sábado, 2 de setembro de 2017

Don Divo Barsotti e l’incontro con Dio


Una curiosità. Don Divo aveva spiegato ai suoi discepoli che gli sarebbe piaciuto morire il giorno della Presentazione di Gesù al Tempio. Ripeteva: "Anch'io vorrei essere portato al Tempio dalle mani della Santa Vergine; io, piccolo bambino nelle sue braccia, offerto a Dio Padre, uno con il Figlio Gesù." In quel 2006 egli era in condizioni di salute molto gravi, ma il 2 febbraio arrivò e passò, ma don Divo era ancora vivo. Morì diversi giorni dopo, il 15 febbraio per l'appunto. Arrivò tra l'altro un messaggio da un ortodosso, il quale fece notare che il 15 febbraio, nelle comunità di quella confessione cristiana, si celebra proprio la festa della Presentazione di Gesù al Tempio. Dunque don Divo era stato esaudito, ma non col calendario romano, ma con quello della cristianità orientale, che egli amava moltissimo: era stato uno dei primi a far conoscere in Italia l'affascinante mondo del cristianesimo russo.
Fonte: Serafino Tognetti, Divo Barsotti. Il sacerdote, il mistico, il padre, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2012, p. 370.372.


Don Divo Barsotti e l’incontro con Dio
In ricordo dell'uomo di fede e poeta che tanto ha seminato nella sua lunga esistenza
Fabio Mandato
Roma 


Questo e altro nel convegno teologico “La lotta con l’angelo” tenutosi lo scorso sabato alla biblioteca nazionale di Cosenza e organizzato dalle Comunità dei Figli di Dio di Cosenza – Castrovillari e Roccella – Gerace (RC). L’incontro è stato organizzato per commemorare il sesto anniversario della morte di Don Divo Barsotti, sacerdote nato a Palaia, in provincia di Pisa, e fondatore della Comunità dei Figli di Dio, famiglia religiosa di monaci formata da laici consacrati che vivono nel mondo e da religiosi che vivono in case di vita comune. 

L’incontro è servito per tracciare la vita e la spiritualità del conosciuto sacerdote, a partire dal suo diario “La lotta con l’angelo”, in cui descrive il suo rapporto e la sua ricerca di Dio. A presentare un lungo profilo di Don Divo è stato padre Bernardo, della Comunità dei Figli di Dio, che ha testimoniato il percorso di fede di Don Divo Barsotti come lo descrisse, tra l’altro, padre Serafino Tognetti, suo primo successore. Don Barsotti è stato un sacerdote e molto di più. “E’ stato riconosciuto – scriveva padre Tognetti – come una delle figure più luminose della Chiesa del ‘900, è stato uno scrittore, poeta, predicatore, fondatore della Comunità dei Figli di Dio che conta più di duemila membri sparsi nel mondo, uomo dello Spirito. 


Irriducibile anima tesa all’Assoluto, Don Divo ha sempre dichiarato di aver cercato la volontà di Dio sino alla fine, senza mai sentirsi appagato in alcun posto. Le sue predicazioni colpivano per il vigore e il senso di Dio che trasmettevano, con quella esegesi biblica spirituale e spericolata, con quel richiamo continuo alla perfezione, con quel suo intrupparsi e irreggimentarsi in alcuno schema”. 

A Cosenza, un convegno prettamente teologico, come testimoniato da Oreste Costabile delegato della comunità cosentina, da don Salvatore Bartucci Vicario della diocesi e da don Giacomo Tuoto, Vicario Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, i quali, introducendo i lavori, hanno descritto la spiritualità biblica di don Divo, quella epifania del Signore nata dal si di un uomo fragile e umile. La lotta di don Divo sta proprio in questo, nell’accogliere, “come Maria”- il Dio incarnato, dopo aver meditato a lungo su quella “voce dall’abisso”, come l’ha definita padre Bernardo, uno dei relatori, di cui non sapeva bene da dove venisse e dove lo portasse. 

Una lotta interiore, come ha sottolineato il Papas Pietro Lanza, protopresbitero della Eparchia bizantina greca di Lungro, nel tentativo di trovare collocazione a quelle tensioni che lo pervadevano. Da un lato, il sogno di diventare uno scrittore che lo spinse, come ha sottolineato padre Bernardo, a rivolgersi, invano, al vate D’Annunzio. Dall’altro, il desiderio, con Sant’Agostino, di riposare in Dio. Sono passati sei anni dalla morte di don Divo, il teologo che ha cercato Dio prima nei classici che nella teologia, che a sedici anni già conosceva tutta la letteratura dei padri, che si appassionava a Dostoevskij più che al Deuteronomio. 

