sábado, 25 de abril de 2015

"Il mistero del Volto Santo" E’ a Manoppello

IL VELO
Il Volto Santo é un velo tenue, i fili orizzontali del tessuto sono ondeggianti e di semplice struttura, l'ordito e la trama si intrecciano nella forma di una normale tessitura. Le misure del panno sono 17 x 24 cm. é l'immagine di un viso maschile con i capelli lunghi e la barba divisa a bande.
Caso unico al mondo in cui l'immagine è visibile identicamente da ambedue le parti.
Le tonalità del colore sono sul marrone, le labbra sono di colore leggermente rosse, sembrano annullare ogni aspetto materiale.
Non sono riscontrabili residui o pigmenti di colore.
Le due guance sono disuguali: l'una, più arrotondata dell'altra, si mostra considerevolmente rigonfia.
Gli occhi guardano molto intensamente da una parte e verso l'alto. Perciò si vede il bianco del globo oculare sotto l'iride.
Le pupille sono completamente aperte, ma in modo irregolare.
Nel mezzo, sopra la fronte si trova un ciuffo di capelli, corti e mossi a mo' di vortice.
PENUEL, IL VOLTO DEL SIGNORE 
Il 23 ottobre 1999 è stata inaugurata, in una sala attigua al Santuario Del Volto Santo, una mostra permanente dal titolo:
"PENUEL, il Volto del Signore. La Sindone di Torino e il Velo di Manoppello: un unico volto".
Sono 27 pannelli che descrivono l’esperienza scientifica di Suor Blandina Paschalis Schlömer, monaca trappista tedesca, esperta in questo campo, che attraverso sovrapposizioni dimostra come la Sindone di Torino e il Velo di Manoppello combacino perfettamente. Il titolo trae origine dalla lotta di Giacobbe con un personaggio misterioso. Il racconto della Genesi si conclude. "Egli chiamò quel luogo PENUEL perché, disse, ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva" (32,31).
La didascalia chi accompagna i pannelli, oltre a presentare un percorso scientifico, vuol delineare anche un cammino spirituale che Suor Blandina propone al visitatore. I primi nove pannelli presentano le immagini che lei ha usate per giungere alla sovrapposizione, ma fa anche notare come nei vari tentativi fatti per ricavare, dal volto che la Sindone ci presenta nella morte, un’immagine viva, si è spesso accentuata una bellezza molto umana, da divo; ma, se è vero che il Signore è e rimane "il più bello tra i figli dell’uomo" (Sl 45,3), la sua bellezza è molto diversa da quella che superficialmente si immagina. E l’immagine che rivela questa beltà superiore è, per lei, il Volto impresso nel Velo di Manoppello. Dal pannello X al XIII vengono presentati i vari dettagli attraverso i quali, con un minuzioso lavoro di confronto, è giunta alla perfetta sovrapposizione.

I pannelli XIV-XXII rappresentano diverse versioni dell’immagine sovrapposta a grandezza naturale, per giungere alla constatazione che più, nello sovrapposizione, si evidenzia la Sindone, maggiormente il Volto appare dolorante nella sua passione e morte; al contrario, più si accentua il Velo di Manoppello, più chiaramente appare il Volto del Cristo Vivente.
Gli ultimi pannelli sono sovrapposizioni di foto e veline ingrandite che danno il Volto di Cristo, sintesi delle due reliquie.
Questa è la riflessione conclusiva di Suor Blandina: "Il Volto di Cristo crocifisso e quello del Cristo risorto sono una cosa sola. Torino e Manoppello sono una cosa sola! Gesù di Nazareth, che nella Sindone ci appare come il Cristo torturato e crocifisso, nel Velo di Manoppello è colui che ha vinto la morte e ci rivolge il suo sguardo interrogativo, ma pieno di amore. Alla luce di questo Volto ogni singola parola del Vangelo assume un nuovo significato. Se ci soffermeremo a sufficienza, se ci immergeremo nel silenzio, dentro e fuori di noi, anche noi, forse, come Giacobbe, chiameremo questo luogo "PENUEL" Il Volto del Signore. 
" mistero del Volto Santo"
E’ a Manoppello, in provincia di Pescara, custodita da 500 anni nella Chiesa dei Frati Cappuccini, la Veronica (la vera icona), il velo su cui sarebbe rimasto impresso il volto di Gesù Cristo che si trovava una volta in San Pietro a Roma. Lo afferma Heinrich Pfeiffer, gesuita, docente di iconologia della Pontificia Università Gregoriana che, insieme a Blandina Paschalis Schloemer, suora trappista, sostiene che il volto sulla Sindone di Torino e il volto sul velo di Mapnoppello combaciano perfettamente perché entrambi i tessuti erano adagiati sulla salma di Gesù. Le teorie di Padre Pfeiffer e di Suor Blandina si basano su ricerche storico-artistiche, ma anche su esami scientifici come quelli compiuti dal Prof. Donato Vittore, traumatologo dell’Università di Bari, che confermano la sorprendente mancanza di tracce di pittura sul velo di Manoppello, Si può adesso dopo quasi 2000 anni dalla crocifissione, conoscere l’afontespetto di Gesù?

