sábado, 3 de dezembro de 2016

Don Divo Barsotti , ci può raccontare come è nata la sua vocazione?

Contemplerò il tuo volto

"Chiunque vuol appartenere a Cristo deve, e dovrà sempre più, prepararsi al martirio. Ognuno di noi, se è cristiano, è un martire in potenza. La sua presenza provoca l'odio del mondo. Come mai ti sei dimenticato della Parola di Dio così da credere (e insegnare) la possibilità di un dialogo con il mondo?". Questa annotazione il padre la scrive nel proprio diario nel 1993, sulla soglia degli ottant'anni. È sempre combattivo, sino alla fine, perché si tratta di quella "battaglia" della fede di cui parla anche san Paolo alla fine della vita: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede" (2 Tm 4,7).

Padre, ci può raccontare come è nata la sua vocazione?
Sono nato in una famiglia cristiana. C'era già un mio fratello che era in Seminario, sacerdote molti anni prima di me; l'ambiente favoriva lo sbocciare di questa vocazione; diceva san Giovanni Bosco che su cento giovani almeno sessanta-settanta hanno la vocazione. La mia vocazione è stata assai precoce; mi ricordo che avevo sei, sette anni quando ci furono le missioni a Palaia e c'era un padre passionista che mi parlò; io volevo entrare subito fra i passionisti, ma quando ne parlai in casa mi dissero: "Intanto continua a studiare, finisci le elementari e poi vedremo". Io pensavo fin da allora a una vita religiosa di donazione intera al Signore, ma non ho mai avuto la vocazione a diventare parroco. Non sapevo cosa pensare, non sapevo dove il Signore voleva portarmi. La mia vocazione si è manifestata via via che ho vissuto. Ricordo che don Calabria (ora santo) al quale mi rivolsi, mi rispose "Sia in pace, verrà il tempo nel quale farà quello che Dio vuole da lei.leggere...

Divo Barsotti , Commemorazione della morte di Emer


 
Divo Barsotti
ritiro di Pentecoste giugno 92
Commemorazione della morte di Emer
meditazione pomeridiana
Inserto CFD 1993



 
Nel dono dello Spirito che il Signore ci ha fatto la morte è stata sconfitta , perchè noi siamo divenuti partecipi della resurrezione insieme con i santi. Fino alla Pentecoste Dio era estraneo all'uomo. Anche dopo che si era incarnato , vi era Gesù e vi era Pietro , vi era Gesù e vi era Giovanni. Non soltanto erano distinti , ma in qualche misura erano anche divisi. Nel dono dello Spirito invece il Cristo si è fatto intimo all'uomo , è divenuto uno con noi , Lui che è la vita. Che cosa possiamo chiedere al Cristo risorto oggi , se non questo : non più di incontrarlo per la strada come i discepoli di Emmaus , non più di vederlo come un ortolano nell'orto , non più di riconoscerlo sulle sponde del lago. Egli non è più da noi separato , perchè si è fatto intimo a noi. Intima a noi e per sempre è la vita. Noi dobbiamo realizzare nella nostra fede che la vera realtà rimane invisibile; non solo la realtà di Dio , ma anche la realtà dell'uomo; non solo la realtà del mondo divino , ma anche la realtà di questo mondo , perchè una volta che egli è risorto , si è reso invisibile. Ma non per questo è meno vivo; anzi ora soltanto è donatore di vita , come ci insegna l'apostolo Paolo: con la Resurrezione egli è divenuto Spirito vivificante , lo Spirito che dona la vita. Non siamo noi che diamo la vita; sono coloro che sono passati nel regno di Dio che ci danno la vita insieme col Cristo.

 
Nel dono dello Spirito che il Signore ci ha fatto la morte è stata sconfitta , perchè noi siamo divenuti partecipi della resurrezione insieme con i santi. Fino alla Pentecoste Dio era estraneo all'uomo. Anche dopo che si era incarnato , vi era Gesù e vi era Pietro , vi era Gesù e vi era Giovanni. Non soltanto erano distinti , ma in qualche misura erano anche divisi. Nel dono dello Spirito invece il Cristo si è fatto intimo all'uomo , è divenuto uno con noi , Lui che è la vita. Che cosa possiamo chiedere al Cristo risorto oggi , se non questo : non più di incontrarlo per la strada come i discepoli di Emmaus , non più di vederlo come un ortolano nell'orto , non più di riconoscerlo sulle sponde del lago. Egli non è più da noi separato , perchè si è fatto intimo a noi. Intima a noi e per sempre è la vita. Noi dobbiamo realizzare nella nostra fede che la vera realtà rimane invisibile; non solo la realtà di Dio , ma anche la realtà dell'uomo; non solo la realtà del mondo divino , ma anche la realtà di questo mondo , perchè una volta che egli è risorto , si è reso invisibile. Ma non per questo è meno vivo; anzi ora soltanto è donatore di vita , come ci insegna l'apostolo Paolo: con la Resurrezione egli è divenuto Spirito vivificante , lo Spirito che dona la vita. Non siamo noi che diamo la vita; sono coloro che sono passati nel regno di Dio che ci danno la vita insieme col Cristo.leggere...

LA NECESSITA' DI FARE SPAZIO ALL'AMORE ,don Divo Barsotti


 "Il mio cammino con santa Maria Maddalena de' Pazzi",
pp.58-61 , 2008, Nerbini)



