sábado, 16 de novembro de 2013

San Luigi Guanella: Evangelio della domenica sesta dopo l´Epifania

Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Il pane dell'anima (I corso)
[- 225 -]
1. [92]"Gesù esposealle turbe una parabola dicendo: Il regno de' cieli è simile al grano di senapache un uomo seminò nel suo campo. Questo grano invero è il più piccolo di tutti i semi, ma quando è cresciuto e sviluppato, è la maggior delle piante e divieneun albero così grande che gli uccelli dell'aria vengono a riposare tra' suoirami. Disse loro un'altra parabola: Il regno de' cieli è simile al lievito che una donna mette in tre misure di farina, finché tutta sia fermentata.
Gesù disse tutte queste cose allaturbe in parabola, e senza parabole non parlava loro perché si avverasse quello che disse
Noi fermiamo la nostra attenzioneper un [93]momento sul valore delle parabole accennate. Son duesimilitudini che significano una cosa sola. Il grano di senapa e la massa difermento coltivati nel cuore dell'uomo producono un albero assai forte e dannoun pane assai robusto: la fortezza cristiana.
2. Quel granello di senapa è il più piccolo seme, eppure messo giù in terra buona cresce in fusto, si sviluppain pianta, distende rami e su per essi vengono poi a posare gli uccellidell'aria.
Quelle opere minute che voi fate, di lavorare al campo, di scopare la casa, di accudire ai più piccoli affaruccidomestici, sono fatiche di poco momento, ma se voi le esercitate con diligenza, oh come per queste riuscite <a> piacere al Signore! Quelle opere sonominute, ma se voi le fate all'unico intento di piacere al Signore, sono come una massa di buon lievito che fa fermentare una quantità assai maggiore dipasta preparata. Le facoltà della vostra mente intanto si perfezionano, i buoniaffetti del vostro cuore intanto si confortano. Gli stessi sensi del vostrocorpo si rendono atti a servire con fedeltà e in ogni bisogna all'anima.
[94]Fu presentato a Pio ix l'esempio di un giovinetto ventenne,Giovanni Berkmans, il quale per vero non compié mai cose grandiose, ma fudiligentissimo in eseguir bene le cose minute. Il Vicario del Signore esaminòquanto credette uopo e poi proferì : "Questo buon servo del Signore fumassimo nelle più piccole cose. Fu cioè diligentissimo in far bene ogni minutaopera; non è dubbio che ei non sia un santo nella Chiesa del Signore". Lopropose dunque alla venerazione di tutti i fedeli del mondo e gli decretòl'onor degli altari.leggere...

S. Alfonso Maria de Liguori, SERMONE XI. - PER LA DOMENICA VI. DOPO L'EPIFANIA.

S. Alfonso Maria de LiguoriSermoni compendiati
 
 




Della morte dei giusti.

Simile est regnum coelorum fermento, quod acceptum mulier abscondit in farinae satis tribus, donec fermentatum est totum. (Matth. 13. 33.)


Nel presente evangelio si dice che la donna dopo aver posto il fermento nella pasta di farina, aspetta che quella sia tutta fermentata, e, come volgarmente si dice, che sia cresciuta abbastanza. Quindi il Signore ci fa intendere che il regno de' cieli, cioè l'acquisto della beatitudine eterna, è simile a tal fermento: per il fermento s'intende la grazia di Dio, la quale fa che l'anima acquisti meriti per la vita eterna: ma questa vita eterna allora si ottiene, quando totum est fermentatum, cioè quando l'anima è giunta al termine della vita presente ed al compimento de' suoi meriti. Quindi oggi parleremo della morte de' giusti, la quale non dee già temersi, ma desiderarsi con tutto l'animo, poiché scrive s. Bernardo: Triplex in morte congratulatio, hominem ab omni labore, peccato et periculo liberari. Dice il santo che l'uomo nella sua morte dee seco congratularsi di tre cose:










Divo Barsotti parla della vita angelica dei cristiani sulla terra nel suo libro: “ La preghiera”.

