Gli altari versus populum abbiano sempre, anche nel tempo in cui non si svolgono le azioni liturgiche i candelieri (non meno di due, o quattro, meglio sei) [...] Sono infatti i candelieri che distinguono l’altare cattolico dall’altare acattolico e ciò è della massima importanza. [...] Si consiglia, anche se la legge permette una maggiore libertà, di mantenere l’uso del Crocifisso sull’altare nella parte mediana in modo che il Celebrante e il popolo abbiano sempre visivamente ricordato che su quell’altare si celebra la rinnovazione dello stesso Sacrificio della Croce. [...] Tra i due modi consentiti dalla legge generale per accostarsi alla santa Comunione, quello più consentaneo alla mentalità delle nostre popolazioni, è quello di porsi in ginocchio. Si prescrive pertanto di distribuire la santa Comunione al fedele inginocchiato. Non è ammessa nella Archidiocesi la Comunione in piedi. Qualora si presentassero fedeli, abituati ad altro cerimoniale si invitano garbatamente, ma fermamente a uniformarsi alle disposizioni diocesane.
fonte:Cordialiter
Lo splendore del rito aiuta a vedere la verità
Per comprendere il pensiero e l’azione del cardinale Giuseppe Siri nell’ambito della sacra liturgia bisogna riandare ai suoi anni di formazione come seminarista e come giovane sacerdote a Genova. Nella prima metà del Novecento la metropoli della Liguria emerse come importante centro di movimento liturgico. Nel 1903 l’arcivescovo Edoardo Pulciano iniziò nel seminario genovese l’insegnamento di liturgia come disciplina distinta da quella delle rubriche. Nel 1914 venne fondata la “Rivista Liturgica”, un progetto congiunto delle abbazie di Finalpia, nel savonese, e di Praglia. Nella presentazione della nuova rivista si indicava come scopo quello di studiare e spiegare sia al clero sia ai fedeli la sacra liturgia, quale “culto pubblico che la Chiesa a rende a Dio”.
La figura chiave che emergeva in questi anni fu quella di monsignor Giacomo Moglia (1881-1941), il fondatore dell’Apostolato liturgico, alla quale il giovane Siri fu molto legato. (…) In un importante intervento del 1981 lo definì “uno dei massimi promotori della rinascita liturgica in Italia”. L’Apostolato liturgico venne fondato nel 1930, e la sua prima iniziativa (…) fu la pubblicazione settimanale dei “foglietti domenicali”, con le varie parti della messa in latino e in traduzione italiana, come rileva Siri, “perché tutto il popolo capisse, seguisse, partecipasse”. Alla scuola di monsignor Moglia Siri apprese il principio che “il culto a Dio resta il primo dovere dell’uomo e della Chiesa”. Vorrei qui presentare in maniera sintetica tre elementi caratteristici della sua visione liturgica, che trovarono espressione nel suo lungo ministero come arcivescovo di Genova: la liturgia come realtà soprannaturale, la solennità della liturgia e la dimensione ecclesiale del culto divino.
Nei suoi molti contributi sul tema, il cardinal Siri ribadiva il carattere soprannaturale della sacra liturgia, dovuto al fatto che la celebrazione dei sacramenti è intimamente legata alla Rivelazione divina. In sintonia con l’enciclica Mediator Dei di Pio xii e la Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, Siri metteva in rilievo che la liturgia è l’azione di Cristo Sommo Sacerdote (…) Quindi “la divina liturgia è stimolo, fonte, causa di spirito e vita soprannaturale” nell’anima dei fedeli. Il culto a Dio è “il primo atto al quale sono tenuti gli uomini (…) e il primo strumento ordinario per la salvezza delle anime (…) Colla divina liturgia, specialmente se capita e seguita, si santifica, si eleva tutto”.