"Noi dobbiamo capire che siamo stati chiamati da Dio, prima ancora che per un esercizio pastorale, per vivere la nostra unione con Dio.
La nostra vocazione monastica implica che noi vogliamo soprattutto e principalmente vivere per il Signore, scartando ogni ministero a meno che non sia del tutto necessario.
Ma la nostra è essenzialmente una vita contemplativa, una vita di preghia, una vita di unione con Dio.
La verginità alla quale ci siamo consacrati non ci ha reso sterili, non ci ha allontanato dalla vita, ma ha dato a noi un dono grande, differente da coloro che vivono un impegno nelle opere.
Infatti, essi hanno bisogno dell'azione della grazia che fecondi il loro lavoro.
E l'azione della grazia è meritata ed è ottenuta dalla Vergine Maria per quanto riguarda tutta la Chiesa e anche da ogni santo e santa che viva nella sua verginità la sua consacrazione al Signore.
Non è vero che noi viviamo ai margini della Chiesa.
Noi ne siamo il cuore.
Non è facile per noi vedere il cuore perché rimane nascosto nel petto, non lo si vede, ma è per il cuore che il corpo vive.
Così è per la Chiesa.
Noi viviamo nell'ombra.
Noi viviamo nel silenzio.
Ma vivendo nell'ombra e nel silenzio, non per questo cessiamo di essere un organo fondamentale della sua vita, ne siamo il cuore.
Non è vero solo per santa Teresa di Gesù Bambino.
E' vero per ogni anima contemplativa!
E' vero per ogni anima che si apre ad accogliere Dio nel suo cuore!
Ecco il perché della nostra vita, la ragione della nostra vocaizone.
In un momento così grave per la Chiesa come quello che viviamo, c'è una necessità ancora più grande di anime consacrate a Dio nella verginità perché, consacrandosi a Dio nell'amore, possano ottenere da Dio di essere fecondate da Lui e poter essere nella Chiesa elemento di vita.
Viviamo la nostra verginità consacrata in un amore esclusivo per Dio, un amore totale per Dio, quell'amore che il Signore ci ha comandato dai tempi antichi, dall'Antico Testamento.
E' tutto l'essere umano che deve bruciare nell'amore di Dio, che deve consumarsi nell'amore di Dio.
Doniamoci allo Spirito Santo perché consumi in noi ogni resistenza, ogni imperfezione e tutta la nostra vita non sia più che un'unica fiamma, una fiamma pura senza fumo.
Tutto questo lo saremo se vivremo precisamente quello che abbiamo promesso, la scelta assoluta di Dio in una vita di preghiera, di silenzio, di umiltà, in una vita soprattutto di amore, perché l'umiltà, il silenzio, sono tutte manifestazioni di quell'amore che deve totalmente trasformarci per essere anche noi uniti al Signore in una medesima vita, in una stessa missione.
Abbiamo bisogno di accogliere gli altri nei loro limiti, nelle loro imperfezioni.
Che Egli rimanda sempre vivo per noi!
Che la nostra vita religiosa sia a un rapporto reale, vivo, con Lui presente, che non decada mai in un certo formalismo, se pure nell'esercizio delle virtù.
Quanto abbiamo da chiedere questo a Dio!
E consentiamo che la nostra preghiera è troppo fredda.
Troppo poco noi ci sentiamo impegnati per ottenere da Dio quello che chiediamo.
Per tutta la nostra miseria, per tutta la nostra mediocrità, imploriamo il perdono di Dio e la grazia di rinnovarci nel nostro spirito per essere sempre più generosi e fedeli".

Don Divo Barsotti, "Esci dalla tua terra - il cammino della vita religiosa"

"Noi dobbiamo ascoltare Dio.
Dobbiamo aver coscienza che la vita" consacrata "suppone una vocazione divina e continuerà nella misura che questa vocazione persiste.
Se Dio ci dice una parola, non la dice soltanto passando.
La parola di Dio rimane.
E' quella parola che ti crea.
E fintanto che tu non l'avrai realizzata s'impone a te come legge della tua vita.
E siccome non la realizzeremo mai fino in fondo nella nostra vita mortale, per questo dobbiamo mantenerci sempre in ascolto.
Dovete mantenere questo contatto con la Parola che vi chiama.
Dio disse: - Sia fatta la la luce -, e la luce fu.
La creazione dell'uomo non è immediata.
Disse Dio:- Creiamo l'uomo -.
E' un atto continuativo.
La Parola che ci crea, o piuttosto, che è rivolta a noi per realizzare in noi un piano divino, è una Parola che si realizzerà attraverso tutto il nostro cammino terrestre.
Noi dobbiamo mantenerci in ascolto di quella Parola.
Vi ripeto: rinnovatevi davanti al Signore; rinnovate, nel silenzio della vostra anima davanti al Signore, l'ascolto della vocazione che avete un giorno ricevuto.
Troppo spesso ci si stanca di ascoltare, ci si riposa, si dorme.
Quando si dorme non si ascolta; la vita diviene l'adempimento di un regolamento, più o meno quello di sempre.
E così la nostra vita si appiattisce, s'impoverisce, diviene una vita mediocre, vuota.
Bisogna mantenerci in ascolto.
Se noi dobbiamo vivere di fede, rendiamoci conto che la nostra fede personale è nata per noi dall'incontro che Egli ha fatto con noi quando ci ha chiamato per nome.
Ritorniamo ad ascoltare quella parola.
Il rinnovamento della nostra vocazione dipende dal ritorno all'ascolto.
Allora forse non capimmo quel che il Signore voleva da noi; e tuttavia in quella parola che ci disse era già contenuto, in germe, tutto lo sviluppo che avrebbe avuto la nostra vita se si fosse mantenuta in ascolto di quella parola.
Era un seme che, piccolo in sé, portava in sé virtualmente l'albero che dal seme sarebbe scaturito.
In quella vocazione prima vi era già in potenza tutto lo sviluppo, vi era l'esigenza di tutto un processo che avrebbe dovuto portarvi alla santità, che avrebbe comunque dato un volto irripetibile, un senso ultimo, un'unità misteriorsa, ma reale, alla vostra vita.

Riandate al vostro passato.

Ritornate a quel primo incontro con Dio e rinnovate a Dio la vostra risposta.

- Forse non ho risposto. Forse ho dimenticato anche che Tu mi hai chiamato. Forse non ho più voluto ascoltarti. Ora mi rimetto di nuovo in ascolto di Te.
Ora voglio veramente che tutta la mia vita dipenda dalla Tua Parola che mi crea continuamente e mi solleva a Te. 
Perché, se non Ti ascolto, io cado nel nulla -"

(Don Divo Barsotti, 
"Esci dalla tua terra - il cammino della vita religiosa",
 pp. 14-15, Edizioni Parva, 2011)

"LA MIA GIORNATA CON CRISTO" don Divo Barsotti




"Nella Messa vi è un'espressione fra le più ricche di contenuto teologico e spirituale, a anche, d'altra parte, una delle più importanti; chiude infatti il Canone, e chiudendo il Canone ci dice in poche parole quello che è la Messa.
Poichè la Messa è la presenza stessa dell'atto redentore che riassume tutte le cose, questa espressione ci insegna quella che è la vita spirituale, la nostra medesima vita, ci insegna come dobbiamo viverla e per quale fine dobbiamo vivere.
Per Ipsum et cum Ipso et in Ipso, est tibi, Deo Patri Omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria.
Per Lui, con Lui ed in Lui, è a Te, Dio Padre onnipontente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria.
Termine della Messa e di tutta la vita: ogni onore e gloria al Padre nell'unità dello Spirito, ma per la mediazione del Cristo. Per Cristo, con Cristo, in Cristo.
Per Cristum non vuol dire che si vive per nostro Signore, ma che si vive per mezzo di nostro Signore.
Tutta la nostra vita intanto è soprannaturale, è una vita veramente di grazia, in quanto trae la sua forza divina dal Cristo: è per mezzo del Cristo che noi viviamo rivolti al Padre Celeste.
Ma non si vive rivolti al Padre celeste che se viviamo col Cristo, oltre che per mezzo di Lui.
E sarà perfetta la nostra vita soprannaturale quando vivremo per il Padre Celeste essendo nel Cristo, una sola cosa con Lui, talmente unito al Cristo da essere identificati in qualche modo a Lui stesso.
Il progresso della vita spirituale sta precisamente in queste tre piccole preposizioni: per, cum, in". (pp. 9-10)