Barsotti parla della vita angelica dei cristiani sulla terra nel suo libro: “ La preghiera”. Lavoro del cristiano” edito dalle edizioni San Paolo nel 2005. e scrive: “Bios anghelicòs”. Nella vita angelica, la vita contemplativa si associa alla vita attiva; gli Angeli sono al servizio degli uomini nello stesso tempo che adorano Dio. Potremo pensare a una vita contemplativa che ci separi dai nostri fratelli, non e così: gli angeli che contemplano incessantemente Dio sono gli stessi che ti guidano nella vita e ti conducono nelle vie del Signore.
La vita contemplativa nel Cristianesimo non separa dai fratelli, ma importa un superamento, un trascendere e abbracciare ogni cosa. Solo l’amore può realizzare questa vita. Noi vivremo la vita angelica se vivremo dinanzi al trono di Dio come rappresentanti dei nostri fratelli. Il fatto d’impegnarti per gli uomini non ti deve distogliere da Dio.
La vita contemplativa non deve essere per te una dispensa della vita attiva, non può essere in nessun modo un pretesto perché tu ti senta meno impegnato nella salvezza degli uomini. Allora soltanto tu realizzerai il tuo ideale in modo perfetto quando, vivendo la tua vita contemplativa dinanzi a Dio, vivrai come colui che è a servizio di tutti i fratelli, e tutti li porta nel cuore davanti al Signore.
E’ questa la vita angelica, l’ideale di vita che tu devi realizzare. (…). Dobbiamo vivere nel mondo, in nessun modo sottrarci al mondo, ma vivere nel mondo come una rivelazione dell’Invisibile, essere nel mondo una rivelazione di Dio. Vivere nel mondo, in unione con tutti i fratelli, in continuo rapporto con loro di amore, di servizio…eppure essere in mezzo a loro come un’apparizione del Cielo. Questo è chiesto al cristiano: non soltanto di vivere in una continua supplica e invocazione al Signore, ma anche in una trasformazione di sé: la nostra preghiera veramente sarà perfetta quando avrà operato una presenza in Cristo in noi, quando in Lui noi saremo così trasformati, non è forse vero che allora, vivendo nel mondo, di un’altra realtà? Ecco il nostro compito. Dobbiamo vivere in Cielo, anche quaggiù. Vivere in Cielo sarebbe facile se il Signore ci portasse fuori di questo mondo con la morte.
Invece noi dobbiamo morire, non dobbiamo sottrarci a questo mondo; dobbiamo rimanere quaggiù, e vivere un rapporto continuo con le cose, un servizio continuo ai nostri fratelli, ma vivere quaggiù una vita di pace, di beatitudine, di amore – essere quaggiù in qualche modo la Sua luce.
Dobbiamo essere come angeli. Che cosa vuoi dire essere come angeli per quel che riguarda il nostro rapporto con Dio? Per quel che riguarda il nostro rapporto con gli uomini? Essere angeli per il Signore! Vuol dire vivere in un totale oblio di sé, come consumati nella presenza di Dio – colui che vede il Signore non può ricordarsi di sé. Un’anima che vede il Signore non può avere più di sé conoscenza: Dio la invade talmente che la cancella. L’anima non sente di aver più alcun valore come non esistesse più…Umiltà totale di un’anima che è come sparita ai propri occhi, dimentica così di se stessa da non sapere più nulla di sé, da non poter più attrarre a sé alcuna creatura! Umiltà che non obbedisce più alla forza centripeta, che attrae a se stessi, ma alla legge di un amore centrifugo che totalmente si dà e non conserva più per sé alcuna cosa! Umiltà totale che s’identifica all’atto dell’adorazione!
L’atto di adorazione perfetta non esige certo l’annientamento ontologico ma quel puro annientamento psicologico della creatura che fa come se essa non fosse. E’ questa l’esperienza dell’anima che viva nell’adorazione: annientamento che non è proprio soltanto della creatura angelica che viva alla presenza di Dio, ma è proprio anche della umanità stessa di Gesù che vive dinanzi al Volto del Padre. Vivere in totale purezza è in fondo un trasformarsi totalmente nella luce, quasi un non essere più in sé, per sé, per essere tutti investiti da Dio: l’anima certo rimane, la creatura certo rimane, ma non rivela più che il Signore.
E tuttavia questo non basta. Investito dalla grazia, trasformato nel Cristo, tu vivi ancora nel mondo – tu hai ancora una missione da compiere, tu devi servire. Che cosa è l’angelo di Dio nel suo rapporto col mondo? Puro strumento della volontà divina. Dio per compiere i suoi disegni volle gli angeli. E’ per gli angeli che si compie quanto Dio vuole quaggiù. Che cosa vuol dire per noi non aver più una volontà propria? La volontà dell’uomo è a servizio esclusivo di Dio: l’uomo non vuole che la Sua volontà. Non ha più un suo disegno da compiere perché non ha più desiderio alcuno. L’uomo è attivo nei confronti con le creature, perché è puramente e totalmente passivo di fronte a Dio.
L’angelo non riceve comando dalla creatura, non subisce l’azione dell’uomo: egli è totalmente passivo di fronte a Dio, sempre in ascolto della divina parola, sempre disponibile a Lui, sempre totalmente impegnato al compimento del divino volere. Ecco quanto c’impone la vita religiosa: di essere come angeli, per vivere una vita che sia adorazione pura e universale servizio. Viviamo questa adorazione sua, questo puro scomparire di tutto quel che noi siamo nella luce divina! Che la luce divina veramente eclissi per noi ogni umano ricordo, che l’anima nostra si affidi in Dio, Lui solo contempli, tutta la vita sia questo atto di adorazione e di amore! Ma siamo anche angeli di Dio per essere strumento della sua volontà.
La nostra azione dev’essere talmente vasta, talmente efficace, come l’azione stessa di Dio, sicché Dio lavori, agisca, non in vece nostra, ma attraverso di noi. Tutta l’azione di Dio, tutta l’efficacia della divina Onnipotenza si deve esprimere, si deve esercitare attraverso la nostra povertà umana, attraverso la nostra stessa debolezza. Lo strumento umano nelle mani di Dio non potrà reggere alla violenza di questa Omnipotenza divina e sarà spezzato. Se noi vivremo nelle mani di Dio e Dio si vorrà servire di noi, la Volontà di Dio violentemente ci spezzerà come fu spezzata l’Umanità di Gesù, che non poté reggere alla forza divina, alla forza di quella Omnipotenza che attraverso questa Umanità doveva traboccare nel mondo. Sì, il servizio supremo, l’atto supremo che noi dobbiamo dare al mondo sarà precisamente un nostro martirio.
Noi non saremo mai santi come quando morremo, e la nostra morte sarà l’atto supremo onde noi avremo vissuto la nostra adorazione a Dio, sarà l’atto onde noi avremo esercitato la più grande efficacia in un servizio di amore ai nostri fratelli quaggiù. Vivere questa vita vuol dire tendere a questo martirio di amore per Iddio nell’adorazione, di amore ai fratelli nel sacrificio, nell’immolazione di sé”.
Don Marcello Stanzione
fonte