Ben presto don Divo comprese che quelle lettere umane erano vanità di vanità, per dirla con la sapienza biblica e come egli stesso ebbe a constatare, e come il dialogo cui era chiamato era quello ben più profondo con Dio. Così don Divo, come ha sottolineato Chiara Gatto, della delegazione di Cosenza “realizza l’incontro vero con Gesù, quello del cambiamento radicale”, quello della conversione evangelica. “Un’amicizia con Dio fondata solo sulla fede”, che Dio, come ai saggi veterotestamentari, accreditò come giustizia. Don Divo così “consegnò tutto a Cristo - aggiunge Chiara Gatto – spogliandosi del vecchio Adamo, diventando, come Abramo, segno di benedizione per tutti”. Col salmista, allora, don Divo diviene ebbro di gioia e, “alzando lo sguardo al cielo, si sente un salvato, abbeverandosi alla fonte della vita”. Carmelina Condelli, della delegazione di Roccella, racconta come “i rapporti di don Divo con la gerarchia ecclesiastica non sempre sono stati idilliaci, eppure egli ha sempre continuato ad amare la sua chiesa”. La vita di don Divo è stata realmente una lotta con la divinità. 


“Un salterio composto da gioie, combattimenti, solitudini, discese e risalite”, fino ad ottenere dall’alto la giusta corona di gloria che, “da abisso del nulla dinanzi al tutto di Dio”, come si sentiva lo rende ancora oggi esempio di amore per Dio. 

http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/news/dettaglio-articolo/articolo/divo-barsotti-anniversario-chiesa-12693/

Un mondo racchiuso tra due grida. Introduzione alla preghiera

Un mondo racchiuso tra due grida. Introduzione alla preghiera ...

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15/04/2017 - Don Divo Barsotti era un prete diocesano, questo lo avvicina e lo ... perché l'impatto vero e l'incontro con il Signore lo ebbe all'età di 19 anni; leggere...

DON DIVO BARSOTTI PROFETA TRA I FIGLI DI DIO

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Don Divo Barsotti 1914 /2006 n.ro 6 novembre-dicembre 2004 editoriale di padre M. G. Rosito

Il travaglio di una lunga vita. Don Divo è certamente uno degli uomini più extra-ordinari con cui la Toscana abbia avuto il piacere di convivere in questi ultimi novant' anni. Nato a Palaia -nelle vicinanze di San Miniato al Tedesco a metà strada tra Firenze e Pisa- il 25 marzo 1914 giorno di San Marco Evangelista, settimo di nove figli, il piccolo Divo ereditò certo senza volerlo la natura mistica del suo babbo, che era un semplice e laborioso sarto. Entrato in seminario a San Miniato all'età di undici anni, percorse con ottimi risultati negli studi tutto il tirocinio necessario per giungere al sacerdozio il 4 luglio 1937, traguardo altissimo per chi lo aveva desiderato e atteso con ardore mistico al di sopra di ogni immaginazione. Sembra incredibile, ma proprio a questo punto cominciò il calvario dei turbamenti e dei dubbi sulla via spirituale da seguire. A don Divo tutto stava stretto: l' insegnamento nel seminario, la vita monotona in qualche parrocchia di campagna del Samminiatese; anche la permanenza nel suo paese d'origine durante gli anni di guerra '42-'44 impegnato in particolare nello studio di Dostoevskij e dei Padri greci non gli servì che come preparazione per il futuro apostolato - non parliamo poi del tentativo di entrare in Ordini religiosi come i Verbiti o anche i Gesuiti con tante e tali regole così rigide da abbuiare i suoi sogni a tutto campo per una missione che avesse le dimensioni del mondo e i caratteri biblleggere...

Sacerdote, fondatore, poeta, insigne mistico e maestro spirituale, don Divo Barsotti si spegneva il 15 febbraio 2006.


Una pura trasparenza di Dio
   
 Ha lasciato molti scritti, una comunità monastica sparsa per il mondo e un testamento spirituale contrassegnato da una profonda devozione mariana.
  

