sábado, 27 de junho de 2015

MONS. MARIO OLIVERI : Straordinaria importanza del Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI


Straordinaria importanza del Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI
Intervento sull'atto magisteriale e di supremo governo compiuto dal Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio ' Summorum Pontificum ', sui contenuti teologici della Liturgia antica

Rev.do e Caro Padre Nuara,



La Sua calorosa proposta, presentatami anche per iscritto, di un mio intervento al III Convegno sul Motu Proprio ' Summorum Pontificum ', che avesse come argomento i contenuti teologici della Liturgia antica, non ha lasciato il mio animo indifferente, ma non ho ' con mio grande rincrescimento ' trovato la forza di superare una grossa difficoltà che proviene dalle condizioni di salute di un mio fratello, grande invalido, al quale mi lega un primario dovere di fraterna assistenza.



         Poiché dovrò assentarmi da mio fratello dal 23 al 27 Maggio, per partecipare questa volta imperativamente all'Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (per le ragioni familiari menzionate, sono già stato assente dall'Assemblea Generale Straordinaria dello Scorso Novembre), creerebbe grave ed insuperabile disagio la mia lontananza da casa anche nei giorni 13-15 Maggio.



         Con tutta sincerità, posso dire che avrei partecipato molto volentieri al III Convegno sul ' Motu Proprio', poiché sarebbe stata per me la felice ' e credo feconda ' occasione per esprimere ad un pubblico qualificato, ed avendo una 'audience' molto ampia, le profonde convinzioni del mio animo di Vescovo circa la straordinaria importanza per la vita della Chiesa dell'atto magisteriale e di supremo governo compiuto dal Papa Benedetto XVI con detto 'Motu Proprio'. Avrei potuto esporre le ragioni che hanno generato e generano in me tale convinzione. Voglia permettermi, caro Padre, di formularle brevemente con questo scritto, e quindi ' se lo riterrà opportuno ' farle risuonare in qualche momento del Convegno.






        

In tutto ciò che tocca la vera essenza della Chiesa è di vitale importanza mostrare in ogni tempo, ma ancor più nei momenti storici in cui si è data l'idea che tutto sia in perenne cambiamento, che non sono possibili mutamenti radicali che intacchino la sostanza degli elementi costitutivi della Chiesa stessa, e cioè la sua Fede, la sua realtà soprannaturale e dunque i suoi Sacramenti e quindi la sua Liturgia, il suo sacro ministero di governo (cioè la sua capacità soprannaturale di trasmettere tutti i doni da Cristo dati alla sua Chiesa per mezzo dei suoi Apostoli e perpetuati mediante la Successione Apostolica).



Il Motu Proprio ' Summorum Pontificum', dichiarando che la Liturgia può essere celebrata nella sua forma antica, cioè nella forma in cui è stata celebrata per secoli sino alla 'riforma' messa in atto dopo il Concilio Vaticano II, ha in maniera solenne sancito:





a)     L'immutabilità del contenuto della Divina Liturgia, e che quindi i cambiamenti che in qualche suo esteriore elemento o forma possono introdursi non possono mai essere tali da mutare la Fede della Chiesa che la Liturgia esprime, o da mutare il suo contenuto divino-sacramentale, il suo contenuto di grazia soprannaturale. Per portare un esempio: le variazioni esteriori nel Rito della Santa Messa,  o della Divina Eucaristia, non possono indurre o spingere ad avere un'altra concezione di fede circa il contenuto di Essa, né possono legittimamente indurre a pensare che nella sua celebrazione diventi superfluo o non necessario il ruolo celebrativo che compete soltanto a chi ha ricevuto sacramentalmente la capacità soprannaturale di agire 'in persona Christi'; non possono soprattutto offuscare il carattere sacrificale della Santa Messa;



b)    Che la 'riforma' post-conciliare non può legittimamente interpretarsi come una mutazione 'in substantialibus': se così è stato ritenuto, se qui o là si celebra nella forma che il Motu Proprio chiama 'ordinaria' in modo da poter indurre in errore circa il vero contenuto della Divina Liturgia, in modo da offuscare anche minimamente la vera fede nel vero contenuto della Santa Messa o di altri Sacramenti, è necessario che avvengano delle correzioni, è quanto mai urgente addivenire ad una 'riforma della riforma',studiando accuratamente quali elementi della 'riforma'post-comciliare siano tali da potersi interpretare non in continuità con la Liturgia antica, quali possono facilitare ' se non indurre ' celebrazioni non corrette; nell'immediato è necessaria una catechesi liturgicache dissipi ogni nebbia; è necessario che tutti gli abusi nella celebrazione non siano tollerati ma chiaramente corretti.