René Voillaume, PREGARE PER VIVERE

René Voillaume
PREGARE PER VIVERE
CITTADELLA EDITRICE ASSISI

IL CLIMA DELLA PREGHIERA

Scoprire e cercare Dio in ogni cosa

Scoprire e cercare Dio in ogni cosa
Dio è là dove siamo noi! Chi ama Dio e lo cerca, lo cercherà in ogni luogo e in ogni attività; e sia l’attività che il riposo, tutto gli serve per trovare e gustare Dio.
Rinnovare la consapevolezza della presenza di Dio. Sapere che Lui c’è, che io sono in Lui, che il suo amore mi circonda, mi avvolge.
Il Signore Gesù è come il sole che illumina nel quale tutto ha senso.
“Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai. Per questo vi posso dire che la nostra epoca ha bisogno di restituire alla materia e alle situazioni che sembrano più comuni, il loro nobile senso originario, metterle al servizio del Regno di Dio, spiritualizzarle, facendone mezzo e occasione del nostro incontro continuo con Gesù Cristo”.LEGGERE...

Mistici, Santi e Animali

Mistici, Santi e Animali


Coloro che cercano di vivere in stretta comunione con Dio hanno con gli animali, un rapporto di amore puro.

Essi, per i meriti della redenzione, situandosi nella originaria condizione di innocenza, sono, infatti, artefici dell’auspicata riconciliazione di tutti gli uomini con tutte le creature.

L’idea che la pace di Cristo si irraggia nel mondo animale e che la pace con gli animali sia segno della presenza di Dio in questo mondo è radicata fermamente nella tradizione cristiana; la comunione tra uomo e creato, quindi, diventa tratto essenziale della santità. «L’umile è in pace con l’universo intero. […] Gli animali avvertono la sua umiltà perché dal suo corpo emana quel profumo che essi avevano sentito in Adamo prima della trasgressione».leggere...

sexta-feira, 15 de novembro de 2013

Papa Pio XI Mortalium animos . Excelentes artigos em http://www.beatobartololongo.net/

Papa Pio XI

Mortalium animos

Lettera Enciclica (6 gennaio 1928)