Allo scorso Meeting di Rimini organizzato, come ogni anno, nel mese di agosto da Comunione e liberazione c’era, fra le molte cose proposte, una mostra insolita, dedicata a una personalità cristiana non particolarmente nota, almeno finché era in vita, eppure spiritualmente grandissima: Divo Barsotti.
Qualcuno l’ha chiamato «l’ultimo mistico del Novecento», circola già la voce nel tam tam cattolico che non è tanto lontana l’apertura del suo processo di beatificazione e di giorno in giorno cresce sensibilmente l’interesse per la sua figura.
Proprio in febbraio, precisamente il 15, cade il secondo anniversario della sua morte e vogliamo per questo presentare agli amici lettori questa splendida figura di monaco e di poeta, fondatore di una comunità religiosa con un suo originale carisma e, soprattutto, grande innamorato di Maria. Don Barsotti era un mistico mariano. Nel suo testamento spirituale egli si dice sicuro che la Madre di Dio lo accoglierà con suo Figlio al termine della vita: «Mi verrà incontro», scriveva, «avrà già ottenuto per me il perdono di tutti i miei peccati e delle mie innumerevoli infedeltà…».
Don Divo Barsotti (1914-2006).
Don Divo Barsotti (1914-2006)
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Sacerdote e mistico
Divo Barsotti era nato a Palaia, in provincia di Pisa, nel 1914. Dopo l’ordinazione sacerdotale si era trasferito a Firenze, per interessamento di Giorgio La Pira, e vi aveva iniziato una lunga attività di predicatore e di scrittore. Assai vicino alla sensibilità del cristianesimo orientale, don Divo ha avuto il merito di far conoscere in Italia le figure dei santi russi Sergio, Serafino, Silvano. Nel 1972 fu anche chiamato a predicare gli esercizi spirituali al Papa in Vaticano. Ma è indubbiamente assai noto per aver fondato la Comunità dei figli di Dio, una famiglia religiosa di monaci formata da laici consacrati che vivono nel mondo e da religiosi che vivono in case di vita comune.
Tutto cominciò un giorno lontano, alla metà degli anni Cinquanta, a Settignano, sulle colline di Firenze. Dopo aver vissuto per qualche anno presso un istituto di suore di Firenze, don Barsotti sentì chiaramente dentro di sé che doveva iniziare un’esperienza più forte, da solo o con dei compagni. Lasciate le suore, alloggiò per qualche mese presso un dormitorio a Monte Senario, con un giovanissimo discepolo.
Non potendo restare sempre lì, a un certo punto si mise a cercare attorno a Firenze qualcosa che potesse fare al caso suo. Lo trovò a Settignano, alle pendici dei colli fiorentini: là c’era una casa disabitata da molti anni, in un posto veramente incantevole fra gli ulivi, e la comprò. La Casa fu dedicata a san Sergio di Radonež, padre del monachesimo russo e patrono della stessa Russia. Nessuno a quei tempi conosceva il monachesimo degli staretz: don Divo l’aveva studiato sui rarissimi testi che all’epoca si riuscivano a reperire appassionandosi a questo tipo di monachesimo, più semplice rispetto a quello occidentale.
Da allora, e per tutta la sua vita, il Padre ha sempre vissuto a Casa San Sergio, che è diventata la Casa madre della sua Comunità. Qui egli si è spento serenamente il 15 febbraio 2006, all’età di 92 anni, in una celletta del piccolo eremo scoperto ben cinquant’anni prima.
Il carisma dei Figli di Dio
«Non serve a Dio l’orgoglioso che crede di poter fare senza di lui, non serve a Dio la persona che si piega solo verso di sé, non serve a Dio l’uomo che ha il potere umano e la ricchezza dei soldi, della fama. Servono gli umili, gli uomini che sul piano umano sembra che abbiano fallito e invece sono quelli che vincono il mondo». È l’assunto di don Divo Barsotti che spiega l’essenza stessa della vita di ogni cristiano autentico e che rivela anche la missione, al tempo stesso semplice ed esigente, dei membri della sua Comunità.
Figli di Dio. Che cosa significa? Sono certamente figli di Dio tutti i cristiani, ma con questo nome la Comunità intende vivere in modo più diretto e profondo la filiazione divina, con una consacrazione che impegna a riscoprire il battesimo in modo consapevole e responsabile. Il significato di questo nome sta allora nell’impegno a vivere il mistero dell’adozione filiale nella carità, che è l’essenza del cristianesimo; a obbedire non più alla natura umana, ma soltanto all’azione di Dio che vive in ognuno.
Don Divo Barsotti con il cardinale Biffi nel 1998.
Don Divo Barsotti con il cardinale Biffi nel 1998.
E poiché il processo della santificazione implica sempre più un’identificazione, un’unione sempre più intima con Cristo, vivere da figli di Dio impone l’ascolto della Parola per accogliere il Verbo, così che il Verbo faccia di ognuno il suo corpo: si è figli di Dio quando si è profeti che incarnano il Vangelo, testimoni di Cristo, che si incarna e vive nell’uomo e attraverso l’uomo si rivela al mondo.
Quella dei Figli di Dio è una comunità che vuole vivere, nel mondo, l’esperienza monastico-contemplativa, vale a dire il cosiddetto "monachesimo interiorizzato". Nei suoi quattro rami, che sono distinti fra loro ma complementari: i fratelli e le sorelle che vivono la consacrazione da soli, in famiglia o da sposati; quelli che vivono la consacrazione nel matrimonio con i voti di povertà, castità coniugale e obbedienza; quelli che vivono la consacrazione con i voti di povertà, castità perfetta e obbedienza (celibi e nubili), e infine il quarto ramo, con quelli che vivono la consacrazione con i voti di povertà, castità perfetta e obbedienza nelle case di vita comune.
La Comunità dei Figli di Dio non vuole essere un’élite in seno alla Chiesa, ma vuol far vivere veramente, nella Chiesa, la sua cattolicità. E vuole vivere nel mondo il mistero dell’adozione filiale basandosi su quelli che da sempre sono nella Chiesa i fondamenti della spiritualità monastica: preghiera, ascolto della parola di Dio, contemplazione, vita liturgica e sacramentale. Attualmente sono più di duemila i suoi membri, presenti anche fuori dell’Italia, in Colombia, Benin, Sri Lanka e Australia. Dal settembre 1995 è suo superiore don Serafino Tognetti.
Maria guida i suoi figli
Sacerdote, teologo, fondatore e insigne mistico, poeta dalla vena profonda e grande maestro spirituale, don Divo Barsotti nella vita si è trovato spesso solo e incompreso. «Se è l’amore che dà un prezzo alle cose», scriveva, «il mio prezzo è l’amore di Dio». Con lui infatti era al sicuro pure nei giorni di burrasca, anche quando la navicella della sua vita imbarcava acqua, perché sapeva che al timone c’era la mano materna e consolatrice di Maria.
Maria sarebbe stata la bussola per tutti i suoi figli: ai piedi della Madre, infatti, la preghiera dei figli di Dio sarebbe diventata un’accorata intercessione per il mondo intero, per quel mondo che cerca sempre una roccia come appiglio per trovare sicurezza e stabilità e che anela – anche se non sempre se ne rende conto – al Vangelo, l’unica guida perché l’uomo ritrovi pienamente se stesso in Dio.
Don Divo Barsotti.
Don Divo Barsotti
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La Comunità fondata da Don Barsotti non ha opere particolari: in qualunque stato sociale e dovunque si trovino i suoi membri, la loro vita vuole essere una testimonianza di Cristo, pura trasparenza di Dio. Così la vita di ogni consacrato diventa veramente una vita in Cristo e, come tale, si apre al mistero della Chiesa, convocazione universale di tutti i figli che si ritrovano ad ascoltare e pregare il Signore, senza barriere di classe o di razza.
Di questa Chiesa, Maria è Madre e Maestra per tutti quanti, è il segno vivo, l’immagine tenerissima che nel suo continuo riconsegnare il Vangelo del Figlio e nel suo richiamare familiarmente al mistero del suo primo incontro con la parola di Dio nell’Annunciazione, schiude i portali di una gioia perfetta, destinata ad ardere come un fuoco acceso per tutta l’eternità.
Maria Di Lorenzo
  