c)     È divenuto particolarmente imperativo rispettare chiarissimamente il legame inscindibile tra Fede e Liturgia, tra Liturgia e Fede; l'offuscamento della fede genera devastazione liturgica, devastazione nella 'lex orandi', e questa devastazione corrompe la fede, o almeno la offusca, la rende incerta.



Queste considerazioni avrebbero potuto essere in concreto mostrate da uno studio comparativo tra l'antica e la nuova forma del conferimento dell'Ordine Sacro, del Sacramento dell'Ordine, ma sono certo che ben saranno esposte e sviluppate con saggezza e competenza dagli Em.mi ed Ecc.mi Relatori del Convegno. Ad essi mi unisco con tutto l'animo e ad Essi dico la mia profonda comunione spirituale.



         Invoco l'assistenza dello Spirito Santo sullo svolgimento del Convegno ed auspico che esso sia apportatore di molto bene alla Chiesa, a noi Vescovi ed a tutti i suoi ministri che debbono operare avendo ben presente che culmine e fonte di tutta la vita e  missione della Chiesa è la Divina Liturgia, la Celebrazione dei Divini Misteri.



         A Lei, caro Padre, la mia distinta e devota stima.







         Albenga, 8 Febbraio 2011                                  Suo aff.mo in Domino

Cardinal Sarah's article for L'Osservatore Romano on the Traditional Missal and the Paul VI Missal

Cardinal Robert Sarah
L'Osservatore Romano
June 12, 2015
[Exclusive Rorate translation by Contributor Francesca Romana]


Fifty years after its promulgation by Pope Paul VI will the Constitution on the Sacred Liturgy from the Second Vatican Council be read? “Sacrosanctum concilium “ is not de facto a simple catalogue of reform “recipes” but a real “magna carta” of every liturgical action.

With it, the ecumenical council gives us a magisterial lesson in method. Indeed, far from being content with a disciplinary and exterior approach, the council wants to make us reflect on what the liturgy is in its essence. The practice of the Church always comes from what She receives and contemplates in Revelation. Pastoral care cannot be disconnected from doctrine.

In the Church, “that which comes from action is ordered to contemplation” (cfr. n. 2). The Council’s Constitution invites us to rediscover the Trinitarian origin of the liturgical action. Indeed, the Council establishes continuity between the mission of Christ the Redeemer and the liturgical mission of the Church. “Just as Christ was sent by His Father, so also He sent the Apostles” so that “by means of sacrifice and sacraments, around which the entire liturgical life revolves” they accomplish ”the work of salvation”. (n.6).READ MORE...

Cardinale Robert Sarah: Per leggere e applicare la costituzione del Vaticano II sulla sacra liturgia.

 

Silenziosa azione del cuore

Per leggere e applicare la costituzione del Vaticano II sulla sacra liturgia. Da "L'Osservatore Romano" del 12 giugno 2015. L'autore è cardinale prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti

di Robert Sarah




Cinquant’anni dopo la sua promulgazione da parte di Papa Paolo VI, si leggerà, infine, la costituzione del concilio Vaticano II sulla sacra liturgia? La "Sacrosanctum concilium" non è di fatto un semplice catalogo di “ricette” di riforme, ma una vera e propria "magna charta" di ogni azione liturgica.

Il concilio ecumenico ci dà in essa una magistrale lezione di metodo. In effetti, lungi dall’accontentarsi di un approccio disciplinare ed esteriore alla liturgia, il concilio vuole farci contemplare ciò che è nella sua essenza. La pratica della Chiesa deriva sempre da quello che riceve e contempla nella rivelazione. La pastorale non si può disconnettere dalla dottrina.

