segunda-feira, 21 de dezembro de 2009

La riforma della riforma della Messa?


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Riproduco il testo delle pagine 207-213 del recente volume di don Claudio Crescimanno, La Riforma della Riforma liturgica. Ipotesi per un “nuovo” rito della messa sulle tracce del pensiero di Joseph Ratzinger, Fede & Cultura, Verona 2009.

LE BASI PER UN’AUTENTICA RIFORMA

Inadeguatezza della tesi “tradizionalista”

Di fronte all’attuale crisi liturgica la soluzione che sembra emergere dalla gran parte degli ambienti tradizionalisti è la restaurazione del culto cattolico così come era praticato negli anni Cinquanta. Sentendo parlare molti esponenti del mondo del tradizionalismo e ancor più vedendo la vita di quel mondo, sembra di capire che l’idea dominante è che non si può dare alcuna crescita nella liturgia, e qualunque variazione, anche minima, nelle forme liturgiche è il peccato originale da cui derivano tutti i mali.

In molti di quegli ambienti si è dunque realizzata una sorta di ipostatizzazione della liturgia (ma in generale di tutta la vita della Chiesa) così come era nell’immediato pre-concilio; in questo modo, in definitiva, hanno compiuto riguardo a quel periodo la stessa operazione che i progressisti hanno fatto per i primi secoli cristiani.

Ma anche in questo caso la liturgia cessa di essere un organismo vivente e rischia di ridursi ad un corpo pietrificato, adatto più ad un mausoleo che ad una chiesa, splendido a vedersi perché perfettamente conservato, ma che lascia un senso di tristezza per la fissità delle sue forme e la mancanza di vitalità della sua condizione.

In qualche caso, addirittura, l’uso del rito pre-conciliare appare penosamente come puro strumento di rivendicazione ideologica, una sorte di bandiera della nostalgia per un Ancien Régime ecclesiale e culturale, quando non politico.

Tutto questo, evidentemente, snatura il vero volto dell’amore alla tradizione e nuoce, senza avvedersene, alla causa del ristabilimento nella Chiesa della piena cittadinanza per la liturgia tradizionale.

Questa concezione, a nostro avviso, poggia su due premesse erronee.

1) Anzitutto l’illusione che negli ultimi decenni del pre-concilio la liturgia abbia avuto la sua “età dell’oro” e che in quel periodo tutto andasse bene.

In realtà abbiamo visto nei capitoli precedenti quante legittime e qualificate istanze di riforma abbiano contraddistinto quel periodo, e quanti pronunciamenti magisteriali ne abbiano condiviso e incoraggiato il tenore.

Infatti che una riforma fosse necessaria appare evidente dalla diffusione e dalla rilevanza assunte dal movimento liturgico, che ne era il propulsore, e non di meno dai decisi richiami ad essa venuti dagli stessi Pontefici fin dagli inizi del XX secolo. Questa convergenza tra, potremmo dire, la base e il vertice della Chiesa non può che essere frutto di una reale esigenza e non deve essere sottovalutata.

Ribadiamo, inoltre, che il lavoro conciliare su questa materia non solo non ha tradito o deviato queste istanze di riforma, ma non ha fatto altro che portarle a compimento: in realtà il filo conduttore del movimento liturgico e degli interventi magisteriali pre-conciliari è stato sempre favorire una più ampia e consapevole partecipazione di tutti i fedeli, chierici e laici, all’azione liturgica, e questo è anche, con ogni evidenza, il tema centrale della SC.

Su questo aspetto pare, invece, che molti ambienti tradizionali non siano molto sensibili. Al contrario, però, “bisogna riconoscere – come ci ricorda J. Ratzinger – che la celebrazione della vecchia liturgia spesso si era trasformata in qualcosa di troppo individualistico e privato, e che di conseguenza la comunione tra sacerdote e popolo era insufficiente. Provo grande rispetto per i nostri vecchi che durante la liturgia recitavano le orazioni contenute nei loro libri di preghiera, ma non si può certo considerare questo come l’ideale di una celebrazione liturgica. Forse questo scadimento delle forme celebrative è la ragione profonda per cui in molti Paesi la scomparsa dei vecchi libri liturgici non ha avuto peso e la loro perdita non ha causato dolore” (J. Ratzinger, Discorso pronunciato in occasione del decennale del motu proprio Ecclesia Dei, “30 giorni”, p. 52).

