quarta-feira, 30 de janeiro de 2019

Don Divo Barsotti: solo la santità salverà la Chiesa


Don Divo Barsotti: solo la santità salverà la Chiesa

In mezzo all’oceano di confusione che regnava nel post-Vaticano II, lo Spirito Santo ha mandato alcune sentinelle che illuminassero i cattolici, una di queste è don Divo Barsotti.
di Lorenzo Bertocchi (14-07-2017)
da: Sentinelle del post Concilio, Cantagalli, Siena.
Ci sono uomini di fede capaci di parlar chiaro, inafferrabili, autenticamente controcorrente, non per vezzo, né per orgoglio, ma profondamente liberi. Così si può dire di Don Divo Barsotticonsiderato un grande mistico del ‘900, fondatore della Comunità dei Figli di Dio, instancabile cercatore della Verità e capace di risvegliare spiriti assopiti fossero etichettati di “destra” o di “sinistra”. In questo forse un certo ruolo l’avrà giocato il suo “temperamento toscano”, quel carattere che il Card. Biffi – estimatore del Barsotti – ha definito “insofferente agli equivoci e amante delle posizioni chiare”1.
A testimonianza di questa sua libertà di pensiero e di azione si può ricordare la profonda amicizia con La Pira, il non facile rapporto con Dossetti, l’intenso incontro con Von Balthasar e le parole scritte a prefazione di un saggio sull’opera di Romano Amerio“Io vedo il progresso della Chiesa a partire da qui, dal ritorno alla Santa Verità alla base di ogni atto”2. Queste parole scritte a 91 anni, poco prima della morte avvenuta nel febbraio 2006, sono di grande significato anche per risolvere la questione del “rinnovamento nella continuità” come chiave interpretativa del Vaticano II e probabilmente rappresentano l’ultimo avvertimento della “sentinella”.
Don Divo Barsotti
La figura di Don Barsotti si offre in tutta la sua complessità: mistico, letterato, teologo, monaco, missionario, poeta, sacerdote, la sua vita è stata tutto questo, una vita attraversata dalla continua ricerca della volontà di Dio e perciò santamente travagliata. A colpo d’occhio la sua esistenza appare come divisa da un cancello da attraversare, un passaggio mistico tramite cui far comunicare il visibile con l’invisibile, in qualche modo fisicamente rappresentato dal cancello di Casa S. Sergio sulle colline di Firenze, cuore della Comunità da lui fondata e dove oggi riposano le sue spoglie mortali.   Leggere...