1. Forse mai nel passato sentì il mondo vivo, come ai Nostri giorni, il desiderio di rafforzare ed estendere al bene comune dell’umanità quelle fraterne relazioni che, per identità di natura e di origine, ci uniscono, in quanto uomini, strettamente fra noi.
Le nazioni sono ancora ben lontane dal goder pienamente i beni della pace, anzi vecchi e nuovi dissidi sbocciano qua e là in rivolte e lotte civili; d’altra parte la soluzione dei molti contrasti circa la tranquillità e prosperità dei popoli è subordinata all’opera concorde ed attiva dei rispettivi governanti; si spiega facilmente (massime ora che tutti convengono sull’unità del genere umano) perché siano tanti a desiderare una sempre maggiore unione fra le varie nazioni, a ciò portate da questa fraternità universale.
2. Analogo è l’intento che si prefiggono di conseguire taluni per quanto riguarda l’ordinamento della nuova legge promulgata da Nostro Signore Gesù Cristo.
Convinti che rarissimo è il caso di uomini assolutamente privi di ogni sentimento religioso, sembrano nutrire speranza che non debba riuscire troppo difficile che, malgrado singole divergenze in materia di religione i popoli si accordino fraternamente un giorno nella professione di alcune dottrine, accolte come base comune di vita spirituale.

Di qui il frequente indire che fanno, con notevole intervento di persone, di congressi, riunioni, conferenze cui sono indifferentemente invitati a discutere infedeli di ogni gradazione e cristiani e perfino infelici apostati da Cristo che ne ripudiano con pertinace ostinazione la natura e missione divina.
Simili tentativi non possono in nessun modo riscuotere l’approvazione dei cattolici, fondati come sono sul falso presupposto che tutte le religioni siano buone e lodevoli in quanto tutte, pur nella diversità dei modi, manifestano e significano ugualmente quel sentimento, a chiunque congenito, che ci rivolge a Dio e ci rende ossequienti nel riconoscimento del suo dominio.
Teoria questa non solo erronea e ingannatrice, ma che attraverso una deformazione del vero concetto religioso conduce insensibilmente chi la professa al naturalismo ed all’ateismo. E’ chiara quindi la conseguenza: aderendo ai fautori di tali teorie e tentativi ci si allontana del tutto dalla religione rivelata da Dio.leggere...

Suscita stupore la volontà di Benedetto XVI di dare la Santa Comunione ai fedeli in bocca ed in ginocchio.

Perché occorre ricevere
la Santa Comunione
direttamente in bocca,
dalle mani consacrate del Sacerdote
e, quindi, anche in ginocchio,
come quando vi erano le "balaustre"?

Una domanda a cui si può dare una coerente risposta…
è sufficiente credere che,
nella Santa Eucaristia,
vi è la
Presenza Viva
di
Nostro Signore Gesù Cristo!


Benedetto XVI vuole così, nelle Sante Messe da lui celebrate. Ma pochissimi vescovi e sacerdoti lo imitano. Eppure i pavimenti delle chiese erano resi preziosi anche per questo. Una guida alla scoperta del loro significato.

ROMA, 13 settembre 2010
Questa sopra è una panoramica parziale dell'immenso mosaico che ricopre il pavimento della cattedrale di Otranto, sulla costa sud-orientale dell'Italia.
I fedeli, percorrendolo dall'ingresso all'altare, hanno come guida l'albero della storia della salvezza, una storia che è sacra e profana insieme, con episodi dell'Antico Testamento, dei Vangeli, del romanzo di Alessandro Magno e del ciclo di Re Artù.
Il mosaico è del XII secolo, un'epoca nella quale le chiese erano vuote di sedie e di panche ed il pavimento appariva ai fedeli nella sua integrità. Anche quando non era figurato, il pavimento delle chiese era comunque prezioso per materiali e disegni. Su di esso si camminava. Si pregava. Ci si inginocchiava in adorazione.
Oggi l'inginocchiarsi – specie sul nudo pavimento – è caduto in desuetudine; tant'è vero che suscita stupore la volontà di Benedetto XVI di dare la Santa Comunione ai fedeli in bocca ed in ginocchio.