Nella Chiesa "ciò che proviene dall’azione è ordinato alla contemplazione" (cfr. n. 2). La costituzione conciliare ci invita a riscoprire l’origine trinitaria dell’opera liturgica. In effetti, il concilio stabilisce una continuità tra la missione di Cristo Redentore e la missione liturgica della Chiesa. "Come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli apostoli" affinché "mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica" attuino "l’opera di salvezza " (n. 6).

Attuare la liturgia non è dunque altro che attuare l’opera di Cristo. La liturgia è nella sua essenza "actio Christi": l’"opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio" (n. 5). È Lui il grande sacerdote, il vero soggetto, il vero attore della liturgia (cfr. n. 7). Se questo principio vitale non viene accolto nella fede, si rischia di fare della liturgia un’opera umana, un’autocelebrazione della comunità.

Al contrario, l’opera propria della Chiesa consiste nell’entrare nell’azione di Cristo, nell’iscriversi in quell’opera di cui egli ha ricevuto dal Padre la missione. Dunque "ci fu data la pienezza del culto divino ", perché "la sua umanità, nell’unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza" (n. 5). La Chiesa, corpo di Cristo, deve quindi divenire a sua volta uno strumento nelle mani del Verbo.

Questo è il significato ultimo del concetto-chiave della costituzione conciliare: la "participatio actuosa". Tale partecipazione consiste per la Chiesa nel diventare strumento di Cristo-sacerdote, al fine di partecipare alla sua missione trinitaria. La Chiesa partecipa attivamente all’opera liturgica di Cristo nella misura in cui ne è lo strumento. In tal senso, parlare di “comunità celebrante” non è privo di ambiguità e richiede vera cautela (cfr. Istruzione "Redemptoris sacramentum", n. 42). La "participatio actuosa" non dovrebbe dunque essere intesa come la necessità di fare qualcosa. Su questo punto l’insegnamento del concilio è stato spesso deformato. Si tratta invece di lasciare che Cristo ci prenda e ci associ al suo sacrificio.

La "participatio" liturgica deve perciò essere intesa come una grazia di Cristo che "associa sempre a sé la Chiesa" ("Sacrosanctum concilium", n. 7). È Lui ad avere l’iniziativa e il primato. La Chiesa "l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre" (n. 7).

Il sacerdote deve dunque diventare questo strumento che lascia trasparire Cristo. Come ha da poco ricordato il nostro Papa Francesco, il celebrante non è il presentatore di uno spettacolo, non deve ricercare la simpatia dell’assemblea ponendosi di fronte a essa come il suo interlocutore principale. Entrare nello spirito del concilio significa al contrario cancellarsi, rinunciare a essere il punto focale.

Contrariamente a quanto è stato a volte sostenuto, è del tutto conforme alla costituzione conciliare, è addirittura opportuno che, durante il rito della penitenza, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica, tutti, sacerdote e fedeli, si voltino insieme verso Oriente, per esprimere la loro volontà di partecipare all’opera di culto e di redenzione compiuta da Cristo. Questo modo di fare potrebbe opportunamente essere messo in atto nelle cattedrali dove la vita liturgica deve essere esemplare (cfr. n. 41).

Ben inteso, ci sono altre parti della messa in cui il sacerdote, agendo "in persona Christi Capitis", entra in dialogo nuziale con l’assemblea. Ma questo faccia a faccia non ha altro fine che condurre a un tête-à-tête con Dio che, per mezzo della grazia dello Spirito Santo, diverrà un cuore a cuore. Il concilio propone così altri mezzi per favorire la partecipazione: "le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo" (n. 30).

Una lettura troppo rapida, e soprattutto troppo umana, ha portato a concludere che bisognava far sì che i fedeli fossero costantemente occupati. La mentalità occidentale contemporanea, modellata dalla tecnica e affascinata dai media, ha voluto fare della liturgia un’opera di pedagogia efficace e redditizia. In questo spirito, si è cercato di rendere le celebrazioni conviviali. Gli attori liturgici, animati da motivazioni pastorali, cercano a volte di fare opera didattica introducendo nelle celebrazioni elementi profani e spettacolari. Non si vedono forse fiorire testimonianze, messe in scena e applausi? Si crede così di favorire la partecipazione dei fedeli mentre di fatto si riduce la liturgia a un gioco umano.