2) La seconda tesi, conseguenza della precedente, è che l’unico rimedio all’attuale crisi della liturgia è un ripristino incondizionato della situazione precedente al Vaticano II.

Ora, questo intento, oltre ad essere inadeguato per le ragioni appena esposte, rinchiude il tradizionalismo in una prospettiva totalmente anacronistica, in fondo irrealistica, che va contro il senso profondo della storia e della realtà che il popolo cristiano ha sempre avuto.

Ma anche ammesso che fosse auspicabile, non sarebbe in ogni caso possibile far girare indietro la ruota della storia. In altre parole, occorre rendersi conto che qualunque proposta di soluzione per uscire dalla crisi in cui versa la liturgia, per essere credibile, dovrà tener conto di ciò che è accaduto in questi quarant’anni, dovrà cioè partire dal dato di fatto della riforma compiuta nel post-concilio, ed essere quindi, appunto, una riforma della riforma, e non una cancellazione tout court.

In realtà questa opposizione radicale a qualunque riforma non era condivisa, in origine, neppure dal corifeo del tradizionalismo. Risulterà forse una sorpresa per molti (anche tradizionalisti) sapere che nei primi dieci anni di vita del seminario della “Fraternità san Pio X”, per “la messa mattutina […] il messale è quello di san Pio V, in latino, però senza il salmo Judica me e l’ultimo Evangelo, in applicazione delle prime riforme del 1965. Inoltre il prete, sino al Credo, sta allo scranno e non all’altare” (B. Tissier de Mallerais, Mons. Marcel Lefebvre – una vita, Tabula Fati, 2005, p. 475). Anche se dal 1974 i lefebvriani ritorneranno integralmente alle forme pre-conciliari, a causa del progressivo radicalizzarsi delle tensioni con la Santa Sede, resta il fatto che per un lungo periodo persino il campione della reazione anti-conciliare aveva ritenuto giusto seguire le indicazioni di riforma della liturgia venute dalla SC, che egli d’altronde aveva firmato, e dall’Istruzione Inter ecumenici: evidentemente non considerava un sacrilegio aggiornare i riti della messa. Forse egli era consapevole più e meglio di coloro che pure si richiamano a lui, che “la Chiesa sa di essere libera da strettoie e pregiudizi, dall’incomprensione verso nuove mete e verso le necessità determinate dai tempi. Essa non diffida delle cose nuove, perché sono nuove; non rimane avvinta alle cose antiche perché sono antiche” (Discorso del Legato pontificio Eugenio Pacelli [poi Papa Pio XII] al Congresso Eucaristico internazionale di Budapest, maggio 1938).

In definitiva i tradizionalisti devono capire che “difendere oggi la Tradizione vera della Chiesa significa difendere il concilio […]. C’è una continuità che non permette né ritorni all’indietro, né fughe in avanti, né nostalgie anacronistiche, né impazienze ingiustificate. E’ all’oggi della Chiesa che dobbiamo restare fedeli, non allo ieri o al domani: e questo oggi della Chiesa sono i documenti del Vaticano II nella loro autenticità” (J. Ratzinger, Rapporto sulla fede – Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger, p. 29).

Inadeguatezza della tesi “progressista”

Se la prospettiva tradizionalista rischia di fare di quell’organismo vivente che è la liturgia una statua immobile, la prospettiva progressista rischia invece di lasciar morire il corpo vivente cresciuto nei secoli, per creare un nuovo essere artificiale, frutto delle sperimentazioni di laboratorio: con un’espressione un po’ ardita potremmo dire che il progressismo liturgico è “l’eugenetica” del culto divino.

Le radici di questo processo sono lontane, e affondano nell’humus di una distorta interpretazione del concilio stesso: infatti al concilio “vero”, quello dei documenti e della riforma autentica della Chiesa, “già durante le sedute e poi via via sempre di più nel periodo successivo si contrappose un sedicente ‘spirito del concilio’ che in realtà ne è un vero ‘anti-spirito’. Secondo questo pernicioso anti-spirito […] tutto ciò che è nuovo (o presunto tale: quante antiche eresie sono riapparse in questi anni, presentate come novità!) sarebbe sempre e comunque migliore di ciò che c’è stato o c’è. E’ l’anti-spirito secondo il quale la storia della Chiesa sarebbe da far cominciare dal Vaticano II, visto come una specie di punto zero […] Bisogna decisamente opporsi a questo schematismo di un prima e di un dopo nella storia della Chiesa, del tutto ingiustificato dagli stessi documenti del Vaticano II che non fanno che riaffermare la continuità del cattolicesimo” ( J. Ratzinger, Rapporto sulla fede…, p. 33).