terça-feira, 22 de janeiro de 2019

Ask The Mountains - Vangelis

Don Divo Barsotti - La Bellezza nell'Amore di Dio

Discese agli Inferi - Una Meditazione di Don Divo Barsotti

GESU' CRISTO Conferenza tenuta da Don. Divo Barsotti

 alla Scuola di Cultura Cattolica - Bassano del Grappa, il 23 ottobre 1989
(Trascrizione non rivista dal relatore)
Parlare di Gesù Cristo vuol dire fare della trascendenza del cristianesimo su ogni religione umana. Vuol dire parlare del compimento di ogni aspirazione e di ogni disegno divino. Pertanto già il Concilio Ecumenico Vaticano II diceva che tutte le religioni sono una "preparatio evangelica" perchè tutta la storia del mondo non è altro che la gestazione del Cristo. Non ha altro contenuto la storia che questa gestazione: da tutti i sogni, tutte le tribolazioni, tutte le difficoltà dell'umanità deve sorgere lentamente, emergere la figura di Cristo Gesù. E' tutta la terra che deve dare in lui il suo frutto ed è proprio nel dare il suo frutto che avrà fine l'economia presente.
Così come il Padre Celeste genera il Figlio e nella generazione del figlio esaurisce la sua fecondità infinita, così la storia del mondo si esaurisce e trova fine quando da tutta la Creazione emergerà il frutto di tutta la terra: Gesù Cristo.
Allora parlare del Cristo vorrebbe dire parlare di tutta la vita dell'universo, vuol dire capire il senso di tutta la storia, vuol dire conoscere quello che veramente è il cuore del mondo ed è più vasto del mondo. Cominciamo dunque.
Si è parlato di una "preparatio evangelica": dobbiamo dire che il Cristianesimo è la religione che tutte le trascende ed è l'unica vera, perché dobbiamo iniziare con quello che è il dogma cristiano. Le altre religioni non possono concepire un rapporto diretto con Dio senza perdere il vero concetto di Dio. Se Dio è trascendenza infinita potrà mai una creatura entrare in rapporto con Lui? Se Dio è rapporto con la creatura allora questa non è più creatura, dev'essere una forma di Dio: è quello in cui cade l'islamismo.
Oppure è quello che insegna l'induismo: siamo tutti onde di un medesimo mare, non c'è più differenza qualitativa fra la creatura e il Creatore perché non esiste la creatura. Esiste soltanto Dio che si manifesta nella molteplicità delle forme.
Ma in questo concetto Dio non esiste più. Se io ho una nozione di Dio, devo pensare che fra la creatura e il Creatore l'abisso è infinito e invalicabile. Dio vive una solitudine infinita ed eterna. Dio è unico e la sua unicità lo pone a una distanza infinita da ogni creatura. Non vi è una distanza minore fra una pietra e Dio di quella che vi è fra un angelo e Dio, perché la distanza è infinita.
Ma allora come vivere questo rapporto?
Com'è possibile una religione?
Si è detto: l'unico modo per vivere una religione sarebbe il credere che tutto è uno. Tu sei quello. Ma io non mi sento Dio, io non sono Dio. Io non sono né onnipotente né onnisciente: io sono una povera creatura di un giorno. Come potrò vivere il mio rapporto con Dio?
Allora ecco che nell'Ebraismo Dio parla all'uomo, nell'Islamismo Dio parla all'uomo mediante il Corano e il Corano è eterno come Dio.
Però precisamente la parola può significarci la volontà di Dio, ma ancora non è Dio; la parola dice il rapporto con la cosa. Se Dio mi parla, la parola di Dio non è Dio: comunica, promette, nulla di più. Infatti la parola profetica nell'Antico Testamento è profezia, è annuncio di quello che verrà, e sotto questo aspetto allora, veramente l'Antico Testamento è preparazione al Cristo: tutto lo prepara, tutto lo annuncia, tutto in qualche modo lo anticipa.
Per quanto riguarda l'islam, siccome la parola del Corano non e profetica, la parola di Dio è soltanto legge e la vita religiosa si identifica in un puro giuridicismo. Fare quello che Dio ha detto ti mette nella condizione di essere approvato da Lui, però non vi è unione con Dio. Vi sono stati dei mistici nell'islam che sono stati martirizzati proprio perché pensavano di poter amare Dio e, cosa peggiore ancora per loro, che Dio potesse amare l'uomo. Fra Dio e l'uomo l'abisso rimane, tanto che Maometto stesso secondo il pensiero islamico, quando è portato verso Dio si deve fermare a un tiro di pietra da Lui, perché non si può avvicinare. L'uomo e Dio non possono incontrarsi. Dice il salmista: "Se Dio tocca i monti, i monti fumano". Può reggere la creatura il peso della gloria divina? Allora la religione giuridica che cosa promette all'uomo? Una salvezza? Non può essere una salvezza soltanto la promessa dei giardini con le acque zampillanti, non possono essere una salvezza dell'uomo soltanto le fanciulle dagli occhi neri. Non può essere questo!
Dio può essere rapporto con l'uomo perchè rapporto in sè stesso: ecco la prima grande verità del cristianesimo. Dio non è un Dio non vivente, un Dio morto, è un Dio vivente.
Se è un Dio vivente è un Dio che ama. Ma l'amore suppone l'amante e l'amato, la conoscenza suppone uno che conosce e la cosa conosciuta e in Dio vi è precisamente questa possibilità perchè pur essendo Uno nella natura Egli è Trino nella persona. Il Padre si comunica tutto al Figlio, il Figlio si comunica al Padre e vivono in questa comunione eterna di amore in questo rapporto infinito di amore, l'unità dello Spirito. Ecco allora, se Dio è rapporto già in sè stesso potrà divenire, se Egli vuole. (perchè qui è tutta la libertà divina che gioca), rapporto con l'uomo.
Ed ecco quello che precisamente realizza la vita religiosa del mondo. Dia entra liberamente in rapporto con l'uomo. Attraverso che cosa? Attraverso una rivelazione: la parola nella rivelazione cosmica annuncia lontanamente Dio, il mistero, poi nella rivelazione profetica precisamente annuncerà la Verità, dà una promessa, annuncia qualche cosa che Dio compirà. La parola, si diceva prima, ha un rapporto con la cosa: qui la parola ha rapporto con un evento che Dio realizzerà nel tempo. Come lo realizzerà nel tempo questo evento? Lo dirà in fondo anche la Sacra Scrittura, cominciando dal Vangelo. La parola di Dio è seme e guardate che l'Antico Testamento parla tanto del seme gettato nella terra quanto del seme virile che viene concepito nel seno della madre. Dio parla e la parola di Dio entra nel tessuto umano, nella storia umana, e allora questa storia diviene cammino che conduce tutta l'umanità all'incarnazione del Verbo.
Tutto il contenuto della storia, si diceva all'inizio è la gestazione del Cristo, e la storia sacra termina precisamente con l'avvento del Cristo. Dopo l'avvento del Cristo non ci può essere più storia oggettivamente; soggettivamente sì, per ciascuno di noi, perché siamo entrati nel Cristo. Può l'uomo andare oltre Dio? Dio si è fatto presente nell'incarnazione del Verbo.
Certo anche la Chiesa in quanto pellegrinante può avere una storia, ma la storia della Chiesa che cos'è? Un inserimento sempre più profonda nella Verità, in Cristo Signore. Non si va oltre il Cristo. Il Cristo è la fine di tutta la storia, il compimento delle promesse di Dio. E' Dio stesso donato all'uomo.
Allora voi capite una cosa: una religione vera deve ammettere, se vuol essere vera, il mistero della Trinità Divina, che dimostra come Dio sia vita in sè stesso, non ha bisogno della creatura per essere Dio, perchè in sè stesso trova la possibilità di amare e la possibilità di conoscere. E Dio si conosce nel Verbo e il Padre e il Verbo si amano nello Spirito Santo. E' mediante la Trinità Divina che Dio è il Dio vivente, che vive un rapporto di amore, un rapporto di conoscenza in sè medesimo. Ora vuole amare al di fuori di sé, per questo crea e creando si comunica al mondo mediante prima di tutto la parola che è promessa, annuncio profetico, e tutta la storia sarà preparazione lenta ma sicura ad accogliere il Cristo. Ma noi dobbiamo studiare più attentamente chi è questo Verbo incarnato e come anche nel Verbo incarnato si realizzi la vera religione.
Che casa avviene con l'incarnazione del Verbo?
Certamente è una casa immensa il mistero dell'incarnazione, ma non dobbiamo fermarci al mistero. Nell'incarnazione avviene un fatto fra i più straordinari che si possano immaginare; una donna in un paese che nessuno conosceva ha potuto dire al suo Dio: "Tu sei mio Figlio". Le parole che eternamente dice il Padre nei confronti del Figlio unigenito, una donna le dice a proposito del Figlio di Dio.
Ma avviene una cosa estremamente più grande ancora: un bambino che è Dio, che è l'Onnipotente, che è Colui che ha creato il cielo e la terra, deve dire a una donna: "Tu sei la mia mamma". Ecco, la vita religiosa è rapporto.
Che cosa è essenzialmente il Cristianesimo? Un rapporto con Dio in Gesù Cristo.
Parlare dunque di Cristo vuoi dire parlare dell'uomo perchè veramente non possiamo pensare l'uomo senza questo rapporto col Cristo. La vita spirituale non consiste prima di tutto nella virtù, ma consiste nel rapporto col Cristo, che diviene sempre più intima via via che l'anima cresce in virtù. Infatti come nasce il Cristianesimo nei Vangeli? Con la sequela. Il Cristo chiama degli uomini a seguirlo ed essi vanno con Lui, e diventano i discepoli ed Egli rimane il maestro. Ma il discepolo non rimane sempre il discepolo.
Dice Gesù nel Vangelo che il discepolo è perfetto quando è come il maestro. Che cosa dice Gesù dopo la resurrezione alla Maddalena: "Va e dì ai miei Fratelli...". Gli apostoli che prima erano discepoli ora divengono i fratelli. In più la vita cristiana imposta il rapporto più intimo che si possa pensare col Cristo, e in tale rapporto l'uomo diviene capace di vivere la stessa vita di Dio. Il matrimonio però almeno con la morte si scioglie. Ma l'unione con Dio non si scioglie più e la vera unione è la nostra unione con Dio.
Le suore che già vogliono anticipare la vita del cielo, hanno rinunciato a vivere il rapporto con Dio attraverso una creatura per vivere direttamente la vita con Dio.
E io non posso concepire la castità perfetta e non potrei nemmeno accettarla se non la vedessi come impegno di una vita d'amore con Cristo, perchè altrimenti la castità perfetta sarebbe una mutilazione dell'uomo. Sul piano naturale la vita dell'uomo trova il suo compimento nell'unione nuziale e nella paternità. Trascendiamo questo piano per vivere già quella che dice il Vangelo di Luca la vita del Figlio della Resurrezione. La castità non si può pensare che come vita di unione con Dio, di unione con Cristo.
La vita cristiana dunque comporta questa unione con Cristo, ma chi è questo Cristo al quale dobbiamo essere uniti, che determina il valore della nostra vita e la nostra salvezza? E' un Dio che si comunica al mondo. Ma se Cristo è Dio che si fa presente per comunicarsi a noi, il Cristo è la rivelazione suprema dell'amore del padre che non dona agli uomini i beni che essi desiderano, dona agli uomini sè stesso.
Il Dio Provvidenza non è il Dio Padre. Si pensa che se Dio ci ha creati, Dio deve provvedere ai nostri bisogni, ma non e questo l'amore. Uno sposo che ama dona sè stesso alla sposa, la sua vita, il suo corpo; la sposa ugualmente amando darà sè stessa allo sposo. L'amore implica il dono di sé, non delle proprie cose. Se Dio ci ama ci dona sè stesso ed ecco allora che il Figlio di Dio, l'incarnazione del Verbo esprime prima di tutto l'amore infinito del Padre che comunica al mondo tutto sè stesso nel Figlio suo, perchè il Padre non possiede nessun'altra cosa che il Figlio: è nel Figlio che ha tutta la sua ricchezza, è nel Figlio che ha tutta la sua gioia, la sua santità. Il Padre ci dona sè stesso nel dono del Figlio suo, ma come può donarci il Figlio suo senza cessare di essere Padre? Ed ecco allora quello che avviene proprio nel mistero cristiano. Dio ci dona il Figlio in quanto genera prima in noi il Figlio nella creazione, lo concepisce e lo genera attraverso la Vergine Maria, lo concepisce e lo genera, dice S.Francesco, nell'anima e nel cuore dell'uomo. Noi ne prendiamo possesso perchè possiamo dare al Figlio di Dio una natura che non aveva. Egli ci dà sè stesso e noi doniamo a Lui noi stessi. La Vergine gli dà un corpo, noi gli diamo i nostri peccati. Quando la Vergine,che è senza peccato, gli dà un corpo, il Cristo vive. Nella nostra natura, quando noi diamo al Cristo i nostri peccati noi diamo al Cristo la morte. E' uno scambio mirabile, come insegna la liturgia, quello che avviene in questo mistero cristiano. Allora ecco che in Gesù Cristo noi vediamo prima di tutto la rivelazione dell'amore di Dio e il dono infinito di Dio all'uomo.
