sábado, 13 de julho de 2013

S. Alfonso Maria de Liguori, Del sacrificio di Gesù Cristo

Testo



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1. Quest'aggiunta del Sacrificio di Gesù Cristo confesso averla tratta ed epilogata da un'opera di un dotto autor francese.1 L'opera è alquanto piena e distesa; e perché può ella giovare non solo a' sacerdoti che celebrano la Messa, ma anche ad ognuno che vi assiste, perciò ho procurato di darne al pubblico





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il seguente ristretto. Si è detto del Sacrificio di Gesù Cristo, perché quantunque da noi si distingue con diversi nomi, il sacrificio della croce dal sacrificio dell'altare, non di meno in sostanza è lo stesso, poiché la stessa è la vittima, e lo stesso è il sacerdote, che un giorno sagrificò se stesso nella croce, e solamente la ragion di offerire è diversa; sicché il sacrificio dell'altare è una continuazione o sia innovazione di quello della croce, solo nel modo di offerire diverso.2


2. Di questo sacrificio del nostro Redentore furono già figure tutti i sacrifici dell'antica legge, quali erano di quattro sorte: pacifici, eucaristici, espiatori ed impetratori. I sacrifici pacifici furono istituiti a rendere a Dio l'onore dovuto di adorazione come supremo Signore del tutto, e di tal sorta già erano gli olocausti. -Gli eucaristici erano diretti a ringraziare il Signore di tutti i benefici a noi concessi. -Gli espiatori furono ordinati ad impetrare il perdono de' peccati. Questa sorta di sacrifici era poi specialmente figurata nella festa dell'espiazione, colla figura del capro emissario, che veniva scacciato dal campo alla foresta, come carico di tutti i peccati degli ebrei, per esser colà divorato dalle fiere; e questo sacrificio fu una figura più espressa del sacrificio della croce, dove Gesù Cristo fu caricato di tutti i peccati degli uomini, come predisse Isaia: Et posuit Dominus in eo iniquitates omnium nostrum (Is. LIII, 6). E fu scacciato vituperosamente fuori di Gerusalemme, onde scrisse l'Apostolo: Exeamus igitur ad





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eum extra castra, improperium eius portantes
(Hebr. XIII, 13). E poi fu abbandonato alle fiere, si intende a' Gentili, che lo crocifissero. -Finalmente i sacrifici impetratori erano ordinati affin di ottenere da Dio gli aiuti e le sue grazie.


3. Or tutti questi sacrifici non ebbero più luogo nella venuta del Redentore, poiché il solo sacrificio di Gesù Cristo, che fu perfetto, a differenza degli antichi ch'erano tutti imperfetti, bastò a soddisfare per tutti i peccati e ad impetrare agli uomini tutte le grazie. Quindi entrando egli nel mondo, disse: Hostiam et oblationes noluisti, corpus autem aptasti mihi. Holocautomata pro peccato non tibi placuerunt. Tunc dixi: Ecce venio: in capite libri scriptum est de me: ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Hebr. X, 5 ad 8). E così noi con offerire a Dio il sacrificio di Gesù Cristo veniamo a compire tutti i nostri doveri, ed a riparare a tutti i nostri bisogni; e così insieme veniamo a conservare un santo commercio fra noi e Dio.


4. In oltre bisogna intendere che nell'antica legge a rispetto della vittima che dovea essere offerta a Dio, richiedevansi cinque condizioni, per le quali ella rendeasi degna di Dio; e queste erano la santificazione, l'oblazione, l'immolazione, la consumazione e la participazione.


Per I. La vittima dovea esser santificata, o sia consagrata a Dio, affinché non gli fosse offerta una cosa non santa, e perciò indegna della sua divina maestà. Pertanto l'animale destinato per vittima doveva essere esente da ogni macchia o difetto, sicché non fosse né cieco, né zoppo, né debole, né deforme, come tutto stava prescritto nel Deuteronomio (Cap. XV, n. 21). E con ciò fu dinotato in primo luogo che tale sarebbe stato l'agnello divino di Dio promesso, che doveva esser sacrificato per la salute del mondo, santo e libero da ogni difetto. In secondo luogo con tal precetto fummo noi ammaestrati che le nostre orazioni o altre opere sante, non sono degne di essere offerte a Dio, o che non sono almeno pienamente da lui gradite, se sono macchiate da qualche difetto. In oltre l'animale offerto al Signore non poteva essere applicato più a qualche uso profano; ed era quello talmente riguardato come cosa a Dio consacrata, che non potea toccarlo altri che il solo sacerdote della legge. Il che dinota quanto dispiace a Dio che le persone a lui consacrate sieno senza necessità precisa applicate





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a negozi del secolo, e perciò vivono poi distratti e negligenti negli affari di gloria di Dio.


5. Per II. La vittima doveva essere offerta a Dio; il che faceasi con alcune parole da Dio stesso prescritte.


Per III. Doveva la vittima esser immolala o sia uccisa; ma questa immolazione non si faceva in tutti i sacrifici colla morte; per esempio il sacrificio de' pani di proposizione si facea senza fuoco e senza ferro, ma solo col calore dello stomaco delle persone che ne mangiavano.


6. Per IV. Dovea la vittima esser consumata, il che faceasi col fuoco; e perciò questo sacrificio chiamavasi infiammazione. Precisamente il sacrificio dell'olocausto si facea sempre col fuoco, poiché con quella consumazione della vittima si dava ad intendere il potere assoluto che ha Dio sovra tutte le creature; e che siccome egli le ha tratte dal niente, così può di nuovo al niente ridurle. E questo in verità è l'intento principale del sacrificio, di riguardare Dio come un essere sovrano, talmente superiore ad ogni cosa, che tutte le cose davanti a lui sono un nulla; poiché ogni cosa è inutile a colui che in se stesso possiede il tutto. Il fumo poi che saliva diritto in alto da questo sacrificio dinotava che Dio lo accettava in odore di soavità, cioè con gradimento, come sta scritto del sacrificio di Noè; Noe... obtulit holocausta super altare, odoratusque est Dominus odorem suavitatis (Gen. VIII, [20], 21).


