sábado, 1 de dezembro de 2012

nell’Eucaristia, il Dio vivente si rende così vicino, da farsi cibo che sostiene il cammino, presenza che trasforma col fuoco del suo amore.

 
VESPRI: VIDEO INTEGRALE

 
PRIMI VESPRI DI AVVENTO
OMELIA DEL SANTO PADRE

«Colui che vi chiama è fedele» (1 Ts 5,24).
Cari amici universitari,
le parole dell’Apostolo Paolo ci guidano a cogliere il vero significato dell’Anno liturgico, che questa sera iniziamo insieme con la recita dei Primi Vespri di Avvento. L’intero cammino dell’anno della Chiesa è orientato a scoprire e a vivere la fedeltà del Dio di Gesù Cristo che nella grotta di Betlemme si presenterà a noi, ancora una volta, nel volto di un bambino. Tutta la storia della salvezza è un percorso di amore, di misericordia e di benevolenza: dalla creazione alla liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto, dal dono della Legge sul Sinai al ritorno in patria dalla schiavitù babilonese. Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe è stato sempre il Dio vicino, che non ha mai abbandonato il suo popolo. Più volte ne ha subito con tristezza l’infedeltà e atteso con pazienza il ritorno, sempre nella libertà di un amore che precede e sostiene l’amato, attento alla sua dignità e alle sue attese più profonde.
Dio non si è chiuso nel suo Cielo, ma si è chinato sulle vicende dell’uomo: un mistero grande che giunge a superare ogni possibile attesa. Dio entra nel tempo dell’uomo nel modo più impensato: facendosi bambino e percorrendo le tappe della vita umana, affinché tutta la nostra esistenza, spirito, anima e corpo - come ci ha ricordato san Paolo - possa conservarsi irreprensibile ed essere elevata alle altezze di Dio. E tutto questo lo fa per il suo amore fedele verso l’umanità. L’amore quando è vero tende per sua natura al bene dell’altro, al maggior bene possibile, e non si limita a rispettare semplicemente gli impegni di amicizia assunti, ma va oltre, senza calcolo, né misura. E’ proprio ciò che ha compiuto il Dio vivo e vero, il cui mistero profondo ci viene rivelato nelle parole di san Giovanni: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). Questo Dio in Gesù di Nazaret assume in sé l’intera umanità, l’intera storia dell’umanità, e le dà una svolta nuova, decisiva, verso un nuovo essere persona umana, caratterizzato dall’essere generato da Dio e dal tendere verso di Lui (cfr L’Infanzia di Gesù, Rizzoli-LEV 2012, p. 19).
Cari giovani, illustri Rettori e Professori, è per me motivo di grande gioia condividere queste riflessioni con voi che qui rappresentate il mondo universitario romano, nel quale confluiscono, pur nelle loro specifiche identità, le Università statali e private di Roma e le Istituzioni pontificie, che da tanti anni camminano insieme dando viva testimonianza di un fecondo dialogo e di collaborazione tra i diversi saperi e la teologia. Saluto e ringrazio il Cardinale Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, il Rettore dell’Università di Roma “Foro Italico” e la vostra rappresentante, per le parole che mi hanno rivolto a nome di tutti. Saluto con viva cordialità il Cardinale Vicario e il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, come pure le diverse autorità accademiche presenti.
Con speciale affetto saluto voi, cari giovani universitari degli Atenei romani, che avete rinnovato la vostra professione di fede sulla Tomba dell’apostolo Pietro. Voi state vivendo il tempo della preparazione alle grandi scelte della vostra vita e al servizio nella Chiesa e nella società.
Questa sera potete sperimentare che non siete soli: sono con voi i docenti, i cappellani universitari, gli animatori dei collegi. E’ con voi il Papa! E, soprattutto, siete inseriti nella grande comunità accademica romana, in cui è possibile camminare nella preghiera, nella ricerca, nel confronto, nella testimonianza al Vangelo. E’ un dono prezioso per la vostra vita; sappiatelo vedere come un segno della fedeltà di Dio, che vi offre occasioni per conformare la vostra esistenza a quella di Cristo, per lasciarvi santificare da Lui fino alla perfezione (cfr 1 Ts 5,23). L’anno liturgico che iniziamo con questi Vespri sarà anche per voi il cammino in cui ancora una volta rivivere il mistero di questa fedeltà di Dio, sulla quale siete chiamati a fondare, come su una roccia sicura, la vostra vita. Celebrando e vivendo con tutta la Chiesa questo itinerario di fede, sperimenterete che Gesù Cristo è l’unico Signore del cosmo e della storia, senza il quale ogni costruzione umana rischia di vanificarsi nel nulla. La liturgia, vissuta nel suo vero spirito, è sempre la scuola fondamentale per vivere la fede cristiana, una fede «teologale», che vi coinvolge in tutto il vostro essere – spirito, anima e corpo – per farvi diventare pietre vive nella costruzione della Chiesa e collaboratori della nuova evangelizzazione. In modo particolare, nell’Eucaristia, il Dio vivente si rende così vicino, da farsi cibo che sostiene il cammino, presenza che trasforma col fuoco del suo amore.
Cari amici, viviamo in un contesto in cui spesso incontriamo l’indifferenza verso Dio. Ma penso che nel profondo di quanti - anche tra i vostri coetanei - vivono la lontananza da Dio, ci sia una interiore nostalgia di infinito, di trascendenza. A voi il compito di testimoniare nelle aule universitarie il Dio vicino, che si manifesta anche nella ricerca della verità, anima di ogni impegno intellettuale. A tale proposito esprimo il mio compiacimento e il mio incoraggiamento per il programma di pastorale universitaria dal titolo: «Il Padre lo vide da lontano. L’oggi dell’uomo, l’oggi di Dio», proposto dall’Ufficio di pastorale universitaria del Vicariato di Roma. La fede è la porta che Dio apre nella nostra vita per condurci all’incontro con Cristo, nel quale l’oggi dell’uomo si incontra con l’oggi di Dio. La fede cristiana non è adesione ad un dio generico o indefinito, ma al Dio vivo che in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, è entrato nella nostra storia e si è rivelato come il Redentore dell’uomo.
Credere significa affidare la propria vita a Colui che solo può darle pienezza nel tempo e aprirla ad una speranza oltre il tempo. Riflettere sulla fede, in quest'Anno della fede, è l’invito che desidero rivolgere a tutta la comunità accademica di Roma. Il continuo dialogo tra le Università statali o private e quelle pontificie lascia sperare in una presenza sempre più significativa della Chiesa nell’ambito della cultura non solo romana, ma italiana ed internazionale. Le Settimane culturali e il Simposio internazionale dei docenti che si svolgerà a giugno prossimo, saranno un esempio di questa esperienza, che spero possa realizzarsi in tutte le città universitarie dove sono presenti atenei statali, privati e pontifici.
Cari amici, «colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo» (1 Ts 5,24); farà di voi annunciatori della sua presenza. Nella preghiera di questa sera incamminiamoci idealmente verso la grotta di Betlemme per gustare la vera gioia del Natale: la gioia di accogliere al centro della nostra vita, sull’esempio della Vergine Maria e di san Giuseppe, quel Bambino che ci ricorda che gli occhi di Dio sono aperti sul mondo e su ogni uomo (cfr Zc 12,4). Gli occhi di Dio sono aperti su di noi perché Lui è fedele al suo amore! Solo questa certezza può condurre l’umanità verso traguardi di pace e di prosperità, in questo momento storico delicato e complesso. Anche la prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro sarà per voi giovani universitari una grande occasione per manifestare la fecondità storica della fedeltà di Dio, offrendo la vostra testimonianza e il vostro impegno per il rinnovamento morale e sociale del mondo. La consegna dell’Icona di Maria Sedes Sapientiae alla delegazione universitaria brasiliana da parte della Cappellania universitaria di Roma Tre, che quest’anno celebra il suo ventennale, è un segno di questo comune impegno di voi giovani universitari di Roma.
A Maria, Sede della Sapienza, affido tutti voi e i vostri cari; lo studio, l’insegnamento, la vita degli Atenei; specialmente l’itinerario di formazione e di testimonianza in questo Anno della fede. Le lampade che porterete nelle vostre cappellanie siano sempre alimentate dalla vostra fede umile ma piena di adorazione, perché ciascuno di voi sia una luce di speranza e di pace nell’ambiente universitario. Amen.