Questo ‘anti-spirito’ si è manifestato in tutta la sua virulenza proprio nella liturgia, che secondo la concezione progressista deve costituire l’icona del nuovo inizio della Chiesa nel post-concilio.

Ma anche questi entusiastici propugnatori di una riforma liturgica che volta pagina rispetto alla tradizione, hanno dovuto già da qualche tempo constatare con preoccupazione che essa si mostra non del tutto soddisfacente. Naturalmente costoro, al contrario dei tradizionalisti, sostengono incondizionatamente la bontà delle premesse, ma riconoscono l’inadeguatezza dell’effetto. Di fronte a questo problema, la gran parte del mondo progressista si appella ad una sostanziale incompiutezza della riforma, cioè ad una non ancora radicale applicazione dei suoi principi. In altre parole, se per i tradizionalisti, nella liturgia qualunque cambiamento è eccessivo, per i progressisti qualunque cambiamento è insufficiente.

Prendiamo ad esempio la già citata collana “Anàmnesis”. In quest’opera si respira l’entusiasmo per lo stile e i testi della nuova liturgia e nello stesso tempo per un certo disagio per l’insufficienza dei progressi che in essa ci si attendeva. Nel primo volume della serie, al capitolo conclusivo, in cui si tratta della problematica attuale e delle prospettive per il futuro, si legge: “La maggiore partecipazione, cosciente e attiva, alla celebrazione […] portò i cristiani a scoprire il carattere per certi aspetti ancora un po’ superficiale della riforma finora intrapresa. La maggiore preparazione liturgica e la partecipazione attiva e responsabile mostrarono che il rinnovamento e l’adattamento proposti erano meno radicali di quanto sembrassero a prima vista: i problemi di fondo si rivelano ora con più chiarezza. Di qui la disillusione e il disinteresse che sembrano diffondersi oggi in molti ambienti cristiani riguardo alla riforma liturgica” (Anàmnesis, volume 1, pp. 203-204).

C’è dunque da registrare uno stato di malessere poiché non si riscontrano per quantità e qualità tutti i frutti che ci si aspettava dalla riforma. Quale, allora, il rimedio che viene proposto? Una ulteriore radicalizzazione degli elementi di innovazione! (Cf. Anàmnesis, volume 1, pp. 204-205).

Secondo costoro la riforma non è insoddisfacente, ma piuttosto incompiuta: nella sua fase attuale rischia di “non dare di per sé molto più che paludamenti moderni per ricoprire una struttura mentale ancora anacronistica, sfasata rispetto alla cultura contemporanea” (Anàmnesis, volume 1, pp. 204); occorre, dunque, portarla alle sue estreme conseguenze: occorre, ad esempio, sviluppare il pluralismo liturgico, inteso come “atto di fiducia nella coscienza e nel senso di responsabilità dei diversi gruppi cristiani, un atto di fiducia nella loro immaginazione e creatività, e soprattutto nel loro carattere profetico [sic!]; occorre ridimensionare ulteriormente le regole valide per tutti e potenziare le possibilità di adattamento alle esigenze concrete dei vari luoghi; occorre lasciare campo libero ad un’autentica capacità di espressione e di creatività delle diverse comunità, decentralizzando al massimo l’autorità di intervento sulle norme liturgiche; occorre in definitiva preparare il terreno affinché un giorno a tutti venga riconosciuto il diritto di dar libera espressione alla propria immaginazione e creatività, affinché umilmente e con lucidità critica – senza necessariamente distruggere le attuali strutture [sic!] – ricerchino e inventino nuovi segni e nuovi riti” (Anàmnesis, volume 1, pp. 204-207).

Leggendo queste righe che ben rispecchiano l’ottica con cui ancora da parte di tanti si pensa la liturgia, c’è seriamente da temere che la medicina proposta sia in realtà la patologia da cui guarire.