Quando parliamo di Gesù Cristo intendiamo prima di tutto parlare della vita umile, storica di Gesù. Noi abbiamo imparato a conoscere Gesù quando l'abbiamo visto camminare nel mondo come noi camminiamo, quando l'abbiamo visto soffrire come noi soffriamo,quando l'abbiamo visto fare i miracoli, quando abbiamo ascoltato la sua parola, quando Egli era uno di noi. Anche ora Egli rimane uomo ma è ben altra la conoscenza che abbiamo oggi del Cristo da quella che potevano avere gli Apostoli. Io non so, ma credo che nessuno di voi abbia veduto il Cristo quaggiù. Dio non si può far vedere così come Egli è; non abbiamo la capacità di accogliere ed esperimentare la potenza, l'infinita ricchezza della gloria divina che è in Cristo risorto. Pertanto le apparizioni sono un piccolo contentino che ci vogliono far entrare di più nel mistero. La vera vita di unione con Dio non può avvenire che nella fede. Le apparizioni sono una grazia che Dio dà a coloro che non credono. Ma giustamente noi prima di vivere questo rapporto, questa esperienza di un Dio fatto presente ed intimo a noi, abbiamo bisogno di conoscere Lui nella sua vita passata. Questa è una necessità che hanno provato anche i Santi, come S. Francesco che può vivere sulla Verna tutto l'amore, tutto il dolore che Gesù soffrì. Gesù nella sua vita possibile è Dio ed è uomo, perfetto Dio e perfetto uomo. Se è perfetto uomo vivrà tutti i nostri limiti, tutte le nostre possibilità. Sarebbe mostruoso che Gesù come uomo avesse conosciuto tutti gli uomini, o potesse vivere un rapporto con tutti nel medesimo tempo. Se parlava a Pietro non parlava a Giovanni, se era a Betlemme non era a Nazareth. Ha voluto vivere la nostra umile vita. Il Cristo era veramente Dio ma anche veramente uomo, e questo ci dice soprattutto la verità, la realtà dell'amore di Dio. Non è un amore soltanto a parole, è un amore che lo ha impegnato in una realtà che ha voluto dire per Lui soffrire.
L'umanità di Cristo diventa il sacramento mediante il quale l'uomo deve accedere al mistero divino: "Chi vede me vede il Padre". Nella conoscenza che abbiamo del Cristo storico noi abbiamo anche la percezione che Dio sia accompagnato al cammino dell'uomo. Non lo cerchiamo lontano, dobbiamo trovarlo nella nostra umile vita. Dio si è incarnato e continua a farsi presente per noi nella nostra medesima vita. E' vero che ora è invisibile, che non è operante, ma è vero che facendosi presente nel cuore degli uomini egli fa di noi il sacramento della sua presenza visibile e operante.
Nell'Eucarestia egli è presente realmente ma la sua presenza è una presenza escatologica. Ogni particola è sempre segno di un'unica presenza perchè lui è unico in Cristo. Non è neppure una presenza nel tempo, ma una presenza per la quale Egli ci trasforma in sè. Ecco allora che quello che Cristo era nella sua vita possibile, dobbiamo esserlo ora, nel mondo di oggi, attraverso una trasformazione del Cristo. Mediante questa presenza segreta diveniamo il sacramento visibile e operante del Cristo. Ecco la testimonianza cristiana.
Chi è dunque il Cristo? E' questo Dio fatto uomo che si è comunicato al mondo in tal modo che non rimane più una persona isolata, divisa da noi, ma diviene con noi un solo corpo, per vivere con noi in un medesimo spirito, perchè noi tutti viviamo la sua medesima vita. Vivo io, ma non sono io che vivo, è il Cristo che vive in me. Questo è il miracolo della Chiesa, questo è il miracolo del Cristianesimo. Parlare del Cristo vuol dire parlare della Chiesa, perchè ora la Chiesa è il corpo vivente di Lui. Parlare del Cristo vuol dire parlare di ciascuno di noi, perchè se ciascuno di noi è cristiano, nella misura in cui e cristiano, il Cristo vive in lui ed ha assunto in qualche modo il suo corpo, la sua anima, per amare con il suo cuore, per agire con le sue mani. Ecco il mistero del Cristo: è un mistero che non si ferma al Cristo storico mediante il dono del suo Spirito. Egli ora si dilata ad abbracciare l'universo, si prolunga attraverso tutta la storia del mondo.
La Chiesa che cos'è? E' il Cristo continuato nel tempo e dilatato nello spazio fintanto che il Cristo deve tutto abbracciare, tutto assumere, e termine ultimo sarà l'assunzione di tutta la Creazione divenuta l'unico corpo del Cristo.
Tutti assunti dal Verbo per contemplare il Padre con gli occhi del Cristo, ecco il termine ultimo della vita umana, della storia. Voi sapete che tutte le religioni e tutte le filosofie, prima del cristianesimo, hanno una concezione ciclica della storia. Anche oggi con il buddismo, con l'induismo è l'eterno ritorno. Niethzche, che ha rinunciato ad essere cristiano, ritorna alla dottrina dell'eterno ritorno. La storia implica che si inizi con un cammino (l'inizio è la creazione) e si termini con questa assunzione di tutto nel seno di Dio. Che cos'è il cammino dell'umanità dopo la venuta di Cristo? E' l'ascensione del Cristo e di tutta l'umanità. Si rimane uomini, come Egli rimane uomo, ma mentre Lui essendo Dio si fa uomo, noi essendo uomini diveniamo in Lui partecipi della natura divina, come dice S.Pietro nella sua I lettera. E partecipi della vita divina lo siamo in quanto siamo tutti un solo corpo per vivere nel Cristo la sua medesima vita.
Quando si parla della salvezza, che cosa s'intende dunque? Si intende che Dio ci toglie i dolori del corpo, le sofferenze, ogni forma di ingiustizia? E' ben altro la salvezza cristiana. Nella salvezza cristiana l'uomo trascende infinitamente sè stesso per vivere in Cristo la stessa vita di Dio. Anche qui Dio facendosi uomo impara a conoscere mediante l'esperienza la povertà umana, la debolezza umana, la sofferenza umana.
Che cos'è la partecipazione all'eternità di Dio? Noi non temiamo la morte, la morte per il cristiano non c'è. E' un accidente biologico: noi perdiamo questo corpo ma dobbiamo perderlo perchè non potremmo vivere per mille anni in questo corpo. Il nostro corpo non è adatto a vivere l'eternità. Bisogna che il Signore ci riformi totalmente, perciò bisogna morire. Lasciamo questo corpo per possedere la stessa vita di Dio, l'eternità di Dio e non essere più condizionati dal tempo e dallo spazio.
Come il Padre è nel Figlio, come il Figlio è nel Padre, così ognuno di noi sarà con colui che ama: prima di tutto con Dio, prima di tutto con i Santi. Tutto si ricompone nell'unità perchè Dio è uno ed eterno e noi vivremo questa unità, questa partecipazione e nè il tempo, nè lo spazio ci condizioneranno. L'uomo non è fatto soltanto per questi beni terreni, non lo soddisfano. Diceva già S.Tommaso che l'intelligenza dell'uomo è aperta a tutte le verità, che il cuore dell'uomo è aperto a tutto il bene, ma noi non possiamo in una vita possibile che realizzare un poco di bene, non possiamo arrivare che a poche verità e le verità che acquistiamo fanno sentire ancora più profondo l'abisso della nostra ignoranza. Il Cristo è nella sua incarnazione colui che unisce cielo e terra, è colui che realizza l'unità degli estremi: la povertà dell'uomo con l'infinito di Dio.
Fino a qualche anno fa avevamo una grande difficoltà a capire quello che si diceva nei libri di teologia sul peccato del diavolo. Ma se mi dicevano che il diavolo e così intelligente: possibile che si possa dire intelligente un angelo che vuoI andare contro Dio? Era da stupido. Sarebbe stupido anche per me perchè capisco che non ce la faccio ad andare contro Dio. Ma lui è stato geloso dell'uomo, ecco un punta importante per concepire l'incarnazione del Verbo. Se Egli si fosse fatto angelo avrebbe distrutto l'unità della creazione di Dio perchè non avrebbe assunto il mondo fisico, il mondo biologico, il mondo della natura. Il diavolo ha avuto gelosia di questa scelta che Dio ha fatto dell'uomo: perchè non scegliere lui che era più perfetto dell'uomo? Secondo un mistico dell'islam il diavolo avrebbe detto a Dio: "Voglio difendere Te, Te contro Te. Non è proprio della dignità di un Dio farsi uomo. Non devi farlo". E' proprio per questa volontà di Dio che l'angelo ha peccato. E l'angelo sa la ragione di questo suo peccato: nell'uomo è un peccato di fragilità, nell'angelo invece che è intelligente c'è la consapevolezza prima del male che egli vuol procurare. Gesù morendo sulla croce, assumendo tutti i nostri peccati, manifesta un amore che trascende ogni possibilità per noi anche di comprensione. Questo è l'amore incarnato, la rivelazione suprema di Dio come amore. Di fatto i Vangeli, le lettere apostoliche, prima di tutto insistono su Gesù in quanto rivelatore del Padre.
Così la rivelazione di Dio in Cristo Gesù diviene anche oggi la comunicazione che Dio fa di sè stesso all'uomo. Avete presente quello che dice S.Giovanni alla fine del prologo; "Nessuno ha mai veduto Dio. L'unigenito Figlio che è nel seno del Padre, Egli ce l'ha rivelato". Ma la visione di Dio che anticipa in qualche modo la visione beatifica non è già la presenza di Dio nel cuore dell'uomo? Qui un problema si pone: si può conoscere Dio senza essere idolatri?
Se la conoscenza di Dio è una conoscenza puramente astrattiva, conoscenza per idee, nella misura che ti fermi all'idea, l'idea è un idolo per te. La fede deve trascendere il concetto, deve trascendere la parola. Quando Dio si fa conoscere, si dona, si fa presente nel cuore degli uomini e tu accetti questa conoscenza mediante la fede, allora lo conosci.
Come Gesù ha compiuto l'opera sua?
Le cose sono molto semplici: ha vissuto la nostra vita. Lo dice S.Ireneo già nel II secolo. E' attraverso questo cammino che Egli si rivela e si comunica al mondo. Voi siete cristiani, siete figli di Dio, eppure non siete dispensati dall'avere una vita di difficoltà, di problemi, di preoccupazioni. I miracoli che ha fatto il Signore non sono la manifestazione della salvezza che Egli ha compiuto, sono soltanto un piccolo segno che garantisce la sua missione. La sua missione non era soltanto quella di dare un po' di pane, di salvare dalla morte, era la garanzia della verità di quello che Egli annunciava, e cioè che Egli si donava per la salvezza che trascende i condizionamenti umani. Ci saranno sempre i martiri nella Chiesa, non è detto che questo ci debba scoraggiare e non farci lavorare, ma questo ci dice che non dobbiamo nemmeno identificare quello che possiamo compiere quaggiù con la salvezza promessa da Dio. La salvezza promessa da Dio è di carattere escatologico. Se noi fossimo cristiani davvero potremmo vivere l'ansietà di S.Teresa, di S.Giovanni della Croce, perchè la nostra vita deve tendere veramente a questa visione che ci apre finalmente all'infinità di Dio. A questo ci chiama il Cristo, a questo ci prepara il Cristo, a una vita che e immensamente più grande, più fiera di quella che viviamo quaggiù. Come per Lui a una vita grama di povertà, anche di sofferenza, è subentrata poi con la risurrezione la vita gloriosa che non termina più, così anche per noi dopo c'è davvero il Paradiso, c'è davvero cioè la comunione col Cristo non più nella vita possibile, come hanno vissuto gli Apostoli che l'hanno conosciuto, ma vivremo con Lui la sua gloria, perchè in fondo il termine di tutto il cristianesimo è nell'Ascensione del Cristo alla destra del Padre.
Parlare del Cristo e non parlare degli uomini, parlare degli uomini e non parlare del Cristo è sempre sbagliato. Non si capiscono gli uomini se non in Cristo. Se si volesse poi studiare meglio la figura del Cristo come uomo e come Dio ci sarebbe troppo da dire. Per studiare la figura del Cristo come tale sarebbe importante riprendere tutto il Nuovo Testamento e vedere i nomi del Cristo. Con quali nomi è stato chiamato dagli Apostoli? Come è cresciuta la fede degli Apostoli nel Cristo Signore? La fede nel Cristo cresce nella comunità cristiana fino alla fine dell'epoca apostolica. Questo crescere dice anche il crescere in noi della fede in Cristo Gesù.
Fintanto che il Cristo è vissuto quaggiù sulla terra gli Apostoli non avevano la fede che Egli fosse il Figlio di Dio. E' stato necessario che Egli si allontanasse dalla terra e fosse asceso al cielo perchè conoscesse la fede in Lui.
Così anche per noi la conoscenza del Cristo ci porta ad una vita d'interiorità sempre maggiore con Lui. Cioè, in altre parole, una teologia del Verbo la può fare soltanto un contemplativo, che vive realmente una comunione reale con Lui. E penso sempre di più che la vera teologia non può essere fatta soltanto dagli studiosi. Non sai pregare, non sei un teologo.
Dio non si dona ad un'anima se l'anima non si dispone ad accoglierlo nell'umiltà e nell'amore.
Vi invito precisamente a fare questo cammino.
Egli non è lontano da noi. E' asceso al cielo ma l'ascensione al cielo non è un trasferimento di luogo. Se è un uomo sta meglio con gli uomini, sta col Padre ma il Padre è dappertutto. Sta con gli uomini e gli uomini sono qui. Egli è con noi: "Sono con voi fino alla consumazione dei secoli". Se dunque Egli è con noi si tratta di vivere veramente questa comunione con Lui. Allora lo conosceremo,
allora potremo anche parlare di Lui, perchè l'amore ci avrà dato gli occhi per poterlo conoscere: credo perchè amo.