"Il silenzio non è una virtù, né il rumore un peccato, è vero", dice Thomas Merton, "ma il tumulto, la confusione e il rumore continui nella società moderna o in certe liturgie eucaristiche africane sono l’espressione dell’atmosfera dei suoi peccati più gravi, della sua empietà, della sua disperazione. Un mondo di propaganda, di argomentazioni infinite, di invettive, di critiche, o semplicemente di chiacchiere, è un mondo nel quale la vita non vale la pena di essere vissuta. La messa diviene un baccano confuso; le preghiere un rumore esteriore o interiore" (Thomas Merton, "Le signe de Jonas", Ed. Albin Michel, Paris, 1955, p. 322).

Si corre il rischio reale di non lasciare alcun posto a Dio nelle nostre celebrazioni. Incorriamo nella tentazione degli ebrei nel deserto. Essi cercarono di crearsi un culto alla loro misura e alla loro altezza, e non dimentichiamo che finirono prostrati davanti all’idolo del vitello d’oro.

È tempo di metterci all’ascolto del concilio. La liturgia è "principalmente culto della maestà divina" (n. 33). Ha valore pedagogico nella misura in cui è completamente ordinata alla glorificazione di Dio e al culto divino. La liturgia ci pone realmente alla presenza della trascendenza divina. Partecipazione vera significa rinnovare in noi quello “stupore” che san Giovanni Paolo II teneva in grande considerazione (cfr. "Ecclesia de Eucharistia", n. 6). Questo stupore sacro, questo timore gioioso, richiede il nostro silenzio di fronte alla maestà divina. Si dimentica spesso che il silenzio sacro è uno dei mezzi indicati dal concilio per favorire la partecipazione.

Se la liturgia è opera di Cristo, è necessario che il celebrante vi introduca i propri commenti? Ci si deve ricordare che, quando il messale autorizza un intervento, questo non deve diventare un discorso profano e umano, un commento più o meno sottile sull’attualità, o un saluto mondano alle persone presenti, ma una brevissima esortazione a entrare nel mistero (cfr. Presentazione generale del messale romano, n. 50). Quanto all’omelia, è essa stessa un atto liturgico che ha le sue proprie regole. La "participatio actuosa" all’opera di Cristo presuppone che si lasci il mondo profano per entrare nell’"azione sacra per eccellenza " ("Sacrosanctum concilium", n. 7). Di fatto, "noi pretendiamo, con una certa arroganza, di restare nell’umano per entrare nel divino" (Robert Sarah, "Dieu ou rien", p. 178).

In tal senso, è deplorevole che il sacrario delle nostre chiese non sia un luogo strettamente riservato al culto divino, che vi si penetri in abiti profani, che lo spazio sacro non sia chiaramente delimitato dall’architettura . Poiché, come insegna il concilio, Cristo è presente nella sua parola quando questa viene proclamata, è ugualmente deleterio che i lettori non abbiano un abbigliamento appropriato che mostri che non pronunciano parole umane ma una parola divina.

La liturgia è una realtà fondamentalmente mistica e contemplativa, e di conseguenza fuori dalla portata della nostra azione umana; anche la "participatio" è una grazia di Dio. Pertanto, presuppone da parte nostra un’apertura al mistero celebrato. Così, la costituzione raccomanda la comprensione piena dei riti (cfr. n. 34) e al tempo stesso prescrive "che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’ordinario della messa che spettano ad essi" (n. 54).

In effetti, la comprensione dei riti non è opera della ragione umana lasciata a se stessa, che dovrebbe cogliere tutto, capire tutto, padroneggiare tutto. La comprensione dei riti sacri è quella del "sensus fidei", che esercita la fede vivente attraverso il simbolo e che conosce per sintonia più che per concetto. Questa comprensione presuppone che ci si avvicini al mistero con umiltà.

Ma si avrà il coraggio di seguire il concilio fino a questo punto? Una simile lettura, illuminata dalla fede, è però fondamentale per l’evangelizzazione. In effetti, "a coloro che sono fuori essa mostra la Chiesa, come vessillo innalzato di fronte alle nazioni, sotto il quale i figli di Dio dispersi possano raccogliersi " (n. 2). Essa deve smettere di essere un luogo di disobbedienza alle prescrizioni della Chiesa.