Papa confirma ao Bispo de Leiria-Fátima que tenciona vir a Fátima em 2017

Papa confirma ao Bispo de Leiria-Fátima que tenciona vir a Fátima em 2017

Categoria: Notícias
Criado em 25-04-2015
©LMF/LO/DR | Montagem LMF
Em audiência privada de hoje (25.04.2015), o Papa Francisco confirmou a D. António Marto que, “se Deus [lhe] der vida e saúde”, quer estar na Cova da Iria para celebrar o centenário das Aparições de Fátima.
Depois de ter recebido já vários convites, é a primeira vez que Francisco afirma de forma explícita este desejo de vir a Fátima, autorizando a divulgação pública da sua intenção.
Para além de tratar diversos assuntos relacionados com Fátima, D. António Marto entregou ao Papa uma oferta monetária do Santuário, destinada às ações de ajuda aos pobres do Sumo Pontífice. Francisco mostrou-se especialmente sensibilizado por este gesto de partilha com os mais pobres.
O Bispo de Leiria-Fátima é o primeiro bispo português a reunir-se em audiência privada com o Papa Francisco e durante o encontro houve ainda oportunidade para abordar diversos aspetos da renovação pastoral que o Santo Padre procura implementar. D. António Marto agradeceu ao Papa "a nova etapa de alegria e frescura que o seu pontificado veio trazer à Igreja".
GIC Leiria-Fátima / CCS Santuário de Fátima

sexta-feira, 24 de abril de 2015

FRATERNITE SACERDOTALE SAINT-PIERRE : La liturgie de 1962

Procession des Rogations, 26 V 2014

May 31, 2014, His Excellency Athanasius Schneider, at Saint Cecilia Cathedral in Omaha, NebraskaMay 31, 2014, His Excellency Athanasius Schneider, at Saint Cecilia Cathedral in Omaha, Nebraska

May 31, 2014, His Excellency Athanasius Schneider, at Saint Cecilia Cathedral in Omaha, Nebraska

May 31, 2014, His Excellency Athanasius Schneider, at Saint Cecilia Cathedral in Omaha, Nebraska

Présentation La liturgie de 1962

La Fraternité et la liturgie

Le but de la Fraternité Sacerdotale Saint-Pierre est la sanctification des prêtres moyennant l'exercice du sacerdoce, principalement en conformant leur vie au très Saint Sacrifice Eucharistique, « par l'observance des traditions liturgiques et spirituelles »[1]. Ainsi « l'usage des livres liturgiques en vigueur en 1962 est concédé aux membres de la Fraternité Sacerdotale Saint-Pierre ainsi qu'aux autres prêtres, qui sont hôtes dans les maisons de la Fraternité ou qui exercent un ministère sacré dans les églises de celle-ci  »[2].
L'usage du rite romain « traditionnel » (également appelé « tridentin  » ou « de Saint Pie V[3] »), tel qu'il était en vigueur dans l'Eglise latine avant la réforme de 1969, est une particularité de la Fraternité Sacerdotale Saint-Pierre. Il convient donc de développer un peu les raisons de cet attachement à cette manière de célébrer que beaucoup connaissent peu ou mal.