"Non possiamo pensare di vivere la nostra vita cristiana e tanto meno di raggiungere la santità, che mettendoci al servizio di qualcosa, di qualcuno, impegnandoci in un'opera, lavorando.
Non si vive per vegetare soltanto. 
Essere santi non vuol dire moltiplicare le preghiere, fare tanti atti di mortificazione: vuol dire compiere il nostro dovere fino in fondo, per rispondere alla divina volontà con tutto l'essere nostro, nella dedizione totale di tutta la vita. 
Nostro Signore ci chiama per mandarci nella sua vigna.
Tu potrai compiere l'opera più umile, più nascosta, più apparentemente insignificante, eppure proprio dal tuo lavoro, che appare di così poco conto, acquista una sua capacità, una sua efficacia anche il lavoro degli altri.
Se si ferma una rotella, si ferma tutto: magari è una rotellina piccola piccola che ferma argani grandi, immensi.

Gesù ha lavorato, e noi lavoriamo con Lui.
La vita della maggior parte degli uomini è collaborazione con Cristo in un lavoro umile come il suo.
Noi, più che vivere con Cristo nel suo apostolato, nella sua vita pubblica, dobbiamo vivere con Lui nella sua vita nascosta.
La missione nostra non è tanto quella di farlo presente in quanto predica agli uomini o li risana, quanto quella di vivere il lavoro stesso che Gesù ha vissuto per trenta anni, per la massima parte della sua vita, perché così anche la massima parte degli uomini avrebbe dovuto collaborare con Lui, unirsi a Lui nel lavoro più comune, più ordinario".
 (pp. 43-45; 55)


LA SACRALITA' DI TUTTE LE COSE


Attraverso tutte le cose vivere il rapporto con Dio

"Ritornare davvero nel paradiso di DIo, far sì che tutte le cose non siano più impedimento e diaframma, non siano più velo che nasconde il Signore, ma tutte piuttosto rivelino il suo volto, tutte piuttosto ci introducano alla Sua presenza, sicché attraverso tutte le cose l'anima viva costantemente in unione con Lui.
Non - badate - nonostante le cose, ma attraverso di esse l'anima viva l'unione con Dio, perché molto spesso noi viviamo in unione con Dio - anche perennemente - ma nonostante le cose.
L'atteggiamento dell'anima è un atteggiamento adorante.
E' il senso della maestà divina che mi conquista: di fronte alla bellezza e alla fragilità del fiore è l'umiltà di Dio che mi conquista.
Voi siete sempre di fronte al Signore: atteggiamento di umiltà riverente, di rispetto, di silenzioso tremore di fronte a tutte le cose".
(pp. 16-17;19)


Se crediamo, tutto è segno di Dio

"Le nostre opere, la nostra preghiera non sono capaci di rompere la nostra solitudine.
E' così, eppure non è così, perché Dio, pur trascendendoci infinitamente, si è unito a noi.
Nom si sa  qual è la misura della Sua cooperazione alla nostra azione.
Le cose stesse, pur non somigliando a Dio, sono segno della Sua bontà e misericordia.
La nostra preghiera è la parola che rivolge lo Spirito Santo al Padre; nella nostra opera è Cristo che vive in noi.

Tutto può esser un segno di una comunione di Dio con noi.

Qualunque sia la vita che facciamo, sia che sperimentiamo o no l'azione di Dio, dobbiamo aver fiducia nel fatto che Dio è con noi.
Dio ti ama.
Se credi, tutto è segno dell'amore di Dio.

Come in cielo non resta che Dio, così attraverso tutti i segni l'anima non vede che l'amore, non possiede che l'amore.
Amore immenso, infinito, eterno: l'amore stesso di Dio".
(p 36) 




La vita spirituale come rapporto con Dio e con gli altri Tratto dal libro di don Divo Barsotti "Ascolta o figlio".




Tratto dal libro di don Divo Barsotti "Ascolta o figlio" - Ed. Fondazione Divo Barsotti

La ricchezza del prologo della Regola di San Benedetto

«Ascolta, o figlio, i precetti del Maestro e inchina l’orecchio del tuo cuore e accogli volentieri gli ammonimenti del tuo padre amoroso e con ogni potere li adempi; affinché tu ritorni per fatica di obbedienza a Colui dal quale ti eri allontanato per l’accidia della disobbedienza».
Le espressioni nel Prologo della Regola che vogliono definire la vita spirituale sono diverse, ma tutte hanno questo in comune: il senso di un rapporto. La vita spirituale è una scuola, e il rapporto è fra il discepolo e il maestro; è una famiglia, e il rapporto è del figlio col padre; è un combattimento, e il rapporto è del soldato che obbedisce al suo generale; è un lavoro, e allora il rapporto è dell’operaio con l’imprenditore, col suo padrone. Sempre comunque la vita spirituale è un rapporto. La vita spirituale è dunque essenzialmente un rapporto. Se ti chiudi in te stesso e rifiuti l’amore, non vale la virtù, la grandezza della virtù misura, anzi, il grado stesso della tua perversione, dice la tua lontananza da Dio.
Ecco perché San Benedetto prima di tutto insiste su questo insegnamento. Vivere vuol dire precisamente stabilire un rapporto con Dio, e approfondirlo ogni giorno, ogni giorno farlo più intimo e vivo.  http://ora-et-labora.net/vitaspirituale.htmlleggere...

Dio ha bisogno di macerarci nell'umiltà, ha bisogno di ridurci al nulla per servirsi di noi (don Divo Barsotti).

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DON DIVO BARSOTTI). Tu soffri in quanto è in te un'esigenza di armonia, di unità, l'esigenza di un senso, di un significato che non ti è dato trovare. Tu soffri l'esperienza di una assenza di Dio. (don Divo Barsotti).

 Alla fame dell'uomo non è stata sufficiente nemmeno la Parola di Dio. Dio ha dovuto dar la sua carne, il suo sangue. (don Divo Barsotti).