7. Per V. Tutto il popolo anticamente insieme col sacerdote dovea partecipar della vittima; e perciò, eccettuato quello dell'olocausto, negli altri sacrifici la vittima si divideva in tre parti, una al sacerdote, l'altra al popolo, la terza si dava al fuoco, come porzione spettante a Dio, per la quale figuravasi ch'egli in tal modo comunicava con tutti gli altri che partecipavano della vittima. Tutte queste cinque mentovate condizioni ben si adempivano nel sacrificio dell'agnello pasquale, a riguardo del quale il Signore ordinò a Mosè nell'Esodo (al cap. 12) che nel decimo giorno della luna di quel mese, in cui aveva egli liberati gli ebrei dalla schiavitù di Egitto, prendessero e separassero dalla greggia un agnello di un anno, che fosse senza difetto e senza macchia. E questa separazione significava per 1, che quella vittima restava consacrata a Dio. Per 2, a questa consagrazione succedeva l'oblazione che si facea nel tempio, dove gli si presentava l'agnello. Per 3, nel giorno 14





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poi della luna succedea l'immolazione con uccidersi l'agnello. Per 4, l'agnello si arrostiva, e poi si divideva tra i partecipanti, e questa era la partecipazione o sia comunione. Per 5, dopo che l'agnello era stato mangiato da' partecipanti, gli avanzi si consumavano nello stesso fuoco, e questa era finalmente la consumazione del sacrificio.











Grandeza do Santo Sacrifício da Missa Santo Afonso Maria de Ligório

 


1) Na Santa Missa é Jesus Cristo a vítima

O Concílio de Trento diz da Santa Missa (Ceci. 22): Devemos reconhecer que nenhum outro ato pode ser praticado pelos fiéis que seja tão santo como a celebração deste tremendo mistério. O próprio Deus todo­ poderoso não pode fazer que exista uma ação mais sublime e santa do que o sacrifício da Missa. Este sacrifício de nossos altares ultrapassa imensamente todos os sacrifícios do Antigo Testamento, pois que já não são bois e cordeiros que são sacrificados, mas é o próprio Filho de Deus que se oferece em sacrifício. “O judeu tinha o animal para o sacrifício, o cristão tem Cristo”, escreve o venerável Pedro de Clugny; “seu sacrifício é, pois, tanto mais precioso quanto mais acima de todos os sacrifícios dos judeus está em Jesus Cristo”. E acrescenta que, para os servos (isto é, para os judeus, no Antigo Testamento), não convinham outros animais senão aqueles que eram destinados ao serviço do homem; para os amigos e filhos foi Jesus Cristo reservado “como cordeiro que nos livra do pecado e da morte eterna” (Ep. Cont. Petrobr.). Tem, portanto, razão S. Lourenço Justiniano ao dizer que não há sacrifício maior, mais portentoso e mais agradável a Deus do que o santo sacrifício da Missa (Sermo de Euch.).

S. João Crisóstomo diz que durante a Santa Missa o altar está circundado de anjos que aí se reúnem para adorar a Jesus Cristo, que, nesse sacrifício sublime, é oferecido ao Pai celeste (De sac., 1.6). Que cristão poderá duvidar, escreve S. Gregório (Dial. 4, c. 58), que os céus se abram à voz do sacerdote, durante esse santo sacrifício, e que coros de anjos assistam a esse sublime mistério de Jesus Cristo. S. Agostinho chega até a dizer que os anjos se colocam ao lado do sacerdote para servi-lo como ajudantes.2).


2) Na Santa Missa é Jesus Cristo o oferente principal

O Concílio de Trento (Ceci. 22, c.2) ensina-nos também que neste sacrifício do corpo e sangue de Jesus Cristo é o próprio Salvador que oferece em primeiro lugar esse sacrifício, mas que o faz pelas mãos do sacerdote que ele escolheu para seu ministro e representante. Já antes dissera S. Cipriano: “O sacerdote exerce realmente o oficio de Jesus Cristo” (Ep. 62). Por isso o sacerdote diz, na elevação: “Isto é o meu corpo; este é o cálice de meu sangue”.

Belarmino (De Euch. 1.6, c. 4) escreve que o santo sacrifício da Missa é oferecido por Jesus Cristo, pela Igreja e pelo sacerdote; não, porém, do mesmo modo por todos: Jesus Cristo oferece como o sacerdote principal, ou como o oferente próprio, mas por intermédio de um homem, que é ao mesmo tempo sacerdote e ministro de Cristo; a Igreja não oferece como sacerdotisa, por meio de seu ministro, mas como povo, por intermédio do sacerdote; o sacerdote, finalmente, oferece como ministro de Jesus Cristo e como medianeiro de todo o povo.

Jesus Cristo, contudo, é sempre o sacerdote principal na Santa Missa, em que ele se oferece continuamente e sob as espécies de pão e de vinho por intermédio dos sacerdotes, seus ministros, que representam a pessoa de Jesus Cristo, quando celebram os santos mistérios.
Por isso diz o Quarto Concílio de Latrão (Cap. Firmatur, de Sum. Trinit.) que Jesus Cristo é ao mesmo tempo o sacerdote e o sacrifício. De fato, convém à dignidade deste sacrifício que ele não seja oferecido, em primeiro lugar, por homens pecadores, mas por um sumo sacerdote que não esteja sujeito ao pecado, mas que seja santo, inocente, imaculado, separado dos pecadores e mais elevado que os céus (Heb. 7, 20).

3) A Santa Missa é uma representação e renovação do sacrifício da cruz

Segundo S. Tomás (Off. Ss. Sac., 1.4), o Salvador nos deixou o SS. Sacramento para conservar viva entre nós a lembrança dos bens que nos adquiriu e do amor que nos testemunhou com sua morte. Por isso o mesmo Doutor chama a Sagrada Eucaristia “um manancial perene da paixão”.

Ao assistires, pois, à Santa Missa, pondera que a hóstia que o sacerdote oferece é o próprio Salvador que por ti sacrificou seu sangue e sua vida. Entretanto, a Santa Missa não é somente uma representação do sacrifício da cruz, “ mas também uma renovação do mesmo sacrifício, porque em ambos é o mesmo sacerdote e a mesma vítima, a saber, o Filho de Deus Humanado. Só no modo de oferecer há uma diferença: o sacrifício da cruz foi oferecido com derramamento de sangue; o sacrifício da Missa é incruento; na cruz, Jesus morreu realmente; aqui, morre só misticamente (Conc. Trid., Sess. 22, c. 2).

Representa-te, durante a Santa Missa, te achares no monte Calvário, para ofereceres a Deus o sangue e a vida de seu adorável Filho, e, ao receberes a santa comunhão, representa-­te beberes seu precioso sangue das chagas do Salvador. Pondera também que em cada Missa se renova a obra da redenção, de maneira que, se Jesus Cristo não tivesse morrido na cruz, o mundo receberia, com a celebração de uma só Missa, os mesmos benefícios que a morte do Salvador lhe trouxe. Cada Missa que é celebrada encerra em si todos os grandes bens que a morte na cruz nos trouxe, diz S. Tomás (In Jo 6, lect. 6). Pelo sacrifício do altar nos é aplicado o sacrifício da cruz. A paixão de Jesus Cristo nos habilitou à redenção; a Santa Missa faz-nos entrar na posse dela e comunica-nos os merecimentos de Jesus Cristo.