Don Barsotti nel ricordo del suo successore


Don Divo Barsotti, unanimamente riconosciuto come una delle figure più luminose della Chiesa del '900, è stato uno scrittore, poeta, predicatore, fondatore di una Comunità di carattere contemplativo che conta più di duemila membri sparsi nel mondo, uomo dello Spirito.
Paradossalmente, per chi lo abbia cercato e abbia desiderato conoscerlo, non è stato facile mai scovarlo o incontrarlo, perché don Divo non ha mai amato né voluto le copertine, le immagini. “Gesù – scriveva Kierkegaard nei suoi Diari – non desidera ammiratori, ma seguaci; non vuole applausi, ma discepoli”. Così anche don Divo Barsotti: pur avendo grandi capacità e grandi doti, e una vita di preghiera fuori dal comune, è scappato sempre da ciò che può semplicemente apparire.
Irriducibile, anima tesa all'Assoluto, don Divo ha sempre dichiarato di aver cercato la volontà di Dio sino alla fine, senza sentirsi mai appagato in alcun posto. A inziare dalla propria Diocesi, San Miniato, appena ordinato sacerdote, tanto che nel dopoguerra il Vescovo lo lasciò partire volentieri per Firenze. Anche a Firenze un posto vero e proprio non lo ha mai avuto: troppo incandescente per avvicinarsi a lui: una parola viva ma anche tagliente, la sua. Dal Convento della Calza, dove il Cardinale Elia Dalla Costa lo aveva mandato come cappellano di suore, cominciò a farsi notare per la predicazione, ricca di toni nuovi per quel tempo, che richiedeva un rinnovamento della Chiesa, ossia di tutti i battezzati, chierici e laici, nella via della santità. Dopo gli anni di vita nascosta e di studi privati e personali a Palaia, le sue predicazioni colpivano per il vigore e il senso di Dio che trasemettevano, con quella esegesi biblica spirituale e spericolata, con quel richiamo continuo alla perfezione, con quel suo non intrupparsi e irreggimentarsi in alcuno schema.
Decisamente di indole contemplativa, quando nel 1951 scrisse il suo capolavoro “Il Mistero cristiano nell'anni liturgico”, non si accorse di aprire una scuola nuova, insieme a Odo Casel, peraltro mai conosciuto personalmente, che avrebbe avuto una grande importanza, ancora non esaurita, in seguito. Entrare nel Mistero, della vita e della morte, inserirsi nell'Atto di Cristo di morte e resurrezione, per salvare, con Lui, il mondo: questo è stato il punto fisso della vita e della predicazione di don Barsotti. Come? Semplice: con la preghiera oggettiva, la liturgia (S.Messa e Liturgia delle Ore), la contemplazione, il silenzio, l'esercizio della Divina Presenza continua, la preghiera del cuore. Cose che egli ha esercitato e insegnato a tutti i livelli.
Da giovane prete, per qualche anno volle andare in missione in India o in Oriente, ma i tentativi sempre fallirono; incarichi e impegni ufficiali la Chiesa non gliene diede mai; amicizie tante, ma sempre al di là dei gruppi e degli schieramenti. Giorgio La Pira, soprattutto, gli fu caro amico in quegli anni a Firenze. Ma la sua irrequietezza spiritale gli impediva di mettere radici da qualche parte in maniera definitiva.
Solo alcune donne anziane, della zona di Porta Romana a Firenze, nel dopoguerra osarono mettersi alla sua sequela, e don Divo, anziché proporre una direzione spirituale personale singolarmente, fece di loro un gruppetto di preghiera e di studio, dando un programma di vita che avrebbe impegnato severamente anche dei trappisti. Nacque così la Comunità dei figli di Dio, che avrebbe poi avuto nel tempo una lenta ma continua crescita in Italia e nel mondo.
Scrittore senza cercare pubblicità, uomo di preghiera che sentiva l'urgenza di comunicare la propria esperienza, amico di molti senza dipendere da nessuno, insegnante di teologia ma senza programmi didattici, padre di una Comunità numerosa ma senza averlo cercato, la vita di don Divo si riassume bene nel titolo di un suo Diario spirituale: “La fuga immobile”. Si fugge dal mondo, dalle sue convenzioni, dalle sue vanità e dal suo dominio, ma per rimanere immobili in Dio, fermi nei principi immutabili di sempre, nella Tradizione, nell'amore alla Chiesa.