Questa della Comunione in ginocchio è una delle novità che Sua Santità, Papa Joseph Ratzinger, ha introdotto quando celebra la Santa Eucaristia.
Ma più che di novità si tratta di ritorni alla tradizione. Le altre sono il Santo Crocifisso al centro dell'Altare, "perché tutti durante la Messa guardiamo verso Cristo e non gli uni verso gli altri", e l'uso frequente del latino "per sottolineare l'universalità della Fede e la continuità della Chiesa", in qualunque parte del pianeta e con qualsiasi popolo e lingua ci si trovi.
In un'intervista al settimanale inglese "Catholic Herald", il maestro delle cerimonie pontificie Guido Marini ha confermato che anche nelle Messe del suo prossimo viaggio nel Regno Unito il Papa si atterrà a questo suo stile di celebrazione.
In particolare, Marini ha annunciato che Papa Benedetto XVI pronuncerà interamente in latino il prefazio ed il canone, mentre per gli altri testi della Santa Messa adotterà la nuova traduzione inglese che entrerà in uso in tutto il mondo anglofono la prima Domenica di Avvento del 2011: questo perché la nuova traduzione "è più aderente all'originale latino e di stile più elevato" rispetto a quelle correnti.
L'attrazione che ha esercitato la Chiesa di Roma su molti convertiti illustri inglesi dell'Ottocento e del primo Novecento – da Newman a Chesterton a Benson – era anche l'universalismo della liturgia latina. Un'attrazione per una Fede solida ed antica, che oggi muove numerose comunità anglicane a chiedere di entrare nel cattolicesimo.


La "riforma della riforma" attribuita a Sua Santità Papa Joseph Ratzinger in campo liturgico avviene anche così: semplicemente con l'esempio dato da lui quando celebra (auspicabile per tutti i cattolici che lo seguono -laici e religiosi-).
Ma tra i gesti esemplari di Papa Benedetto XVI il meno compreso – sinora – è forse quello della Santa Comunione data ai fedeli inginocchiati (direttamente in bocca e con il 'piattino'. Tale gesto di rispetto verso il Sacro, previene anche l'eventuale sacrilegio di chi prende in mano, dalle mani consacrate del Scerdote, l'Ostia Sacra, con il rischio di disperdere per terra piccole particelle dell'Ostia Divina -ndr.-).
Nelle chiese di tutto il mondo non lo si fa quasi più, anche perché le balaustre, alle quali ci si inginocchiava per ricevere la Santa Comunione, sono state quasi dappertutto disertate o smantellate (in molti casi divelte, distruggendo eredità culturali, religiose e architettoniche).
Il momento più 'delicato' della Santa Comunione...
che può divenire anche il più sacrilego!
(E' sufficiente osservare come viene presa in mano la Santa Particola dai vari fedeli -anziani, giovani e ragazzi-, ma anche come viene distribuita dagli stessi sacerdoti -ancora peggio da alcuni diaconi- per comprendere il grado di preparazione, di spiritualità e di credenza nel distribuire e nel ricevere la Santa Comunione... tutto ciò a danno della vera Fede e del rispetto verso il Sacro, verso Gesù Eucaristia. Sembra quasi che vi sia una totale indifferenza nel credere che l'Eucaristia sia il Vero Pane Disceso dal Cielo. Un segno, anche questo, che ci fa capire come l'apostasia abbia raggiunto il massimo livello. -Ndr-.)

Una importante riflessione sull'argomento
lo si può leggere cliccando sotto su

Ma si è perso di vista anche il senso delle pavimentazioni delle chiese, tradizionalmente molto ornate proprio per far da fondamento e da guida alla grandezza ed alla profondità dei Santi Misteri celebrati.
Pochi oggi avvertono che pavimenti così belli e preziosi sono fatti anche per le ginocchia dei fedeli: un tappeto di pietre su cui prostrarsi davanti allo splendore dell'Epifania Divina.
Il testo che segue è stato scritto proprio per risvegliare questa sensibilità.
Ne è autore Monsignor Marco Agostini, officiale presso la seconda sezione della segreteria di Stato, cerimoniere pontificio e cultore di liturgia e arte sacra, che i lettori di http://chiesa.espresso.repubblica.it/ già conoscono per un suo illuminante commento alla "Trasfigurazione" di Raffaello.


L'articolo è uscito su "L'Osservatore Romano" del 20 agosto 2010.