13 de Julho de 1917 , 3ª Aparição de Nossa Senhora


13 de Julho de 1917


3ª Aparição de Nossa Senhora

Momentos depois de termos che­gado à Cova de Iria, junto da carrasqueira, entre numerosa multi­dão de povo, estando a rezar o terço, vimos o reflexo da costu­mada luz e, em seguida, Nossa Senhora sobre a carrasqueira.
- Vossemecê que me quer? - perguntei.
- Quero que venham aqui no dia 13 do mês que vem, que continuem a rezar o terço todos os dias, em honra de Nossa Se­nhora do Rosário, para obter a paz do mundo e o fim da guerra, porque só Ela lhes poderá valer.
- Queria pedir-Lhe para nos dizer Quem é, para fazer um milagre com que todos acreditem que Vossemecê nos aparece.
- Continuem a vir aqui todos os meses. Em Outubro direi Quem sou, o que quero e farei um milagre que todos hão-de ver, para acreditar.
Aqui, fiz alguns pedidos que não recordo bem quais foram. O que me lembro é que Nossa Senhora disse que era preciso rezarem o terço para alcançarem as graças durante o ano. E continuou:
- Sacrificai-vos pêlos pecadores e dizei muitas vezes, em especial sempre que fizerdes algum sacrifício: Ó Jesus, é por Vosso amor, pela conversão dos pecadores e em reparação pê­los pecados cometidos contra o Imaculado Coração de Maria.
Ao dizer estas últimas palavras, abriu de novo as mãos, como nos dois meses passados.
O reflexo pareceu penetrar a terra e vimos como que um mar de fogo. Mergulhados em esse fogo, os demónios e as almas, como se fossem brasas transparentes e negras ou bronzeadas, com forma humana, que flutuavam no incêndio, levadas pelas chamas que delas mesmas saíam juntamente com nuvens de fumo, caindo para todos os lados, semelhante ao cair das faúlhas em os grandes (incêndios), sem peso nem equilíbrio, entre gritos e gemidos de dor e desespero que horrorizava e fazia estremecer de pavor (deveu ser ao deparar-me com esta vista que dei esse ai! que dizem ter-me ouvido). Os demónios distinguiam-se por formas horríveis e asquerosas de animais espantosos e desco­nhecidos, mas transparentes como negros carvões em brasa. As­sustados e como que a pedir socorro, levantámos a vista para Nossa Senhora que nos disse, com bondade e tristeza:
- Vistes o inferno, para onde vão as almas dos pobres peca­dores; para as salvar, Deus quer estabelecer no mundo a devo­ção a Meu Imaculado Coração. Se fizerem o que Eu vos disser, salvar-se-ão muitas almas e terão paz. A guerra vai acabar. Mas, se não deixarem de ofender a Deus, no reinado de Pio XI come­çará outra pior. Quando virdes uma noite alumiada por uma luz desconhecida, sabei que é o grande sinal que Deus vos dá de que vai a punir o mundo de seus crimes, por meio da guerra, da fome e de perseguições à Igreja e ao Santo Padre.
Para a impedir, virei pedir a consagração da Rússia a Meu Imaculado Coração e a Comunhão reparadora nos primeiros sá­bados. Se atenderem a Meus pedidos, a Rússia se converterá e terão paz; se não, espalhará seus erros pelo mundo, promoven­do guerras e perseguições à Igreja. Os bons serão martirizados, o Santo Padre terá muito que sofrer, várias nações serão aniquila­das. Por fim, o Meu Imaculado Coração triunfará. O Santo Padre consagrar-Me-á a Rússia que se converterá e será concedido ao mundo algum tempo de paz. Em Portugal se conservará sem­pre o dogma da Fé, etc. Isto não o digais a ninguém. Ao Francis­co, sim, podeis dizê-lo.
Quando rezais o terço, dizei, depois de cada mistério: Ó meu Jesus, perdoai-nos, livrai-nos do fogo do inferno; levai as alminhas todas para o Céu, principalmente aquelas que mais precisarem.
Seguiu-se um instante de silêncio e perguntei:
- Vossemecê não me quer mais nada?
- Não. Hoje não te quero mais nada. E, como de costume, começou a elevar-se em direcção ao nascente até desaparecer na imensa distância do firmamento.

In, Memórias da Irmã Lúcia
 

 

LUMEN FIDEI DO SUMO PONTÍFICE FRANCISCO: ACREDITÁMOS NO AMOR

CARTA ENCÍCLICA
LUMEN FIDEI
DO SUMO PONTÍFICE
FRANCISCOAOS BISPOS
AOS PRESBÍTEROS E AOS DIÁCONOS
ÀS PESSOAS CONSAGRADAS
E A TODOS OS FIÉIS LEIGOS
SOBRE A FÉ
 
 
CAPÍTULO I

ACREDITÁMOS NO AMOR(cf. 1 Jo 4, 16)

Abraão, nosso pai na fé

8. A fé desvenda-nos o caminho e acompanha os nossos passos na história. Por isso, se quisermos compreender o que é a fé, temos de explanar o seu percurso, o caminho dos homens crentes, com os primeiros testemunhos já no Antigo Testamento. Um posto singular ocupa Abraão, nosso pai na fé. Na sua vida, acontece um facto impressionante: Deus dirige-lhe a Palavra, revela-Se como um Deus que fala e o chama por nome. A fé está ligada à escuta. Abraão não vê Deus, mas ouve a sua voz. Deste modo, a fé assume um carácter pessoal: o Senhor não é o Deus de um lugar, nem mesmo o Deus vinculado a um tempo sagrado específico, mas o Deus de uma pessoa, concretamente o Deus de Abraão, Isaac e Jacob, capaz de entrar em contacto com o homem e estabelecer com ele uma aliança. A fé é a resposta a uma Palavra que interpela pessoalmente, a um Tu que nos chama por nome.
9. Esta Palavra comunica a Abraão uma chamada e uma promessa. Contém, antes de tudo, uma chamada a sair da própria terra, convite a abrir-se a uma vida nova, início de um êxodo que o encaminha para um futuro inesperado. A perspectiva, que a fé vai proporcionar a Abraão, estará sempre ligada com este passo em frente que ele deve realizar: a fé « vê » na medida em que caminha, em que entra no espaço aberto pela Palavra de Deus. Mas tal Palavra contém ainda uma promessa: a tua descendência será numerosa, serás pai de um grande povo (cf. Gn 13, 16; 15, 5; 22, 17). É verdade que a fé de Abraão, enquanto resposta a uma Palavra que a precede, será sempre um acto de memória; contudo esta memória não o fixa no passado, porque, sendo memória de uma promessa, se torna capaz de abrir ao futuro, de iluminar os passos ao longo do caminho. Assim se vê como a fé, enquanto memória do futuro, está intimamente ligada com a esperança.