  

Il testamento spirituale di Don Barsotti«Abbiate fiducia. La morte non mi fa paura, già ho vissuto un anticipo di comunione con lui attraverso coloro che ho amato. Abbiate fiducia. Dio non mancherà. Non vi preoccupate per il numero; importante è che stiate uniti. Ricordatevi che la vita religiosa è un impegno di fede in Dio che è presente, ed è l’Amore infinito. Ma proprio per questo egli non può darcene la prova finché viviamo nel corpo. È un fatto assai relativo che la parete del corpo ci impedisca di vivere insieme. L’unione con lui non è nell’esperienza sensibile, ma nel Cristo che ci ha uniti a sé e ci ha voluti un solo corpo con lui. Io vi lascio apparentemente. Realmente, sono con voi più di prima. Lasciando questa vita, mi sento debitore di innumerevoli anime che con il loro esempio e con il loro amore mi hanno aiutato. Hanno illuminato la mia via, mi hanno sorretto con i loro consigli, hanno avuto pazienza con me. Insieme a Colui che ho cercato di amare al di sopra di tutti, Gesù benedetto, chiedo che vorrà accogliermi come suo figlio la Vergine; mi verrà incontro, avrà già ottenuto per me il perdono di tutti i miei peccati e delle mie innumerevoli infedeltà. Ma con Gesù e la Vergine, io spero che si faranno incontro a me le innumerevoli altre anime alle quali nel tempo il Signore ha voluto legarmi in un rapporto di paternità e a volte anche di dipendenza filiale. Rivedrò i miei fratelli di sangue, il babbo, la mamma; ma certo l’unità più vera, più grande nell’amore, nella mia unione con Cristo, sarà con tutti i miei figli. So di avere mancato tanto verso di loro, ma so ugualmente che tutto mi è stato perdonato. Non ho ricevuto che amore».

Storico discorso di Viktor Orban: “Esiste un piano contro l’Europa”

Storico discorso di Viktor Orban: “Esiste un piano contro l’Europa”

Nel discorso del Primo Ministro ungherese, censurato dai media di regime, riconosciamo saggezza e spina dorsale che diventano responsabilità a fronte di una valutazione sapiente e realistica della situazione. Doti che purtroppo mancano ai politici del resto d'Europa e soprattutto ai nostri.

Storico discorso di Viktor Orban: “Esiste un piano per realizzare una Europa nelle mani di una popolazione cosmopolita con preminenza mussulmana

Circa 27 anni addietro avevamo pensato che il nostro futuro fosse in Europa. Attualmente, noi siamo il futuro dell’Europa”, ha dichiarato questa mattina il primo ministro dell’Ungheria Viktor Orban, nel corso della 28a edizione della Università Libera di Tusnádfürdő.
Nel suo discorso annuale, Orban ha manifestato l’idea che le elezioni parlamentari che si svolgeranno la prossima primavera nel paese avranno una importante dimensione europea. “Quello che accadrà in Ungheria avrà importanti implicazioni per l’insieme dell’Europa, perché oggi una Ungheria forte gioca un ruolo decisivo nella battaglia per evitare la scristianizzazione dell’Europa”, ha segnalato.

sexta-feira, 1 de setembro de 2017

Hermano sacerdote, oficia la Santa Misa Tradicional


Hermano sacerdote, oficia la Santa Misa Tradicional

La Santa Misa tradicional es patrimonio de la Iglesia. Querido hermano sacerdote, me dirijo a ti que eres  de los que desean conocer la Santa Misa tradicional, te gustaría oficiarla,...