Dopo il Concilio Vaticano II don Divo Barsotti non cambiò il tono delle sue proposte. Rinnovamento sì, ma non nelle strutture: nei cuori. Il richiamo alla santità personale, fino alla fine, è stato il suo grido profetico, che ha vissuto in prima persona, sempre. L'amore alla liturgia, alla Messa, sono i grandi richiami di don Divo. Chi potè assistere ad una sua celebrazione eucaristica, difficilmente la dimenticherà: non tanto per lui in sé, quanto perché, immergendosi in quell'Atto, a volte fino alla commozione e alle lacrime, introduceva i fedeli potentemente nel Mistero: la Messa diveniva la Presenza di Dio, del suo Sacrificio.
Don Divo ha scritto centinaia di libri, tradotti in molte lingue. E' assai conosciuto all'estero, in Francia, in Germania, in Spagna, persino in Russia, per aver parlato per primo in Italia di san Sergio, san Serafino, Silvano del Monte Athos, dei padri di Optina. Ha scritto migliaia di pagine, articoli di agiografia (conosceva benissimo tutti i santi e beati italiani, anche quelli semisconosciuti nelle proprie Diocesi), di spiritualità, commenti biblici (P. Alonso Shoekel era entusiasta di lui: prima di morire gli scrisse una lettera dalla Spagna obbligandolo a ristampare il libro sulla Genesi), poesie, saggi, eccetera... Ha tenuto gli esercizi alla Curia Romana al tempo di Paolo VI, ha predicato in decine di monasteri in Italia e all'estero, a seminaristi, sacerdoti, vescovi... ma sempre rimanendo lontano dai riflettori, come se gli bastasse essere conosciuto da Cristo e basta, nelle preghiera, nella pace.
Egli è consapevole del paradosso della sua missione e funzione: “Sofronio di Gerusalemme fu eletto Patriarca di Gerusalemme a 84 anni – annota nel suo diario l'8 giugno 1973 -; è necessaria tutta la vita per prepararsi a compiere quella che è la nostra missione. Cinquant'anni di silenzio, di macerazione solitaria, di fallimenti. Bisogna che l'uomo non viva più per compiere nulla. Quando sarà liberato da ogni volontà di potenza e non vivrà più la sua vita che nella profondità del silenzio, allora Dio userà di lui. Che nulla ti turbi. L'oblio di tutto il creato, la rinunzia ad ogni opera è condizione imprescindibile alla vera carità. Bisogna che tu realizzi l'assoluta grandezza della Presenza di Dio nel vuoto di tutto, nel silenzio di ogni creatura, nell'esperienza della tua povertà. Era necessario che tu passassi per questo deserto; è necessario che nel deserto tu debba morire bruciato dalla sete, scottato dal sole. In questo deserto, un giorno le ossa aride udranno un giorno la Sua voce: tu potrai levarti allora pronto alla battaglia e lo Spirito di Dio ti sosterrà, ti porterà.
La sua giornata di Casa San Sergio, piccola casa sui colli fiorentini nella quale ha vissuto dal 1956 fino alla morte, è stata scandita da un ritmo di preghiera, di silenzio, di meditazione, di ascolto. I suoi Diari spirituali, alcuni dei quali editi, sono dei veri e propri inni di amore e trattati di teologia – certo non sistematica: Dio appare come il grande amato, il grande ricercato, il senso stesso della vita e del mondo.
E in questo silenzio, in questo isolamento (don Divo è stato molto amato dai suoi affezionati lettori, dai suoi figli spirituali, dagli amici, dai religiosi in conventi e monasteri, ma ignorato dal mondo accademico), ci appare chiaro come il messaggio così cristologico e trinitario di don Divo possa essere il centro di una ripresa vitale della Chiesa, che con Giovanni Paolo II prima e con Benedetto XVI ora, richiama la cristianità ai propri doveri e responsabilità davanti ad un mondo secolarizzato e abbruttito dalla violenza. “Aprite le porte a Cristo!” è il grido che in don Divo ha un assoluto rilancio, proprio perché così lungamente meditato, un grido che può contribuire a dare luce e sale alla cristianità in Europa e nel mondo.
Don Divo è stato un uomo che ha dedicato tutta la vita a far conoscere agli uomini la bellezza della Verità contemplata nella fede. Passionale e forte, dolce e paterno, solitario e uomo di fede incrollabile, monaco e predicatore al tempo stesso, insofferente alle mode e capace con una parola di illuminare un'intera esistenza... tutto questo è stato don Divo Barsotti. Lascia dietro di sé scritti, libri e pagine che testimoniano la sua straordinaria esperienza di Dio, lascia una Comunità di anime consacrate, lascia tanti solchi aperti e pronti ad essere fecondati di nuovo dalla Sapienza divina.
Poco prima che la malattia finale gli togliesse lentamente la possiblità di leggere e scrivere, verso la fine del 2002, scrisse nel suoi appunti queste parole: “Nessuna fuga dal tempo porta via con sé quello che io vivo. Quello che io vivo entra con me nella Presenza di Colui che mi ama: nulla è pertuto, ma in Lui tutto si raccoglie. Non esiste la morte se veramente esiste l'Amore”.
Don Serafino Tognetti

Don Divo Barsotti, Viver na presença de Deus


VIVERE ALLA PRESENZA DI DIO
"miei cari fratelli, quante volte vi ho detto che l'esercizio fondamentale della vita cristiana è l'esercizio della Presenza di Dio.
Ma che vuol dire esercizio della Presenza di Dio?
Se la presenza di Dio fosse un fatto oggettivo, dipendesse soltanto dal fatto che io penso al Signore, sarebbero sciocchezze, perché vorrebbe dire che noi vivremmo soltanto di fantasie, di sogni.
No: Vivere l'esercizio della divina presenza di Dio vuol dire realizzare talmente la nostra fede da avere la percezione di questa Presenza, che è la una Presenza reale, più reale di questo mondo.
La realtà di questo mondo è ombra e immagine nei confronti della realtà divina. Certo, come si diceva del resto ieri, la nostra esperienza è legata troppo ai sensi, questa esperienza sensibile è troppo rozza, e s'impone in modo cosi forte a tutto l'essere nostro che tante volte l'esperienza spirituale quasi non l'avvertiamo, e tutto basta a distrarcene e tutto basta ad allontanarci da questa. Ma noi, se siamo cristiani, dobbiamo invece fare in modo che liberandoci dalla schiavitù puramente sensibile e puramente psicologica, viviamo in questa divina Presenza.
Noi siamo compagni degli angeli, noi siamo compagni dei santi, ci dicono le Sacre Scritture. Siamo i compagni degli angeli perché viviamo con loro dinanzi al Volto di Dio, perché siamo con loro in Cristo Gesù e partecipiamo della Sua medesima vita, che è la lode del Padre. Noi dobbiamo vivere questo."
Don Divo Barsotti - Casa S. Sergio, 1987

Don Divo Barsotti - Casa S. Sergio, 1987


Viver na presença de Deus

" meus queridos irmãos, quantas vezes eu vos disse que o exercício fundamental da vida cristã é o exercício da presença de Deus.