10. A Abraão pede-se para se confiar a esta Palavra. A fé compreende que a palavra — uma realidade aparentemente efémera e passageira —, quando é pronunciada pelo Deus fiel, torna-se no que de mais seguro e inabalável possa haver, possibilitando a continuidade do nosso caminho no tempo. A fé acolhe esta Palavra como rocha segura, sobre a qual se pode construir com alicerces firmes. Por isso, na Bíblia hebraica, a fé é indicada pela palavra ‘emûnah, que deriva do verbo ‘amàn, cuja raiz significa « sustentar ». O termo ‘emûnah tanto pode significar a fidelidade de Deus como a fé do homem. O homem fiel recebe a sua força do confiar-se nas mãos do Deus fiel. Jogando com dois significados da palavra — presentes tanto no termo grego pistós como no correspondente latino fidelis –, São Cirilo de Jerusalém exaltará a dignidade do cristão, que recebe o mesmo nome de Deus: ambos são chamados « fiéis ».[8] E Santo Agostinho explica-o assim: « O homem fiel é aquele que crê no Deus que promete; o Deus fiel é aquele que concede o que prometeu ao homem ».[9]

11. Há ainda um aspecto da história de Abraão que é importante para se compreender a sua fé. A Palavra de Deus, embora traga consigo novidade e surpresa, não é de forma alguma alheia à experiência do Patriarca. Na voz que se lhe dirige, Abraão reconhece um apelo profundo, desde sempre inscrito no mais íntimo do seu ser. Deus associa a sua promessa com aquele « ponto » onde desde sempre a existência do homem se mostra promissora, ou seja, a paternidade, a geração duma nova vida: « Sara, tua mulher, dar-te-á um filho, a quem hás-de chamar Isaac » (Gn 17, 19). O mesmo Deus que pede a Abraão para se confiar totalmente a Ele, revela-Se como a fonte donde provém toda a vida. Desta forma, a fé une-se com a Paternidade de Deus, da qual brota a criação: o Deus que chama Abraão é o Deus criador, aquele que « chama à existência o que não existe » (Rm 4, 17), aquele que, « antes da fundação do mundo, (...) nos predestinou para sermos adoptados como seus filhos » (Ef 1, 4-5). No caso de Abraão, a fé em Deus ilumina as raízes mais profundas do seu ser: permite-lhe reconhecer a fonte de bondade que está na origem de todas as coisas, e confirmar que a sua vida não deriva do nada nem do acaso, mas de uma chamada e um amor pessoais. O Deus misterioso que o chamou não é um Deus estranho, mas a origem de tudo e que tudo sustenta. A grande prova da fé de Abraão, o sacrifício do filho Isaac, manifestará até que ponto este amor originador é capaz de garantir a vida mesmo para além da morte. A Palavra que foi capaz de suscitar um filho no seu corpo « já sem vida (…), como sem vida estava o seio » de Sara estéril (Rm 4, 19), também será capaz de garantir a promessa de um futuro para além de qualquer ameaça ou perigo (cf. Heb 11, 19; Rm 4, 21).

FONTE

12 e 13 de julho: Peregrinação aniversária é presidida pelo bispo de Tuy-Vigo, Espanha




D. Luis Quinteiro Fiuza, bispo de Tuy-Vigo, Espanha, que presidiu à peregrinação, exortou os cristãos a uma maior vivência em comunidade e em ambiente de colaboração, isto como resposta à “crise de valores, de sentido, de trabalho e de emprego” que a sociedade atualmente vive.

D. António Marto, bispo de Leiria-Fátima, nos momentos finais da Eucaristia, pediu uma oração pelo Papa Francisco, em especial pela sua viagem apostólica ao Brasil para participação na Jornada Mundial da Juventude, na próxima semana. [ Ver mais ]

fonte

sexta-feira, 12 de julho de 2013

CARTA ENCÍCLICA LUMEN FIDEI.PAPA FRANCISCO: " BENTO XVI já tinha quase concluído um primeiro esboço desta carta encíclica sobre a fé. Estou-lhe profundamente agradecido e, na fraternidade de Cristo, assumo o seu precioso trabalho, limitando-me a acrescentar ao texto qualquer nova contribuição. "

CARTA ENCÍCLICA
LUMEN FIDEI
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FRANCISCOAOS BISPOS
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SOBRE A FÉ



1. A luz da fé é a expressão com que a tradição da Igreja designou o grande dom trazido por Jesus. Eis como Ele Se nos apresenta, no Evangelho de João: « Eu vim ao mundo como luz, para que todo o que crê em Mim não fique nas trevas » (Jo 12, 46). E São Paulo exprime-se nestes termos: « Porque o Deus que disse: "das trevas brilhe a luz", foi quem brilhou nos nossos corações » (2 Cor 4, 6). No mundo pagão, com fome de luz, tinha-se desenvolvido o culto do deus Sol, Sol invictus, invocado na sua aurora. Embora o sol renascesse cada dia, facilmente se percebia que era incapaz de irradiar a sua luz sobre toda a existência do homem. De facto, o sol não ilumina toda a realidade, sendo os seus raios incapazes de chegar até às sombras da morte, onde a vista humana se fecha para a sua luz. Aliás « nunca se viu ninguém — afirma o mártir São Justino — pronto a morrer pela sua fé no sol ».[1] Conscientes do amplo horizonte que a fé lhes abria, os cristãos chamaram a Cristo o verdadeiro Sol, « cujos raios dão a vida ».[2] A Marta, em lágrimas pela morte do irmão Lázaro, Jesus diz-lhe: « Eu não te disse que, se acreditares, verás a glória de Deus? » (Jo 11, 40). Quem acredita, vê; vê com uma luz que ilumina todo o percurso da estrada, porque nos vem de Cristo ressuscitado, estrela da manhã que não tem ocaso.

Uma luz ilusória?

