Nel marzo del 2009 venne alla luce il bellissimo ed istruttivo volume Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare del teologo Monsignor Brunero Gherardini, pubblicato dalla Casa Mariana Editrice. Il libro ebbe successo: immediata ristampa e, nel giro di pochi mesi, una seconda edizione; poi una traduzione in francese, seguita da quella inglese e tedesca, a breve, anche in spagnolo e portoghese. Di fronte a questi brillanti risultati si levarono alcune voci critiche che, invece di stimolare un sano dibattito, hanno ingiustamente e presuntuosamente biasimato l’egregio lavoro del teologo.
Quel libro è stato realmente una vera e propria pietra lanciata nello stagno (perché di stagno si tratta) delle discussioni sull’Assise pastorale che tanti problemi ha creato durante e dopo la sua realizzazione, dentro e fuori la Chiesa. L’intenzione del saggio era quella di smuovere le paludose e ferme acque nelle quali si è incagliata la crisi, evidente, della Chiesa. «Era in effetti un appello a chi decide gli orientamenti della Chiesa cattolica, oltre che ai non pochi opinion’s makers i quali, per motivi diversi, talvolta anche discutibili, determinano gli orientamenti del variegato mondo culturale» (1): si trattava, quindi, di innescare una saggia discussione critica su una questione irrisolta da quasi cinquant’anni. Il desiderio di Monsignor Gherardini era quello di porre fine ad una sterile e persistente celebrazione conciliare, in un quasi ossessivo collegamento di tutti i temi, sia sacri che profani, al Concilio, seppur pastorale, e finalmente venissero sottoposti i suoi 16 documenti (4 Costituzioni, 9 Decreti, 3 Dichiarazioni) ad un’analisi libera e costruttiva, scevra da pregiudizi. Ebbene, a due anni esatti di distanza (marzo 2011), esce un nuovo e illuminante testo del grande teologo di Santa romana Chiesa, Il Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, edito da LINDAU, dove l’autore esterna tristezza e delusione di fronte a quell’appello non sufficientemente colto.
Le due centrali di orientamento
Si sono formate due centrali di orientamento ermeneutico, l’«una, ufficiale costante univoca nella ripetizione martellante del proprio orientamento di fondo, ha enfatizzato dell’evento stesso la grandiosità inaudita, l’importanza eccezionale, la provvidenziale e tempestiva risposta alle attese del mondo contemporaneo, l’allinearsi della Chiesa a servizio dell’uomo e perfino nel culto di esso – sia pure, ovviamente, dell’uomo redento –, il suo aprirsi al dialogo con la cultura imperante come se in esso consistesse la quintessenza della missione ecclesiale, il suo inserirsi da protagonista nel dialogo ecumenico come se esso fosse il toccasana della cristianità divisa e come se il Signore avesse chiesto di dialogare e non di predicar e convertire» (2).
L’altra centrale, priva di ufficialità ecclesiale ma seguita da molti uomini di Chiesa e portabandiera dell’ala progressista della cultura cattolica è la Scuola di Bologna, fondata dal professor Giuseppe Alberigo, che sicuramente è stata la centrale più efficiente di studio, analisi e approfondimento del Concilio, dando una chiave di interpretazione di netta rottura con la Tradizione: dall’Assise sarebbe sorta una nuova Chiesa, libera dai “lacci” del passato. La Tradizione venne polverizzata e da questa scuola di Bologna si dipartirono, sia in Europa che nelle Americhe, i maestri dell’innovazione. Si prese a ridicolizzare non solo riti e devozioni preconciliari, ma anche i contenuti e gli insegnamenti, a partire da san Tommaso e dal suo metodo; il «Magistero – e la vicenda dell’enciclica Humanae vitae ne è la più conturbante conferma – veniva apertamente criticato e, specie quando assumeva il tono e lo stile del passato, s’aveva la sfrontatezza di rinnegarlo. Nella semplicistica e banale contrapposizione di progressista a conservatore-tradizionalista si consumò l’azzeramento di venti secoli di storia e di testimonianza evangelica per dar inizio alla novità della Chiesa conciliare» (3).
Quando avvenne la rottura con la Tradizione?