Mas o que quer dizer exercício da presença de Deus?
Se a presença de Deus fosse um fato objectivo, dependesse somente do fato de que eu penso no Senhor, seria bobagem, pois gostaria de dizer que nós viveríamos somente de fantasias, de sonhos.

Não: viver o exercício da divina presença de Deus quer dizer realizar  a nossa fé por ter a percepção desta presença, que é a uma presença real, mais real que este mundo.

A realidade deste mundo é sombra e imagem em relação à realidade divina. Claro, como se dizia sobre o resto ontem, a nossa experiência está ligada demais aos sentidos, essa experiência sensível é muito grosseira, e se impõe de forma tão forte a todo o ser nosso que tantas vezes a experiência espiritual quase não o avisamos .   Mas nós, se somos cristãos, devemos, em vez disso, fazer com que se abana da escravidão puramente sensível e puramente psicológica, vivemos nesta divina presença.

Nós somos companheiros dos anjos, nós somos companheiros dos Santos, nos dizem as escrituras sagradas. Somos os companheiros dos anjos porque vivemos com eles perante o rosto de Deus, pois estamos com eles em Cristo Jesus e participamos da sua própria vida, que é o louvor do pai. Nós temos que viver isso."

Dom Divo Barsotti - Casa s. Sérgio, 1987

domingo, 20 de janeiro de 2019

Prayer of the Heart - Jesus Prayer - for the Faithful Living in the World


by Elder Joseph of Vatopaidi (Spiritual Child of Elder Joseph the Hesychast)

The question is always being asked, "Is it possible for those living in the world to occupy themselves with noetic prayer?" To those who ask we answer quite affirmatively, "Yes." In order to make this exhortation of ours comprehensible to those interested, but at the same time to make aware those who are unaware, we will briefly explain this, so that no one will be placed in a quandary by the various interpretations and definitions of noetic prayer that exist.
Generally speaking, prayer is the sole obligatory and indispensable occupation and virtue for all rational beings, both sentient and thinking, human and angelic. For this reason we are enjoined to the unceasing practice of the prayer.
Prayer is not divided dogmatically into types and methods but, according to our Fathers, every type and method of prayer is beneficial, as long as it is not of diabolic delusion and influence. The goal of this all-virtuous work is to turn and keep the mind of man on God. For this purpose our Fathers devised easier methods and simplified the prayer, so that the mind might more easily and more firmly turn to and remain in God. With the rest of the virtues other parts of man's body come into play and senses intervene, whereas in blessed prayer the mind alone is fully active; thus much effort is needed to incite the mind and to bridle it, in order that the prayer may become fruitful and acceptable. Our most holy Fathers, who loved God in the fullest, had as their chief study uniting with God and remaining continuously in Him; thus they turned all of their efforts to prayer as the most efficient means to this end.
There are other forms of prayer which are known and common to almost all Christians which we will not speak about now; rather we will limit ourselves to that which is called "noetic prayer", which we are always being asked about. It is a subject that engages the multitude of the faithful since next to nothing is known regarding it, and it is often misconstrued and described rather fantastically. The precise way of putting it into practice as well as the results of this deifying virtue, which leads from purification to sanctification, we will leave for the Fathers to tell. We paupers will only mention those things which are sufficient to clarify the matter and to convince our brethren living in the world that they need to occupy themselves with the prayer.
The Fathers call it noetic because it is done with the mind, the "nous", but they also call it "sober watchfulness" which means nearly the same thing. Our Fathers describe the mind as a free and inquiring being which does not tolerate confinement and is not persuaded by that which it can't conceive on its own. Primarily for this reason they selected just a few words in a single, simple prayer, "Lord Jesus Christ, Son of God, have mercy on me", so that the mind would not require a great effort in order to hold on to a long, protracted prayer. Secondly, they turned the mind within, to the center of our reason, where it resides motionless with the meaning of the divine invocation of the most sweet Name of our Lord Jesus, in order to experience as soon as possible the divine consolation. It is impossible, according to the Fathers, for our all-good Master, being thus called upon continuously, not to hear us, He Who desires so much the salvation of men.
Just as a natural virtue that is aspired to can only be achieved by the conducive means, so also this holy work requires some nearly indispensable rudiments:
...a degree of quiet;
...freedom from cares;
...avoidance of learning about and spreading the "news" of things going on, the ..."giving and taking" as the Fathers put it;
...self discipline in all things;
...an overall silence which stems from these things.
Moreover, I don't think this persistence and habit will be unattainable for devout people who take an interest in this holy activity. The good habit of a regular prayer time, morning and evening, always about the same time, would be a good beginning.
With surety we have emphasized perseverance as the most indispensable element in prayer. Rightly it is stressed by St. Paul, "Continue steadfastly in prayer."(Col. 4:2) In contrast to the rest of the virtues, prayer requires effort throughout our entire lifetime, and for this reason I repeat to those who are making the attempt not to feel encumbered, nor to consider the need for endurance as a failure in this sober-minded work.
In the beginning it is necessary to say the prayer in a whisper, or even louder when confronted by duress and inner resistance. When this good habit is achieved to the point that the prayer may be sustained and said with ease, then we can turn inwardly with complete outer silence. In the first part of the little book (Way of the Pilgrim) a good example is given of the initiation into the prayer. Sound persistence and effort, always with the same words of the prayer not being frequently altered, will give birth to a good habit. This will bring control of the mind, at which time the presence of Grace will be manifested.
Just as every virtue has a corresponding result, so also prayer has as a result the purification of the mind and enlightenment. It arrives at the highest and perfect good, union with God; that is to say, actual divinization (theosis). However, the Fathers also have this to say: that it lies with man to seek and strive to enter the way which leads to the city; and if by chance he doesn't arrive at the endpoint, not having kept pace for whatever reason, God will number him with those who finished. To make myself more clear, especially on the subject of prayer, I will explain how all of us Christians must strive in prayer, particularly in that which is called monological or noetic prayer. If one arrives at such prayer he will find much profit.
By the presence of the Jesus Prayer man is not given over to temptation which he is expecting, because its presence is sober watchfulness and its essence is prayer; therefore "the one who watches and prays does not enter into temptation." (cf. Matt. 26:41) Further, he is not given over to darkness of mind so as to become irrational and err in his judgments and decisions. He does not fall into indolence and negligence, which are the basis of many evils.