Più specificatamente, non può essere un’occasione di lacerazioni tra cristiani. Le letture dialettiche della "Sacrosanctum concilium", le ermeneutiche di rottura in un senso o nell’altro, non sono il frutto di uno spirito di fede. Il concilio non ha voluto rompere con le forme liturgiche ereditate dalla tradizione, anzi ha voluto approfondirle. La costituzione stabilisce che "le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti" (n. 23).

In tal senso, è necessario che quanti celebrano secondo l’"usus antiquior" lo facciano senza spirito di opposizione, e dunque nello spirito della "Sacrosanctum concilium". Allo stesso modo, sarebbe sbagliato considerare la forma straordinaria del rito romano come derivante da un’altra teologia che non sia la liturgia riformata. Sarebbe anche auspicabile che s’inserisse come allegato di una prossima edizione del messale il rito della penitenza e l’offertorio dell’"usus antiquior" al fine di sottolineare che le due forme liturgiche s’illuminano a vicenda, in continuità e senza opposizione.

Se vivremo in questo spirito, allora la liturgia smetterà di essere il luogo delle rivalità e delle critiche, per farci infine partecipare attivamente a quella liturgia "che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede quale ministro del santuario" (n. 8).


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12.6.2015 

50 Years Ago: Dietrich von Hildebrand Confronts Pope Paul VI

50 Years Ago: Dietrich von Hildebrand Confronts Pope Paul VI

The following excerpts are taken from a fascinating 2001 interview with Dr. Alice von Hildebrand (the full text is available here) that is required reading for every Catholic who wants to understand what has happened in the Church since the mid-20th century. I found myself thinking once again about this interview because Alice mentions a private meeting that her husband had with Pope Paul VI on June 21, 1965, 50 years ago this Sunday (right before the very last, October-December session of the Second Vatican Council), which was followed up with a manuscript that really ought to be published someday. Read on…

*          *          *

TLM: Dr. von Hildebrand, at the time that Pope John XXIII summoned the Second Vatican Council, did you perceive a need for a reform within the Church?

AVH: Most of the insights about this come from my husband. He always said that the members of the Church, due to the effects of original sin and actual sin, are always in need of reform. The Church’s teaching, however, is from God. Not one iota is to be changed or considered in need of reform.

TLM: In terms of the present crisis, when did you first perceive something was terribly wrong?

AVH: It was in February 1965. I was taking a sabbatical year in Florence. My husband was reading a theological journal, and suddenly I heard him burst into tears. I ran to him, fearful that his heart condition had suddenly caused him pain. I asked him if he was all right. He told me that the article that he had been reading had provided him with the certain insight that the devil had entered the Church. Remember, my husband was the first prominent German to speak out publicly against Hitler and the Nazis. His insights were always prescient.

[…]

TLM: Did your husband think that the decline in a sense of the supernatural began around that time, and if so, how did he explain it?

AVH: No, he believed that after Pius X’s condemnation of the heresy of Modernism, its proponents merely went underground. He would say that they then took a much more subtle and practical approach. They spread doubt simply by raising questions about the great supernatural interventions throughout salvation history, such as the Virgin Birth and Our Lady’s perpetual virginity, as well as the Resurrection, and the Holy Eucharist. They knew that once faith – the foundation – totters, the liturgy and the moral teachings of the Church would follow suit. My husband entitled one of his books The Devastated Vineyard. After Vatican II, a tornado seemed to have hit the Church. … The aversion to sacrifice and redemption has assisted the secularization of the Church from within. We have been hearing for many years from priests and bishops about the need for the Church to adapt herself to the world. Great popes like St. Pius X said just the opposite: the world must adapt itself to the Church. …

There have been two books published in Italy in recent years that confirm what my husband had been suspecting for some time; namely, that there has been a systematic infiltration of the Church by diabolical enemies for much of this century. My husband was a very sanguine man and optimistic by nature. During the last ten years of his life, however, I witnessed him many times in moments of great sorrow, and frequently repeating, “They have desecrated the Holy Bride of Christ.” He was referring to the “abomination of desolation” of which the prophet Daniel speaks.