Dobbiamo vivere, lavorare, eppure dobbiamo sentire giorno per giorno, ora per ora che il nostro lavoro è vano: Servi inutiles sumus (don Divo Barsotti)

 Prima che Dio salvi l'uomo, bisogna che l'uomo esperimenti fino in fondo la sua incapacità di agire; bisogna che esperimenti fino in fondo l'inutilità della sua vita e della sua morte (don Divo Barsotti).

Dio ha bisogno di macerarci nell'umiltà, ha bisogno di ridurci al nulla per servirsi di noi (don Divo Barsotti).

 Dio non ha bisogno delle nostre doti, delle nostre capacità: ha bisogno della nostra povertà, della nostra miseria (don Divo Barsotti).

 Chi fa è cieco e chi vede è impotente (don Divo Barsotti).

La vita cristiana non è raggiungere Dio, ma fargli posto (don Divo Barsotti).

 Non possiamo offrire a Dio per la salvezza del mondo che la nostra impotenza, la nostra povertà (don Divo Barsotti).

 Ogni vita umana si somiglia: è un'attesa strana di qualcosa che non si conosce (don Divo Barsotti).

SILVANO DEL MONTE ATHOS E LA SUA PREGHIERA PER GLI UOMINI. Divo Barsotti

  

O umiltà del Cristo, tu dai indescrivibile gioia all'anima! Ho sete di te, perché in te l'anima dimentica ogni cosa terrena e tende sempre più ardentemente a Dio. … Se il mondo capisse la potenza delle parole del Cristo: "Imparate da me mansuetudine e umiltà", deporrebbe ogni altra scienza per imparare solo questa celeste. … Gli uomini non conoscono la forza dell’umiltà del Cristo, e desiderano perciò le cose terrene; l’uomo non può accedere alla potenza di queste parole del Signore senza lo Spirito Santo. Chi l'ha conosciute non le lascia più, anche se gli fossero offerti tutti i tesori del mondo.

L’umiltà è la rivelazione stessa di Dio nel volto di Gesù: per Silvano, come per Francesco d’Assisi, solo l’umile può vedere Dio.

Non c'è nulla di più grande che imparare l'umiltà del Cristo. L'umile vive cieco e contento, tutto è buono al suo cuore. Solo gli umili vedono il Signore, nello Spirito Santo. L'umiltà è la luce nella quale noi vediamo Dio che è la luce: nella tua luce noi vediamo la luce. Cosa di più grande l'anima potrebbe cercare in terra? Cosa ci potrebbe essere di più grande e di più ammirabile: di un tratto l'anima conosce il suo Creatore e l'amore di Lui! Essa contempla il Signore, vede quanto è mite e umile, e non desidera altro se non di acquistare l'umiltà del Cristo. Finché sosta sulla terra, non può dimenticare questa umiltà inconcepibile.leggere...

ALLA SCUOLA DELL’AMORE – Divo Barsotti


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Divo Barsotti mistico del ’900

ALLA SCUOLA DELL’AMORE

 


1.

IL MISTERO DELLA VISITAZIONE


Una visita personale

 

È un mistero dolcissimo. È il mistero della carità di Maria che va da sua cugina Elisabetta, per assisterla negli ultimi mesi della sua gravidanza. Mistero della carità di Maria, che è un continuo venire ad ogni anima, per assistere ogni anima nel suo cammino verso Dio.

Come Nostro Signore, anche Maria Santissima nei suoi misteri vive una missione, che non termina se non con la fine del tempo. Non solo la grazia di quella carità che porta la Regina del cielo dalla cugina Elisabetta si fa presente oggi nella Chiesa per ogni anima, ma, di più, si fa presente la visita stessa della Vergine ad ogni anima.leggere


Divo Barsotti ' I cristiani vogliono essere cristiani '


     
  Interventi del Padre dagli anni '50 ai nostri giorni


    A cura di Paolo Canal
   
    Edizioni San Paolo, 2006
    347 pagine, ' 17,00



Ogni parola che volesse presentare questo testo sarebbe non solo inadatta, ma soprattutto inutile, è più saggio cedere la parola a questo testimone e maestro della fede e della spiritualità, recentemente scomparso.

Il segreto del cristiano
«A Taipei è stato chiesto ad alcuni giovani perché da cristiani fossero passati ad una setta alla ricerca di chissà cosa. La risposta: « è troppo difficile essere cristiano, per essere buddisti o induisti si richiede meno...». Commenta don Divo: «Certo: essere cristiano non è difficile, è impossibile, perché essere cristiano vuoldire abbracciare Dio e noi siamo piccoli, troppo piccoli». Che cosa si impone, allora, per essere cristiani? «Lo hanno detto sempre tutti i nostri maestri, soprattutto Agostino: l'umiltà. Tu devi sapere che non ti realizzerai mai fino in fondo, quello che compie le tue deficienze è la misericordia di Dio. Accetta di essere una povera anima, perdonata e amata liberamente da Dio. Ricordo quello che mi diceva Raimundo Panikkar (teologo asiatico ):
"Qual è la differenza che esiste fra un cristiano e un indÙ?
Gli occhi del cristiano si posano sulle cose e sugli uomini. L'indù invece fora le cose, il suo sguardo non si ferma su nulla: taglia. Egli è sicuro di sé".
È così. C'è un orgoglio profondo nel buddismo, nonostante tutta la bellissima benevolenza che lo contraddistingue; perché il buddista si sente già a posto, ha già conseguito tutto. Per il cristiano no . San Francesco, sulla Verna, dopo aver ricevuto le stigmate chiama Leone, si butta a terra e dice: «Tu, frate Leone, calpestami sulla bocca e dimmi che sono cattivo, peggiore di Lucifero». Ecco è l'umiltà che salva il cristiano, perché veramente c'è una sproporzione infinita fra quello che siamo e quello che dobbiamo credere».
Ancora. « Una delle cose più difficili per il cristiano è infatti credere di potere essere amati da Dio, questo Dio immenso, eterno che ha creato il cielo e la terra. Eppure lasciarsi amare da Dio è l'insegnamento dei nostri santi più grandi.
Come santa Teresa di Gesù Bambino: «Se avessi commesso tutti i peccati che si sono compiuti dall'inizio del mondo sino ad oggi non perderei di un grado la mia fiducia in Dio, ma mi getterei davanti al Signore". Perché chi crederà nell'amore scoprirà l'amore».
«L'amore di Dio non è determinato da quello che noi siamo, ma da quello che Lui è: per questo il suo amore è infinito. Se ci amasse per quello che noi siamo, quanto ci amerebbe? Ah, se i giovani sentissero questo! Molto spesso la nostra predicazione invece è stata moralistica, più o meno pelagiana: sei tu che devi fare, sei tu che devi conquistare il paradiso con le tue virtù e così via. Invece la nostra preghiera dev'essere diversa: "Signore, quando muoio voglio avere le mani vuote, perché devi riempirle tu; Se no, se sono piene delle cose che ho fatto io, cosa ti posso portare io?». «Credo che anche questo sia fondamentale per la nostra predicazione:
sentire veramente la grandezza del cristianesimo e avvertire non la difficoltà, ma l'impossibilità di realizzare gli ideali cristiani. Sì, è impossibile. Ma "questo Dio è maestro dell'impossibile", diceva Charles De Foucauld. Perché in fondo l'impossibile può farlo solo Lui. L'impossibile è il miracolo, e i miracoli li fa soltanto Dio. Noi siamo un miracolo permanente della Grazia per il fatto stesso che crediamo, ci affidiamo a Lui, per il fatto stesso che nonostante tutto noi speriamo nella vita immortale, che questo amore di Dio,ci doni la partecipazione alla sua medesima vita. Sono cose veramente straordinarie quelle che il cristianesimo ci insegna e ci fa vivere» .