2. E contudo podemos ouvir a objecção que se levanta de muitos dos nossos contemporâneos, quando se lhes fala desta luz da fé. Nos tempos modernos, pensou-se que tal luz poderia ter sido suficiente para as sociedades antigas, mas não servia para os novos tempos, para o homem tornado adulto, orgulhoso da sua razão, desejoso de explorar de forma nova o futuro. Nesta perspectiva, a fé aparecia como uma luz ilusória, que impedia o homem de cultivar a ousadia do saber. O jovem Nietzsche convidava a irmã Elisabeth a arriscar, percorrendo vias novas (…), na incerteza de proceder de forma autónoma ». E acrescentava: « Neste ponto, separam-se os caminhos da humanidade: se queres alcançar a paz da alma e a felicidade, contenta-te com a fé; mas, se queres ser uma discípula da verdade, então investiga ».[3] O crer opor-se-ia ao indagar. Partindo daqui, Nietzsche desenvolverá a sua crítica ao cristianismo por ter diminuído o alcance da existência humana, espoliando a vida de novidade e aventura. Neste caso, a fé seria uma espécie de ilusão de luz, que impede o nosso caminho de homens livres rumo ao amanhã.
3. Por este caminho, a fé acabou por ser associada com a escuridão. E, a fim de conviver com a luz da razão, pensou-se na possibilidade de a conservar, de lhe encontrar um espaço: o espaço para a fé abria-se onde a razão não podia iluminar, onde o homem já não podia ter certezas. Deste modo, a fé foi entendida como um salto no vazio, que fazemos por falta de luz e impelidos por um sentimento cego, ou como uma luz subjectiva, talvez capaz de aquecer o coração e consolar pessoalmente, mas impossível de ser proposta aos outros como luz objectiva e comum para iluminar o caminho. Entretanto, pouco a pouco, foi-se vendo que a luz da razão autónoma não consegue iluminar suficientemente o futuro; este, no fim de contas, permanece na sua obscuridade e deixa o homem no temor do desconhecido. E, assim, o homem renunciou à busca de uma luz grande, de uma verdade grande, para se contentar com pequenas luzes que iluminam por breves instantes, mas são incapazes de desvendar a estrada. Quando falta a luz, tudo se torna confuso: é impossível distinguir o bem do mal, diferenciar a estrada que conduz à meta daquela que nos faz girar repetidamente em círculo, sem direcção.

Uma luz a redescobrir

4. Por isso, urge recuperar o carácter de luz que é próprio da fé, pois, quando a sua chama se apaga, todas as outras luzes acabam também por perder o seu vigor. De facto, a luz da fé possui um carácter singular, sendo capaz de iluminar toda a existência do homem. Ora, para que uma luz seja tão poderosa, não pode dimanar de nós mesmos; tem de vir de uma fonte mais originária, deve porvir em última análise de Deus. A fé nasce no encontro com o Deus vivo, que nos chama e revela o seu amor: um amor que nos precede e sobre o qual podemos apoiar-nos para construir solidamente a vida. Transformados por este amor, recebemos olhos novos e experimentamos que há nele uma grande promessa de plenitude e se nos abre a visão do futuro. A fé, que recebemos de Deus como dom sobrenatural, aparece-nos como luz para a estrada orientando os nossos passos no tempo. Por um lado, provém do passado: é a luz duma memória basilar — a da vida de Jesus –, onde o seu amor se manifestou plenamente fiável, capaz de vencer a morte. Mas, por outro lado e ao mesmo tempo, dado que Cristo ressuscitou e nos atrai de além da morte, a fé é luz que vem do futuro, que descerra diante de nós horizontes grandes e nos leva a ultrapassar o nosso « eu » isolado abrindo-o à amplitude da comunhão. Deste modo, compreendemos que a fé não mora na escuridão, mas é uma luz para as nossas trevas. Dante, na Divina Comédia, depois de ter confessado diante de São Pedro a sua fé, descreve-a como uma « centelha / que se expande depois em viva chama / e, como estrela no céu, em mim cintila ». [4] É precisamente desta luz da fé que quero falar, desejando que cresça a fim de iluminar o presente até se tornar estrela que mostra os horizontes do nosso caminho, num tempo em que o homem vive particularmente carecido de luz.
5. Antes da sua paixão, o Senhor assegurava a Pedro: « Eu roguei por ti, para que a tua fé não desfaleça » (Lc 22, 32). Depois pediu-lhe para « confirmar os irmãos » na mesma fé. Consciente da tarefa confiada ao Sucessor de Pedro, Bento XVI quis proclamar este Ano da Fé, um tempo de graça que nos tem ajudado a sentir a grande alegria de crer, a reavivar a percepção da amplitude de horizontes que a fé descerra, para a confessar na sua unidade e integridade, fiéis à memória do Senhor, sustentados pela sua presença e pela acção do Espírito Santo. A convicção duma fé que faz grande e plena a vida, centrada em Cristo e na força da sua graça, animava a missão dos primeiros cristãos. Nas Actas dos Mártires, lemos este diálogo entre o prefeito romano Rústico e o cristão Hierax: « Onde estão os teus pais? » — perguntava o juiz ao mártir; este respondeu: « O nosso verdadeiro pai é Cristo, e nossa mãe a fé n’Ele ».[5] Para aqueles cristãos, a fé, enquanto encontro com o Deus vivo que Se manifestou em Cristo, era uma « mãe », porque os fazia vir à luz, gerava neles a vida divina, uma nova experiência, uma visão luminosa da existência, pela qual estavam prontos a dar testemunho público até ao fim.
6. O Ano da Fé teve início no cinquentenário da abertura do Concílio Vaticano II. Esta coincidência permite-nos ver que o mesmo foi um Concílio sobre a fé,[6] por nos ter convidado a repor, no centro da nossa vida eclesial e pessoal, o primado de Deus em Cristo. Na verdade, a Igreja nunca dá por descontada a fé, pois sabe que este dom de Deus deve ser nutrido e revigorado sem cessar para continuar a orientar o caminho dela. O Concílio Vaticano II fez brilhar a fé no âmbito da experiência humana, percorrendo assim os caminhos do homem contemporâneo. Desta forma, se viu como a fé enriquece a existência humana em todas as suas dimensões.
7. Estas considerações sobre a fé — em continuidade com tudo o que o magistério da Igreja pronunciou acerca desta virtude teologal [7] — pretendem juntar-se a tudo aquilo que Bento XVI escreveu nas cartas encíclicas sobre a caridade e a esperança. Ele já tinha quase concluído um primeiro esboço desta carta encíclica sobre a fé. Estou-lhe profundamente agradecido e, na fraternidade de Cristo, assumo o seu precioso trabalho, limitando-me a acrescentar ao texto qualquer nova contribuição. De facto, o Sucessor de Pedro, ontem, hoje e amanhã, sempre está chamado a « confirmar os irmãos » no tesouro incomensurável da fé que Deus dá a cada homem como luz para o seu caminho.

Na fé, dom de Deus e virtude sobrenatural por Ele infundida, reconhecemos que um grande Amor nos foi oferecido, que uma Palavra estupenda nos foi dirigida: acolhendo esta Palavra que é Jesus Cristo — Palavra encarnada –, o Espírito Santo transforma-nos, ilumina o caminho do futuro e faz crescer em nós as asas da esperança para o percorrermos com alegria. Fé, esperança e caridade constituem, numa interligação admirável, o dinamismo da vida cristã rumo à plena comunhão com Deus. Mas, como é este caminho que a fé desvenda diante de nós? Donde provém a sua luz, tão poderosa que permite iluminar o caminho duma vida bem sucedida e fecunda, cheia de fruto? LER...