TLM: This is a critical admission, Dr. von Hildebrand. Your husband had been called a twentieth-century Doctor of the Church by Pope Pius XII. If he felt so strongly, didn’t he have access to the Vatican to tell Pope Paul VI of his fears?

quinta-feira, 25 de junho de 2015

Programma Pastorale del Vescovo Mons. Mario Oliveri con riferimento alla stagione ecclesiale del Post-Concilio Vaticano II


 Anno della Fede
Albenga, 18-20 settembre 2012
Tre giorni del Clero 2012



Anno della Fede
Albenga, 18-20 settembre 2012
Tre giorni del Clero 2012

II PARTE:
INTERVENTO DEL VESCOVO

23
I
Programma Pastorale del Vescovo, con riferimento
alla stagione ecclesiale del Post-Concilio Vaticano II
Nel messaggio indirizzato al mio Predecessore, appena nominato
Vescovo di Albenga – Imperia, esprimevo in maniera assai spontanea
il desiderio (e lì la parola stava per volontà) di continuare
con l’intera comunità ecclesiale il cammino soprannaturale di Fede e
Carità.
Ho adesso l’ occasione di commentare quelle parole, al cui contenuto
do fondamentale importanza, per il mio e il vostro ministero.
1. Il “continuare” non era una captatio benevolentiae del mio
Predecessore, ma corrisponde ad una necessità teologica nella realtà e
nell’attività della Chiesa. Continuità-immubilità della Fede, continuitàimmutabilità
di tutto quello che Cristo ha compiuto, voluto, annunziato,
istituito per il compimento del Mistero di Salvezza. Perciò ho scritto
nella Lettera quaresimale: “Noi abbiamo la specifica missione di riproporre
l’annuncio e l’opera di Cristo”.LEGGERE...

Mons. Mario Oliver : iLa Divina Liturgia II Nota Pastorale circa la Santa Comunione




La Divina Liturgia II
Nota Pastorale
circa la Santa Comunione
Albenga, 25 novembre 2012
Solennità di Cristo Re


Circa la Santa Comunione
Nota Pastorale
Premessa
Il Sacramento dell’Eucaristia è la «fonte e apice di tutta la vita cristiana
».1 Infatti, «nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene
spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo».2 Se l’Eucaristia è la fonte
e l’apice di tutta la vita cristiana, risulta evidente che la fede nella presenza
reale di Cristo nel Santissimo Sacramento deve essere tra gli elementi
più importanti da rafforzare in questo Anno della Fede.
L’Eucaristia non è una cosa, è Qualcuno: «Nel Santissimo Sacramento
dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il
Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità
e, quindi, il Cristo tutto intero».3 Per questo motivo, il Codice di
diritto canonico prescrive che «i fedeli abbiano in sommo onore la santissima
Eucarestia, partecipando attivamente nella celebrazione dell’augustissimo
Sacrificio, ricevendo con frequenza e massima devozione questo
sacramento e venerandolo con somma adorazione».4 Il codice stabilisce
inoltre, che «i pastori d’anime che illustrano la dottrina di questo
sacramento, istruiscano diligentemente i fedeli circa questo obbligo».5
Alla luce di questa verità luminosa, ci pare urgente e necessario correggere
alcuni abusi e mancanze di riverenza nei confronti di Cristo, presente
nel SS. Sacramento, al fine di ricuperare una fede più viva e pratica
nella presenza reale di Cristo nell’augusto Sacramento dell’altare:
• la genuflessione frettolosa o sbadata davanti al SS. Sacramento quando
si entra in chiesa;LEGGERE...

