enfermería y empezaba a rasguñarlo avisándole de su deber.

Sus hagiógrafos cuentan que tenía varias devociones, pero sobre todo creía en el Santísimo Sacramento y en la Virgen María, en especial la Virgen del Rosario, Patrona de la Orden dominica y protectora de los mulatos. 


Martín fue seguidor de los modelos de santidad de Santo Domingo de Guzmán, San José, Santa Catalina de Siena y San Vicente Ferrer. Sin embargo, a pesar de su encendido fervor y devoción, no desarrolló una línea de misticismo propia. 




La vida cotidiana del futuro santo era frugal en extremo. 

Era muy sobrio en el comer y sencillo en el vestir (usó un simple hábito blanco toda su vida). Se dice que cuando murió no hubo ropa con que amortajarlo, así que lo enterraron con su propio hábito ya roído.




En línea con la espiritualidad de la época, San Martín de Porres y su contemporánea Santa Rosa de Lima practicaron la mortificación del cuerpo. 

Martín se aplicaba tres disciplinas cada día


En las pantorrillas, 
En las posaderas 
y en las espaldas, 

Siguiendo un riguroso horario y evitando mermar su salud para el cumplimiento de otras obligaciones. 

Llevaba además dos cilicios: una túnica interna de lana entretejida con cerdas de caballo y una cadena ceñida, posiblemente de hierro.

SANTA  ROSA DE LIMA 

Los religiosos de la Ciudad Virreinal van de sorpresa en sorpresa, por lo que el Superior le prohíbe realizar nada extraordinario sin su consentimiento. 

Un día, cuando regresaba al Convento, un albañil le grita al caer del andamio; el Santo le hace señas y corre a pedir permiso al superior, éste y el interesado quedan cautivados por su docilidad.



En 1639 el superior del convento de Martín de Porres, pidió al hermano que curara al arzobispo de México, Feliciano de la Vega. 

Curada, la importantísima autoridad quiso llevarle a México pero Martín rechazó este honor.

 Al fin del mes de octubre del mismo año, al cumplir casi sus 60 años, Martín tuvo que encamarse con mucha fiebre. 

El virrey de Perú, Luís Jerónimo de Cabrera 
y Bobadilla, conde de Chinchón, vino a visitarle algunas horas antes de la muerte el 3 de noviembre de 1639.


Cuando vio que se acercaba el momento feliz de ir a gozar de la presencia de Dios, pidió a los religiosos que le rodeaban que entonasen el Credo. Mientras lo cantaban, entregó su alma a Dios. 



Hubo gran conmoción en la ciudad, doblaron las campanas en su nombre y la devoción popular se mostró tan excesiva que obligó a hacer un rápido entierro. 



Se enterró a Martín de Porres, humilde hermano dominico, nacido de una mujer de color quizás esclava
 y de un caballero español, con los honores más grandes, en presencia de todos los pobres de Lima, indios, esclavos, vagabundos y ladrones españoles, pero también de las autoridades civiles, militares y eclesiásticos de nivel más elevado, entre ellos el Virrey de Perú y el arzobispo de México. Eso ocurrió en el imperio español del siglo XVII…..


Había sido el hermano y enfermero de todos, singularmente de los más pobres. Todos se disputaban por conseguir alguna reliquia suya. 
Toda la ciudad le dio el último adiós.

En 1660 el arzobispo de Lima, Pedro de Villagómez, inició la recolección de declaraciones de las virtudes y milagros de Martín de Porres para promover su beatificación, pero a pesar de su biografía ejemplar y de haberse convertido en devoción fundamental de mulatos, indios y negros, la sociedad colonial no lo llevaría a los altares. 



Su proceso de beatificación hubo de durar hasta 1837 cuando fue beatificado por el Papa Gregorio XVI, franqueando las barreras de una anticuada y prejuiciosa mentalidad.






Su proceso de beatificación terminó en 1962, bajo el papado de Juan XXIII.



El Papa Juan XXIII que sentía una verdadera devoción por Martín de Porres, lo canoniza en la Ciudad del Vaticano el 6 de mayo de 1962 ante una multitud de cuarenta mil personas procedentes de varias partes del mundo nombrándolo "Santo Patrono de la Justicia Social", exaltando sus virtudes con las siguientes palabras: 


"Martín excusaba las faltas de otro"





Perdonó las más amargas injurias, convencido de que el merecía mayores castigos por sus pecados. 

Procuró de todo corazón animar a los acomplejados por las propias culpas, confortó a los enfermos, proveía de ropas, alimentos y medicinas a los pobres, ayudó a campesinos, a negros y mulatos tenidos entonces como esclavos.

 La gente le llama ‘Martín, el bueno’."



La proclamación de Martín de Porres como santo fue sustentada por las milagrosas curaciones que ocurrieron a una anciana gravemente enferma en Asunción (Paraguay) en 1948 y a un niño con una pierna a punto de ser amputada por la gangrena en Tenerife (España) en 1956.6 7



Su culto se ha extendido prodigiosamente. 

Su festividad se celebra el 3 de noviembre, fecha de su fallecimiento. 

En diversas ciudades del Perú se efectúan fiestas patronales en su nombre y procesiones de su imagen ese día, siendo la procesión principal la que parte de la Iglesia de Santo Domingo en Lima, lugar donde descansan sus restos mortales.



Los restos del santo están bajo el altar mayor de la iglesia de Santo Domingo en Lima, al lado de los de San Juan Macías y de Santa Rosa de Lima, sus contemporáneos. 

Se venera a este humilde dominico en particular en los países de la Hispanidad. 

Sus tallas adornan muchísimas iglesias, por ejemplo la de Santiago, construida en 1609 en México ciudad (Plaza de las tres culturas). Y muchas parroquias llevan su nombre desde Madrid hasta Manilla, pasando por muchos más lugares.


Oración

Señor Nuestro Jesucristo,
Que dijiste "pedid y recibiréis",
Humildemente te suplicamos,
"Que venga el santo hermano Martín"
y que por su intercesión, escuches nuestros ruegos.

Renueva, te suplicamos, los milagros
que por su intercesión durante su vida realizaste,
y concédenos la gracia que te pedimos
si es para bien de nuestra alma.
Amén.,Así sea.






Juan 15:19

Si vosotros fuerais de este mundo, el mundo os amaría; pero vosotros no sois de este mundo……..


Cuando el mundo y aún la Iglesia Católica después del concilio vaticano II., se refiere a los milagros, prodigios,  Revelaciones, Experiencias Místicas etc., sucedidos en la vida de los santos, lo hace refiriéndose a ellos como: Leyendas, cuentos., y esto porque en los católicos de hoy ya no hay santidad y las experiencias místicas les parecen imposibles de alcanzar y no aceptan que alguien pueda tenerlas., Cuando esto debería ser lo normal entre los católicos ., ya que Nuestro Señor ha dejado su Santo Espíritu en su Iglesia para guiarnos., Estas experiencias eran y son lo normal en la tradición de la iglesia.

Los santos y los que llevan vida de santidad viven estas experiencias, milagros, curas, etc., porque no son de este mundo, por eso viven experiencias que no son de este mundo y es por esto que el mundo no las cree, no las acepta, no las pueden entender  y por tanto se refieren a ellas como:  cuentos, fábulas, leyendas, etc.


 Mensajes De  Dios Al Mundo







 

 Oraciones A San Martín De Porres


Dar Click