Fu molto semplice, in tale rivoluzionario contesto, la penetrazione invasiva delle tendenze razionaliste, illusioniste, positiviste, esistenzialiste ed eversive del messaggio evangelico e della Tradizione ecclesiastica; devastante fu poi la creatività liturgica alla quale le Conferenze episcopali, «quando del disordine non fossero esse stesse responsabili» (4), non seppero reagire. Insomma, parve quasi che il 1965, anno di chiusura del Concilio, fosse l’anno zero della Chiesa e poco importò il disorientamento delle coscienze dei semplici fedeli: l’euforia dominò e irresistibile fu il fascino dettato dal nuovo, dal moderno, dall’idea di una Chiesa al passo con i tempi, più attenta all’uomo che a Dio, più attenta ai poveri che ai sacramenti e alla preghiera, più attenta alla pace nel mondo che all’evangelizzazione dei popoli e delle nazioni, più attenta al progresso che agli insegnamenti secolari che sempre aveva pronunciato con forza, determinazione e convinzione.
In questo scenario paradossale, in cui uomini di Chiesa e teologi lottavano contro di essa per una voglia di emancipazione e di riscossa con l’obiettivo terreno e non soprannaturale di avvicinarsi al mondo per essere compresi da esso e sentirsi legittimati ed alla pari nell’essere accettati, grazie all’aggiornamento, in ogni ambiente culturale, politico, associativo. Era, in definitiva, una ribellione euforica alle regole di sempre e la Curia romana fu il bersaglio preferito. Monsignor Gherardini sostiene che la rottura con la Tradizione avvenne già durante il Concilio Vaticano II e fin dalla prima ora. Basti pensare al rifiuto degli schemi preparatori: non ne fu salvato neppure uno, tutti cestinati. «Ricordo», rivela l’autore, «l’indiscussa fedeltà alla Tradizione che caratterizzava gli schemi stessi, senza nulla toglier al loro equilibrio fra contenuti rivelati e dalla Chiesa già definiti, esposizione secondo la metodologia classica, ed attenzione ai nuovi problemi del momento. Alcuni di essi, oltre che per fedeltà e chiarezza dottrinale, s’imponevan pure per la trasparenza formale dell’esposizione. C’era, in essi, la Chiesa di sempre. E con essi la Chiesa di sempre si presentava al confronto con i fermenti culturali del nuovo illuminismo.
Aperto il Concilio, s’aprì pure il confronto. Il nuovo illuminismo ne uscì burbanzosamente vittorioso; e lo si capì subito. La sorte dei detti schemi fu segnata non appena pervennero nelle mani dei Padri conciliari» (5). Il dibattito conciliare fu anche rissoso ed irrispettoso. Un esempio valga su tutti: quando «al venerando cardinal Ottaviani, nel corso della sua appassionata difesa della Messa tradizionale, allo scoccare del regolamentare quindicesimo minuto fu spento il microfono e tolta la parola. A quel punto, il Concilio già procedeva per la sua strada: in dichiarata rottura con il secolare magistero, riassunto ed attualizzato negli schemi contestati […]. Si stava già operando un capovolgimento che, con l’andare del tempo, si sarebbe fatto sempre più netto: la teologia diventava antropologia; l’uomo era elevato, in ossequio – come si diceva – ad un progetto di Dio, a valore primo ed ultimo di tutta la realtà creaturale; la salvezza perdeva progressivamente il contatto con la rivelazione del peccato originale, con l’incarnazione e la redenzione di Cristo, con la speranza cristiana della vita eterna» (6).
Con il trucco degli espliciti riferimenti ai precedenti Concili, il Vaticano II ha disseminato nei suoi documenti, soprattutto là dove maggiori sono le innovazioni introdotte, diverse citazioni «per assicurar una conoscenza fra ieri e oggi, che di fatto non c’è. Son frasi intese a tacitar apprensioni e turbamenti» (7). Con queste lucide spiegazioni l’autore giunge alla convincente conclusione che lo spirito del Concilio non venne fuori dopo il Concilio, ma già durante il suo stesso divenire. Lo spirito del Concilio venne denunciato dall’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Rantzinger, oggi Benedetto XVI, sostenitore dell’ermeneutica della continuità con il passato «in una sorta di mai interrotta autoriforma» (8), e in esso scorse gli estremi di un «gegen-Geist», ovvero «contro-spirito».