La Divina Liturgia Interventi del Vescovo Mons.Mario Oliveri



  
La Divina Liturgia Interventi del Vescovo Mons.Mario Oliveri

La Divina Liturgia
Interventi del Vescovo
alla “Tre giorni del Clero”
18-20 settembre 2007



Primo intervento del Vescovo
L’IMMUTABILE NATURA DELLA LITURGIA
I I mio discorso consisterà nell’esposizione di alcuni principi che
vogliono essere guida per vivere e far vivere la Liturgia in modo giusto,
degno e fruttuoso.
Quando si parla di principi, si può essere tentati di abbreviare il discorso
per giungere subito alle applicazioni pratiche o ai modi concreti di applicazione.
Il discorso sui principi va invece sempre fatto con grande cura
ed attenzione, ed essi vanno costantemente tenuti presenti durante il procedimento
della loro pratica applicazione.
Tema del mio intervento è “L’immutabile natura della Liturgia”; esso
mi permette di parlare della realtà intrinseca, della sostanza della
Liturgia. La definizione di Liturgia farà immediatamente comprendere
perché il contenuto delle azioni liturgiche è immutabile, ed illuminerà
in pari tempo sul valore e sull’importanza delle forme portatrici
del contenuto, e su che cosa - sul piano delle forme ed espressioni - può,
e talvolta deve, essere cambiato nella Liturgia.leggere...

Mons. Mario Oliveri Vescovo di Albenga-imperia, nella Prefazione al libro di Mons. Brunero Gherardini Il Concilio Vaticano II. Un discorso da fare




Mons. Mario Oliveri Vescovo di Albenga-imperia, nella Prefazione al libro di Mons. Brunero Gherardini Il Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, concludendo nell’unirsi alla supplica finale, scrive (i corsivi sono nel testo originale):
«Il filo conduttore di tutti i suoi scritti è sempre quello che mette in logico e - direi - ferreo collegamento verità rivelata e verità meditata dall’umano intelletto illuminato dalla fede sostenuto dalla teologia dei Padri della chiesa, sistematizzata dalla grande teologia scolastica, tramandatasi per secoli; sorretto dall’insegnamento del Magistero della chiesa, che mai può essere in contraddizione con se stesso, che solo può avere uno sviluppo così omogeneo da non dire mai nova, ma tutt’al più nove (secondo la terminologia del “Commonitorium” di san Vincenzo di Lerino).
Mi accorgo che con queste espressioni mi riferisco ad una concezione filosofica e quindi anche teologica (nella misura in cui si dà attenzione alla verità rivelata) che riconosce all’umano intelletto il suo vero valore e la sua vera natura, così da considerarlo capace di raggiungere e di aderire ad una verità che è immutabile, come immutabile è l’essere di tutte le cose, perché dall’essere Assoluto, da colui che è, trae per creazione la sua natura. Ma l’intelletto non crea la verità, poiché non crea l’essere: l’intelletto conosce la verità, quando conosce il ciò che è delle cose.
Al di fuori di una tale visione, al di fuori di una tale Filosofia, qualsiasi discorso sullaimmutabilità della verità e sulla continuità di adesione dell’intelletto alla stessa identica verità non terrebbe più, non avrebbe più alcuna sostenibilità. non resterebbe che accettare una mutabilità continua di ciò che l’intelletto elabora, esprime e crea.
Anche un discorso sullo sviluppo omogeneo del dogma, o dell’insegnamento della chiesa attraverso i secoli, nel fluire del tempo e della storia, non potrebbe più farsi con la possibilità che sia compreso, proposto ed accolto. ci si dovrebbe arrendere ad uncontinuum fieri sul piano di una “verità” non più conosciuta e riconosciuta dall’intelletto, ma da questo elaborata in base a ciò che appare e non a ciò che è».
Inoltre, nell’articolo “La riscoperta di Romano Amerio”, pubblicato dal mensile Studi Cattolici, Milano, giugno 2009, Mons. Oliveri afferma:
«Perché ora, qui e là, sembra esservi a riguardo del pensatore di Lugano una qualche attenzione, un atteggiamento un poco mutato? Forse perché almeno in certi ambienti ecclesiali (non però sicuramente in tutti) ci si sta accorgendo, e quasi si sta costatando, che senza continuità di pensiero, e quindi nell’azione; che senza continuità nella conoscenza e nell’adesione alla verità conosciuta, non è possibile fare un discorso serio su alcuna cosa, non è possibile dire una parola che valga la pena di ascoltare, di credere, di trasmettere, di farne la base per l’umano comportamento, per l’umano vivere?».
Continuità o rottura con la tradizione? 
«Si sta forse prendendo atto che là dove il concilio vaticano II è stato interpretato come discontinuità con il passato, come rottura, come rivoluzione, come cambiamento sostanziale, come svolta radicale, e dove è stato applicato e vissuto come tale, è nata davvero un’altra “chiesa”, ma che non è la chiesa vera di Gesù Cristo; è nata un’altra fede, ma che non è la vera Fede nella divina Rivelazione; è nata un’altra liturgia, ma che non è più la liturgia divina, ma che non è più la liturgia tutta intessuta di trascendenza, di Adorazione, di Mistero, di grazia che discende dall’Alto per rendere davvero nuovo l’uomo, per renderlo capace di adorare in spirito e verità; si è andata diffondendo una morale della situazione, una morale che non è ancorata se non al proprio modo di pensare e di volere, una morale relativistica, a misura del pensiero non più sicuro di nulla, perché non più aderente all’essere, al vero, al bene».
___________________http://chiesaepostconcilio.blogspot.pt/2014/10/lepurazione-continua-mons-mario-oliveri.html