FONTE

quinta-feira, 11 de julho de 2013

SUA SANTIDADE BENTO XVI: A FÉ é um gesto mediante o qual me confio livremente a um Deus que é Pai e que me ama; é adesão a um «Tu» que me dá esperança e confiança.

Alemão, Croata, Espanhol, Francês, Inglês, Italiano, Português 
 
SUA SANTIDADE BENTO XVI PAPA EMÉRITO
AUDIÊNCIA GERAL
Praça de São Pedro
Quarta-feira, 24 de Outubro de 2012
[Vídeo]



Queridos irmãos e irmãs,

Na quarta-feira passada, com o início do Ano da fé, dei início a uma nova série de catequeses sobre a fé. E hoje gostaria de meditar convosco sobre uma questão fundamental: o que é a fé? Ainda tem sentido a fé, num mundo em que ciência e técnica abriram horizontes até há pouco tempo impensáveis? O que significa crer hoje? Com efeito, no nosso tempo é necessária uma renovada educação para a fé, que inclua sem dúvida um conhecimento das suas verdades e dos acontecimentos da salvação, mas sobretudo que nasça de um encontro verdadeiro com Deus em Jesus Cristo, do amá-lo, do ter confiança nele, de modo que a vida inteira seja envolvida por Ele.

Hoje, juntamente com tantos sinais de bem, aumenta ao nosso redor um certo deserto espiritual. Às vezes tem-se como que a sensação, a partir de certos acontecimentos dos quais recebemos notícias todos os dias, que o mundo não caminha rumo à construção de uma comunidade mais fraterna e mais pacífica; as próprias ideias de progresso e de bem-estar mostram também as suas sombras. Não obstante a grandeza das descobertas da ciência e dos êxitos da técnica, hoje o homem não parece ter-se tornado verdadeiramente mais livre, mais humano; subsistem muitas formas de exploração, de manipulação, de violência, de prepotência, de injustiça... Além disso, um certo tipo de cultura educou a mover-se só no horizonte das coisas, do realizável, a acreditar unicamente naquilo que se vê e se toca com as próprias mãos. Mas por outro lado, aumenta também o número daqueles que se sentem desorientados e, na tentativa de ir além de uma visão apenas horizontal da realidade, estão dispostos a crer em tudo e no seu contrário. Neste contexto sobressaem algumas interrogações fundamentais, que são muito mais concretas do que parecem à primeira vista: que sentido tem viver? Há um futuro para o homem, para nós e para as novas gerações? Para que rumo orientar as opções da nossa liberdade, para um êxito bom e feliz da vida? O que nos espera além do limiar da morte?

Destas interrogações insuprimíveis sobressai que o mundo da planificação, do cálculo exacto e da experimentação, em síntese o saber da ciência, embora seja importante para a vida do homem, sozinho não é suficiente. Temos necessidade não só do pão material, mas precisamos de amor, de significado e de esperança, de um fundamento seguro, de um terreno sólido que nos ajude a viver com um sentido autêntico também na crise, nas obscuridades, nas dificuldades e nos problemas quotidianos. A fé oferece-nos precisamente isto: é um entregar-se confiante a um «Tu», que é Deus, o qual me confere uma certeza diversa, mas não menos sólida do que aquela que me deriva do cálculo exacto ou da ciência.

A fé não é simples assentimento intelectual do homem a verdades particulares sobre Deus; é um gesto mediante o qual me confio livremente a um Deus que é Pai e que me ama; é adesão a um «Tu» que me dá esperança e confiança. Sem dúvida, esta adesão a Deus não está isenta de conteúdos: com ela estamos conscientes de que o próprio Deus nos é indicado em Cristo, mostrou o seu rosto e fez-se realmente próximo de cada um de nós. Aliás, Deus revelou que o seu amor pelo homem, por cada um de nós, é incomensurável: na Cruz, Jesus de Nazaré, o Filho de Deus que se fez homem, mostra-nos do modo mais luminoso até que ponto chega este amor, até ao dom de si mesmo, até ao sacrifício total. Com o mistério da Morte e Ressurreição de Cristo, Deus desce até ao fundo na nossa humanidade, para lha restituir, para a elevar à sua altura. A fé é crer neste amor de Deus que não diminui diante da maldade do homem, perante o mal e a morte, mas é capaz de transformar todas as formas de escravidão, oferecendo a possibilidade da salvação. Então, ter fé é encontrar este «Tu», Deus, que me sustém e me faz a promessa de um amor indestrutível, que não só aspira à eternidade, mas também a concede; é confiar-me a Deus com a atitude da criança, a qual sabe bem que todas as suas dificuldades, todos os seus problemas estão salvaguardados no «tu» da mãe. E esta possibilidade de salvação através da fé é um dom que Deus oferece a todos os homens. Penso que deveríamos meditar mais frequentemente — na nossa vida quotidiana, caracterizada por problemas e situações por vezes dramáticas — sobre o facto de que crer cristãmente significa este abandonar-se com confiança ao sentido profundo que me sustém, a mim e ao mundo, àquele sentido que não somos capazes de nos darmos a nós mesmos, mas só de receber como dádiva, e que é o fundamento sobre o qual podemos viver sem temor. Temos que ser capazes de anunciar com a palavra e de mostrar com a nossa vida cristã esta certeza libertadora e tranquilizadora da fé.

Contudo, ao nosso redor vemos todos os dias que muitos permanecem indiferentes, ou rejeitam aceitar este anúncio. No final do Evangelho de Marcos, hoje temos palavras duras do Ressuscitado, que diz: «Quem crer e for baptizado será salvo, mas quem não crer será condenado» (Mc 16, 16), perder-se-á a si mesmo. Gostaria de vos convidar a meditar sobre isto. A confiança na acção do Espírito Santo deve impelir-nos sempre a ir e anunciar o Evangelho, ao testemunho corajoso da fé; mas para além da possibilidade de uma resposta positiva ao dom da fé há inclusive o risco da rejeição do Evangelho, do não-acolhimento do encontro vital com Cristo. Já santo Agostinho apresentava este problema num seu comentário à parábola do semeador: «Nós falamos — dizia — lançamos a semente, espalhamos a semente. Há aqueles que desprezam, aqueles que repreendem, aqueles que zombam. Se os tememos, não teremos mais nada para semear, e no dia da ceifa permaneceremos sem colheita. Por isso, venha a semente da terra boa» (Discursos sobre a disciplina cristã, 13, 14: pl 40, 677-678). Portanto, a rejeição não nos pode desencorajar. Como cristãos, somos testemunhas deste terreno fértil: apesar dos nossos limites, a nossa fé demonstra que existe a terra boa, onde a semente da Palavra de Deus produz frutos abundantes de justiça, de paz e de amor, de uma nova humanidade, de salvação. E toda a história da Igreja, com todos os problemas, demonstra também que existe a terra boa, que existe a semente boa, e dá fruto.