Cardeal Robert Sarah, prefeito da Congregação para o Culto Divinore : conciliação litúrgica.


Liturgia. O contra-relatório do cardeal Sarah.

IHU – Claramente não é obra sua. Fazemos referência ao discurso que o Papa Francisco leu, no dia 25 de agosto, aos participantes da semana anual do Centro de Ação Litúrgica italiano. Um discurso cheio de referências históricas, de citações doutas com suas correspondentes notas, sobre uma matéria que ele nunca dominou.
sarahA reportagem é de Sandro Magister, publicada por Settimo Cielo, 29-08-2017. A tradução é do Cepat.
No entanto, é possível captar silêncios e palavras que refletem muito bem seu pensamento. O que mais deu o que falar foi esta declaração solene que fez a propósito da reforma litúrgica posta em marcha pelo Concílio Vaticano II: “Podemos afirmar com segurança e autoridade magisterial que a reforma litúrgica é irreversível”.
Tal declaração foi interpretada pela maioria como uma ordem do Papa Francisco para deter o suposto retrocesso iniciado por Bento XVI, com o motu proprio Summorum pontificum, de 2007, que restituía plena cidadania à forma pré-conciliar da missa em rito romano, permitindo sua livre celebração como segunda forma “extraordinária” do mesmo rito.
Efetivamente, no longo discurso lido pelo Papa Francisco, são citados em abundância Pio XPio XII e Paulo VI. Mas, ao contrário, nenhuma só referência a Bento XVI, grande estudioso da liturgia, ou a seu motu proprio, apesar de neste verão ter se completado, precisamente, o décimo aniversário de sua publicação.
Muito marginal é também a referência às enormes degenerações na qual caiu, infelizmente, a reforma litúrgica pós-conciliar, superficialmente denunciadas como “recepções parciais e práxis que a desfiguram”.
Silêncio total também sobre o cardeal Robert Sarah, prefeito da Congregação para o Culto Divino, e sobretudo a respeito de suas boicotadas batalhas em favor de uma “reforma da reforma”, que restitua à liturgia latina sua autêntica natureza.
Na sequência, o que publicamos é, de fato, o contra-relatório acerca do estado da liturgia na Igreja, que o cardeal Sarah publicou neste mesmo verão, alguns dias antes do discurso do Papa Francisco. Um contra-relatório centrado justamente em Bento XVIe no motu proprio Summorum pontificum.
Seu texto na íntegra pode ser lido em francês, no número de julho-agosto da publicação mensal católica La Nef.
Na continuidade, reproduzimos a tradução de algumas passagens.
Nela, o cardeal emite um objetivo futuro de grande importância: um rito romano unificado que una o melhor dos dois ritos pré-conciliar e pós-conciliar.
Naturalmente, não faltam referências a temas particularmente sensíveis para o cardeal Sarah: o silêncio e a oração dirigida ad orientem.
Contudo, também aborda o tema do abandono da fórmula “reforma da reforma”, rejeitada pelo próprio Papa Francisco e que se converteu em inservível. Em seu lugar, o cardeal Sarah prefere falar de “reconciliação litúrgica”, no sentido de uma liturgia reconciliada “consigo mesma, com seu ser profundo”.
Uma liturgia que saiba, efetivamente, acumular as “duas formas do mesmo rito” autorizadas pelo Papa Bento, “em um enriquecimento recíproco”.

Eis as reflexões do cardeal Robert Sarah

Por uma reconciliação litúrgica

“A liturgia da Igreja foi a atividade central de minha vida, converteu-se no centro de meu trabalho teológico”, afirma Bento XVI. Suas homilias continuarão sendo documentos insuperáveis, durante gerações. Contudo, é necessário também sublinhar a grande importância do motu proprio Summorum pontificum. Longe de se referir somente à questão jurídica do estatuto do antigo missal romano, o motu proprio delineia a questão da própria essência da liturgia e seu lugar na Igreja.
O que está em discussão é o lugar de Deus, o primado de Deus. Como ressalta o “Papa da liturgia”: “A verdadeira renovação da liturgia é a condição fundamental para a renovação da Igreja”. O motu proprio é um documento magisterial capital acerca do significado profundo da liturgia e, em consequência, de toda a vida da Igreja. Dez anos após sua publicação, é necessário fazer um balanço: realizamos estes ensinamentos? Nós os compreendemos em profundidade?
Estou intimamente convencido que ainda não foram descobertas todas as implicações práticas deste ensinamento… Quero apresentar, aqui, algumas de suas consequências.