fonte

Don Divo Barsotti. San Francesco e l'umiltà di Cristo

  

Ad un certo punto del Vangelo Gesù così invita i suoi discepoli: «Diventate come bambini, ed entrerete nel Regno dei cieli!». E mette davanti ai nostri occhi la loro semplicità, il loro essere piccoli come un traguardo per noi, che magari abbiamo faticato tanto per “diventare grandi”.
Nell’imminenza del prossimo Natale vi proponiamo una riflessione di D.Barsotti a uno scritto forse poco conosciuto di san Francesco d’Assisi “Le lodi di Dio altissimo”. Non è esattamente, questa riflessione, immediata da intendere; forse vi richiederà di leggerla con pazienza. Però può diventare un buono spunto col quale fermarsi a meditare sull’inesauribile mistero dell’umiliazione di Gesù nel diventare piccolo e meschino come noi.
Il testo qui presentato è un leggermente modificato; chi lo vuole, lo può trovare per intero nel libro: D.Barsotti, Le lodi di Dio Altissimo, Ed. O.R.
TU SEI UMILTÀ 
Dio è umiltà perché è amore
E’ proprio di Francesco vedere Dio come umiltà. Di fatto l’umiltà, come la povertà, appare piuttosto una condizione perché l’uomo possa vivere un rapporto con Dio; anzi è la condizione essenziale a viverlo. Non appare, almeno immediatamente, una caratteristica di Dio, come invece la vede san Francesco.
Vediamo allora come l’umiltà in san Francesco sia dapprima il fondamento della vita spirituale
Dobbiamo infatti riconoscere che se Dio è creatore, la creatura — indipendentemente da Dio — è nulla, non è; e deve riconoscere questo suo nulla davanti a Dio. Là dove non è avvenuta una rivelazione di Dio come creatore, l’umiltà non può essere il fondamento della vita spirituale, perché l’uomo rimane «qualcosa » nei confronti di Dio. Allora si imporrà la modestia, non l’umiltà; si imporrà «la misura», come dicevano i greci, non l’umiltà. L'umiltà, invece, è essenziale a chi si riconosce creatura. Riconoscendosi creatura, Dio è tutto e la creatura in sé medesima è niente. La vita spirituale implica sempre il sentimento del proprio nulla nei confronti di Dio, un nulla che non esclude il fatto che la creatura esista. Esclude però ogni sentimento di opposizione, ogni sentimento di alterità, ogni sentimento che dia all’uomo la coscienza di essere qualche cosa indipendentemente da Lui e non in Lui e per Lui. La creatura per tutto quello che è, è da Dio ed è in Dio.
Col riconoscimento di Dio è implicato dunque un certo annientamento interiore del nostro io. Nella luce infinita di Dio, l’uomo scompare; come il sole, che non appena sale all'orizzonte, eclissa le stelle.
«Tutte le nazioni sono davanti a Lui come un nulla... contano come il pulviscolo sulla bilancia», dice il profeta Isaia nella Bibbia (cap. 40). Questo sentimento è all'origine della spiritualità islamica. L'uomo deve sentire il proprio nulla come creatura nell'essere e nell'operare. Se io sono, Dio non è; se Dio è, io non sono.
E’ quanto dicono anche i mistici cristiani, perché evidentemente «io sono », ma in Lui; perciò non posso dire «io sono » indipendentemente da Lui. «Io sono » è proprio di Dio, è il suo nome. Così Gesù medesimo nel quarto Vangelo proclama e si afferma: «Io sono ». Dandosi il nome che Dio si era dato nell'Antico Testamento, Gesù proclama la sua divinità.
Ma non è questa l’umiltà di Francesco. L'umiltà ha un altro fondamento. L'umiltà non è in Francesco solo dell’uomo, ma, prima ancora, è in Dio. Dio stesso è Umiltà.
Dio si rivela a noi attraverso la creazione, ma la sua rivelazione più perfetta è Gesù Cristo. E Cristo, per Francesco, è umiltà. Egli non sa riaversi dallo stupore provocato da una sua contemplazione del mistero cristiano come mistero di suprema umiltà: l’umiltà del Cristo nella sua nascita, nella sua passione, nell’Eucaristia.
Ma questa umiltà potrebbe essere ancora l’espressione della natura umana assunta dal Verbo che si è incarnato. In questo caso tornerebbe ad essere umiltà della crea­tura, perché anche la natura umana del Cristo è creata. E infatti Gesù la vive in quanto è creatura, nella dipendenza totale della sua volontà umana dalla Volontà divina: «Non sono venuto per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato». Si può dunque pensare all'umiltà di Gesù in quanto come creatura Egli vive questa eclisse di sé nei confronti del Padre.
Ma san Francesco va ancora più in là. L'umiltà in Fran­cesco — ed ecco la grande novità, la meravigliosa scoperta di san Francesco — è la stessa rivelazione dell'amore. Dio è amore e l’amore non può essere che umiltà.