La figura chiave che emergeva in questi anni fu quella di monsignor Giacomo Moglia (1881-1941), il fondatore dell’Apostolato liturgico, alla quale il giovane Siri fu molto legato. (…) In un importante intervento del 1981 lo definì “uno dei massimi promotori della rinascita liturgica in Italia”. L’Apostolato liturgico venne fondato nel 1930, e la sua prima iniziativa (…) fu la pubblicazione settimanale dei “foglietti domenicali”, con le varie parti della messa in latino e in traduzione italiana, come rileva Siri, “perché tutto il popolo capisse, seguisse, partecipasse”. Alla scuola di monsignor Moglia Siri apprese il principio che “il culto a Dio resta il primo dovere dell’uomo e della Chiesa”. Vorrei qui presentare in maniera sintetica tre elementi caratteristici della sua visione liturgica, che trovarono espressione nel suo lungo ministero come arcivescovo di Genova: la liturgia come realtà soprannaturale, la solennità della liturgia e la dimensione ecclesiale del culto divino.
Nei suoi molti contributi sul tema, il cardinal Siri ribadiva il carattere soprannaturale della sacra liturgia, dovuto al fatto che la celebrazione dei sacramenti è intimamente legata alla Rivelazione divina. In sintonia con l’enciclica Mediator Dei di Pio xii e la Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, Siri metteva in rilievo che la liturgia è l’azione di Cristo Sommo Sacerdote (…) Quindi “la divina liturgia è stimolo, fonte, causa di spirito e vita soprannaturale” nell’anima dei fedeli. Il culto a Dio è “il primo atto al quale sono tenuti gli uomini (…) e il primo strumento ordinario per la salvezza delle anime (…) Colla divina liturgia, specialmente se capita e seguita, si santifica, si eleva tutto”.
Siri concepiva la liturgia come l’espressione visibile della fede (…) Per il cardinale l’importanza del culto non può essere sovrastimata, perché esso “rappresenta per la maggior parte degli uomini nella gran parte della vita la principale sorgente, spesso l’unica, della fede conservata, della grazia di Dio, della speranza eterna”, come osserva in una lettera pastorale al clero dell’arcidiocesi nel 1977. Quindi la ”custodia dell’ortodossia della fede implica l’accurata custodia dell’ortodossia nella liturgia”.
In questo contesto, Siri spesso riaffermava la necessità della preparazione catechetica. (…) Una concezione della liturgia che prescindesse dal suo contenuto rivelato rischierebbe di diventare soltanto uno “spettacolo”, come Siri sottolinea spesso nei suoi discorsi sul tema.
Nel suo lungo ministero liturgico egli ha sempre incoraggiato e promosso la partecipazione dei fedeli non nel senso di un attivismo esterno – per Siri la distinzione essenziale fra il sacerdozio ministeriale e lo stato laicale era fondamentale nella vita della Chiesa – ma nel senso di preghiera, meditazione e comprensione dei sacri misteri che sono celebrati nella liturgia. Una fruttuosa partecipazione al culto si manifesta poi in un impegno che include ogni aspetto della vita cristiana.
Vi è poi l’aspetto della solennità. La partecipazione dei fedeli nella liturgia va al di là di quella solo intellettuale, perché le azioni liturgiche con il loro simbolismo sono “strumento di una traduzione in elementi figurati più accessibili alla capacità umana di intendere”. Nel dibattito sull’uso della lingua latina nel culto cattolico, Siri esprimeva la sua convinzione che “nella liturgia prima ed oltre la lingua c’è il contenuto ed il significato dogmatico, c’è la regia, la coreografia, il simbolismo, il gesto, il canto, il contorno, le persone, le vesti”. Nella liturgia, attraverso i segni ed i gesti, si sente la presenza e la maestà di Dio. (…) “La solennità – affermava nel 1981 – vuol realizzare il grande anche nel piccolo, il decoro anche nel misero, l’armonioso anche nella tempesta, la dignità anche nell’umile”.
La solennità è anche il fondamento dell’arte sacra e della musica sacra. A più riprese durante il suo lungo governo episcopale, Siri enunciò norme e direttive per la progettazione e la costruzione delle nuove chiese in diocesi, compito urgente in particolare negli anni del dopoguerra a Genova. Il cardinale s’interessava personalmente dell’architettura sacra e favoriva una linea in essenziale continuità con il linguaggio tradizionale dell’architettura sacra, tuttavia non escludendo lo stile moderno, purché corrispondente ai criteri di monumentalità, normalità, idea teologica, intento ascetico e coerenza liturgica.