Para um novo rito comum

Dado que há uma continuidade e unidade profundas entre as duas formas de rito romano, então, necessariamente as duas formas devem se iluminar e se enriquecer reciprocamente. É prioritário que, com a ajuda do Espírito Santo, examinemos, na oração e no estudo, como voltar a um rito comum reformado, sempre com a finalidade de uma reconciliação dentro da Igreja.
Seria belo que aqueles que utilizam o missal antigo observem os critérios essenciais da constituição sobre a sagrada liturgia do Concílio. É indispensável que estas celebrações integrem uma justa concepção da participatio actuosa dos fiéis presentes (SC 30). A proclamação da leitura deve poder ser compreendida pelo povo (SC 36). Do mesmo modo, os fiéis devem poder responder ao celebrante e não se limitar a ser espectadores alheios e mudos (SC 48). Por último, o Concílio faz uma convocação a uma nobre simplicidade do cerimonial, sem repetições inúteis (SC 50).
Caberá à comissão pontifícia Ecclesia Dei proceder em tal questão com prudência e de maneira orgânica. Pode-se desejar, ali onde for possível, e se as comunidades requererem, uma harmonização dos calendários litúrgicos. É necessário estudar os caminhos para uma convergência dos lecionários.

O primado de Deus

As duas formas litúrgicas fazem parte da mesma lex orandi. O que é esta lei fundamental da liturgia? Permitam-me citar, novamente, ao Papa Bento: “A má interpretação da reforma litúrgica que foi difundida durante muito tempo no seio da Igreja católicainduziu, cada vez mais, a colocar em primeiro lugar o aspecto da instrução, e o de nossa atividade e criatividade. O ‘fazer’ do homem provocou quase o esquecimento da presença de Deus. A existência da Igreja toma vida da celebração correta da liturgia. A Igrejaestá em perigo quando o primado de Deus já não aparece na liturgia e, como consequência, na vida. A causa mais profunda da crise que tem perturbado a Igreja, encontramos na obscuridade da prioridade de Deus na liturgia”.
Eis aqui, portanto, o que a forma ordinária deve voltar a aprender em primeiro lugar: o primado de Deus.
Permitam-me expressar humildemente meu temor: a liturgia da forma ordinária pode nos fazer correr o risco de nos distanciarmos de Deus por causa da presença massiva e central do sacerdote. Este está constantemente diante de seu microfone e tem, sem interrupção, a visão e a atenção dirigidas ao povo. É como uma tela opaca entre Deus e o homem. Quando celebrarmos a missa, coloquemos sobre o altar uma grande cruz, uma cruz bem visível, como ponto de referência para todos: para o sacerdote e para os fiéis. Assim teremos nosso Oriente, porque, em definitivo, o Oriente cristão, diz Bento XVI, é o Crucifixo.

Ad orientem

Estou convencido que a liturgia pode se enriquecer das atitudes sagradas que caracterizam a forma extraordinária, todos esses gestos que manifestam nossa adoração da santa eucaristia: juntar as mãos após a consagração, fazer a genuflexão antes da elevação e após o Per ipsum, comungar de joelhos, receber a comunhão nos lábios se deixando nutrir como uma criança, como Deus mesmo nos disse: “Eu sou o Senhor seu Deus. Abre sua boca, e eu a encherei” (Salmo 81, 11).
“Quando a visão sobre Deus não é determinante, todo o restante perde sua orientação”, disse-nos Bento XVI. Também o oposto é verdade: quando se perde a orientação do coração e do corpo para Deus, deixa-se de se determinar em relação a ele, perde-se o sentido da liturgia. Orientar-se para Deus é, antes de tudo, um fato interior, uma conversação de nossa alma para o Deus único. A liturgia deve operar em nós esta conversão para o Senhor que é o Caminho, a Verdade e a Vida. Por isso, essa utiliza sinais, meios simples. A celebração “ad orientem” é um deles. É um tesouro do povo cristão que nos permite manter vivo o espírito da liturgia. A celebração orientada não deve se converter na expressão de uma atitude facciosa e polêmica. Ao contrário, deve continuar sendo a expressão do movimento mais íntimo e essencial de toda liturgia: dirigir-nos ao Senhor que vem.

O silêncio litúrgico

Tive a oportunidade de ressaltar a importância do silêncio litúrgico. Em seu livro O espírito da liturgia, o cardeal Ratzinger escrevia: “Todo aquele que faça a experiência de uma comunidade unida na oração silenciosa do Canon, sabe que isto representa um silêncio autêntico. Aqui, o silêncio é, ao mesmo tempo, um grito poderoso, penetrante, lançado para Deus, e uma comunhão de oração repleta do Espírito”. Em seu momento, já havia afirmado com firmeza que recitar em voz alta toda a oração eucarística não era o único meio para obter a participação de todos. Temos que trabalhar para alcançar uma solução equilibrada e abrir espaços de silêncio neste âmbito.