La liturgie dans l'Eglise

« L'ensemble du culte que l'Eglise rend à Dieu », écrivait le Pape Pie XII dans l'encyclique Mediator Dei, « doit être à la fois intérieur et extérieur. Extérieur, certes, car tel le requiert la nature de l'homme, composé d'une âme et d'un corps car la Providence divine a voulu que par la connaissance des réalités visibles, nous soyons attirés à l'amour des réalités invisibles. (...) Mais l'élément essentiel du culte doit être l'intérieur, car il est nécessaire de vivre toujours dans le Christ, de lui être tout entier dévoué, pour rendre en lui, avec lui et par lui, gloire au Père des cieux »[4]. Ainsi les « réalités sensibles peuvent devenir le lieu d'expression de l'action de Dieu qui sanctifie les hommes, et de l'action des hommes qui rendent leur culte à Dieu »[5].  L'Eglise, épouse du Christ, guide la main de ses enfants dans la prière liturgique.
On définit alors la liturgie, selon la Constitution Sacrosanctum Concilium, comme « l'exercice de la fonction sacerdotale de Jésus Christ, dans lequel la sanctification de l'homme est signifiée par des signes sensibles et réalisée d'une manière propre à chacun d'eux, dans lequel le culte public intégral est exercé par le corps mystique de Jésus-Christ, c'est à dire par le Chef et par ses membres »[6].
Dans la prière liturgique, les membres de l'Eglise s'insèrent dans le culte rendu par le Fils au Père. « Par conséquent, toute célébration liturgique, en tant qu'œuvre du Christ prêtre et de son Corps qui est l'Eglise, est l'action sacrée par excellence dont nulle autre action de l'Eglise n'égale l'efficacité au même titre et au même degré »[7].
Les signes liturgiques se composent du signe essentiel, nécessaire à la validité sacramentelle, et des signes secondaires qui en sont comme l'écrin qui le contiennent. Tous ces gestes et paroles sacrés désignent une réalité de grâce, mystérieuse et transcendante, en la rendant présente, efficace et fructueuse.
« Le mystère de la Messe est au-dessus de ses expressions liturgiques. Si légitimes et nécessaires soient-elles, elles lui demeurent par nature inadéquates. Elles ne représentent que des vérités partielles ; une tension va se créer entre elles. Faut-il d'abord insister dans la liturgie sur le rôle primordial, enveloppant, souverainement efficace du sacrifice du Christ ? Faut-il au contraire mettre l'accent sur le rôle secondaire du sacrifice de l'Eglise et la participation des fidèles ? (...) Faut-il adorer en silence le mystère ineffable de la rédemption du monde, rendu présent au milieu de nous ? Faut-il le faire acclamer par la foule ? (...) On le voit, les tensions qui ont donné naissance aux divers rites reparaissent à l'intérieur d'un même rite. Au regard de la foi et de la contemplation, le mystère de la rédemption continué en chaque Messe est un, parfait, immuable, infiniment simple, embrassant dans son horizon l'universalité du temps et de l'espace, absolument transcendant par rapport à ses formes liturgiques qui ne peuvent avoir qu'une valeur secondaire. Mais le bon ordre et la vie de la communauté ecclésiale ont besoin précisément de ces formes liturgiques »[8].

La liturgie traditionnelle

La liturgie tridentine est une des formes liturgiques de l'Eglise. Codifiée après le concile de Trente, « en des temps vraiment difficiles où, sur la nature sacrificielle de la messe, le sacerdoce ministériel, la présence réelle et permanente du Christ sous les espèces eucharistiques, la foi catholique avait été mise en danger, il fallait avant tout, pour Saint Pie V, préserver une tradition relativement récente[9], injustement attaquée, en introduisant le moins possible de changements dans le rit sacré... » Le n° 7 du préambule, rajouté en 1970, de l'Institutio Generalis du missel réformé décrit ainsi le contexte de la réforme tridentine, et par le fait même les atouts du missel tridentin. Alors, aujourd'hui où la foi et la piété eucharistique diminuent, il est permis de poser la question : une des réponses aux insuffisances théologiques, catéchétiques, spirituelles et pastorales des chrétiens aujourd'hui, n'est il pas la célébration du mystère eucharistique en usant des formes liturgiques du missel de Saint Pie V ?
La liturgie traditionnelle, en effet, exprime avec acuité la présence du sacrifice de la croix, oriente notre âme vers Dieu et témoigne de notre adoration envers sa présence réelle. Bien sûr il ne faut pas voir dans la messe un cours de théologie, mais la doctrine se trouve exprimée dans ses différentes prières. On retrouve ainsi clairement exprimées les quatre fins du Saint Sacrifice : adoration, action de grâce, propitiation, demande.
Il est normal que les prières de la messe soient orientées vers l'adoration, parce que l'homme en tant que créature doit d'abord reconnaître sa totale dépendance vis-à-vis de Dieu, et que c'est là la fin première du Sacrifice. Remarquons ensuite que la plupart des oraisons du missel de 1962, ainsi que différentes prières de l'offertoire et du canon, sont de ferventes demandes de grâces à Dieu, la première de ces demandes étant que Dieu daigne accepter ce sacrifice. Les prières de l'offertoire montrent bien le caractère propitiatoire de l'offrande qui est faite, Jésus Christ immolé pour nos fautes, afin que la Rédemption s'accomplisse. C'est tout cela qui est explicité, entre autre, par le si riche Offertoire traditionnel.
Il faut également remarquer que le rite tridentin, à l'image de la fumée de l'encens montant vers le ciel, élève nos âmes jusqu'à Dieu et, nous faisant passer des réalités sensibles aux mystères éternels, nous permet, dès ici-bas, d'unir nos voix à celles des bienheureux. Tous les gestes, toutes les cérémonies existent dans ce but. L'orientation de l'autel, les gestes d'adoration, la langue sacrée, le mystère et le silence qui entourent la consécration, etc. : tous ces aspects manifestent bien le caractère sacré de la messe.
N'est-ce pas parce qu'il est ministre de l'Eglise, comme nous l'avons dit plus haut, que le prêtre va, par exemple, utiliser dans sa fonction sacrée, une langue qui n'est pas sa langue maternelle, mais qui est la langue de l'Eglise dont il est ici l'ambassadeur  ? En effet la langue utilisée dans la liturgie tridentine est le latin[10]. La plupart des prières de la messe datent des premiers siècles de notre ère chrétienne. Ainsi il est couramment admis que le Canon (la prière centrale du Sacrifice Eucharistique) a été fixée de manière quasi définitive dès la fin du IVème siècle[11]  ! En 1570, le pape Saint Pie V n'a donc pas « composé » un nouveau missel : il a simplement harmonisé des prières et des rites qui lui étaient bien antérieurs.
Le silence est quant à lui, l'expression la plus belle de notre adoration envers le Dieu qui descend sur nos autels. Il est de plus très expressif du mystère qui se réalise. Comme nous l'enseigne St Ignace d'Antioche, le silence accompagne le mystère : « la virginité de Marie, son enfantement et la mort du Seigneur sont trois mystères éclatants que Dieu opéra dans le silence ». Le silence au moment du canon est ce qui favorise le mieux une participation vraiment profonde, personnelle et intérieure au mystère de l'autel.
La musique tient néanmoins une place de choix dans la liturgie classique : c'est pour être à son service et l'embellir que le grégorien et la polyphonie sacrée se sont développés au cours des siècles.