Dio è amore in se stesso: Padre, Figlio e Spirito Santo. Nella sua vita intima è l’infinita comunione di amore che passa da una Persona all'altra, perché ogni Persona divina è puro rapporto di sé all'altra Persona correlativa. Questo amore implica che ogni Persona divina in sé e per se non è: il Padre indipendentemente dal Figlio non è. Ci può essere un padre senza un figlio? Tuttavia fra gli uomini un padre non è mai padre soltanto, è anche sposo e può essere un medico, uno scrittore o qualche altra cosa. Ma il Padre celeste è esclusivamente Padre in rapporto al Figlio unigenito.
In sé e per sé ogni Persona divina non è; è totalmente, infinitamente per l’altra Persona correlativa: il Padre è tutto per il Figlio e nel Figlio; il Figlio è tutto nel Padre e per il Padre. Ogni Persona divina è pura relazione di amore; e proprio per questo è pura, assoluta umiltà. Dunque Dio è gia umiltà in se stesso, perché è amore. Così si è detto che l’umiltà di Gesù non è soltanto in Lui come uomo, ma è in Lui come Figlio che tutto riceve dal Padre e tutto al Padre riporta.
Ma Francesco contempla più stupende rivelazioni di amo­re. La sua anima sembra come smarrirsi in un'estasi dalla quale non riesce a riaversi: Gesù è umiltà nei confronti dell’uomo medesimo. L'ha detto Egli stesso: Egli è fra i suoi come colui che serve.
Se nella natura divina il Figlio unigenito è in relazione col Padre, nella natura umana assunta viene incontro all'uomo, si fa tutto per gli uomini, per i peccatori — è loro via, loro vita, loro salvezza; si fa «pane» per essere cibo.
Casella di testo:  E Francesco contempla l’umiltà del Cristo come espressione suprema di amore. La sua umiltà è rivelazione dell’amore di un Dio che si fa totalmente per l'uomo, per la sua salvezza. Si ordina all'uomo al punto che per sé sceglie il silenzio, la morte, sceglie l’ultimo posto. Si fa «nulla » perché l’uomo sia tutto.
Così avviene ogni volta che Egli si fa presente nella Messa sotto le specie del pane e del vino per donarsi, per essere mangiato: la Messa trova il suo compimento nella comunione eucaristica nella quale Egli totalmente si dà, cosi da sparire. E tutto per te e in te: “Per noi e per la nostra salvezza…”.
Il Verbo si sarebbe incarnato anche senza il peccato dell’uomo, ma sempre motivo dell'Incarnazione è la nostra sal­vezza! “Per noi e per la nostra salvezza discese dal cielo…”.. Il Figlio di Dio si incarna per essere lo sposo che si dà tutto alla sposa. Il disegno divino si realizza nell’alleanza. Dio si fa uomo per donarsi a tutta l’umanità, anzi a ciascun uomo. Nell'atto stesso che Egli si incarna, Egli diviene rapporto a Maria. Alla grandezza del mistero per il quale il Padre dall'eternità dice: «Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato», risponde il mistero di una creatura, che può dire al suo Dio: «Tu sei mio figlio», e il mistero più grande ancora di un Dio che deve dire ad una creatura: «Tu sei la mia madre!».
Questo è Dio che a noi si è rivelato: un amore che si svuota di sé per donarsi, perché l’amore è dono. Dio si rivela all'uomo e si fa presente in quanto si dà così da perdersi in colui che Egli ama. Francesco conosce l’umiltà del Cristo nella natività, la contempla nella passione, ma soprattutto la vede nell'Eucaristia. Nell’Eucaristia è l’umiltà di un Dio che, amandoti, si nasconde, si annienta per essere la tua vita, per essere la tua ricchezza, e tutto si ordina a te e tutto si dona.
Quanto è bello quello che Francesco scrive nella Lettera al Capitolo Generate e a tutti i Frati; che è uno dei testi più belli degli scritti francescani:
« Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti, e siate santi perché Egli è santo. E come il Signore Dio onorò voi sopra tutti gli uomini, per questo mistero, cosi voi più di ogni altro uomo amate, riverite e onorate Lui.
Grande miseria sarebbe, e miserevole male se, avendo lui così presente, vi curaste di ogni altra cosa che fosse nell'universo intero!
L'umanità trepidi, l’universo intero tremi, e il cielo esulti, quando sull'altare, nelle mani del sacerdote, è il Cristo Figlio di Dio vivo.
O ammirabile altezza, o degnazione stupenda! o umiltà su­blime! o sublimità umile, che il Signore dell'universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane.
Guardate, frati, L’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché egli vi esalti. Nulla, dunque, di voi, tenete per voi; affinché vi accolga tutti colui che a voi si da tutto» (FF 220).
L'umiltà in san Francesco è veramente la rivelazione dell’amore; per questo è la rivelazione suprema di Dio. Fran­cesco non conosce una rivelazione più alta di Dio di questa umiltà. Il creato rivela la bellezza, ma solo l’umiltà di Cristo rivela l’amore di Dio. L'umiltà senza fondo, un'umiltà senza fine.