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S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio e ringraziamento…messa per il sabbato

S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio e ringraziamento…messa
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CONSID. VII. PER IL SABBATO

Festinans descende, quia hodie in domo tua oportet me manere. (Luc. 19. 5.)


Immaginati, come Gesù Cristo dica a te stamattina queste istesse parole che già disse a Zaccheo: Presto, vieni all'altare, ch'io voglio entrare oggi nella casa dell'anima tua per conservarle la vita, per guarire le sue piaghe, e per infiammarla del mio amore. Sì tutto ciò fa il divin sagramento. Egli è pane che dà vita all'anima: Panis quem ego dabo, caro mea est pro mundi vita 1. Egli è medicina con cui siamo liberati e preservati da' peccati: Antidotum quo liberemur a culpis quotidianis, et a peccatis mortalibus praeservemur 2. Egli è fuoco che infiamma l'anima del santo amore; sicché tutti (come dice il Grisostomo), se noi non mettessimo impedimento, partiremmo dall'altare flammam spirantes, terribiles effecti diabolo.


Ma, mio Dio, come poi tanti sacerdoti, che ogni settimana si cibano di questo pane celeste, invece di ardere di divino amore, si vedono sempre più attaccati al mondo? e vanno sempre all'altare cogli stessi peccati veniali deliberati? Tutto nasce, perché vanno a celebrare senza fine e desiderio di farsi santi, ma o per interesse o per uso fatto. E perciò sempre commettono gli stessi difetti; e così s'accostano alla morte, e se ne vanno a render conto a Gesù C. della loro vita menata nel sacerdozio tutta tepida e disordinata.

 
Sacerdote mio, se tu sei uno di costoro, vedi che questo pane celeste non ti gioverà a farti santo, ma ti renderà più reo per tua colpa avanti al divin tribunale. Emendati; pensa che la morte si avvicina. Rifletti, quali sono quegli attacchi e quei difetti che t'impediscono di avanzarti nel divino amore, e toglili. Pensa che sei sacerdote. Pensa che Dio ti ha eletto per suo favorito e non potea farti più grande di quello che t'ha fatto.

 

Affetti


O Dio d'infinita maestà, voi volete venire questa mattina nell'anima mia ad alloggiare; ma le case dove voi abitate, debbono esser sante: Domum tuam decet sanctitudo, Domine 3. Come potrò ricevervi io che sono così imperfetto e pieno di difetti? Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum.


Ah, mio Redentore, se ora dovessi comparire al vostro giudizio, qual buon conto vi darei di tante messe dette, e degli anni in cui sono stato sacerdote? Signore, aspettatemi, non mi giudicate ancora: Non intres in iudicium cum servo tuo 4. Aspettatemi un altro poco per pietà: Dimitte me, ut plangam paululum dolorem meum, antequam vadam, et non revertar 5. Datemi un altro poco di vita, acciocché io pianga l'ingratitudine, con cui sinora vi ho trattato, o Gesù mio. Voi m'avete fatto sacerdote; ma qual vita di sacerdote io misero ho fatta finora? Con tante messe e comunioni avrei avuto da diventar tutto fuoco del vostro amore, tutto puro e santo. Per voi già non è mancato, tutto è mancato per colpa mia, e per gli impedimenti ch'io ho posti alla vostra grazia. La mia vita non vi ha



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onorato no, ma vi ha disonorato appresso il cielo e la terra. Voi mi avete cacciato dal mondo, ed io ho amato il mondo più che gli stessi mondani. Mio Dio, pietà, non mi abbandonate ch'io voglio emendarmi. Mi pento con tutto il cuore di quanti disgusti vi ho dati. Voglio cominciare ad amarvi da vero, voglio cominciare da questa mattina, in cui vi ho da tornare a ricevere.


Vi amo, o Dio dell'anima mia, vi amo, mio Salvatore, che per salvarmi e farmi vostro sacerdote avete data la vita: Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea. Perdonatemi, Gesù mio, e sanatemi. Distaccatemi dal mondo, e legatemi strettamente a voi; fatemi vivere da sacerdote, quale m'avete fatto. Caro mio Redentore, i meriti vostri sono la speranza mia. Eterno Padre, vi offerisco questa mattina Gesù Cristo, acciocché mi rendiate tutto vostro. Maria ss., pregate Gesù per me.





RINGRAZIAMENTO VII. PER IL SABBATO.

Loquere Domine, quia audit servus tuus.

(1. Reg. 3. 9.)


Caro mio Gesù voi siete venuto di nuovo a visitare questa mattina l'anima mia; ve ne ringrazio con tutto il cuore. Giacché siete venuto, parlate, dite quel che volete da me, che io tutto voglio farlo. Io meriterei che voi non mi parlaste più, mentre tante volte sono stato sordo alle vostre voci con cui mi avete chiamato al vostro amore, ed io ingrato vi ho voltate le spalle. Ma dell'offese che vi ho fatte già mi son pentito; ora di nuovo me ne pento e spero che già mi abbiate perdonato. Ditemi dunque che volete da me, ch'io tutto voglio adempirlo.