Mas perguntemo-nos: de onde haure o homem aquela abertura do coração e da mente, para acreditar no Deus que se tornou visível em Jesus Cristo, morto e ressuscitado, para acolher a sua salvação, de tal modo que Ele e o seu Evangelho sejam guia e luz da existência? Resposta: nós podemos crer em Deus, porque Ele se aproxima de nós e nos toca, porque o Espírito Santo, dom do Ressuscitado, nos torna capazes de acolher o Deus vivo. Então, a fé é antes de tudo uma dádiva sobrenatural, um dom de Deus. O Concílio Vaticano II afirma: «Para prestar esta adesão da fé, são necessários a prévia e concomitante ajuda da graça divina e os interiores auxílios do Espírito Santo, o qual move e converte a Deus o coração, abre os olhos do entendimento, e dá “a todos a suavidade em aceitar e crer na verdade”» (Constituição dogmática Dei Verbum, 5). Na base do nosso caminho de fé está o Baptismo, o sacramento que nos confere o Espírito Santo, tornando-nos filhos de Deus em Cristo, e marca a entrada na comunidade da fé, na Igreja: não cremos por nós mesmos, sem a prevenção da graça do Espírito; e não cremos sozinhos, mas juntamente com os irmãos. Do Baptismo em diante, cada crente é chamado a reviver e fazer sua esta profissão de fé, com os irmãos.

A fé é dom de Deus, mas é também acto profundamente livre e humano. O Catecismo da Igreja Católica afirma-o claramente: «O acto de fé só é possível pela graça e pelos auxílios interiores do Espírito Santo. Mas não é menos verdade que crer é um acto autenticamente humano. Não é contrário nem à liberdade nem à inteligência do homem» (n. 154). Aliás, envolve-as e exalta-as, numa aposta de vida que é como que um êxodo, ou seja um sair de nós mesmos, das nossas seguranças, dos nossos esquemas mentais, para nos confiarmos à acção de Deus que nos indica o seu caminho para alcançar a liberdade verdadeira, a nossa identidade humana, a alegria do coração, a paz com todos. Crer é confiar-se com toda a liberdade e com alegria ao desígnio providencial de Deus sobre a história, como fez o patriarca Abraão, como fez Maria de Nazaré. Então, a fé é um assentimento com que a nossa mente e o nosso coração dizem o seu «sim» a Deus, professando que Jesus é o Senhor. E este «sim» transforma a vida, abre-lhe o caminho rumo a uma plenitude de significado, tornando-a assim nova, rica de júbilo e de esperança confiável.

Caros amigos, o nosso tempo exige cristãos que tenham sido arrebatados por Cristo, que cresçam na fé graças à familiaridade com a Sagrada Escritura e com os Sacramentos. Pessoas que sejam quase um livro aberto que narra a experiência da vida nova no Espírito, a presença daquele Deus que nos sustém no caminho e nos abre para a vida que nunca mais terá fim. Obrigado!

SAUDAMOS A SUA SANTIDADE BENTO XVI NA FESTA DE S.BENTO DA NÚRSIA E REZAMOS TODOS OS DIAS POR SUA SANTIDADE




Pope Benedict XVI (C) is presented with a birthday cake on his 83rd
 birthday as he is flanked by Bishop Michael J. Bransfield (L) at the 
Vatican April 16, 2010.

Pope Benedict XVI is presented with a birthday cake by members of 
the Papal Foundation, an American Catholic fundraising organization for 
papal charities, during a private audience at the Vatican, Friday, April
 16, 2010. The Vatican doesn't officially celebrate popes' birthdays. 
But on Monday, the fifth anniversary of Benedict's election as pope, 
cardinals who live in Rome will offer him a luncheon in an ornate hall 
of the papal palace.
Pope Benedict XVI blesses the faithfuls during his meeting with the Diocese of Rome at the San Giovanni in Laterano Basilica in Rome, on June 13, 2011.

Pope Benedict XVI waves as he leaves after leading the holy mass of Pentecost Sunday in Saint Peter's Basilica at the Vatican June 12, 2011.











La "Santa Regola" di San BENEDETTO

LA SANTA REGULA
LA "SANTA REGOLA" DI SAN BENEDETTO

La "Santa Regola" di San BENEDETTO


 

terça-feira, 9 de julho de 2013

MARIA :Rivelerò i miei segreti più profondi, le mie speranze, gioie e dolori. Se le persone ascoltano con attenzione e accoglieranno i miei segreti nel loro cuore, esse percorreranno un sentiero dritto nel mio cuore e le terrò al sicuro.

1. Gli avvertimenti
2. Il sentiero di guerra
3. Armi di distruzione di massa
4. Obiettivi demoniaci
5. La proliferazione nucleare
6. Il volatile Medio Oriente
7. L’annientamento delle nazioni
8. I dolori della distruzione
9. Perdendo la speranza
10. Avvenimenti

1. Io rivelerò i più profondi segreti
2. Un percorso nel Cuore di Maria

10 giugno 2013

Maria

Quando appaio ai veggenti di tutto il mondo, io rivelo a loro molti segreti del mio cuore. In questo modo, io li lego a me stessa e faccio di loro i miei amici speciali. Essi devono essere fedeli a me, spesso in mezzo a grande persecuzione o incomprensioni. Col rivelare i segreti del mio cuore, io li attiro così vicino a me stessa che essi sono in grado di essermi fedeli, anche nelle prove che inevitabilmente arrivano.

Ora utilizzerò questo stesso metodo per attirare tutto il mondo vicino a me. Rivelerò i miei segreti più profondi, le mie speranze, gioie e dolori. Se le persone ascoltano con attenzione e accoglieranno i miei segreti nel loro cuore, esse percorreranno un sentiero dritto nel mio cuore e le terrò al sicuro.

3. Le emozioni di Maria
4. La Volontà di Dio
5. Alla ricerca di tutti
6. Totalmente di Maria
7. Le anime elette
8. Trovare il sentiero di Maria
11. Il Rosario

1. Il Calendario degli Eventi
2. Rivelare il Terzo Segreto

20 giugno 2013

Maria

Ho proclamato i segreti di Fatima, li ho rivelati così chiaramente ai bambini e li ho inscritti indelebilmente nella loro memoria. Parlo oggi di quello che viene chiamato il Terzo Segreto, rivelato il 13 luglio 1917 e obbedientemente registrato da Lucia per il suo vescovo. Questo segreto doveva essere pubblicato nel 1960, ma è stato tenuto nascosto e ancora, fino ad oggi, non è pienamente rivelato.