quinta-feira, 1 de dezembro de 2016

La via dell’imperfezione di padre Serafino Tognetti



Presentiamo ai lettori italiani la prima opera tradotta nella nostra lingua di padre André Daigneault, sacerdote canadese legato al movimento che si ispira a Martha Robin, scrittore famoso e celebrato nel mondo francofono ma sconosciuto da noi. Finora esistevano solo le sue opere in francese: abbiamo creduto che fosse necessario avere uno dei suoi testi principali anche per noi italiani.
Il motivo è semplice: santa Teresa di Gesù Bambino ha innescato un processo di rinnovamento della spiritualità che si allarga sempre più. Le sue intuizioni sulla “piccola via” e sull’offerta all’Amore misericordioso sono folgoranti e da quando è stata nominata anche Dottore della Chiesa crediamo che il suo pensiero debba uscire dai confini della spiritualità e sia chiamato ad influenzare anche la teologia. Infatti, che senso avrebbe la sua nomina a Dottore se anche i teologi, gli uomini di Chiesa e i Vescovi, non dovessero rivolgersi a lei per ascoltare, capire, praticare e vivere il suo insegnamento? Il pensiero sgorgante dalla teologia di Teresa (chiamata popolarmente Teresina… non so se lei ne avrebbe piacere… Non vorrei che fosse un inconscio tentativo di sminuirla o relegarla al ruolo di una Vispa Teresa della teologia) dovrebbe essere studiato come si studia quello degli altri Dottori Giovanni Crisostomo o Gregorio di Nissa o gli altri, comprese le donne Teresa di Gesù e Caterina da Siena: non hanno tutti lo stesso ruolo sulla cattedra? A scuola c’è la professoressa di lettere  e quella di matematica: parlano di cose diverse ma si siedono sulla stessa sedia e hanno lì la stessissima autorità.
Non so se questa nomina di Teresa sia stata recepita, forse è ancora relegata al ruolo di ispiratrice di devozione. Eppure non è un caso che questo dottorato sia stato proclamato all’inizio del terzio millennio, in tempi di crisi di fede; ciò che è posto come palo indicatore all’inizio di un sentiero di montagna indica la via, il sentiero corretto per non perdersi, forse anche l’unico sentiero giusto per arrivare alla meta (certo, si può anche camminare in mezzo ai rovi, ma ci si fa male e si rischia di perdersi: se c’è il tracciato segnalato, perché non seguire quello?).
Qual è questo sentiero, qual è questa via? E’ la via dell’imperfezione, come felicemente la chiama padre Daigneault. Sembra facile percorrerla perché tutti siamo imperfetti, ed invece è assai ardua, perché si tratta di entrare nell’imperfezione e non uscirne se non dopo una morte di noi stessi, e nessuno vuole gustare questa morte di sé. In altre parole, si tratta dell’eterna lotta tra orgoglio e umiltà.
Questo tema è centrale nella riflessione e dottrina del domenicano Marie Dominique Moliniè, altro grande maestro di questa schiera che andrebbe tradotto in italiano e conosciuto; di lui c’è qualcosa  nelle nostre edizioni italiane, ma ancora non tutto. Il domenicano si dichiara folgorato da santa Teresa di Gesù Bambino e ne analizza il pensiero con una maestria e un vigore eccezionale. Non a caso a lui si rifarà poi un altro maestro di preghiera di terra francese: Jean Lafrance, che ha il merito di aver parlato della preghiera di supplica come la principale delle preghiere e che dedicò una delle sue opere proprio a santa Teresa di Gesù Bambino.
In un libro intervista dell’anno 2007, intitolato La mémoire du coeur, padre Daigneault alla domanda di quali autori spirituali amasse in modo speciale rispose: “Bernard Bro, Maurice Zundel, Henri Nouwen, Charles Journet e Marie-Eugene de l’Enfant Jesus; tutte le opere di Jean Lafrance sulla preghiera e i libri di padre Molinié, in particolare La lotta di Giacobbe  e Il coraggio di avere paura. Infine tutti i libri di Divo Barsotti sulla Bibbia a causa dell’esegesi spirituale, che per me fu un vero nutrimento”.
Ed eccoti qui la squadra bell’e composta. Li conosciamo e li riconosciamo e ci sentiamo a casa: qui la spiritualità si fa teologia e diventa viva. Ci sono grandi uomini di Dio – basti pensare ai nomi di Zundel e Barsotti – c’è un Cardinale. A loro uniamo anche Martha Robin, che non ha bisogno di alcuna presentazione. Ma ne aggiungiamo idealmente tanti altri di cui non sappiamo; conosciamo però che questo movimento si sta allargando, silenziosamente  ma decisamente. Si tratta di un popolo di umili e di semplici, di imperfetti che hanno aperto il cuore a questa via: ci sono Cardinali e parroci, ci sono padri e madri di famiglia, giovani e vecchi, ci sono coloro che supplicano la salvezza per sé e per tutti avendo, come afferma san Luigi Maria Grignon de Montfort nel suo Trattato della vera devozione alla santa Vergine, “sulle spalle lo stendardo insanguinato della croce, il crocifisso nella mano destra, la corona nella sinistra, i sacri nomi di Gesù e di Maria nei loro cuori”. I loro patroni del santo Vangelo sono Maria di Magdala, il pubblicano che sta in fondo al tempio, il buon ladrone. Questi piccoli hanno capito che se siamo chiamati tutti alla santità (e lo siamo) non è per emergere sugli altri, ma per far emergere la potenza di Dio, e che la via della santità è per tutti, basta volerlo. Qui sta la questione: noi non lo vogliamo veramente, perché pensiamo che la santità consista nel compiere opere straordinarie o avere carismi eccezionali. Teresa di Gesù Bambino invece non fece altro che la malata: non ebbe mai estasi, non ebbe rivelazioni, non ebbe il dono di leggere nei cuori, non digiunava e non portava il cilicio: niente di niente; anzi, dice lei stessa che dopo aver ricevuto la santa Comunione alla Messa poteva succederle anche di addormentarsi o sonnecchiare nello scanno del coro. Quando morì, la suora che doveva scrivere due righe per il necrologio del monastero si disse preoccupata perché non sapeva che cosa scrivere: non c’era niente di straordinario da segnalare a riguardo della giovane suor Teresa appena morta. Se quella suora avesse immaginato che da quel giorno ad oggi sono stati scritti fiumi di parole e consumati vagoni di inchiostro su Teresa, chissà come ci sarebbe rimasta! Questa era suor Teresa, ora santa e Dottore della Chiesa; ma anche nella vita di Molinié, di Zundel, di Barsotti (tanto per citare alcuni di questa schiera) non si registra una santità pirotecnica, clamorosa. Tutti e tre conobbero anzi difficoltà varie e incomprensioni. Quale fu la loro grandezza e quella degli altri di questa squadra? Quella di aver intrapreso la strada della discesa. Intuirono che l’umiltà è la sola grande virtù del cristiano, che l’umile può tutto, perché tutto può suo cuore di Dio, a patto che rimanga umile, che rimanga ultimo.
Quando Divo Barsotti lesse nella preghiera di san Francesco di Assisi Le lodi di Dio Altissimo l’espressione  riferita a Dio “Tu sei umiltà”, rimase come folgorato. Ma come, Dio è umiltà? Come si combinano insieme la gloria infinita, la trascendenza divina assoluta con l’umiltà? Francesco infatti non afferma che Dio è umile, ma che è umiltà in sé, e altro non è che questo. Di qui la riflessione: Dio è amore, l’amore è umiltà, dunque Dio è umiltà.
Di fronte a questa espressione di san Francesco non resta che mettersi in ginocchio e adorare. Cosa che egli per altro fece immediatamente. Il Natale (Incarnazione) ed Eucaristia furono in Francesco le fonti della sua commozione perenne: Dio era questo Natale, Dio era questo nascondimento nella sacra Particola dell’Altare.
Ecco la schiera di adoranti, in ginocchio, che si volge verso Dio Umile e che non può fare altro che rimanere lì, in ginocchio, attratti invincibilmente dall’amore discendente di Dio che riempie ogni cosa. Ma attenzione: si riempie solo ciò che è vuoto. Questi uomini hanno capito che la via della perfezione è quella dello svuotamento perché il Verbo incarnato stesso la percorse: “Egli svuotò Se stesso” (Fil 2,7).
Padre Daigneault ha il grande merito di mettersi in questo gruppo e di descrivere quello che vede, la via dell’imperfezione, e invitare tutti a percorrerla perché oggi vi è bisogno di questa santità. Inutile sarebbe pregare “O Dio, dacci dei santi!” se noi non ci mettessimo a disposizione noi per esserlo, come se santi dovessero essere sempre gli altri. Se per essere santi occorresse avere qualità eccezionali, potremmo anche avere ragione perché riconosciamo di non avere doti eccelse, ma questa scusa non vale più. Essere santi è semplice, basta volerlo. Poi impareremo che magari saremo anche crocifissi, che non avremo l’aureola o la gloria umana, non avremo il nostro nome sui giornali e folle plaudenti, ma allora avremo già capito che queste cose non sono la santità. La santità è Dio, la santità è Gesù e, vista dalla nostra parte, la santità è la via dell’imperfezione accettata, amata, accolta e vissuta con fede.
La lettura di questo libro pertanto è impegnativa. Per certi tratti è sconvolgente. Arrivati all’ultima pagina saremo probabilmente in crisi, e se questo succederà, ben venga. La parola “crisi” infatti significa “decisione”, non ha necessariamente una connotazione negativa.
Quale decisione? A voi la risposta.
La via della discesa è in discesa. In Paradiso non ci si va con le mani (scalando la montagna) ma con i piedi (scivolando in una fossa). Non temiamo: non cadremo nel nulla eterno ma nelle braccia di Dio, che non aspetta e non vuole altro.