Oh vi avessi sempre amato, mio Dio: misero me, e quanti anni ho perduti! Ma il vostro sangue e le vostre promesse mi fanno sperare di compensare per l'avvenire il tempo perduto, con attendere solo ad amarvi e darvi gusto.


Io vi amo, mio Redentore, vi amo, mio Dio, ad altro non anelo, che ad amarvi con tutto il mio cuore, e di morire anche per amore di voi che siete morto per amor mio. Amore amoris



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tui (vi dirò con s. Francesco) moriar, qui amore amoris mei dignatus es mori. Voi, Gesù mio, vi siete dato tutto a me, mi avete dato tutto il vostro sangue, la vita, tutti i vostri sudori, tutti i vostri meriti, non vi è restato più che darmi; io mi dono tutto a voi, vi dono tutte le mie soddisfazioni, tutti i piaceri della terra, il mio corpo, l'anima, la volontà; non ho più che darvi; se più avessi, più vi darei. Caro mio Gesù, voi mi bastate.


Ma, Signore, fate voi ch'io vi sia fedele; non permettete ch'io mutando volontà vi abbia a lasciare. Spero per la vostra passione, o mio Salvatore, che ciò non abbia mai a succedere. Voi avete detto: Nullus speravit in Domino et confusus est 1. Dunque ben fermamente posso dire anch'io: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum. Io spero e voglio sempre sperare, o Dio dell'anima mia, che non avrò mai più a patir la confusione di vedermi separato da voi e in disgrazia vostra: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum.


Dio mio, voi siete onnipotente, fatemi santo; fate ch'io vi ami assai, fate che io non tralasci cosa che intenda esser di gloria vostra, e vinca tutto per darvi gusto. Beato me, se perdo tutto per fare acquisto di voi, e del vostro amore! Voi a questo fine mi avete data la vita: fate ch'io la spenda tutta per voi. Io non merito grazie, ma castighi; ed io vi dico, castigatemi come volete, ma non mi private del vostro amore. Voi senza riserba avete amato me: io senza riserba voglio amar voi, bene infinito, amore infinito. O volontà di Dio! voi siete l'amor mio. O Gesù mio! voi siete morto per me: oh potessi anch'io morire per voi, e far colla mia morte che tutti vi amassero! O infinito bene, infinitamente amabile! io vi stimo ed amo sopra ogni cosa. O Maria! tiratemi voi tutto a Dio; datemi confidenza in voi, e fate ch'io sempre a voi ricorra; voi mi avete da far santo colla vostra intercessione: così spero.

Viva Gesù nostro amore,

E Maria nostra speranza.






 

sexta-feira, 30 de novembro de 2012

Benedetto XVI: La Buona Novella si può riassumere in poche parole: Dio, creatore dell'uomo, in suo figlio Gesù ci fa conoscere il suo amore per l'umanità: «Dio è amore» (cfr. i Gv), Egli vuole la felicità delle sue creature, di tutti i suoi figli.

Vedi anche:


VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA (3° GRUPPO), 30.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale di Francia (3° gruppo: province ecclesiastiche di Clermont, Lyon, Marseille, Montpellier e Toulouse), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".

Riportiamo di seguito il testo del discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE



Signor cardinale,
cari fratelli nell'episcopato,

Conservo sempre vivo il ricordo del mio viaggio apostolico in Francia in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario delle apparizioni a Lourdes dell'Immacolata Concezione. Siete l'ultimo dei tre gruppi di vescovi di Francia venuti in visita ad limina. La ringrazio, eminenza, per le sue cordiali parole. Rivolgendomi a quanti vi hanno preceduto, ho aperto una sorta di trittico la cui indispensabile predella potrebbe essere il discorso che vi ho rivolto a Lourdes nel 2008. L'esame di questo insieme inscindibile vi sarà certamente utile e guiderà le vostre riflessioni.
Voi siete responsabili di regioni in cui la fede cristiana si è radicata molto presto e ha recato frutti ammirevoli. Regioni legate a nomi illustri che si sono adoperati tanto per il radicamento e la crescita del Regno di Dio in questo mondo: martiri come Potino e Blandina, grandi teologi come Ireneo e Vincenzo di Lérins, maestri della spiritualità cristiana come Bruno, Bernardo, Francesco di Sales e tanti altri. La Chiesa in Francia s'iscrive in una lunga stirpe di santi, dottori, martiri e confessori della fede. Siete gli eredi di una grande esperienza umana e di un'immensa ricchezza spirituale, che, senza alcun dubbio, sono quindi per voi fonte d'ispirazione nella vostra missione di pastori.
Queste origini e questo passato glorioso, sempre presenti nel nostro pensiero e tanto cari al nostro spirito, ci permettono di nutrire una grande speranza, insieme salda e audace, al momento di raccogliere le sfide del terzo millennio e di ascoltare le aspettative degli uomini della nostra epoca, alle quali Dio solo può dare una risposta soddisfacente. La Buona Novella che abbiamo il compito di annunciare agli uomini di tutti i tempi, di tutte le lingue e di tutte le culture, si può riassumere in poche parole: Dio, creatore dell'uomo, in suo figlio Gesù ci fa conoscere il suo amore per l'umanità: «Dio è amore» (cfr. i Gv), Egli vuole la felicità delle sue creature, di tutti i suoi figli. La costituzione pastorale Gaudium et spes (cfr. n. 10) ha affrontato le questioni chiave dell'esistenza umana, sul senso della vita e della morte, del male, della malattia e della sofferenza, così presenti nel nostro mondo. Ha ricordato che, nella sua bontà paterna, Dio ha voluto dare delle risposte a tutti questi interrogativi e che Cristo ha fondato la sua Chiesa affinché tutti gli uomini potessero conoscerle. Perciò uno dei problemi più seri della nostra epoca è quello dell'ignoranza pratica religiosa in cui vivono molti uomini e donne, compresi alcuni fedeli cattolici (cfr. esortazione apostolica Christifideles laici, capitolo v).
Per questo motivo la nuova evangelizzazione, nella quale la Chiesa si è risolutamente impegnata dal concilio Vaticano II e della quale il motu proprio Ubicumque et semper ha delineato le principali modalità, si presenta con un'urgenza particolare, come hanno sottolineato i padri del Sinodo che si è da poco concluso. Essa chiede a tutti i cristiani di rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. 1 Pt 3, 15), consapevole che uno degli ostacoli più temibili della nostra missione pastorale è l'ignoranza del contenuto della fede. Si tratta in realtà di una duplice ignoranza: un disconoscimento della persona di Gesù Cristo e un'ignoranza della sublimità dei suoi insegnamenti, del loro valore universale e permanente nella ricerca del senso della vita e della felicità. Questa ignoranza provoca inoltre nelle nuove generazioni l'incapacità di comprendere la storia e di sentirsi eredi di questa tradizione che ha modellato la vita, la società, l'arte e la cultura europee.
Nell'attuale Anno della fede, la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella nota del 6 gennaio 2012, ha dato le indicazioni pastorali auspicabili per mobilitare tutte le energie della Chiesa, l'azione dei suoi pastori e dei suoi fedeli, al fine di animare in profondità la società. È lo Spirito Santo che, «con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova» (Lumen gentium, 4).
Questa nota ricorda che «ogni iniziativa per l'Anno della fede vuole favorire la gioiosa riscoperta e la rinnovata testimonianza della fede. Le indicazioni qui offerte hanno lo scopo di invitare tutti i membri della Chiesa ad impegnarsi perché quest'Anno sia occasione privilegiata per condividere quello che il cristiano ha di più caro: Cristo Gesù, Redentore dell'uomo, Re dell'Universo, “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2)». Il Sinodo dei vescovi ha proposto di recente a tutti e a ognuno i mezzi per condurre a buon fine questa missione. L'esempio del nostro divino Maestro è sempre il fondamento di tutta la nostra riflessione e della nostra azione. Preghiera e azione, questi sono i mezzi che il nostro Salvatore ci chiede ancora e sempre di utilizzare.
La nuova evangelizzazione sarà efficace se coinvolgerà a fondo le comunità e le parrocchie. I segni di vitalità e l'impegno dei fedeli laici nella società francese sono già una realtà incoraggiante. Molti sono stati in passato gli impegni dei laici; penso a Pauline-Marie Jaricot, della cui morte abbiamo celebrato il centocinquantesimo anniversario, e alla sua opera per la diffusione della fede, così determinante per le missioni cattoliche nel XIX e XX secolo. I laici, con i loro vescovi e i sacerdoti, sono protagonisti nella vita della Chiesa e nella sua missione di evangelizzazione. In diversi suoi documenti (Lumen gentium, Apostolicam actuositatem, tra gli altri), il concilio Vaticano II ha sottolineato la specificità della loro missione: permeare le realtà umane dello spirito del Vangelo. I laici sono il volto del mondo nella Chiesa e allo stesso tempo il volto della Chiesa nel mondo. Conosco il valore e la qualità del multiforme apostolato dei laici, uomini e donne. Unisco la mia voce alla vostra per esprimere loro i miei sentimenti di stima.
La Chiesa in Europa e in Francia non può restare indifferente dinanzi alla diminuzione delle vocazioni e delle ordinazioni sacerdotali, e neppure degli altri tipi di chiamate che Dio suscita nella Chiesa. È urgente mobilitare tutte le energie disponibili, affinché i giovani possano ascoltare la voce del Signore. Dio chiama chi vuole e quando vuole. Tuttavia, le famiglie cristiane e le comunità ferventi restano terreni particolarmente favorevoli. Queste famiglie, queste comunità e questi giovani sono dunque al centro di ogni iniziativa di evangelizzazione, malgrado un contesto culturale e sociale segnato dal relativismo e dall'edonismo.
Essendo i giovani la speranza e il futuro della Chiesa e del mondo, non voglio tralasciare di menzionare l'importanza dell'educazione cattolica. Questa svolge un compito ammirevole, spesso difficile, reso possibile dall'instancabile dedizione dei formatori: sacerdoti, persone consacrate o laici. Al di là del sapere trasmesso, la testimonianza di vita dei formatori deve permettere ai giovani di assimilare i valori umani e cristiani al fine di tendere alla ricerca e all'amore del vero e del bello (cfr. Gaudium et spes, 15). Continuate a incoraggiarli e ad aprire loro nuove prospettive affinché beneficino anche dell'evangelizzazione. Gli istituti cattolici sono chiaramente al primo posto nel grande dialogo tra la fede e la cultura. L'amore per la verità che irradiano è di per sé evangelizzatore. Sono ambiti d'insegnamento e di dialogo, e anche centri di ricerca, che devono essere sempre più sviluppati, più ambiziosi.
Conosco bene il contributo che la Chiesa in Francia ha apportato alla cultura cristiana. So della vostra attenzione -- e vi incoraggio in tal senso -- a coltivare il rigore accademico e a tessere legami più intensi di comunicazione e di collaborazione con università di altri Paesi, sia perché beneficino degli ambiti in cui eccellete, sia perché impariate da loro, al fine di servire sempre meglio la Chiesa, la società, l'intero uomo. Sottolineo con gratitudine le iniziative prese in alcune vostre diocesi per favorire l'iniziazione teologica di giovani studenti di discipline profane.
La teologia è una fonte di sapienza, di gioia, di meraviglia che non può essere riservata solo ai seminaristi, ai sacerdoti e alle persone consacrate. Proposta a numerosi giovani e adulti, essa li conforterà nella fede e farà di loro, senza alcun dubbio, apostoli audaci e convincenti. È dunque una prospettiva che potrebbe essere ampiamente proposta agli istituti superiori di teologia, come espressione della dimensione intrinsecamente missionaria della teologia e come servizio della cultura nel suo significato più profondo.
Quanto alle scuole cattoliche che hanno modellato la vita cristiana e culturale del vostro Paese, esse hanno oggi una responsabilità storica. Ambito di trasmissione del sapere e di formazione della persona, di accoglienza incondizionata e di apprendimento della vita in comune, godono spesso di un meritato prestigio. È necessario trovare i percorsi affinché la trasmissione della fede resti al centro del loro progetto educativo. La nuova evangelizzazione passa per queste scuole e per la multiforme opera dell'educazione cattolica che sottende numerose iniziative e movimenti, per la qual cosa la Chiesa è riconoscente. L'educazione ai valori cristiani è la chiave della cultura del vostro Paese. Aprendo alla speranza e alla libertà autentica, essa continuerà ad apportarle dinamismo e creatività. L'ardore conferito alla nuova evangelizzazione sarà il nostro contributo migliore allo sviluppo della società umana e la risposta migliore alle sfide di ogni tipo che tutti devono affrontare in questo inizio del terzo millennio. Cari fratelli nell'episcopato, affido voi, come pure il vostro lavoro pastorale e l'insieme delle comunità che vi sono state affidate, alla sollecitudine materna della Vergine Maria che vi accompagnerà nella vostra missione nel corso degli anni a venire! E come ho affermato prima di lasciare la Francia nel 2008: «Da Roma vi resterò vicino e quando sosterò davanti alla riproduzione della Grotta di Lourdes, che da oltre un secolo si trova nei Giardini Vaticani, penserò a voi. Che Dio vi benedica!».