Un héritage... à transmettre

La liturgie utilisée par les prêtres de la Fraternité Sacerdotale Saint Pierre est enfin un héritage ; elle est, de par son origine, l'expression de la piété et de la sainteté de l'Eglise. Nombreux sont les saints qui l'ont goûtée et ses bienfaits sont encore visibles aujourd'hui  : sa richesse surprend chaque jour ceux qui la pratiquent. Elle est une aide précieuse pour nous conduire à Dieu tout au long de notre pèlerinage ici-bas. Le pape Jean-Paul II, dans un message adressé à l'Assemblée plénière de la Congrégation pour le Culte Divin et la discipline des sacrements, qui s'est tenue au Vatican en septembre 2001, a ainsi déclaré : « Le peuple a besoin de voir dans les prêtres et les diacres une attitude pleine de révérence et de dignité, capable de l'aider à pénétrer les choses invisibles, même sans beaucoup de paroles et d'explications. Dans le missel romain, dit de saint Pie V, ainsi que dans les diverses liturgies orientales, l'on trouve de très belles prières par lesquelles le prêtre exprime un sentiment très profond d'humilité et de révérence en présence des saints mystères : celles-ci révèlent l'essence de toute liturgie ».
Voici donc en quelques mots - et de manière bien sommaire - exposées les raisons de l'attachement de la Fraternité Sacerdotale Saint Pierre au rite Romain classique. Nous avons essentiellement évoqué ici la liturgie de la Messe, mais les membres de la Fraternité Sacerdotale Saint-Pierre disposent de l'usage de tous les livres liturgiques en vigueur en 1962[12] (Missel, Bréviaire, Rituel, Pontifical et Cérémonial des Evêques). C'est une richesse que l'Eglise leur confie comme un trésor : à l'exemple du bon intendant de l'Evangile, ils veulent le défendre, en vivre et le transmettre aux générations futures.

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Articoli di Don Claudio Crescimanno


Crescimanno Don Claudio

don claudio crescimanno
Don Claudio Crescimanno è nato a Modena il 25 agosto 1967. Ha studiato filosofia e teologia a Tortona (Al) e a Roma, e ha frequentato i corsi di licenza in sacra teologia preso lo Studio Teologico Accademico Bolognese dei padri Domenicani. È stato ordinato sacerdote nel 1994. Ha collaborato alla stesura dei volumi: ‘Olocausto: chi ha paura della verità?’, Lux Veritatis, 2002; ‘Risorgimento: chi ha paura della verità?’, Lux Veritatis, 2003; ‘Eucaristia. La verità della dottrina cattolica’, I Quaderni del Timone, 2006, 2 ed.; ‘La credibilità storica dei Vangeli’, I Quaderni del Timone, 2009. 
Visualizza gli articoli (27)