Che diritto ha la Chiesa di mettere da parte i miei comandi e tenere nascosti quei segreti che devono essere rivelati? Che diritto ha la mia Chiesa di interpretare erroneamente ciò che è stato rivelato, come se gli eventi fossero già stati adempiuti, quando in realtà essi si trovano nel futuro? Tutto questo deve avere fine. Fatima deve essere posta immediatamente sul candelabro e il primo passo di Papa Francesco dovrà essere quello di rivelare l’intero segreto e di riconoscere che questi sono gli eventi futuri. Sì, un futuro Papa sarà ucciso, ma ciò è solo una parte di ciò che rimane ancora da svelare.
 
3. Attesa per la Chiesa
4. Una piccola Voce
5. Solo il Papa
6. La Luce di Fatima
7. Il Sole di Fatima
8. Le benedizioni future

http://www.sanctusjoseph.com/locuzionialmondo/Terzo_Segreto.html

MARY: I promise you a new ocean, the ocean of Fatima blessings, which will constantly beat upon the shore, removing evil and giving hope, turning back the terrible gains of inequity and restoring religious life.

9. The Good Samaritan

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Mary
Mankind is helpless and wounded. Like the man who fell in among robbers, he lays by the wayside and so many pass him by, until someone stops and bows down to see his plight. At Fatima, I have come down because I saw the state of mankind. Now, the wounds have multiplied and the helplessness spreads everywhere, like a growing infection.
Fatima is my pledge and my promise. I will continually come down. I will come down everywhere, especially when I am asked. I will come down to nations, to families and to all who are in need. I will come down in public manifestations and quietly within people’s hearts. The whole world will experience my care. Whatever the cost, I am ready to pay the innkeeper.



8. The Waves of Fatima

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Mary
I will continue to speak of the hidden powers of the Fatima gift.
Mankind has suffered from the waves of iniquity which have continually washed upon its shores. The first wave prepares for the second, which is always more powerful and more extensive. When one wave ceases, the other comes, extending the evil. Is not the shore helpless against the waves? Can the shore say to the ocean, “Send me no more”? Even if some resist the evil, yet another wave, and another, quickly follows, eroding every barrier. Such is the current state of mankind.
I promise you a new ocean, the ocean of Fatima blessings, which will constantly beat upon the shore, removing evil and giving hope, turning back the terrible gains of inequity and restoring religious life. I promise that these waves will not stop. Human efforts to block them will fail. I will gather a people purified in my ocean.

7. The Heavenly Rain

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Mary
Fatima is like heavenly rain that will dampen the whole world, extinguishing the fires that now blaze out of control. These are the great fires of anger and hatred that exist between people and cultures, the fires of greed and dishonesty in the hearts of leaders, the fires of passions and deceit in the hearts of individuals. All of these fires will begin to face a new enemy in the heavenly rains of Fatima.
Man cannot put out these fires. He does not even understand them. He is totally helpless in the face of the demonic destruction. However, Satan knows that his fires, no matter how powerful and widespread, are no match for the heavenly rain. That is why he fears so greatly the unleashing of the Fatima gift.



6. The Unperceived Darkness

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Mary
Darkness covers the whole earth. This darkness is not perceived because it lies in the heart of every person. This unperceived darkness also exists in the structures of human society. It governs the relationship between nations and the relationships between people, especially in the most important place of all, the family.
From this darkness comes every human problem and the inability to finding lasting solutions. From this darkness comes the multiplication and the complication of these problems. Every problem of mankind flows from this darkness which has now led man on this road of destruction.
No human power can free him. Every human attempt only shares in this human darkness. A new light is needed, a light that has nothing in common with the darkness. When will the pure light of Fatima be released so the darkness can be overcome? Blessed are those who work for this goal. Woe to those who speak against it.




5. Preparing for the Consecration

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Mary
Even the Church does not understand. I must explain even more deeply the gift of placing Fatima on the lampstand. This, of course, is a decision of the Holy Father but all the bishops and, all the Church with them, must be involved. All must know of this moment and all must prepare in the greatest of faith. Doubts and fears must be cast out. This moment will have great results.
A special day must be chosen and all will agree that this is the perfect choice. Of course, Satan will stir up the forces of nature all across the world. However, this will be a sign. The physical light of the sun casts out the darkness and the seas will be stilled.
Then, will come the great moment. All the Church will have been praying fasting and expecting. When the words of consecration are said, the gift will be sealed forever, totally protected because the whole Church has fully participated. How I look forward to that day.




4. The Presence of God

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Mary
In the original Garden, there was a presence of God, a familiarity between God and man, and a loving relationship. Today, in the midst of their sufferings, people ask “Where is God”. People experience an absence of God because he seems so far away as if he is not interested in creation.
The Fatima gift contains this presence of God. People will sense that God is with them. They will see that he truly is a loving Father. The goal of Fatima is to restore what was present in the beginning, so all mankind, by experiencing a presence of God, is free to respond.
Now, just a handful have this experience of God’s presence which helps them to be faithful. In the new era, the age of Fatima, this gift will be offered to all. All will be invited into the new garden.

3. Total Light in the Devout Souls

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Mary
I have so much to say about the Fatima gift that has never been revealed or explained. Placing my light on the lampstand is just the beginning because everyone in the world, to some degree, is in darkness. Even the most devout souls have aspects of their personality and of their holiness that are touched with darkness.
To these I will offer a fullness of light. The final darkness will be thrown off. This will happen by a gift of joy. I will so fill them with my presence and their hearts will so rejoice that whatever darkness still lurks in the recesses of their hearts will be burned away by the greatest of joys. They will drink of a happiness that they could not imagine and they, too, will write of my wonders so all will know of this new age.
When the age of Fatima dawns, should it not begin with those who have been so faithful to me?



2. The New Garden

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Mary
God created a garden of life which was meant to bring mankind every blessing. By human choice, it became a garden of death and disobedience. For man’s own good, he had to leave the garden. At the same time, God promised another garden, a woman who would bring forth a son.
I am the new garden. However, all must find their way into my garden where there is life and obedience. This is the great mystery which is being revealed to the whole world.
Some already know this truth and in me they find life. However, many do not know me and many who do know me are unaware of this garden. In the future, I will manifest my presence, not just to Catholics but to all of good will, and I will invite all into my garden of new life.

1. Mary Explaining Fatima

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Mary
Everything is at stake. Everything is on the table. Even though the fires burn in the Middle East, all the world will be drawn in. If a body is wounded, the whole person suffers. The Evil One wants to pierce the body and bring about a mortal wound that will not heal. This is a wound of untold suffering and tragic human loss.
I do not want this moment to ever happen. I am acting everywhere. I am appearing to some, speaking to others, encouraging and leading. I am opening up my heart and welcoming everyone. These are the actions that I will begin to explain. You, reader, are the object of my actions and I want you to understand all that I am doing.

http://www.locutions.org/2013/06/1-mary-explaining-fatima/