Contro i «profeti di sventura»
Lo spirito del Concilio, d’altra parte, si coglie già dalle parole pronunciate da Giovanni XXIII nell’allocuzione di apertura dell’Assise, dove si evince la volontà di esprimere in forme nuove la dottrina cattolica di sempre. Afferma, infatti, Gherardini: «Sì, con quel suo fare tra l’ingenuo e l’ottimista ad ogni costo, papa Roncalli non si rese conto, anche perché agì senz’alcun previo contatto con l’episcopato mondiale, di come e quanto un Concilio in quella particolare contingenza fosse intempestivo» (9).
L’«enigmatico» papa Roncalli, come lo definisce Gherardini, fu durissimo nei confronti dei «profeti di sventura», i quali offendevano il Papa con i loro presagi negativi: «Ad aumentare la santa letizia che in quest’ora solenne pervade i nostri animi. Ci sia cioè permesso osservare davanti a questa grandiosa assemblea che l’apertura di questo Concilio Ecumenico cade proprio in circostanze favorevoli di tempo. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo…».
L’autore del libro constata, con approfondito esame, che il «gegen» ha lasciato la sua inconfondibile traccia nei documenti conciliari e in certuni è abbondantemente riscontrabile, come nella Dei Verbum, nella Nostra aetate, nella Lumen gentium, nella Unitatis redintegratio, nella Dignitatis humanae. Sani e salutari dibattiti, studi, libri, articoli, approfondimenti critici Gherardini auspicò con il libro del 2009. Quando, per esempio, ebbe fra le mani il testo di Ralph McInerny, dal titolo promettente e ad effetto Vaticano II. Che cosa è andato storto?, sperò di trovarvi uno studio serio, invece, fu una «delusione assoluta. Sul Vaticano II McInerny ripeteva la volgata» (10) comune, concentrando le critiche sul postconcilio, «speravo di trovar un compagno di viaggio, di fatto ingarbugliava ulteriormente la matassa e non portava nessun contributo di chiarezza» (11).
Il provvidenziale «passa parola»
La speranza di Monsignor Gherardini di discutere sul Vaticano II, non per alimentare sterili polemiche, ma per giungere ad una costruttiva discussione e chiarificazione, è stata soddisfatta dalla Fraternità San Pio X, che «ha capito ed ha risposto […] e dico: grazie!» (12). A questo riguardo desidero ricordare una frase molto impegnativa che un coraggioso, quanto vessato sacerdote diocesano mi ha riferito in questi giorni: «Chi vuol fare la tradizione senza Monsignor Lefebvre perde tempo».
Ebbene, nel mondo della Tradizione gli unici ad aver accolto il richiamo di Monsignor Gherardini sono stati proprio i figli di Monsignor Lefebvre, i quali non solo hanno prestato attenzione al discorso da fare, ma hanno aperto un dibattito con una lunga serie di interventi e con un congresso, organizzato dal Courrier de Rome, che si è tenuto a Parigi dall’8 al 10 gennaio del 2010 con i relativi Atti, già pubblicati (13).
Segnali positivi, comunque, stanno arrivando un po’ dappertutto, manca ancora l’ardire, ma un “passa parola” si sta diffondendo sempre più, a macchia d’olio: molti sacerdoti, seppure ancora nel nascondimento, leggono, s’informano, approfondiscono... Per esempio ci sono preti che, senza identificarsi esplicitamente, telefonano a Radio Maria compiacendosi e sostenendo il movimento culturale e religioso che si è ormai innescato, grazie anche a libri dello spessore di quelli scritti da Monsignor Brunero Gherardini.