INGINOCCHIATOI DI PIETRA
di Marco Agostini
È impressionante la cura che l'architettura antica e moderna, fino alla metà del Novecento, riservò ai pavimenti delle chiese. Non solo mosaici e affreschi per le pareti, ma pittura in pietra, intarsi, tappeti marmorei anche per i pavimenti.
Mi sovviene il ricordo del variopinto "tessellatum" delle basiliche di San Zenone o dell'ipogeo di Santa Maria in Stelle a Verona, o di quello vasto e raffinato delle basiliche di Teodoro ad Aquileia, di Santa Maria a Grado, di San Marco a Venezia, o quello misterioso della cattedrale di Otranto. L'"opus tessulare" cosmatesco luccicante d'oro delle basiliche romane di Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Clemente, San Lorenzo al Verano, di Santa Maria in Aracoeli, in Cosmedin, in Trastevere, o del complesso episcopale di Tuscania o della Cappella Sistina in Vaticano.
E ancora gli intarsi marmorei di Santo Stefano Rotondo, San Giorgio al Velabro, Santa Costanza, Sant'Agnese a Roma e della basilica di San Marco a Venezia, del battistero di San Giovanni e della chiesa di San Miniato al Monte a Firenze, o l'impareggiabile "opus sectile" del duomo di Siena, o le pelte marmoree bianche, nere e rosse in Sant'Anastasia a Verona o i pavimenti della cappella grande del vescovo Giberti o delle settecentesche cappelle della Madonna del Popolo e del Sacramento, sempre nel duomo veronese, e, soprattutto, lo stupefacente e prezioso tappeto lapideo della basilica vaticana di San Pietro.
In verità la cura per l'impiantito non è solo cristiana: sono emozionanti i pavimenti a mosaico delle ville greche di Olinto o di Pella in Macedonia, o dell'imperiale villa romana del Casale a Piazza Armerina in Sicilia, o quelli delle ville di Ostia o della casa del Fauno a Pompei o la preziosità delle scene del Nilo del santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina. Ma anche i pavimenti in "opus sectile" della curia senatoria nel Foro romano, i lacerti provenienti dalla basilica di Giunio Basso, sempre a Roma, o gli intarsi marmorei della "domus" di Amore e Psiche a Ostia.
La cura greca e romana per il pavimento non era evidente nei templi, ma nelle ville, nelle terme e negli altri ambienti pubblici dove la famiglia o la società civile si radunava. Anche il mosaico di Palestrina non era in un ambiente di culto in senso stretto. La cella del tempio pagano era abitata solo dalla statua del dio e il culto avveniva all'esterno innanzi al tempio, attorno all'ara sacrificale. Per tale ragione gli interni non erano quasi mai decorati.
Il culto cristiano è, invece, un culto interiore. Istituito nella stanza bella del cenacolo, ornata di tappeti al piano superiore di una casa di amici, e propagatosi inizialmente nell'intimo del focolare domestico, nella "domus ecclesiae", quando il culto cristiano assunse dimensione pubblica trasformò la casa in chiesa. La basilica di San Martino ai Monti sorge sopra una "domus ecclesiae", e non è la sola. Le chiese non furono mai il luogo di un simulacro, ma la casa di Dio tra gli uomini, il tabernacolo della reale presenza di Cristo nel santissimo sacramento, la casa comune della famiglia cristiana. Anche il più umile dei cristiani, il più povero, come membro del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, in chiesa era a casa e signore: calpestava pavimenti preziosi, godeva dei mosaici e degli affreschi delle pareti, dei dipinti sugli altari, odorava il profumo dell'incenso, sentiva la gioia della musica e del canto, vedeva lo splendore degli ornamenti indossati a gloria di Dio, gustava il dono ineffabile dell'eucaristia che gli veniva amministrata in calici d'oro, si muoveva processionalmente sentendosi parte dell'ordine che è anima del mondo.
I pavimenti delle chiese, lontani dall'essere ostentazione di lusso, oltre a costituire il piano di calpestio avevano anche altre funzioni. Sicuramente non erano fatti per essere coperti dai banchi, questi ultimi introdotti in età relativamente recente allorquando si pensò di disporre le navate delle chiese all'ascolto comodo di lunghi sermoni. I pavimenti delle chiese dovevano essere ben visibili: conservano nelle figurazioni, negli intrecci geometrici, nella simbologia dei colori la mistagogia cristiana, le direzioni processionali della liturgia. Sono un monumento al fondamento, alle radici.
Questi pavimenti sono principalmente per coloro che la liturgia la vivono e in essa si muovono, sono per coloro che si inginocchiano innanzi all'epifania di Cristo. L'inginocchiarsi è la risposta all'epifania donata per grazia a una singola persona. Colui che è colpito dal bagliore della visione si prostra a terra e da lì vede più di tutti quelli che gli sono rimasti attorno in piedi. Costoro, adorando, o riconoscendosi peccatori, vedono riflessi nelle pietre preziose, nelle tessere d'oro di cui talvolta sono composti i pavimenti antichi, la luce del mistero che rifulge dall'altare e la grandezza della misericordia divina.
Pensare che quei pavimenti così belli sono fatti per le ginocchia dei fedeli è commovente: un tappeto di pietra perenne per la preghiera cristiana, per l'umiltà; un tappeto per ricchi e poveri indistintamente, un tappeto per farisei e pubblicani, ma che soprattutto questi ultimi sanno apprezzare.