Il valore della liturgia tradizionale di don Claudio Crescimanno

Gioved� Santo
Il valore della liturgia tradizionale
di don Claudio Crescimanno
articolo pubblicato su Il Timone n.66 (settembre 2007)
La coraggiosa decisione del Santo Padre di liberalizzare, alle giuste condizioni, l’uso del messale del 1962, ha riportato all’attenzione della Chiesa il valore delle forme liturgiche tradizionali. Questi valori sono sostanzialmente tre.
1. Anzitutto la millenaria bellezza e solennità di questa liturgia.
La struttura essenziale della messa romana si è andata formando nei tempi dei papi Damaso (366-384) e Gelasio (492-494) e ha ricevuto il suo assetto definitivo con l’opera di Gregorio Magno (590-604): con il VII secolo può, dunque, considerarsi costituita, anche se, quale organismo vivente, continuerà a crescere ininterrottamente nei secoli seguenti.
La struttura fondamentale di questa liturgia è così composta:
  • la processione dei ministri dalla sacristia al presbiterio durante il canto dell’Introito;
  • di seguito, quando il celebrante ha raggiunto la sua sede, il canto del Kyrie e del Gloria, e poi il saluto liturgico e la Colletta, cioè l’orazione che chiude i riti di ingresso e apre la liturgia della Parola;
  • quindi la lettura apostolica, i canti interlezionari e il brano evangelico con l’omelia;
  • la processione offertoriale accompagnata dal canto e concluso dalla sua orazione;
  • il Prefazio concluso dal canto del Sanctus e seguito dalla solenne preghiera eucaristica, il Canone romano;
  • poi il Padre nostro e i riti di Comunione con i loro canti;
  • infine il saluto liturgico, l’orazione finale, il congedo proclamato dal diacono e la processione di uscita, durante la quale il celebrante benedice i circostanti.
Dal VII secolo questa liturgia si espande con rapidità anche fuori dalla città di Roma: infatti san Gregorio Magno “si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra liturgia … nel modo in cui si celebrava nell’Urbe”.
La grandiosità allo stesso tempo solenne e sobria della messa romana, in cui splende inequivocabilmente la fede della Chiesa antica, nasce da una concezione cosmica del culto divino: “Nell’ora del Sacrificio, alla voce del sacerdote, si aprono i Cieli … e anche i cori degli angeli partecipano a questo mistero … poiché l’Alto e il basso si congiungono, il Cielo e la terra si uniscono, il visibile e l’Invisibile diventano una cosa sola”.
A partire dalla struttura essenziale di canti, letture e preghiere dell’antica messa romana che abbiamo descritto, si è sviluppata la celebrazione medievale, nell’incontro con gli usi liturgici dei Franchi e dei Germani. Tale incontro, però, non ha cambiato la struttura della messa, ma l’ha solo integrata, in un modo assolutamente rispettoso della sua fisionomia: infatti, conservando il medesimo impianto, alle parti in canto dell’Introito, dell’Offertorio e della Comunione si sono sovrapposti, per i soli ministri, nuovi gesti e preghiere (recitate sottovoce). In questo modo il rito si è conservato integro nella sua struttura e nello stesso tempo si è arricchito nel suo svolgimento.
Questo processo ha ricevuto la sua codificazione all’inizio dell’età moderna, con la pubblicazione del messale post-tridentino ad opera di san Pio V, nel quale risplendono tutti i valori ereditati dalla tradizione precedente e contemporaneamente espressivi dello spirito della controriforma: l’esaltazione della dimensione sacrificale della messa, quindi del dogma della transustanziazione e della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, e di conseguenza della sacralità del sacerdote quale ministro di Dio e mediatore del culto. Così la celebrazione diviene il trionfo della vera fede nella vera Chiesa, in opposizione ai protestanti: i ministri, rivestiti di splendidi paramenti e inseriti in una cornice architettonica sfarzosa (il barocco), vengono trasfigurati in un’aura di sacralità, e realizzano in una lingua misteriosa un rito splendido e complesso, reso ancor più grandioso dalla musica polifonica. I fedeli non vengono incoraggiati a vivere in unione ai ministri le azioni della liturgia, ma piuttosto a lasciarsi ‘impressionare’ da questo dramma sacro e solenne, così da sentirsi confermati e nutriti nella fede e sollecitati alla devozione, soprattutto la devozione ai misteri della salvezza, che essi meditano con la recita del rosario mariano.
Questa liturgia, frutto di quindici secoli di evoluzione nella continuità, resta in vigore, con qualche adattamento ma senza sostanziali modifiche, sino al 1969, e, grazie a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI, può essere celebrata anche oggi.
2. L’orientazione comune del celebrante e dei fedeli.
Anche se non è prerogativa esclusiva dell’antica liturgia, possiamo dire che vi è abitualmente associata: il celebrante e i ministri si collocano sul lato anteriore dell’altare, così da rivolgersi nella stessa direzione dei fedeli e non verso di essi.
È la forma in cui hanno celebrato la liturgia tutti i cristiani d’oriente e d’occidente sin dai primi secoli; è la forma in cui la celebrano a tutt’oggi la gran parte dei nostri fratelli orientali.