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Il Papa a Bartolomeo I: La sfida più urgente, sulla quale ci siamo sempre trovati in totale accordo con Vostra Santità, è oggi quella di come far giungere l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio all’uomo del nostro tempo, così spesso distratto, più o meno incapace di una riflessione profonda sul senso stesso della sua esistenza, preso come tale a partire da progetti e da utopie che non possono che deluderlo


IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A SUA SANTITÀ BARTOLOMEO I, PATRIARCA ECUMENICO, PER LA FESTA DI S. ANDREA, 30.11.2012

Nel quadro del tradizionale scambio di Delegazioni per le rispettive feste dei Santi Patroni, il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei Santi apostoli Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di Sant’Andrea apostolo, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, guida quest’anno la Delegazione della Santa Sede per la Festa del Patriarcato Ecumenico. Il cardinale Koch è accompagnato dal vescovo Brian Farrell, segretario del Dicastero, e da Monsignor Andrea Palmieri, sottosegretario. Ad Istanbul, si è unito alla delegazione il nunzio apostolico in Turchia, l’arcivescovo Antonio Lucibello. La Delegazione della Santa Sede ha preso parte alla solenne Divina Liturgia presieduta da Sua Santità Bartolomeo I nella chiesa patriarcale del Fanar, ed ha avuto un incontro con il Patriarca e conversazioni con la Commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica. Il cardinale Koch ha consegnato al Patriarca Ecumenico un messaggio autografo del Santo Padre, di cui ha dato pubblica lettura alla conclusione della Divina Liturgia, accompagnato da un dono. Il cardinale ha inoltre incontrato i rappresentanti della comunità cattolica locale e si è intrattenuto in una conversazione con il Comitato ecumenico del Vicariato apostolico della Chiesa cattolica d’Istanbul.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI al Patriarca Ecumenico:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


A Sua Santità Bartolomeo I
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico

«Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori» (Ef 3, 17)

Animato da sentimenti di gioia profonda e di vicinanza fraterna, vorrei oggi fare mio questo auspicio, che san Paolo rivolge alla comunità cristiana di Efeso, per formularlo a lei, Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero e a tutti i fedeli, riuniti in questo giorno di festa per celebrare la grande solennità di sant’Andrea. Seguendo l’esempio dell’Apostolo, anche io, in quanto vostro fratello nella fede, «piego le ginocchia davanti al Padre» (Ef 3, 14), per chiedere che vi conceda «di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito» (Ef 3, 16) e di «conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3, 19).
Lo scambio di Delegazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, che si rinnova ogni anno in occasione delle rispettive feste patronali di sant’Andrea al Fanar e dei santi Pietro e Paolo a Roma, testimonia in modo concreto il legame di vicinanza fraterna che ci unisce. È una comunione profonda e reale, sebbene ancora imperfetta, che si fonda non su ragioni umane di cortesia e di convenienza, ma sulla fede comune nel Signore Gesù Cristo, il cui Vangelo di salvezza ci è pervenuto grazie alla predicazione e alla testimonianza degli apostoli, suggellato dal sangue del martirio. Potendo contare su questo solido fondamento, possiamo procedere insieme con fiducia nel cammino che conduce verso il ripristino della piena comunione. In questo cammino, grazie anche al sostegno assiduo e attivo di Vostra Santità, abbiamo compiuto tanti progressi, per i quali le sono molto riconoscente. Anche se la strada da percorrere può sembrare ancora lunga e difficile, la nostra intenzione di proseguire in questa direzione resta immutata, confortati dalla preghiera che nostro Signore Gesù Cristo ha rivolto al Padre: «siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17, 21).
Santità, in questo momento desidero rinnovarle l’espressione della mia viva riconoscenza per le parole pronunciate al termine della celebrazione per il cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II e per l’apertura dell’Anno della fede, che si è tenuta a Roma a ottobre, parole mediante le quali lei ha saputo farsi interprete dei sentimenti di tutti i presenti. Conservo vivi ricordi della sua visita a Roma in quella circostanza, durante la quale abbiamo avuto l’opportunità di rinnovare i vincoli della nostra sincera e autentica amicizia. Questa amicizia sincera che è nata tra di noi, con una grande visione comune delle responsabilità alle quali siamo chiamati come cristiani e come pastori del gregge che Dio ci ha affidato, è motivo di grande speranza affinché si sviluppi una collaborazione sempre più intensa, nel compito urgente di rendere, con rinnovato vigore, testimonianza del messaggio evangelico al mondo contemporaneo. Ringrazio inoltre di tutto cuore lei, Santità, e il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico per aver voluto inviare un delegato fraterno affinché partecipasse all’Assemblea ordinaria generale del Sinodo de vescovi sul tema: «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana».
La sfida più urgente, sulla quale ci siamo sempre trovati in totale accordo con Vostra Santità, è oggi quella di come far giungere l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio all’uomo del nostro tempo, così spesso distratto, più o meno incapace di una riflessione profonda sul senso stesso della sua esistenza, preso come tale a partire da progetti e da utopie che non possono che deluderlo.
La Chiesa non ha altro messaggio oltre al «Vangelo di Dio» (Rm 1, 1) e non ha altro metodo oltre all’annuncio apostolico, sostenuto e garantito dalla testimonianza di santità della vita dei pastori e del popolo di Dio. Il Signore Gesù ci ha detto che «la messe è molta» (Lc 10, 2), e non possiamo accettare che vada perduta a causa delle nostre debolezze e delle nostre divisioni.
Santità, nella Divina liturgia odierna che avete celebrato in onore di sant’Andrea, patrono del Patriarcato ecumenico, avete pregato «per la pace nel mondo intero, per la prosperità delle sante Chiese di Dio e per l’unione di tutti». Con tutti i fratelli e le sorelle cattolici, mi unisco alla vostra preghiera. La piena comunione alla quale aspiriamo, è un dono che viene da Dio. A Lui, «che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi» (Ef 3, 20), rivolgiamo con fiducia la nostra supplica, per intercessione di sant’Andrea e di san Pietro, suo fratello.
Con questi sentimenti di sincero affetto in Cristo Signore, rinnovo i miei cordiali auguri e scambio con lei, Santità, un abbraccio fraterno.
Dal Vaticano, 23 novembre 2012


BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)

Santo Afonso Maria de Ligório : Sobre a Confissão freqüente

UTILIDADE DA CONFISSÃO FREQÜENTE




Sobre a Confissão freqüente
Por
Santo Afonso Maria de Ligório

"A verdadeira dor não está em senti-la mas em querê-la
Todo o mérito das virtudes está
na vontade!"
"Não falamos aqui das confissões das pessoas incursas em pecados mortais. Entretanto não deixaremos de dar muitos avisos concernentes às ocasiões próximas e às confissões sacrílegas. Mas queremos falar principalmente das confissões das almas timoratas, que amam a perfeição e procuram purificar-se cada vez mais das manchas dos pecados veniais.