Al contrario J. Ratzinger così ricorda il momento dell’entrata in vigore dei nuovi libri liturgici: “Il fatto che dopo un periodo di tempo di sperimentazione che spesso avevano profondamente sfigurato la liturgia, si tornasse ad avere un testo liturgico vincolante era da salutare come qualcosa di sicuramente positivo” (J. Ratzinger, La mia vita, p. 113). E ancora: “Dobbiamo tutti tornare ad avere ben presente che l’Eucaristia non è a disposizione del prete e neppure della singola comunità, ma che è un dono di Dio alla Chiesa intera e che essa mantiene la sua grandezza solo se la riceviamo in questa sua non arbitrarietà. Tutti i primi successi parziali che possono essere raggiunti se, invece che a questa convinzione, ci affidiamo solo alla nostra fantasia, alla fin fine sono solo fumo e apparenza, dal momento che vengono a nascondere il fatto che nella vera Eucaristia della Chiesa accade molto più di quello che noi stessi possiamo volta per volta inventarci” (J. Ratzinger, Il Dio vicino, p. 65).

La verità di queste affermazioni è teologica e liturgica. Anzitutto la celebrazione, come già abbiamo detto, è atto latreutico e salvifico del Corpo mistico di Cristo, che si realizza in una comunità ecclesiale concreta, ma la supera ed è più grande di lei, per questo vivendo la liturgia, la comunità cristiana deve sentirsi sì protagonista, ma ancora più parte di una realtà più grande. Dunque vive da protagonista una liturgia che non è anzitutto sua, ma della Chiesa intera, e quindi la vive in sintonia interna ed esterna con tutte le altre comunità.

In secondo luogo, assolutizzare il principio della creatività e dalla adattabilità della liturgia significa di fatto rischiare di trovarsi a rincorrere i linguaggi e le mode del proprio tempo. Infatti una liturgia che relativizza il valore di continuità con il passato non può che assumere come nuovo criterio la conformazione ai gusti e alle esigenze del presente, gusti ed esigenze sempre in evoluzione, che tendono a piegare la liturgia, e quindi la fede, alla mentalità corrente.

Postille al testo

Non c’è dubbio che il volume di C. Crecismanno ha un suo interesse. Sulle pagine qui riprodotte, noto però quanto segue:

L’Autore radicalizza due posizioni (quella tradizionalista e quella progressista) che, nella realtà, sono molto più complesse e variegate.

Per quanto riguarda la posizione dei “progressisti”, si prende come testo paradigmatico, uno studio pubblicato nel 1o volume di Anàmnesis. Noto che il volume in questione è del 1974, i cui testi sono stati consegnati all’editore due anni prima. L’Autore dello studio, il cui titolo è “La liturgia e le sue leggi”, è R. Civil, un canonista – non un liturgista – che non ha mai formato parte del corpo docente del Pontificio Istituto Liturgico di Sant’Anselmo. Il Civil, dinanzi alle prime reazioni di rifiuto del Messale di Paolo VI e di disincanto della riforma, afferma che il canonista “se veramente crede che la missione del diritto è di assicurare una istituzione che favorisca lo sviluppo della vita di fede tra i cristiani concreti di un’epoca ben precisa”, deve avanzare qualche proposta (p. 205). E’ in questo contesto che egli avanza le “ardite” proposte incriminate. Poi, il nostro canonista conclude il suo intervento con queste parole: “quanto qui suggerito non può non essere seguito da un interrogativo che sempre si accompagna a ogni misura presa in un tempo di crisi, di trasformazione, di incertezza” (p. 207). Non si può quindi presentare l’opinione di questo canonista come rappresentativa delle opinioni dei liturgisti cosiddetti “progressisti”. Il testo, inoltre, è datato! Dal 1972 ad oggi sono trascorsi 37 anni!

Per quanto riguarda, poi, il volume di don Claudio Crescimanno nel suo insieme e, in particolare, le sue proposte per una nuova riforma della messa, noto che sarebbe più opportuno rifarsi al magistero di Benedetto XVI. Le opinioni del teologo Card. J. Ratzinger dovrebbero essere confrontate con altre opinioni. Il nostro Autore fa sua la tesi secondo cui la riforma del dopo Vaticano II è stata elaborata a tavolino. La proposta che egli fa nel suo volume mi sa tanto di proposta non solo fatta a tavolino, ma anche con pochi libri in mano.

Matias Augé

fonte:http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it