Non si tratta, come spesso si sente dire, del fatto che il sacerdote ‘volta le spalle’ ai fedeli, ma del fatto che entrambi sono ‘rivolti al Signore’. Questa posizione conferisce verticalità e senso della trascendenza a tutta la celebrazione e le impedisce di scadere in un pericoloso orizzontalismo.
Questo significa guardare al sole che nasce, simbolo della creazione e della risurrezione; significa attesa del ritorno glorioso di Cristo, di cui la liturgia è annuncio e pregustazione; significa camminare, come singoli e come Chiesa, incontro al Signore; significa presentare a Lui i propri doni e la propria vita; significa uscire dal cerchio sociologico di una comunità chiusa per volgersi tutti insieme a Colui che ci chiama e ci attira; significa guardare verso Colui che adoriamo, lodiamo, ringraziamo, supplichiamo, e al quale offriamo come culto spirituale l’immolazione di Cristo e noi stessi insieme con Lui.
È un elemento “essenziale, il comune orientamento verso est durante la preghiera eucaristica. Qui non si tratta di qualcosa di casuale, ma dell’essenziale. Non è importante lo sguardo rivolto al sacerdote, ma la comune adorazione, l’andare incontro a Colui che viene … Si tratta della riscoperta dell’essenziale, in cui la liturgia cristiana esprime il suo orientamento permanente … O forse oggi siamo davvero chiusi senza speranza nel nostro cerchio? O non è forse proprio oggi importante pregare insieme con tutta la creazione? Non è forse proprio oggi importante dare spazio alla dimensione del futuro, della speranza nel Signore che tornerà?”.
3. Il valore della lingua latina.
Anche in questo caso non si tratta di un’esclusiva, poiché anche la messa rinnovata si può celebrare in latino, come abbiamo visto tante volte in san Pietro; ma certo la sia associa in modo particolare alla liturgia tradizionale, tanto che questa viene sbrigativamente chiamata proprio ‘la messa in latino’. E in realtà l’abbandono della messa tradizionale ha comportato la pressoché totale scomparsa nella liturgia anche di questa lingua; ma questo è uno di quei “casi di quella sfasatura – purtroppo frequente in questi anni – tra il dettato del concilio, la struttura autentica della Chiesa e del suo culto, le vere esigenze pastorali della nostra epoca, e le risposte concrete di certi settori clericali. Eppure la lingua liturgica non è affatto un aspetto secondario”. Infatti il latino ha incarnato la preghiera della Chiesa occidentale per oltre mille e seicento anni, veicolo e garante di una triplice unità:
  • unità nella fede, perché fissa e dà stabilità immutabile alle formule dottrinali di cui è intrisa la liturgia; al contrario le lingue parlate sono in continua trasformazione, quindi richiedono anche per la liturgia periodici aggiornamenti, favorendo una certa instabilità;
  • unità nel tempo, perché ci lega a tutti i fratelli nella fede che ci hanno preceduto in quasi duemila anni: per chi comprende l’inestimabile valore della tradizione, non può essere un fatto trascurabile il sapere di poter pregare con le stesse formule e con gli stessi canti con cui hanno pregato i cristiani dei primi secoli, i Padri della Chiesa, i popoli della cristianità medievale, i fedeli dell’epoca moderna, e segnatamente i Martiri e i Santi di tutti i tempi, sino ai nostri nonni, cioè ai credenti dell’ultima generazione che ci ha preceduto;
  • unità nello spazio, perché permette a tutti i cattolici di ogni paese e continente di unirsi in una sola voce, raccolti presso l’altare, a qualunque latitudine esso si trovi; in questo modo è la Chiesa universale che prega per bocca dei suoi figli senza distinzione di razza e cultura; la medesima preghiera che si innalza da tutti i popoli, celebrando il medesimo Sacrificio nella stessa lingua, rinnovando il prodigio della prima Pentecoste. Questo risulterebbe particolarmente importante proprio nel nostro tempo, epoca di grandi migrazioni e quindi di pluralità culturale e linguistica all’interno di una stessa società: come sarebbe bello se i cattolici provenienti dall’Africa, o dall’Asia, o dall’America, potessero partecipare alla messa in una qualunque delle nostre chiese, insieme ai loro fratelli italiani, ritrovando in essa la medesima liturgia, con gli stessi canti e le stesse preghiere della loro patria. Questo è ciò che è avvenuto tra il XIX e il XX secolo ai nostri emigranti, partiti per il nord Europa o per l’America: si sentivano stranieri in tutto eccetto che in chiesa, perché là trovavano la stessa messa, con gli stessi riti e le stesse millenarie parole, uguale a quella del paese appena lasciato.
Insieme a questi straordinari vantaggi, di grande attualità, occorre riconoscere che la lingua latina può costituire anche un ostacolo non piccolo per la necessaria comprensione di quella parte della liturgia nella quale il Signore ammaestra i suoi discepoli: la lettura delle sacre Scritture. È dunque necessario, e la Summorum Pontificum lo prevede, che la liturgia della Parola si svolga nella lingua parlata, mentre la liturgia eucaristica conserva, nella lingua latina, le sue caratteristiche di universalità e sacralità immutabile.