Oggi gli inginocchiatoi sono scomparsi da molte chiese e si tende a rimuovere le balaustre alle quali ci si poteva accostare alla Comunione in ginocchio. Eppure nel Nuovo Testamento il gesto dell'inginocchiarsi si presenta ogni qualvolta a un uomo appare la Divinità di Cristo: si pensi ai Magi, al cieco nato, all'unzione di Betania, alla Maddalena nel giardino il mattino di Pasqua.
Gesù stesso disse a Satana, che gli voleva imporre una genuflessione sbagliata, che solo a Dio si devono piegare le ginocchia. Satana sollecita ancora oggi a scegliere tra Dio o il potere, Dio o la ricchezza, e tenta ancora più in profondità. Ma così non si renderà Gloria a Dio per nulla; le ginocchia si piegheranno a coloro che il potere l'hanno favorito, a coloro ai quali si è legato il cuore attraverso un atto.
Buon esercizio di allenamento per vincere l'idolatria nella vita è tornare a inginocchiarsi nella Santa Messa, peraltro uno dei modi di "actuosa participatio" di cui parla l'ultimo Concilio. La pratica è utile anche per accorgersi della bellezza dei pavimenti (almeno di quelli antichi) delle nostre chiese. Davanti ad alcuni verrebbe da togliersi le scarpe come fece Mosè davanti a Dio che gli parlava dal roveto ardente.

(©L'Osservatore Romano - 20 agosto 2010)

Pubblicato da BLOG di www.Maranatha.it a 9/13/2010

Testimonianza di San Annibale Di Francia su Luisa Piccarreta


Una Vita più Celeste che Terrena
Testimonianza di
San Annibale Di Francia,
amico del
Beato Bartolo Longo,
su
Luisa Piccarreta
"…Essa vuole vivere solitaria, nascosta ed incognita. Per nessun patto al mondo avrebbe posto in scritto le intime e prolungate comunicazioni con Gesù adorabile, dalla più tenera età fino ad oggi, e che seguitano ancora chi sa fino a quando, se Nostro Signore stesso non l’avesse replicatamente obbligata, sia personalmente, sia per mezzo della santa ubbidienza dei suoi Direttori, alla quale si arrende con grande fortezza e generosità, perchè il concetto che essa ha della santa obbedienza le farebbe rifiutare anche un ingresso in Paradiso, come effettivamente avvenne…"
"La sostanza è quest’anima è in una lotta tremenda tra un prepotente amore al nascondimento e l’inesorabile impero dell’Obbedienza, a cui assolutamente deve cedere. E l’Obbedienza vince sempre! E questo costituisce uno dei più importanti caratteri di uno spirito vero, di una virtù solida e provata, poiché si tratta di una quarantina di anni, in cui con la più forte violenza contro sè stessa si sottopone alla gran Signora Ubbidienza che la domina!"
"Quest’anima solitaria è una vergine purissima, tutta di Dio, che appare come oggetto di singolare predilezione del Divin Redetore Gesù. Nostro Signore, che di secolo in secolo accresce sempre di più le meraviglie del suo Amore, pare che di questa vergine, che Egli chiama la più piccola che abbia trovato sulla terra, destituita di ogni istruzione, abbia voluto formarne un istrumento adatto per una missione così sublime, che nessun’altra le si possa paragonare, cioè il trionfo della Divina Volontè sull’universo orbe, in conformita’ con quanto e’ detto nel Pater Noster: "Fiat Voluntas Tua, sicut in Coelo et in terra."
"Questa Vergine del Signore da più di 40 anni, dacché era ancora adolescente, è stata posta a letto come vittima del Divino Amore. Quello è stato letto di una lunga serie di dolori naturali e soprannaturali e di inebriamenti della Carità eterna del Cuore di Gesù. Origine dei dolori, eccedenti ogni ordine di natura, è stata quasi continuamente un’alternata privazione di Dio…"leggere...

quinta-feira, 14 de novembro de 2013

DON GIUSEPPE TOMMASELI, SACERDOTE, LEGGI! (Appunti di Mistica): I mistici sono sempre esistiti nella Chie­sa e ci sono ancor oggi, anzi in numero forse maggiore

SACERDOTE, LEGGI!