Moreover, he is not overcome by passions and indulgences where he is weak, and particularly when the causes of sin are near at hand. On the contrary his zeal and devotion increase. He becomes eager for good works. He becomes meek and forgiving. He grows from day to day in his faith and love for Christ and this inflames him towards all the virtues. We have many examples in our own day of people, and particularly of young people, who with the good habit of doing the prayer have been saved from frightful dangers, from falls into great evils, or from symptoms leading toward spiritual death.
Consequently, the prayer is a duty for each one of the faithful, of every age, nationality, and status; without regard to place, time or manner. With the prayer divine Grace becomes active and provides solutions to problems and trials which trouble the faithful, so that, according to the Scriptures, "Everyone that calls on the Lord shall be saved." (Acts 2:21)
There is no danger of delusion, as is bandied about by a few unknowledgeable people, as long as the prayer is said in a simple and humble manner. It is of the utmost importance that when the prayer is being said no image at all be portrayed in the mind; neither of our Lord Christ in any form whatever, nor of the Lady Theotokos, nor of any other person or depiction. By means of the image the mind is scattered. Likewise, by means of images the entrance for thoughts and delusions is created. The mind should remain in the meaning of the words, and with much humility the person should await divine mercy. The chance imaginations, lights, or movements, as well as noises and disturbances are unacceptable as diabolic machinations towards obstruction and deception. The manner in which Grace is manifested to initiates is by spiritual joy, by quiet and joy-producing tears, or by a peaceful and awe-inspiring fear due to the remembrance of sins, thus leading to an increase of mourning and lamentation.
Gradually Grace becomes the sense of the love of Christ, at which time the roving about of the mind ceases completely and the heart becomes so warmed in the love of Christ that it thinks it can bear no more. Still at other times one thinks and desires to remain forever exactly as one finds oneself, not seeking to see or hear anything else. All of these things, as well as various other forms of aid and comfort, are found in the initial stages by as many as try to say and maintain the prayer, in as much as it depends on them and is possible. Up to this stage, which is so simple, I think that every soul that is baptized and lives in an Orthodox manner should be able to put this into practice and to stand in this spiritual delight and joy, having at the same time the divine protection and help in all its actions and activities.
I repeat once again my exhortation to all who love God and their salvation not to put off trying this good labor and practice for the sake of the Grace and mercy which it holds out to as many as will strive a bit at this work. I say this to them for courage, that they don't hesitate or become fainthearted due to the bit of resistance or weariness which they will encounter. Contemporary elders that we have known had many disciples living in the world, men and women, married and single, who not only arrived at the beginning state but rose to higher levels through the Grace and compassion of our Christ. "It is a trifle in the eyes of the Lord to make a poor man rich." (Sir. 11:23) I think that in today's chaos of such turmoil, denial and unbelief there exists no simpler and easier spiritual practice that is feasible for almost all people, with such a multitude of benefit and opportunity for success, than this small prayer.
Whenever one is seated, moving about, or working, and if need be even in bed, and generally wherever and however one finds oneself, one can say this little prayer which contains within itself faith, confession, invocation and hope. With such little labor and insignificant effort the universal command to "pray without ceasing" (1 Thes. 5:17) is fulfilled to perfection. To whatever word of our Fathers one might turn, or even in their wonderful lives, he will encounter hardly any other virtue given so much praise or applied with such zeal and persistence, so that it alone constitutes the most powerful means of our success in Christ. It is not our intention to sing the praises of this queen of virtues, or to describe it, because whatever we might say would instead rather diminish it. Our aim is to exhort and encourage every believer in the working of the prayer. Afterwards, each person will learn from his own experience what we have said so poorly.
Press forward you who are doubtful, you who are despondent, you who are distressed, you who are in ignorance, you of little faith, and you who are suffering trials of various kinds; forward to consolation and to the solution to your problems. Our sweet Jesus Christ, our Life, has proclaimed to us that "without Me you can do nothing." (Jn. 15:5) Thus behold that, calling upon Him continuously, we are never alone; and consequently "we can and will do all things through Him." (cf Phil. 4:13) Behold the correct meaning and application of the significant saying of the Scripture, "Call upon Me in your day of trouble and I will deliver you, and you shall glorify Me." (Ps. 49(50):15) Let us call upon His all-holy Name not only "in the day of trouble" but continuously; so that our minds may be enlightened, that we might not enter into temptation. If anyone desires to step even higher where all-holy Grace will draw him, he will pass through this beginning point, and will be "spoken to" regarding Him, when he arrives there.
As an epilogue to that which has been written we repeat our exhortation, or rather our encouragement, to all the faithful that it is possible and it is vital that they occupy themselves with the prayer, "Lord Jesus Christ, have mercy on me", the so-called "noetic prayer", with a sure faith that they will benefit greatly regardless of what level they may reach. The remembrance of death and a humble attitude, together with the other helpful things that we have mentioned, guarantee success through the grace of Christ, the invocation of Whom will be the aim of this virtuous occupation. Amen.

Surrendering All: The Way of the Heart

Christian mindfulness is present-moment living centered in a Christ-like worldview.

Our need for mindfulness

Maybe you’ve had an experience like mine. Recently I watched the video of our daughter’s graduation from kindergarten, which took place last May. The video caught every moment of that happy hour. The one who took the video–me–remembered none of them.
Perhaps you’ve had the experience of realizing you missed your freeway exit long after it had disappeared from your rear-view mirror. Or maybe you have finished an entire meal without really tasting any of it because your mind was somewhere else, sacrificing both the experience of deliciousness and the opportunity to savor time.
The fact is that even though our bodies are forced to function in the immediate present, our minds don’t have that limitation. That can be a good thing. Our ability to think about something, to step back from simple stimulus response and observe, makes us extraordinary if not unique among earthly creatures. Imagining a greater future and treasuring a recollected moment are both functions of our creative minds. Self-reflection and contemplation of God are possible because our minds enjoy consciousness beyond direct engagement.
But as we all know, our wandering minds can miss a lot. The richness of experience, the exquisite beauty of the universe, the need of someone in pain, even the voice of God can get lost in the noise of our unfocused thoughts.
God does not ordinarily compete for our attention.
– Dallas Willard, The Great Omission
All those thoughts of past and future can be bothersome musings. The overabundance of facts and distractions leads us away from even our most cherishable activities. When we miss out on experience, beauty, others and God, we miss out on more than moments. We miss out on life.

What Christian mindfulness is

Mindfulness is paying attention. It is noticing what you are doing, feeling and thinking at the time you are actually doing, feeling and thinking it. Because God is part of our everyday lives, paying attention to God and focusing on God’s kingdom is a fundamental practice of Christian mindfulness.

What Christian mindfulness is not

2014 was the year of “mindfulness meditation cures everything.” Mindfulness meditation, as promoted for health and business benefits, derives from a certain Buddhist approach to meditation. In Buddhism, suffering is a state of mind that can be overcome by mentally and emotionally detaching from whatever causes one’s suffering. Detachment is achieved by emptying the mind of thought. Thus the goal of Buddhist meditation could be called “mindlessness.”
The secular, Westernized purpose of mindfulness meditation is to settle the busy-ness of random thoughts and overactive bodies, leading to a cognitive state in which the physical systems of the brain and body operate more efficiently and effectively. There isn’t anything wrong with your physical systems functioning well; in fact, physical health is a goal worth pursuing, but as Christians we aim for something more than just good physical operation. Our goal is eternal living in God’s kingdom. Unlike Buddhist and secular mindfulness meditation, which is based on emptying the mind, Christian mindfulness is designed to fill the mind with just one thing: seeking God’s kingdom and his righteousness. From this perspective, Christian mindfulness and meditation don’t aim to detach our selves from suffering, but to attach our deepest selves to God.

Life in God’s kingdom is now

Christian MindfulnessGiven how our minds–and hearts–are prone to wander, it’s no wonder that throughout the Hebrew Scriptures God repeatedly reminded people to remember both him and their history. “Remember the Lord your God, for it is he who gives you the ability to produce wealth, and so confirms his covenant” (Deuteronomy 8:18). “Remember the Sabbath day and keep it holy”(Exodus 20:8).
But it wasn’t just remembering God wanted. God also wanted people to pay attention in the moment–to listen and watch, and then to act on what they heard and saw. Jesus asks, “Do you still not see or understand? Are your hearts hardened? Do you have eyes but fail to see, and ears but fail to hear? And don’t you remember?” (Mark 8:17-18). God’s kind of remembering is not just nostalgic dreaming or remorseful musing. God-commanded remembering is a kind of present-directed mindfulness; it is summoning the past as it was so as to meet the present where it is. It is re-membering, putting back together the dismembered pieces of our lives.