Pietrarubbia: una santa messa domenicale in rito tradizionale

quinta-feira, 23 de abril de 2015

Misa solemne y cuatro obispos. Su Eminencia Raymond Leo, Cardenal Burke, celebró Misa prelaticia con la forma extraordinaria del Rito Romano, en la iglesia de San Juan el Amado, en McLean, Virginia, Estados Unidos


Misa solemne y cuatro obispos

El pasado 12 de abril, Dominica in Albis, el reverendo don Michele Piras (diocesano), ordenado la jornada anterior, celebró su primera Misa Solemne en la forma extraordinaria del Rito Romano, en la Basilica de Nuestra Señora de Bonaria en Cagliari, Italia. Asistieron a la ceremonia, Su Eminencia el Cardenal De Magistris, y Monseñores don Arrigo Miglio, Arzobispo de Cagliari; don. Pedro Julián Tiddia, Arzobispo Emérito de Oristano don Antíoco Piseddu, Obispo emérito de Lanusei, junto con más de un centenar de sacerdotes y seminaristas y gran número de fieles.


Se eleva a 391 el número de Cardenales y Obispos que han asistido a la Liturgia tradicional tras la entrada en vigor del motu proprio Summorum Pontificum.




Misa prelaticia en Virginia

Su Eminencia Raymond Leo, Cardenal Burke, Patrono de la Soberana Orden de Malta, celebró Misa prelaticia con la forma extraordinaria del Rito Romano, en la iglesia de San Juan el Amado, en McLean, Virginia, Estados Unidos, junto a estudiantes de la Universidad de Georgetown. Ornamentos rojos por la fiesta de San Hermenegildo.

Rorate Caeli


quarta-feira, 22 de abril de 2015

Ordination à Lagrasse par Mgr Barbarin

Ordination à Lagrasse par Mgr Barbarin

Les 18 avril, le cardinal Philippe Barbarin, en présence de Mgr Alain Planet, évêque du diocèse, a ordonné prêtre le père Raphaël, chanoine régulier de la Mère de Dieu, en l’abbaye Ste Marie de Lagrasse. Voici quelques photos :
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La Liturgia è la Tradizione stessa nel suo più alto grado di potenza e di solennità


La Liturgia è la Tradizione stessa nel suo più alto grado di potenza e di solennità

Il 2 settembre del 2013 proponevamo questo testo, che riprendo oggi perché lo trovo citato da diverse altre fonti. Il blog sommerge inesorabilmente anche i testi sui quali sarebbe opportuno soffermarsi a lungo e tenere ben presenti per i propri approfondimenti. Ma, in attesa di sistematizzare in un sito in costruzione gli innumerevoli importanti contenuti per renderli meglio fruibili, eccovi questo piccolo tesoro non più nascosto.
È un brano di Dom Gérard Calvet O.S.B.da Romualdica. Questi, non altri, sono i nostri maestri.

Sapete di quali tesori siete depositari? Alla fine del secolo VI, nel momento in cui l’Impero romano in piena decadenza passa il testimone della cultura al mondo cristiano, la Chiesa è in possesso dei più bei gioielli del suo tesoro liturgico, tra i quali bisogna contare le preghiere del Messale e specialmente le ammirevoli collette che precedono la lettura dell’Epistola.
Charles Péguy scopriva con stupore che c’è un santo per ogni giorno; dovete inoltre sapere che ogni giorno c’è una preghiera destinata a guidare i vostri passi sulla via stretta.
Queste preghiere, cesellate da anni di fede da mani fini e sapienti, dovete saperle a memoria, studiarle e meditarle, perché vi si trova lo spirito incorrotto del cristianesimo contenuto sotto forma di massime scolpite nel bronzo, e non c’è niente di più adatto da mettere in pratica come le alte certezza dell’anima: queste preghiere sono regole di vita.