A. M. ALESSI


(Appunti di Mistica)


PREMESSA

Mi è pervenuto questo breve manoscritto, con invito a utilizzarlo nelle conferenze e ritiri che tengo al Clero.

Avendo conosciuto qualche anima di cui si parla e in modo particolare l'autore, di cui ho la più alta stima, condivisa del resto da tutti coloro che lo conoscono, ho pen­sato che potrebbe tornare utile e gradito a tanti Confratelli, ai quali è esclusivamente rivolto, presentandolo in edizione extracom­merciale.

Autentico pregio mi pare sia la veridi­cità dei fatti narrati, anche se ad essi siamo chiamati a prestare una fede puramente uma­na, lasciando alla Chiesa il giudizio autore­vole e definitivo.

La stampa mi è suggerita dalla difficol­tà di trovare libri che trattino dei feno­meni mistici, tanto che taluno, non avendo mai letto nulla al riguardo, si dimostra scet­tico od ostile incontrando qualche anima privilegiata.

Penso che un contatto con il sopranna­turale, che sicuramente nessuno può negare “a priori”, e 'soprattutto il sapere che ci sono anime che soffrono per scontare i nostri peccati e ottenerci il dono della santità e del­la fecondità nell'apostolato, può farci riflet­tere e soprattutto farci del bene, ciò che mi auguro di cuore.

. Mateo Crawley, IL SANTO SACRIFICIO DELLA SANTA MESSA

Il mistero della divina Eucaristia comprende due meravi­gliosi capitoli: il Santo Sacrificio della Messa, fonte divina, inesauribile di grazia... e il Santo Sacrificio dell'Altare che, sotto il punto di vista teologico, è il Consummatum est, la con­sumazione liturgica del Sacrificio.


Normalmente entrambi dovrebbero restare spiritualmente uniti.


Disgraziatamente succede spesso che, senza un motivo sufficiente, si separa l'uno dall'altro, non senza detrimento per la vita eucaristica come pure per la vita spirituale. Il Santo Sacrificio è la fonte di vita divina da cui deriva il torrente sacro che è il Sacramento... Così la Santa Comunione e il Santo Tabernacolo sono torrenti di grazie che sgorgano dal Sacrificio.


Stabiliamo subito, con due affermazioni tanto categori­che quanto dottrinali, la differenza reale che esiste tra l'uno e l'altro.


Il Sacrificio è l'Offerta che il Verbo fa di Se stesso al Padre con queste parole: "Ecco lo vengo, o Dio, per fare la tua volontà" (Eb X, 7) - "Si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di Croce" (Fil II, 8). Il Sacrificio è dunque la realizzazione ineffabile, sull'Altare come sul Calvario, di que­ste parole: "Tradidit semetipsum"! (Ef V, 2). Per la gloria del Padre e la redenzione dell'uomo colpevole, il Figlio di Dio si abbandona in olocausto al Padre... Abbandono mille volte sublime che si potrebbe glossare con queste povere parole: "Padre, poiché tu vuoi che io muoia, sia fatta la tua volontà!... Sì, mi sono incarnato per poter morire crocifisso, perché vo­glio essere tua Vittima di lode e di propiziazione. Io voglio, Padre, glorificarti tanto e molto più di quanto il peccato ti ab­bia oltraggiato".


E che cos'è il Santo Sacramento? Dopo essersi così ab­bandonato al Padre, il Figlio si volge verso di noi, suoi "filioli", i suoi piccoli figli, e ci dice: "Il Banchetto reale è già pronto, venite dunque tutti, mangiate il mio Corpo, bevete il mio San­gue. Ora io mi do a voi... Venite. Io sono la Manna discesa dal Cielo. Io sono il vostro Nutrimento e il vostro Pane. Io sarò Gesù-Ostia, tutto vostro, fino alla consumazione dei se­coli".


Nel Sacrificio, il Verbo fatto carne si dà al Padre quale Ostia. Nel Sacramento, sempre quale Ostia, si dà alla Chiesa e al popolo fedele.




È dunque chiaro che Gesù-Vittima è assolutamente la stes­sa Ostia nel Sacrificio e nel Sacramento. Ma l'Ostia del Sa­crificio non è offerta che al Padre... mentre l'Ostia del Sacra­mento è data e abbandonata ai fedeli. leggere...