UTILIDADE DA CONFISSÃO FREQÜENTE

Refere Cesário que um santo sacerdote mandou da parte de Deus a um demônio que lhe tinha aparecido, lhe dissesse o que mais o maltratava; e o
inimigo lhe respondeu que nada o contrariava nem o desgostava tanto, como a confissão freqüente. - Mas ouçamos o que Jesus Cristo disse a Sta. Brígida: "Aquele que quer conservar o fervor, deve purificar-se freqüentemente com a confissão na qual se acuse de todos os seus defeitos e negligências em servir-me." - Cassiano ensina que a alma que aspira à perfeição, deve cuidar de ter uma grande pureza de consciência, porque assim é que se adquire o perfeito amor de Deus, que não se dá senão às almas puras; de sorte que o divino amor corresponde à pureza do coração.

- É preciso, porém entender que nos homens, segundo o estado presente, esta pureza não consiste em uma isenção absoluta de toda a falta; porque, exceto nosso divino Salvador e sua divina Mãe, não houve nem haverá no mundo nenhuma alma sem suas manchas. Todos nós nascemos em pecado e caímos em muitas faltas, diz S. Tiago.

- Consiste em duas coisas, que são
velar atentamente para que não entre no coração nenhuma falta deliberada, por leve que seja, e ter cuidado de purificar-se imediatamente de qualquer falta que nele possa ter entrado.

- Estes são justamente
os dois bons efeitos que produz a confissão freqüente.

Primeiramente, pela confissão freqüente, uma pessoa se purifica das manchas contraídas. - A este propósito, narra
S. João Clímaco que um jovem, desejando corrigir-se da má vida, que levava no século, foi-se fazer religioso em certo mosteiro. Antes de recebê-lo, o abade quis prová-lo; e lhe disse que, se queria ser admitido, fosse confessar em público todos os seus pecados. Deveras resolvido a se entregar inteiramente a Deus, o jovem obedeceu; mas, enquanto expunha suas faltas diante da comunidade, um santo religioso que fazia parte desta, viu um homem de aspecto venerando, que a medida que o moço ia declarando seus pecados, os apagava de um papel que tinha na mão, onde estavam escritos; de sorte que, acabada a confissão, todos estavam apagados.

-
O que, neste caso, aconteceu visivelmente, sucede invisivelmente toda a vez que um se confessa com as devidas disposições.

-
A confissão, porém, além de purificar a alma de suas máculas, dá-lhe também força para não recair. - Segundo o doutor angélico, a virtude da penitência faz que a falta cometida seja destruída e também que não volte mais.

- A tal propósito
S.Bernardo refere um fato da vida de S. Malaquias.Uma mulher tinha o hábito de se impacientar e de se irritar a tal ponto que se tornara insuportável. S. Malaquias, ouvindo dela mesma que nunca se houvera confessado de tais impaciências,excitou-a a fazer uma confissão exata dessas faltas. Depois disto, tornou-se tão paciente e tão branda, que parecia incapaz de se enfadar por qualquer trabalho ou mau trato que a importunasse.É por isso que muitos santos, para adquirirem a pureza de consciência, costumavam confessar-se todos os dias. Assim praticavam Sta. Catarina de Senna, Sta. Brígida, a Beata Collecta, e também S.Carlos Borromeo, Sto. Inácio de Loiola e muitos outros. S. Francisco de Borgia não se contentava com uma só vez,confessava-se duas vezes por dia.

-
Se os homens do mundo tem horror de aparecer com uma mancha no rosto diante de seus amigos, que se há de estranhar que as almas amigas de Deus procurem purificar-se cada vez mais, para se tornarem cada vez mais agradáveis aos olhos de Nosso Senhor.- De resto, não pretendemos aqui obrigar as religiosas que freqüentam a comunhão, a confessar-se toda a vez que comungam. Entretanto é conveniente que se confessem duas vezes ou ao menos uma vez por semana, e além disso quando houverem cometido alguma culpa com advertência.

DO EXAME, DA DOR OU CONTRIÇÃO E DO BOM PROPÓSITO

- Sabe-se que,
para fazer uma boa confissão, três coisas se requerem: O exame de consciência, a dor de ter pecado, e o propósito de se corrigir.

1.
Quanto ao exame, aos que freqüentam os sacramentos, não é necessário que quebrem a cabeça em indagar todos os pormenores das faltas veniais. É preferível que se apliquem mais a descobrir as causas e raízes de seus apegos e de suas negligências.Digo isto para as religiosas que vão se confessar, com a cabeça cheia de coisas ouvidas na grade, e não fazem outra coisa que repetir, de cada vez, a recitação das mesmas faltas, como uma cantilena, sem arrependimento e sem propósito de emenda.Para as almas espirituais, que se confessam amiúde e tem cuidado de evitar os pecados veniais deliberados, o exame não exige muito tempo; pois não têm necessidade de indagar sobre as faltas graves, porque se a sua consciência estivesse sobrecarregada de um só pecado mortal, este se daria logo a conhecer por si mesmo. Quanto aos pecados veniais, se fosse plenamente voluntários, se manifestariam também de um modo sensível de pena que causariam; aliás não há obrigação de confessar todas as faltas leves que se tem na consciência, e por conseguinte também não há obrigação de fazer um exame exato e menos ainda de escrutar o número e circunstâncias, ou se recordar como e porque se cometeram.Basta declarar as faltas leves que pesam mais e são mais opostas a perfeição, e acusar as outras em termos gerais.

-
Quando não há matéria certa depois da confissão última, diga-se algum pecado da vida passada, de que se tenha mais dor, por exemplo: Eu me acuso especialmente de todas as culpas cometidas no passado contra a caridade, a pureza ou a obediência.

- É bastante consolador o que sobre este ponto escreve
S. Francisco de Sales: "Não vos inquieteis, se não vos lembrardes de todas as vossas faltinhas para confessá-las; porque assim como muitas vezes cais sem advertência, assim também muitas vezes vos levantareis sem percebê-lo; a saber, pelos atos de amor ou outros atos bons que as almas devotas soem fazer".

2.
É necessária, em segundo lugar, a dor ou contrição, e é o quese requer principalmente para obter a remissão dos pecados. As confissões mais longas não são as melhores, mas as em que há mais dor. O sinal de uma boa confissão, diz S. Gregório, não se acha no grande número de palavras do penitente, mas no arrependimento que demonstra.

- De resto, as religiosas que se confessam amiúde e tem horror até as culpas veniais, desfazem as dúvidas se tem ou não verdadeira contrição. Quereriam, cada vez que se confessam, ter lágrimas de enternecimento; e como apesar dos seus esforços e de toda a violência que fazem, não podem tê-las, estão sempre inquietas sobre suas confissões. É preciso que se persuadam que a verdadeira dor não está em senti-la mas em querê-la.
Todo o mérito das virtudes está na vontade. É por isso que Gerson, falando da fé, assegura que aquele que quer crer, algumas vezes tem mais mérito do que aquele que crê.