Future tripping and destructive mental habits

Mindfulness was challenging for the people living in biblical times, and it’s even harder to manage in our age of distraction. Many of us live complicated, overbusy lives, crammed with work or looking for work, caring for children or aging parents or both, school, volunteering, commuting, health issues, and money worries. Cell phones compete with children and other drivers for our attention. The cereal aisle alone can be overwhelming, with its sky-high rows of options and promises. Relational and sexual intimacy can be impossible: our minds may be so filled up with checklists that the person in front of us disappears, and with her or him, the life we are supposed to share.
Besides our habit of distracted multi-tasking (as if that can be done effectively) many of us also bear the burden of what has been called “future-tripping.” This is the mental habit of speculating about the future, or resting one’s happiness on the achievement of some future state. The Apostle James spoke to future-tripping when he wrote, “Come now, you who say, ‘Today or tomorrow we will go into such and such a town and spend a year there and trade and make a profit’ — yet you do not know what tomorrow will bring. What is your life? For you are a mist that appears for a little time and then vanishes” (James 4:13-14, ESV). The actual mental experience of future-tripping has been described well by Vietnamese Zen Buddhist Thich Nhat Hanh:
We have negative mental habits that come up over and over again. nOne of the most significant negative habits we should be aware of is that of constantly allowing our mind to run off into the future. Perhaps we got this from our parents. Carried away by our worries, we’re unable to live fully and happily in the present. Deep down, we believe we can’t really be happy just yet—that we still have a few more boxes to be checked off before we can really enjoy life. We speculate, dream, strategize, and plan for these “conditions of happiness” we want to have in the future; and we continually chase after that future, even while we sleep. We may have fears about the future because we don’t know how it’s going to turn out, and these worries and anxieties keep us from enjoying being here now.
Christian MindfulnessFuture-tripping is not only part of our training, it’s embedded in Western culture. We are constantly admonished to set goals, build in interim goals, plan out the tasks needed to achieve those interim goals, and schedule deadlines for starting and ending those tasks. Every job interviewer asks, “Where do you see yourself in five years?” Advertising is constructed around building dissatisfaction with our current state and projecting happiness onto our future ownership of a particular product. The fitness industry’s balance sheet depends upon our new year’s resolutions…and our utter inability to maintain them.
Paradoxically, recent linguistic research suggests that our ability to “future-trip” may actually reflect a diminished capacity to planfully take action to further goals. Grammar reflects and supports deeply ingrained cultural views, which in turn drive behavior. According to the study by Keith Chen, some languages do not strictly distinguish the future from the present. German, Finnish and Mandarin speakers, for example, may use grammatical constructions like “it rains” to mean what in English would be both “it is raining now” and “it will rain tomorrow.” This research suggests that cultures that speak languages that do not linguistically require distinctions between future and present save more money and address health concerns earlier. When your mind strictly separates future results from present circumstances and behaviors, achieving those future results is harder.  The more you think in terms of “what will happen” or “when it happens” the less likely it is that you will take the actions needed to actually make it happen, whatever it is.
Envisioning a future builds your capacity to pursue it. Living in a future destroys your ability to fulfill it. Thus the harder it is to be mindful in your daily life, the more you need to be, because
Mindlessness leads to lifelessness.
Mindfulness leads to fullness of life.

Living in the present means trusting in God’s future

You cannot pay attention to the present if you’re worried about the future. “Don’t worry about your life, what you’ll eat or what you’ll drink, or about your body, what you’ll wear…. Who among you by worrying can add a single moment to your life?” (Matthew 6:24, 27). The sturdy foundation of Christian mindfulness is the assurance of faith that what we hope for is both real and waiting.
Hope is the confident anticipation of good… hope increasingly permeates our lives as our characters come to resemble Christ’s.
– Elane O’Rourke, A Dallas Willard Dictionary
In the letter to the Hebrews, we read that “since we have a great priest over the house of God, let us draw near to God with a sincere heart and with the full assurance that faith brings… Let us hold unswervingly to the hope we profess, for he who promised is faithful” (Hebrews 10:22-23, NIV). Our future is assured, for God is in charge. When we trust that our future is taken care of, we can pay attention to what is happening in the present. For this reason, Christian mindfulness might be understood as present-moment living in the only eternal reality, which is God’s kingdom.

Christian mindfulness is present-moment living centered in a Christ-like worldview.

Christian mindfulness includes paying attention, doing one thing at a time, and refraining from “future tripping” and “baggage carrying.” Paying attention requires both effort and trust. The effort comes in choosing to “set your mind on things above” (Colossians 3:2) and “renew your mind” (Romans 12:2).
That entire verse from Romans is instructive: “Do not conform to the pattern of this world, but be transformed by the renewing of your mind” (Romans 12:2). Once you recognize that the pattern of this world is to multitask, want for more, and regret what is lost, it’s easy to see what renewing your mind would be like: mindfulness.

Mindfulness is a foundation of inner peace.

When Jesus wanted to tell the disciples to not worry, he started by having them pay attention. “Look at the birds of the air,” he said. “Consider the lilies of the field,” he insisted, “if God so clothes the grass of the field, which is alive today and tomorrow is thrown into the oven, will he not much more clothe you?… Therefore do not worry” (Matthew 6:25-30). By paying attention to the fact that since the beginning  the creatures of the earth have been provided for, Jesus’ disciples could use their minds to extrapolate to their own situation. When we recognize that we are being provided for, peace comes more easily.

Mindfulness allows us to see what is really going on around us and to respond to those realities.

Jesus was the most mindful person ever. He was completely aware of the flow of life in his own body, noticing it go out to the woman in the crowd who touched his hem. He recognized the hunger and aimlessness of the crowds. He appreciated the gratitude of the woman who anointed him with perfume. He saw how the ruling parties were conspiring against him. He listened to his Father so closely that he and his Father were one in spirit, thought, desire and action. If Jesus were, as he is sometimes portrayed, a kind of lofty, otherwordly guru, he wouldn’t have been able to respond to his disciples, his community, his foes, or his God.

Mindfulness cooperates with simplicity of purpose.

Jesus was both the most mindful, and the most single-minded person ever. He was focused on one thing: the kingdom of God and God’s righteousness (Matthew 6:33). That focus shut out petty distractions, diminished worry, and opened him to whatever was happening around him at that moment. Jesus trusted that everything else was in God’s hands, and out of his own. Thus he was able to be fully present to the crowds, the woman, the Pharisees, and his Father because he put the kingdom first.
Each moment is all we need, not more.
-Mother Teresa

Mindfulness is practiced in the present but operates in eternity.

God’s kingdom isn’t a future promise but a present reality. From an eternal perspective, every moment in all time is part of “now.” So while Jesus was mindful of the events occurring in the fleshly world at a specific moment in time, he maintained an eternal perspective. His deepest person was not actually motivated by the temporal present but by the eternal Presence. This may be the strangest aspect of Christian mindfulness: we are able to be fully engaged in “now” because past and future are part of God’s everlasting kingdom, and not our earthly ones.

Some practices to try

What are some practices that contribute to mindfulness? Here are a few. Try them on for 30 days. Notice if anything changes about your approach to living.
  • Do physical activities that absorb your attention. Using your body in ways that fully engage your mind retrains your mind. Make even a little regular time for crafts, sports, cleaning, bathing, eating something truly delicious, or whatever it is that you love that uses your body or entices your senses so thoroughly that time passes without your noticing. Avoid activities that merely engage (or distract) your mind: it’s your mind you’re trying to retrain by using your body.
  • Set an alarm to think about God. There are a number of classic spiritual practices that create regular times to think about God. These include such things praying the hours, playing the “game with minutes”, and the Ignatian exercises. A simple way to help “fix your thoughts on Jesus” (Hebrews 3:1) is to set an actual alarm on your watch or cell phone or computer. When it rings, take that moment to “set your mind on things above” (Colossians 3:2). Do this several times each day.
Test me, Lord, and try me,  examine my heart and my mind; for I have always been mindful of your unfailing love and have lived in reliance on your faithfulness.
– Psalm 26:2-3, NIV
  • Meditate. Meditation has a bad reputation in some Christian communities because it is associated with Eastern philosophy. But as Dallas Willard said, just because Hindus eat breakfast doesn’t mean it’s a bad thing to do. Christian meditation can be as simple as sitting still for ten minutes, breathing easily, and repeating a line of Scripture. Good phrases for this kind of meditation are “Maranatha” and “Be still and know that I am God.” This kind of meditation renews both our minds and our spirits. It provides a centeredness that helps us listen for God. It also trains us over time to release all the distracting thoughts that occur to us during the average day and refocus on what matters.