A verdadeira “reforma da reforma”

Faço um chamado de todo o meu coração para que se coloque em andamento a reconciliação litúrgica ensinada pelo Papa Bento, no espírito pastoral do Papa Francisco! A liturgia nunca deve se tornar a bandeira de um partido. Para alguns, a expressão “reforma da reforma” se tornou sinônimo de domínio de um partido sobre o outro. Portanto, esta expressão corre o risco de se tornar uma expressão inoportuna. Prefiro, por conseguinte, falar de reconciliação litúrgica. Na Igreja, o cristão não tem adversários!
Como escrevia o cardeal Ratzinger: “Temos que voltar a encontrar o sentido do sagrado, o valor de distinguir o que é cristão do que não é. Não para levantar barricadas, mas para transformar, para sermos verdadeiramente dinâmicos”. Mais que “reforma da reforma”, trata-se de uma reforma dos corações! Trata-se de uma reconciliação das duas formas do mesmo rito, em um enriquecimento recíproco. A liturgia deve sempre se reconciliar consigo mesma, com seu ser profundo!
Iluminados pelo ensinamento do motu proprio de Bento XVI, confortados pela audácia do Papa Francisco, é o momento de chegar ao fundo deste processo de reconciliação da liturgia consigo mesma. Seria um sinal magnífico se pudéssemos, em uma próxima edição do missal romano reformado, incluir no apêndice as orações ao pé do altar da forma extraordinária, talvez em uma versão simplificada e adaptada, e as orações do ofertório que contêm uma epiclese tão bela que completa o Canon romano. Deste modo, ficaria manifestado que as duas formas litúrgicas se iluminam reciprocamente, em continuidade e sem oposição!

Llamado de Amor y Conversión del Corazón Doloroso e Inmaculado de María


28 de Agosto de 2017

Soy vuestra Madre, la Guardiana de la Fe, Maestra de Oración y Educadora del Espíritu.
Escuchen, hijos, el ruido y la confusión en el mundo diariamente aumentan. Dentro de la Casa de mi Hijo se han infiltrado muchos, también anunciando y profetizando, pero no bajo el Espíritu de Dios, sino para confundir, y con la confusión llevar a la división.
Hijos, es verdad que a lo largo del tiempo, Jesús me ha enviado a muchos lugares de la tierra, a recordar el Mensaje del Evangelio.
En este tiempo, he venido preparando con mis diferentes Manifestaciones, para llegar a este lugar y revelar aquí la culminación de mi Mensaje.

En muchos lugares me he manifestado y he estado con todos mis hijos, pero también, hijos míos, no todos los que dicen venir en nombre de mi Hijo, y en mi Nombre, son enviados del Cielo. El Mensaje es uno,  y el Mensaje se está dando por medio de los Llamados de Amor y de Conversión.

No desvíen su atención de este Mensaje, porque el enemigo, ahora, está confundiendo, y  ustedes, hijos, saben bien que en este tiempo la oscuridad es vista como luz, lo malo es visto como bueno, la muerte es vista como vida.
Hijos, soy Guardiana de la Fe, y sólo los que se acogen a éste mi Mensaje, van a tener la fuerza para discernir y orientarse. Quien no toma el Consejo de la Madre, en la tribulación se pierde y se confunde.
Vean a vuestra Madre, vean a la que cuida de vuestra Fe. Obedezcan a la Maestra y Reina de los Apóstoles.
Hijos míos, todo aquel que peregrine y ore en mi pequeño jardín y tome de la fuente de Gracia y Misericordia, y se consagre allí a nuestros Sagrados Corazones, con la Sangre de mi Hijo, los Ángeles marcarán la cruz en su frente y en su corazón como signo de su consagración totalmente para Dios.
En mi Corazón Doloroso e Inmaculado están reunidos todos los Títulos que Dios y mis hijos han dado a su Madre. Los quiero reunir a todos en mi Corazón para que ninguno se pierda. Y en mi Corazón cuidaré de todos. Escuchen a su Madre; Madre de la Palabra, Guardiana de la Fe, y Protectora de los creyentes en Jesucristo.

Los bendigo con Amor Maternal, en el nombre del Padre, y del Hijo, y del Espíritu Santo. Amén.


Llamado de Amor y de Conversión del Casto y Amante Corazón de San José 30 Agosto 2017



Mi Divino Hijo Adoptivo, el Santo Niño Jesús, tiene en su pequeño Corazón una coronita de espinas y cada espina representa la debilidad de la voluntad humana. Porque a Jesús cada acto que va en contra de Su Voluntad, ya sea cualquier pecado, especialmente el de la caridad, en el que se resume todo pecado, porque el hombre peca, porque no tiene caridad, ese pecado contra el Amor es lo que más ha herido el Corazón de Jesús. De la virtud del amor nacen todos los otros dones: la humildad, la prudencia, el servicio. Toda la vida de santidad tiene su fundamento en el Amor.
Hijos, si las creaturas amaran al Señor obedecerían con amor cada Mandamiento por el Amor mismo, pero como no hay Amor no se obedece la Palabra y la Voluntad de Dios. Si el Pueblo Escogido del Antiguo y del Nuevo Testamento hubieran tenido Amor no matarían a los profetas y hubieran recibido el Mensaje de Jesús. Si esta generación tuviera Amor recibiría a los profetas y su mensaje. Si los apóstoles de los Sagrados Corazones tuvieran Amor con cuanto empeño practicarían los mensajes. El Amor es la fuerza para vivir en Dios. El que no tiene Amor no vive en la verdad, sino que se engaña a sí mismo.