- Mas
S. Tomás ensinou a mesma coisa antes dele, falando precisamente da contrição. Diz ele que a dor essencial, necessária para a confissão, é a detestação do pecado cometido, e que esta dor não está na parte sensitiva, mas na vontade; visto que a dor sensível é um efeito do desprazer da vontade o que nem sempre está em nosso poder, porque a parte inferior nem sempre segue a parte superior.

Assim, pois,
toda a vez que, na vontade, a displicência da culpa cometida é acima de todos os males, a confissão é boa.

-
Abstende-vos, portanto, de fazer esforços para sentir a dor. - Falando dos atos internos, sabei que os melhores são os que se fazem com menor violência e maior suavidade, visto que o Espírito Santo ordena tudo com doçura e tranqüilidade.

Pelo que, o santo rei Ezequias, falando do arrependimento que tinha de seus pecados, dizia
sentir deles dor muito amarga mas em paz.

Quando quiserdes receber a absolvição, fazei assim:
No aparelhar-vos para a confissão, começai por pedir a Jesus Cristo e a Virgem das Dores uma verdadeira dor de vossos pecados; em seguida fazei brevemente o exame, como acima dissemos; e depois, para a contrição, basta que façais um ato como este: "Meu Deus, eu vos amo acima de todas as coisas; espero, pelos merecimentos do sangue de Jesus Cristo, o perdão de todos os meus pecados, dos quais me arrependo de todo o coração, por ter ofendido e desgostado a vossa infinita bondade, e os aborreço mais do que todos os males; e uno este meu aborrecimento ao aborrecimento que deles teve o meu Jesus no horto de Getsêmani. Proponho não vos ofender mais, com a vossa graça".Uma vez que tenhais querido pronunciar este ato com sinceridade, ide tranqüilamente receber a absolvição, sem temor e sem escrúpulo. - Sta. Teresa para tirar as angústias a este respeito, dava um outro bom sinal de contrição: "Vede, dizia ela, se tendes um verdadeiro propósito de não cometer mais os pecados que ides confessar. Se tendes este propósito, não duvideis de ter também a verdadeira dor".

3.
É necessário enfim o bom propósito. O propósito exigido para a confissão, para ser bom, deve ser firme, universal e eficaz.Primeiramente, deve ser firme. Há alguns que dizem: eu não quereria cometer mais este pecado; eu não quereria mais ofender a Deus. - Mas ai! este eu quereria denota que o propósito não é firme. Para que o seja, é necessário dizer com vontade resoluta: Não quero mais ofender a Deus deliberadamente.Em segundo lugar,deve ser universal, isto é, deve o penitente propor-se a evitar todos os pecados sem exceção. Isto, porém, só se entende dos pecados mortais.

Quanto aos pecados veniais, basta, para o valor do sacramento, que o arrependimento e o propósito recaiam sobre uma só espécie de pecado; mas
as pessoas mais espirituais devem propor se evitar todos os pecados veniais deliberados; e quanto aos indeliberados, visto que é impossível evitá-los todos, basta que se proponham fazê-lo quanto for possível.Em terceiro lugar, deve ser eficaz, isto é,capaz de determinar o penitente a empregar os meios necessários para não cometer mais as faltas de que se acusa, e especialmente a fugir das ocasiões próximas de recair. Por ocasião próxima se entende aquela em que a pessoa caiu muitas vezes em pecados graves, ou, sem justa causa, induziu outros a caírem.Neste caso não basta propor-se somente evitar o pecado, mas é necessário também propor tirar a ocasião, aliás as suas confissões serão todas nulas, embora receba mil absolvições; pois não querer remover a ocasião próxima de pecado grave já é por si culpa grave. E assim como temos demonstrado na nossa obra de teologia moral, quem recebe a absolvição sem o propósito de tirar a ocasião próxima, comete um novo pecado mortal de sacrilégio."

(Santo Afonso Maria de Ligório -
A Verdadeira Esposa de Jesus Cristo)

S. ALFONSO MARIA LIGORIO : Breve trattato della necessità della preghiera

– DELLA NECESSITÀ DELLA PREGHIERA
Quantunque fu bestemmia quel, che dissero Lutero, e Calvino,

cioè, che l'osservanza della divina legge sia renduta impossibile agli uomini dopo il peccato di Adamo; e fu errore anche condannato dalla Chiesa quel, che disse Giansenio, che alcuni precetti erano impossibili ancora a' giusti secondo le presenti forze, che hanno, e mancava anche l'aiuto divino per adempirli; avendo dichiarato1 il sagro Concilio di Trento (Sess. VI, cap. 11), che Dio non comanda cose impossibili ma ci ammonisce a fare ciò che possiamo colle forze della Grazia presente o almeno2 a chiedere la Grazia più abbondante, che si ricerca per adempire ciò, che non possiamo, ed allora egli già dà l'aiuto acciocché possiamo: Deus impossibilia non iubet (son parole del Tridentino), sed iubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adiuvat ut possis

(L. c.); dal che insegnano molti gravi Teologi3 (Haberto, Theol. Graecor.

P P. l. 2, c. 6. n. 1 et c. 15, n. 2 et 3, il quale cita Gammacheo, Duvallio Isamberto, Perezio, Limonio ed altri: ed insieme asserisce esser questa sentenza comune delle scuole, e precisamente della Sorbona, Tommasino, Theol. Dogm., tr. 2 de Gratia, c. 14, Du Plessis, in Diss. de mult. gen. div. Gratiae. Tournely, Praelect. Theol. p. 2. q. 9, a. 4 concl. 5) che Dio dona, o almeno offerisce a tutti o la grazia prossima per osservare i precetti, o pure la grazia rimota dell'orazione, colla quale poi ciascuno ottiene la prossima ad osservare in effetto i precetti divini;4 è certo, che



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l'osservanza della legge nello stato presente della natura corrotta è molto difficile, anzi è moralmente impossibile senza un aiuto di Dio (oltre il comune) speciale, e maggiore di quello, che bisognava nello stato dell'innocenza. Or questo aiuto speciale Dio non lo concede, ordinariamente parlando, se non a coloro, che lo dimandano. Insegna Gennadio, Autore antico (che va fra l'opere di S. Agostino) che, eccettuate le prime grazie eccitanti, le quali vengono a noi senza di noi come la chiamata alla fede, o alla penitenza, tutte l'altre, e specialmente la grazia della perseveranza, non si donano se non a coloro, che pregano:5 Nullum credimus ad salutem, nisi Deo invitante, venire: nullum invitatum salutem suam nisi Deo adiuvante, operari: nullum nisi orantem auxilium promereri. Lib. de Eccl. Dogm. c. 56.6 Ed in altro luogo lo stesso S. Agostino suppone per certo: Deum nobis dare aliqua etiam non orantibus, ut initium fidei: alias nonnisi orantibus praeparasse. Lib. de Persev. c. 5.7