Nell’ambito della musica sacra, Siri non cessò mai di promuovere il canto gregoriano come grande patrimonio del rito romano. L’arcivescovo desiderava che i fedeli imparassero un repertorio essenziale di canti più semplici del Graduale romanum. Allo stesso tempo, egli incentivò altri canti di qualità e dignità, in particolare quelli tradizionali, e l’uso delle cantorie per l’esecuzione dei brani polifonici e per il sostegno del canto popolare.
Infine la dimensione ecclesiale della liturgia. Per il cardinale Siri questa era al fondamento della sua visione liturgica. Le parole che usò in uno dei suoi discorsi commemorativi di monsignor Moglia possono essere applicate anche a lui: “Della Chiesa la liturgia era il respiro, per la Chiesa la liturgia realizzava la grande spirituale unità, in essa si sentivano riuniti e collegati i figli adottivi di Dio”. Nella sua azione di adorazione e lode a Dio la Chiesa è congiunta con la comunione dei santi, che celebrano la liturgia celeste alla presenza di Dio. La partecipazione al coro della Celeste Gerusalemme si manifesta in modo particolare nell’ufficio divino, che fu sempre molto caro a Siri. Il cardinale arcivescovo di Genova considerava la celebrazione dei vespri un elemento integrale della santificazione del giorno del Signore e delle feste dell’anno liturgico, incoraggiando i fedeli a parteciparvi.
La dimensione ecclesiale della liturgia si mostra anche nel rispetto per la legge della Chiesa. Per Siri l’obbedienza alle norme e prescrizioni liturgiche era un’esigenza della spiritualità sacerdotale. Il cardinale ribadiva che l’aggiornamento liturgico si doveva svolgere solo sotto la guida dell’autorità competente, soprattutto della Santa Sede. La “romanità” di Siri si esprimeva in questo atteggiamento di assoluta fedeltà al Successore di Pietro, anche in momenti di grande prova personale.
Anche se durante il Concilio Vaticano ii Siri mostrò alcune riserve (…) sul documento dedicato alla Sacra Liturgia, il suo giudizio sulla Sacrosanctum Concilium fu assai favorevole. (…) Era però molto preoccupato dell’applicazione della riforma liturgica. Nella sua arcidiocesi rispondeva a questa situazione con una lettura della riforma conciliare secondo “una ermeneutica di continuità” (Benedetto XVI). Del resto, già dai primi anni del suo governo episcopale Siri usò prudenza nell’ambito liturgico, e con questa prudenza accolse anche la riforma postconciliare, sia nella liturgia stessa, in particolare nella messa e nel culto della Santissima Eucaristia, sia nell’ambito dell’architettura, dell’arte sacra e della musica sacra.
In questo contesto, Siri spesso riaffermava la necessità della preparazione catechetica. (…) Una concezione della liturgia che prescindesse dal suo contenuto rivelato rischierebbe di diventare soltanto uno “spettacolo”, come Siri sottolinea spesso nei suoi discorsi sul tema.
Nel suo lungo ministero liturgico egli ha sempre incoraggiato e promosso la partecipazione dei fedeli non nel senso di un attivismo esterno – per Siri la distinzione essenziale fra il sacerdozio ministeriale e lo stato laicale era fondamentale nella vita della Chiesa – ma nel senso di preghiera, meditazione e comprensione dei sacri misteri che sono celebrati nella liturgia. Una fruttuosa partecipazione al culto si manifesta poi in un impegno che include ogni aspetto della vita cristiana.