quarta-feira, 24 de junho de 2015

ROMANO AMERIO : IOTA UNUM : Resumen histórico Las crisis de la Iglesia .The Second Vatican Council. Its preparation. Iota unum: étude des variations de l'Église catholique au XXe siècle.


 

ROMANO AMERIO : IOTA UNUM : Resumen histórico Las crisis de la Iglesia .The Second Vatican Council. Its preparation. Iota unum: étude des variations de l'Église catholique au XXe siècle.


CAPITULOS DE TODA LA OBRA IOTA UNUM

TOMO 1

Cap I La crisis
Cap II Resumen histórico Las crisis de la Iglesia
Cap III La preparación del Concilio
Cap IV El desarrollo del Concilio
Cap V El postconcilio

CHAPTER III: The Preparation of The Council
  1. The Second Vatican Council. Its preparation.
  2. Paradoxical outcome of the Council.
  3. Paradoxical outcome of the Council, continued. The Roman Synod.
  4. Paradoxical outcome of the Council, continued. Veterum Sapientia.
  5. The aims of the First Vatican Council.
  6. The aims of Vatican II. Pastorality.
  7. Expectations concerning the Council.
  8. Cardinal Montini’s forecasts. His minimalism.
  9. Catastrophal predictions.







































































Kiko roba protagonismo a lo grande en la manifestación del pasado 20 de junio


Kiko roba protagonismo a lo grande en la manifestación del pasado 20 de junio

El éxito de la manifestación del 20 de junio en Roma contra la ideología de género ha sido lo suficientemente arrollador casi como para eclipsar el eco mediático de la encíclica Laudato sì del papa Francisco, presentada hace dos días en el Vaticano. La práctica coincidencia de ambas noticias ha dado pie al sociólogo Marco Marzano de la Universidad de Bérgamo para hablar de una “confrontación entre dos iglesias”: la primera “ha aplaudido  masivamente la encíclica que ha dedicado el Papa a temas sociales y ecológicos”; la segunda “se ha volcado en las calles de Roma para defender la familia tradicional y rechazar la igualdad sexual y toda concesión de derechos a las parejas homosexuales” (Il Fatto Quotidiano, 21 de junio de 2015).
La primera iglesia, a la cual Marzano define como “progresista o conciliar”, es la que  “puede por fin levantar la cabeza gracias a un pontífice que concede prioridad en sus intervenciones a muchos de los temas y sensibilidades que desde hace tiempo caracterizan al progresismo católico (…)  El empuje que procede de las intervenciones en este sentido es tan fuerte que hoy el Sumo Pontífice se ha convertido de hecho en la voz más escuchada por la izquierda internacional”; la segunda iglesia es aquella que se ha congregado en la plaza de San Giovanni. El diario Il Fatto la define como  “derecha beata”, mientras que Alberto Melloni* la considera “un ejemplo de catolicismo activo “integrado por “católicos convencidos de que la familia que es objeto de ataque es la formada por “padres y madres, a la que el magisterio eclesiástico llamaba en un tiempo matrimonio si se casaban por la Iglesia o concubinato público si los casaba el alcalde (…) Como si el inevitable cambio de costumbres convocara a la Iglesia a batirse en duelo en el terreno de la legislación en vez de darse golpes de pecho y leer el Evangelio” (Corriere della Sera, 18 de junio).leer...