segunda-feira, 28 de novembro de 2016

domingo, 27 de novembro de 2016

LA MEDALLA MILAGROSA, REGALO DE NUESTRA SEÑORA





APARICIÓN DEL 27 DE NOVIEMBRE DE 1830


   La tarde del sábado 27 de Noviembre de 1830, Sor Catalina se encontraba haciendo su meditación diaria, cuando le pareció oír el roce de un traje de seda que le hizo recordar la aparición anterior.

   Entonces aparece la Virgen Santísima, vestida de blanco con mangas largas y túnica cerrada hasta el cuello. Cubría su cabeza un velo blanco que sin ocultar su figura caía por ambos lados hasta los pies. Cuando después Santa Catalina quiso describir su rostro, solo acertó a decir que era la Virgen María en su mayor belleza.

   Sus pies se posaban sobre un globo blanco, del que únicamente se veía la parte superior, y aplastaban una serpiente verde con pintas amarillas. Sus manos, elevadas a la altura del corazón sostenían otro globo pequeño de oro, coronado por una crucecita.

   La Stma. Virgen mantenía una actitud suplicante, como ofreciendo el globo. A veces miraba al cielo y a veces a la tierra. De pronto sus dedos se llenaron de anillos adornados con piedras preciosas que brillaban y derramaban su luz en todas direcciones, circundándola en este momento de tal claridad, que no era posible verla.

   Tenia tres anillos en cada dedo; el mas grueso junto a la mano; uno de tamaño mediano en el medio, y uno mas pequeño, en la extremidad. De las piedras preciosas de los anillos salían los rayos, que se alargaban hacia abajo; llenaban toda la parte baja.

   Mientras Sor Catalina contemplaba a la Virgen, ella la miró y dijo a su corazón:

   “Este globo que ves (a los pies de la Virgen) representa al mundo entero, especialmente Francia y a cada alma en particular. Estos rayos simbolizan las gracias que yo derramo sobre los que las piden. Las perlas que no emiten rayos son las gracias de las almas que no piden.”

   Con estas palabras La Virgen se da a conocer como la mediadora de las gracias que nos vienen de Jesucristo. El globo de oro (la riqueza de gracias) se desvaneció de entre las manos de la Virgen. Sus brazos se extendieron abiertos, mientras los rayos de luz seguían cayendo sobre el globo blanco de sus pies.




LA MEDALLA MILAGROSA


   En este momento se apareció una forma ovalada en torno a la Virgen y en el borde interior apareció escrita la siguiente invocación: "María sin pecado concebida, rogad por nosotros, que recurrimos a Vos"

   Estas palabras formaban un semicírculo que comenzaba a la altura de la mano derecha, pasaba por encima de la cabeza de la Santísima Virgen, terminando a la altura de la mano izquierda .

   Oyó de nuevo la voz en su interior: "Haz que se acuñe una medalla según este modelo. Todos cuantos la lleven puesta recibirán grandes gracias. Las gracias serán mas abundantes para los que la lleven con confianza".

   La aparición, entonces, dio media vuelta y quedo formado en el mismo lugar el reverso de la medalla. En el aparecía una M, sobre la cual había una cruz descansando sobre una barra, la cual atravesaba la letra hasta un tercio de su altura, y debajo los corazones de Jesús y de María, de los cuales el primero estaba circundado de una corona de espinas, y el segundo traspasado por una espada. En torno había doce estrellas.

   La misma aparición se repitió, con las mismas circunstancias, hacia el fin de diciembre de 1830 y a principios de enero de 1831. Nuestra Señora dijo a Catalina: "En adelante, ya no me veras , hija mía; pero oirás mi voz en la oración".

   Un día que Sor Catalina estaba inquieta por no saber que inscripción poner en el reverso de la medalla, durante la oración, la Virgen le dijo: "La M y los dos corazones son bastante elocuentes".


SÍMBOLOGÍA Y MENSAJE DE LA MEDALLA MILAGROSA


En el Anverso:

-María aplastando la cabeza de la serpiente que esta sobre el mundo. Ella, la Inmaculada, tiene todo poder en virtud de su gracia para triunfar sobre Satanás.

-El color de su vestuario y las doce estrellas sobre su cabeza: la mujer del Apocalipsis, vestida del sol.

-Sus manos extendidas, transmitiendo rayos de gracia, señal de su misión de madre y mediadora de las gracias que derrama sobre el mundo y a quienes pidan.

-Jaculatoria: dogma de la Inmaculada Concepción (antes de la definición dogmática de 1854). Misión de intercesión, confiar y recurrir a la Madre.

-El globo bajo sus pies: Reina del cielos y tierra.

-El globo en sus manos: el mundo ofrecido a Jesús por sus manos.

En el reverso:

-La cruz: el misterio de redención- precio que pagó Cristo. obediencia, sacrificio, entrega

-La M: símbolo de María y de su maternidad espiritual.

-La barra: es una letra del alfabeto griego, "yota" o I, que es monograma del nombre, Jesús.

Agrupados ellos: La Madre de Jesucristo Crucificado, el Salvador.

-Las doce estrellas: signo de la Iglesia que Cristo funda sobre los apóstoles y que nace en el Calvario de su corazón traspasado.

-Los dos corazones: la Corredención. Unidad indisoluble. Futura devoción a los dos y su reinado.

   Aunque la Medalla se llamaba originalmente "de la Inmaculada Concepción", al expandirse la devoción y haber tantos milagros concedidos a través de ella, se le llamó popularmente "La Medalla Milagrosa".