Vi è poi l’aspetto della solennità. La partecipazione dei fedeli nella liturgia va al di là di quella solo intellettuale, perché le azioni liturgiche con il loro simbolismo sono “strumento di una traduzione in elementi figurati più accessibili alla capacità umana di intendere”. Nel dibattito sull’uso della lingua latina nel culto cattolico, Siri esprimeva la sua convinzione che “nella liturgia prima ed oltre la lingua c’è il contenuto ed il significato dogmatico, c’è la regia, la coreografia, il simbolismo, il gesto, il canto, il contorno, le persone, le vesti”. Nella liturgia, attraverso i segni ed i gesti, si sente la presenza e la maestà di Dio. (…) “La solennità – affermava nel 1981 – vuol realizzare il grande anche nel piccolo, il decoro anche nel misero, l’armonioso anche nella tempesta, la dignità anche nell’umile”.
La solennità è anche il fondamento dell’arte sacra e della musica sacra. A più riprese durante il suo lungo governo episcopale, Siri enunciò norme e direttive per la progettazione e la costruzione delle nuove chiese in diocesi, compito urgente in particolare negli anni del dopoguerra a Genova. Il cardinale s’interessava personalmente dell’architettura sacra e favoriva una linea in essenziale continuità con il linguaggio tradizionale dell’architettura sacra, tuttavia non escludendo lo stile moderno, purché corrispondente ai criteri di monumentalità, normalità, idea teologica, intento ascetico e coerenza liturgica.
Nell’ambito della musica sacra, Siri non cessò mai di promuovere il canto gregoriano come grande patrimonio del rito romano. L’arcivescovo desiderava che i fedeli imparassero un repertorio essenziale di canti più semplici del Graduale romanum. Allo stesso tempo, egli incentivò altri canti di qualità e dignità, in particolare quelli tradizionali, e l’uso delle cantorie per l’esecuzione dei brani polifonici e per il sostegno del canto popolare.
Infine la dimensione ecclesiale della liturgia. Per il cardinale Siri questa era al fondamento della sua visione liturgica. Le parole che usò in uno dei suoi discorsi commemorativi di monsignor Moglia possono essere applicate anche a lui: “Della Chiesa la liturgia era il respiro, per la Chiesa la liturgia realizzava la grande spirituale unità, in essa si sentivano riuniti e collegati i figli adottivi di Dio”. Nella sua azione di adorazione e lode a Dio la Chiesa è congiunta con la comunione dei santi, che celebrano la liturgia celeste alla presenza di Dio. La partecipazione al coro della Celeste Gerusalemme si manifesta in modo particolare nell’ufficio divino, che fu sempre molto caro a Siri. Il cardinale arcivescovo di Genova considerava la celebrazione dei vespri un elemento integrale della santificazione del giorno del Signore e delle feste dell’anno liturgico, incoraggiando i fedeli a parteciparvi.
La dimensione ecclesiale della liturgia si mostra anche nel rispetto per la legge della Chiesa. Per Siri l’obbedienza alle norme e prescrizioni liturgiche era un’esigenza della spiritualità sacerdotale. Il cardinale ribadiva che l’aggiornamento liturgico si doveva svolgere solo sotto la guida dell’autorità competente, soprattutto della Santa Sede. La “romanità” di Siri si esprimeva in questo atteggiamento di assoluta fedeltà al Successore di Pietro, anche in momenti di grande prova personale.
Anche se durante il Concilio Vaticano ii Siri mostrò alcune riserve (…) sul documento dedicato alla Sacra Liturgia, il suo giudizio sulla Sacrosanctum Concilium fu assai favorevole. (…) Era però molto preoccupato dell’applicazione della riforma liturgica. Nella sua arcidiocesi rispondeva a questa situazione con una lettura della riforma conciliare secondo “una ermeneutica di continuità” (Benedetto XVI). Del resto, già dai primi anni del suo governo episcopale Siri usò prudenza nell’ambito liturgico, e con questa prudenza accolse anche la riforma postconciliare, sia nella liturgia stessa, in particolare nella messa e nel culto della Santissima Eucaristia, sia nell’ambito dell’architettura, dell’arte sacra e della musica sacra.
su L’Osservatore Romano del 11-12 settembre 2008
fonte:tu es Petrus