Da ciò concludono i Teologi8 (Suarez, Habert, Layman, il P. Segneri, ed altri con S. Clemente Alessandrino, S. Basilio, S. Agostino, e S. Giovan Grisostomo) che la petizione agli adulti è necessaria di necessità di mezzo; viene a dire, che di provvidenza ordinaria un fede e senza raccomandarsi a Dio, e cercargli le grazie necessarie alla sua salute, non può salvarsi. Dice S. Giovanni Grisostomo, che conforme e necessaria l'anima al corpo per vivere, così è necessaria all'anima l'orazione per conservarsi nella divina grazia. Ciò vuol dire quella sentenza di Gesù Cristo: Oportet semper orare, et nunquam deficere. Luc. 18. 1. Oportet, è di necessità il sempre pregare. Ciò vuol dire quell'altra di S. Giacomo: Non habetis, propter quod non postulatis Iac. 4. 2. Ciò vuol dire, quel che in due parole il nostro Salvatore disse: Petite et accipietis. Luc. 11. 9.9 Se dunque (dice S. Teresa) chi cerca ottiene: chi non cerca, non ottiene.10 Dio vuol salvi tutti: Deus vult omnes homines salvos fieri, 1 Tim. 2. 4, ma vuole che gli cerchiamo le grazie, che ci son necessarie per salvarci. Neppure questo vogliamo fare? Terminiamo questo primo punto,



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conchiudendo da ciò, che si è detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega, certamente si danna. Tutti i Santi si sono salvati, e fatti santi col pregare. Tutti i dannati si son dannati, per non pregare; se pregavano certamente non si sarebbero perduti. E questa sarà la maggior loro disperazione nell'inferno l'aversi potuto salvare con tanta facilità, con chiedere a Dio il di lui aiuto, ed ora non esser più a tempo di cercarlo





1 [12.] avendo dichiarato) sì perché ha dichiarato NM BR.





2 [14-15.] presente o almeno a chiedere la grazia) NM BR om.





3 [19-24.] Cfr. Gran mezzo della preghiera, P. II, c. IV, p. 145-149.





4 [27.] divini; è certo che) divini. Con tutto ciò non ha dubbio che NM BR.





5 [10-14.] Testi comuni: SEGNERI, Cristiano istruito, P. III, Rag. II, 20; HABERT, De orat., ed. cit., 443-444; SCARAMELLI, Dirett. ascet., ed. cit., tr. I, art. VI, c. I, n. 216; SARNELLI, Mondo santif., ed. cit., 263, 264.





6 [10-12.] De eccles. dogm. (attribuito a GENNADIO DI MARSIGLIA, sec. V; GLORIEUX, n. 42), c. XXVI; PL 42, 1218.





7 [13-14.] S. AGOST., De dono persev., c. XVI; PL 45, 1017.





8 [15-17; 20-22.] Cfr. Del gran mezzo della preghiera, P. I, c. I, p. 11 (16-17); 14 (4-10; 15 (20-21).





9 [26.] Corr.: Io, 16, 24.





10 [27.] S. TERESA, Lettere, I, Lett. VIII, ann. 10, p. 35.









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quinta-feira, 29 de novembro de 2012

S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio e ringraziamento…messa

S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio e ringraziamento…messa

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  • AFFETTI PER LO RINGRAZIAMENTO - dopo la messa.
    • RINGRAZIAMENTO V. PER IL GIOVEDÌ


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RINGRAZIAMENTO V. PER IL GIOVEDÌ


O Dio d'infinita maestà, ecco a' piedi vostri il traditore che tanto vi ha offeso. Voi tante volte mi avete perdonato, ed io, non ostante le grazie e i lumi che mi avete dati, ho tornato ad offendervi. Gli altri han peccato tra le tenebre, io ho peccato in mezzo alla luce. Ma ascoltate questo vostro Figlio che vi ho sacrificato questa mattina, e che ora sta nel mio petto; egli vi cerca pietà e perdono per me. Perdonatemi per amore di Gesù Cristo, mentre io mi pento con tutto il cuore di avere offeso voi, bontà infinita.


Io so che voi per amore di Gesù Cristo vi compiacete di placarvi co' peccatori: Complacuit per eum reconciliare omnia in ipsum 1. Per amore dunque di Gesù Cristo placatevi ancora con me. Ne proiicias me a facie tua: Non mi discacciate dalla vostra faccia come io meriterei; perdonatemi e mutatemi il cuore: Cor mundum crea in me Deus. Fatelo almeno per onor vostro, giacché mi avete fatto sacerdote, vostro ministro, destinato a sacrificarvi il vostro medesimo Figlio. Fatemi vivere da sacerdote. Datemi un cuore che vi ami da sacerdote. Deh! consumate colle fiamme del vostro santo amore, e distruggete in me tutti gli affetti di terra. Fate ch'io viva grato da oggi innanzi a tante grazie che mi avete fatte, ed a tanto amore che mi avete portato. Se per lo passato io ho disprezzata la vostra amicizia, ora la stimo più che tutti i regni del mondo, ed antepongo il vostro gusto a tutte le ricchezze e piaceri del cielo e della terra.


O Padre mio, per amore di Gesù Cristo staccatemi da tutto. Voi volete che i vostri sacerdoti sieno in tutto separati dal mondo per vivere solamente a voi e all'opera della vostra gloria: Segregate mihi Saulum et Barnabam, in opus ad quod assumpsi eos 2. Lo stesso io so che volete ancora da me: io propongo di farlo; ma voi aiutatemi colla vostra grazia. Tiratemi tutto a voi. Datemi pazienza e rassegnazione ne' travagli e nelle cose contrarie. Datemi spirito di mortificarmi per amor vostro. Datemi spirito di vera umiltà, con giungere a compiacermi d'essere stimato vile e difettoso. Doce me facere voluntatem tuam: Insegnatemi a fare la vostra volontà, e poi ditemi che volete da me, ch'io tutto voglio farlo. Accettate, o Dio mio, ad amarvi un peccatore che per lo passato vi ha troppo offeso, ma ora vi vuole amare da vero, ed esser tutto vostro. O Dio eterno, io spero d'amarvi in eterno. E perciò anche voglio amarvi assai in questa vita, per amarvi assai nell'eternità.


E perché vi amo, vorrei vedervi da tutti conosciuto ed amato. E perciò, Signore, giacché mi avete fatto vostro sacerdote, datemi la grazia di faticare per voi e di portarvi anime. Tutto spero per i meriti vostri, o Gesù Cristo mio, e per la vostra intercessione, o madre mia Maria.







1 Coloss. 1. 19.





2 Act. 13. 2.