La bonifica dello stagno
Interessantissima, poi, la disamina che l’autore compie di alcuni movimenti come i «neopentecostali», detti successivamente «rinnovamento nello Spirito» ed i «neocatecumenali», che Gherardini definisce vere e proprie «chiese parallele». Un Vescovo, al quale il teologo aveva esposto le sue riserve su tali realtà in odore di eresia, gli aveva risposto: «Però pregano molto e quindi lasciamoli in pace […] Si vede che per i vescovi del postconcilio una preghiera […] val bene un’eresia!» (14). Interessantissimo, poi, ma assai doloroso, è quanto rilevato sulle aberrazioni e non soltanto risultanti dalla orrenda ed esecrabile pedofilia. Monsignor Gherardini riporta la pubblicazione ufficiale dei preti sposati: più di 100.000, ossia un quarto dei 408.000 incardinati nelle varie diocesi; ma il loro numero è largamente inferiore rispetto ai preti conviventi more uxorio con una donna. E in mezzo al numero sempre più ridotto, sia di sacerdoti che di religiose, «si respira un’atmosfera inquinata e quasi nessuno se ne rende conto» (15), oppure si fa finta di non accorgersene. Benedetto XVI disse l’11 giugno 2010, alla chiusura dell’Anno sacerdotale: «… la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore, vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore» (16).
I comportamenti indegni della vita sacerdotale Gherardini li classifica come «immondezzaio» (17), nato e cresciuto nel postconcilio perché quel «contro spirito» è andato contro la spiritualità che ha guidato la Chiesa dalle origini fino al 1962; contro i suoi dogmi, reinterpretati non teologicamente, ma storicamente, contro la sua Tradizione, cancellata come fonte di Rivelazione e reinterpretata alla luce dell’esperienza ordinaria. Monsignor Gherardini giunge a queste conclusioni: i sedici documenti del Concilio Vaticano II, autentico Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, esprimono tutti un magistero conciliare, non necessariamente coperto dal carisma dell’infallibilità; si tratta di un magistero, proprio perché conciliare, solenne e supremo.
Tuttavia, occorre distinguere la qualità dei suoi documenti, «perché il carattere solenne del loro insegnamento né li mette tutti su un piano di pari importanza, né comporta sempre di per sé la loro validità dogmatica e quindi infallibile» (18). Inoltre lo studioso serio, secondo l’alto esponente della gloriosa Scuola romana, deve tenere presente che il Concilio deve venire distinto in quattro livelli: a) quello, generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico; b) quello, specifico, del taglio pastorale; c) quello dell’appello ad altri Concili; d) e quello delle innovazioni (19). Quest’ultimo livello ha separato la Chiesa della Tradizione da quella della cosiddetta «nuova Pentecoste».
I drammi sono arrivati proprio dai novatori e dai venti liberaleggianti intrisi di modernismo. Sono quei venti che hanno condotto anche alla caduta libera verso una morale squallida e putrefatta. Il discorso da fare che Monsignor Gherardini ha sapientemente promosso sulle aperture lassiste e relativiste del Concilio e del postconcilio prosegue nel suo inesorabile cammino, in quanto solo «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32) e non certo il nascondimento, la paura, o, peggio, la menzogna, con il pericolo di peggiorare sempre più la già precaria situazione. Luce dovrà, prima o poi, essere fatta, in modo che quello stagno, nel quale è caduta la pietra del teologo di Santa Romana Chiesa, sia bonificato e si trasformi nelle cristalline e bucoliche acque delle incantevoli fonti del Clitumno, dove il Cielo si possa rispecchiare.
Brunero Gherardini, Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, LINDAU, collana: I Pellicani, pp. 112, € 12,00.
Cristina Siccardi
Note (1) B. Gherardini, Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Lindau, Torino 2011, p. 9.
(2) Ibid., p. 10.
(3) Ibid., p. 13.
(4) Ibid., p. 14.
(5) Ibid., pp. 30-31.
(6) Ibid., pp. 31-32.
(7) Ibid., p. 33.
(8) Ibid., p. 25.
(9) Ibid., p. 27.
(10) Ibid., p. 58.
(11) Ibid., p. 59.
(12) Ibid., p. 62.
(13) Courrier de Rome, Vatican II: Un débat à ouvrir, Actes du IX Congrès théologique du Courrier de Rome, BP 10156, Versailles Cedex, 2010.
(14) Ibid., p. 72.
(15) Ibid., p. 75.
(16) Ibid., p. 198.
(17) Ibid., p. 74.
(18) Ibid., p. 82.
(19) Ibid., p. 90.
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