Carlos Magno e o ideal de Cristandade


Carlos Magno e o ideal de Cristandade




“A Carlos se chama com razão de Magno: merece este nome enquanto general e conquistador, ordenador e legislador do imenso reino, enquanto inspirador da vida intelectual no Ocidente. Sua vida é uma luta contínua contra a brutalidade e a barbárie”

No dia 28 de janeiro de 2014 completaram-se 1.200 anos da morte de Carlos Magno. Em diversas cidades pertencentes outrora ao seu império, como Aquisgrão (Aachen em alemão; Aix-la-Chapelle em francês), Zurique, Frankfurt-am-Main, houve exposições sobre ele, visitadas por imenso público.

A importância dada ao jubileu carolíngio é mais do que explicável: poucas personalidades na história da Cristandade tiveram uma influência tão duradoura, irradiaram um prestígio tão grande e deixaram uma recordação tão arrebatadora quanto este monarca franco, elevado pelo Papa São Leão III na noite de Natal do ano de 800 à dignidade de Imperador Romano do Ocidente.

Os ideais de Carlos Magno

“Com ajuda de Deus, nossa missão é externamente defender a Santa Igreja de Cristo pelas armas e por todas as partes das incursões dos pagãos e das devastações dos infiéis, e internamente, fortalecê-la pelo reconhecimento da verdadeira Fé.

“A vossa missão, Santo Padre, consiste, à maneira de Moisés, em erguer os braços em oração a Deus, e destarte ajudar nossos exércitos, de modo que por vossa intercessão e sob a guia e proteção de Deus, o povo cristão alcance sempre a vitória sobre os inimigos de seu santo nome e que o nome de Jesus Cristo seja glorificado no mundo inteiro.”

Carlos Magno coroado imperador pelo Papa
Carlos Magno coroado imperador pelo Papa
Nessas palavras de Carlos Magno, dirigidas em carta a São Leão III, estão expressos seus ideais e boa parte da dupla obra que empreendeu: de um lado, defender a Igreja de seus inimigos externos; de outro, fortalecer a Fé.

Para cumprir a primeira parte desse programa, dedicou ele os 42 anos de seu reinado, tanto combatendo no Leste o paganismo de saxões e ávaros, quanto refreando no Oeste o avanço muçulmano.

É essa sua face heroica e guerreira que inspirará nos séculos futuros as canções de gesta, como a famosa Chanson de Roland.

Na segunda parte, que poderia ser qualificada de positiva, revela-se seu gênio de estadista e de incansável administrador e restaurador, empenhado na tríplice reforma religiosa, moral e cultural de seus súditos, visando à formação de uma civilização cristã segundo a concepção de Santo Agostinho em uma de suas obras mais famosas, a De civitate Dei:

“A gloriosíssima Cidade de Deus, seja aqui nesta Terra na sucessão dos tempos, onde ‘vivendo da Fé’ ela peregrina entre os ímpios, seja na estabilidade da eterna morada que presentemente espera com paciência ‘até que a justiça se transforme em julgamento’ e que obterá um dia o esplendor de uma vitória suprema por uma paz perfeita, defendê-la contra os que preferem seus deuses Àquele que a criou, eis o objetivo da obra que começo e com a qual cumpro a promessa que te fiz, meu caro discípulo Marcelino. Tarefa imensa e árdua, mas Deus é nossa ajuda”. (De Civitate Dei contra paganos, Liber I).

Eginhardo, formado na corte carolíngia e autor da Vita Caroli Magni, única biografia escrita por quem conheceu a fundo e na intimidade o Imperador, conta que este fazia ler com frequência trechos dessa obra do grande Padre da Igreja durante suas refeições, realizadas geralmente na companhia de seus familiares mais próximos.

Cidade de Deus — uma reflexão teológico-histórica sobre o mundo pagão em ruínas após a tomada de Roma por Alarico em 410 e as vicissitudes do cristianismo nascente — delineia os contornos de uma sociedade perfeita que só pode surgir no seio do cristianismo.

Conhecedor profundo dessa inspirada obra, Carlos Magno não desejou senão realizar o ideal do príncipe cristão — tal como Santo Agostinho o imaginava — que emprega todo o seu poder “ad Dei cultum maxime dilatandum”. 


(Fonte: Renato Murta de Vasconcelos. CATOLICISMO, fevereiro de 2015