El mundo es un desierto, pero en ese desierto todavía existen algunas rosas que necesitan del riego de la Palabra. Tú, pequeño Elías, ve sin miedo a recoger esas rosas y a plantarlas en el Corazón de María. Aquella rosa, por muy sencilla que sea y pida el mensaje, debes ir a regarla. No temas, porque el Cielo entero irá contigo y con los que obedezcan esta invitación de evangelizar, en el Amor, desde el Amor, tendrán la fuerza para cambiar sus corazones.

Si no hay Amor estarán siempre vacíos. Yo les Amo y les Bendigo: en el nombre del Padre, y del Hijo, y del Espíritu Santo. Amén.


quarta-feira, 30 de agosto de 2017

Sulle orme di Don Divo Barsotti

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CAPANNE -  Ho visto Dio in un uomo». No, non è la celebre affermazione di un massone dopo aver assistito ad una messa del Curato d’Ars, ma è la stessa sensazione avuta da P. Serafino Tognetti una volta conosciuto e frequentato Don Divo Barsotti. Lo scorso 25 aprile, ricorreva infatti il 103° anniversario della nascita del fondatore dei Figli di Dio, comunità che ha sede a Settignano in provincia di Firenze e presente in altri luoghi e che spesso, per i propri ritiri, utilizza l’eremo nella nostra diocesi, donato alla comunità stessa da una famiglia palaiese. Il luogo in questione si trova in località Collelungo ed è comunemente chiamato «Le fornaci». Proprio per ricordare la memoria del padre fondatore , i membri delle fraternità di Palaia e Livorno hanno organizzato, guidati da P. Tognetti, una giornata dedicata alla memoria del nostro condiocesano don Divo. Si sono lì ritrovati per celebrare la messa e passare un po’ di tempo in fraternità. A questi ci siamo aggiunti anche noi, fedeli delle parrocchie limitrofe, invitati a partecipare a tutti gli eventi in programma.

La Messa celebrata da P. Tognetti concelebrata dai parroci don Fabrizio Orsini e don Giuseppe Volpi, nella cappellina dell’eremo, ma vuoi la giornata festiva, vuoi l’attrazione del Padre Barsotti, siamo stati «costretti» a trasferirci all’aperto perché eravamo ben più di 100 persone. La cosa straordinaria per me, poco conoscitore della comunità dei Figli di Dio, è stata la presenza oltre delle parrocchie vicine, in quell’eremo sperduto era la presenza di appartenenti alla comunità stessa provenienti da Massa Carrara, Siena, Montecatini, Livorno e Pisa, addirittura c’era anche una coppia delle Marche. Al termine della celebrazione c’è stato anche il toccante rito di ammissione alla comunità del ramo laicale di alcuni aspiranti, e quelli che hanno fatto la consacrazione nella comunità. Dopo pranzo il programma prevedeva la catechesi di P. Serafino per ricordare la Comunità e il suo fondatore, d. Divo e farlo conoscere più approfonditamente a chi non facendo parte della comunità non sapeva alcuni aspetti più nascosti della vita del Padre. Questo secondo momento si è svolto al teatro parrocchiale della parrocchia di Palaia dove era presente fra gli altri anche il sindaco e un assessore. Padre Serafino ha parlato della propria esperienza accanto a d. Divo ricordando soprattutto l’incontro iniziale avuto con lui, e che fu per molti aspetti subito molto intenso, infatti, dice p. Tognetti ricordava la cosa che lo colpì immediatamente fu il rapporto intensissimo con Dio, il modo in cui "il Padre", così i suoi lo chiamano, fosse in una comunione con il Signore e come questo rapporto fosse prioritario rispetto a tutti gli altri. Venne attratto, quindi, non dal carisma umano del Padre ma dalla sua intensa e profonda spiritualità. Ci ha spiegato episodi e brani tratti dai suoi diari che ci parlano di un uomo consumato dal fuoco della presenza divina, ma allo stesso tempo tormentato dal non capire la volontà di Dio sulla propria persona, costretto, se così si puo’ dire, a vivere non sapendo cosa fare al di là del minuto presente. D. Divo arriva ad affermare sconsolato, che i suoi primi 6 anni di sacerdozio hanno prodotto un bel nulla, a preferire l’inferno, dove almeno è manifesta la Giustizia divina, ad una vita che lui sentiva vuota di Dio ma al tempo stesso le testimonianze dei palaiesi che assistono alle sue celebrazioni eucaristiche sembrano affermare il contrario perché questi escono dalla chiesa con la sensazione di aver assistito a qualcosa di straordinario. Barsotti fu un uomo solo di Dio perché il suo desiderio era la ricerca della volontà di Dio che lui diceva «essere Dio stesso» affermando la sua immersione in Dio per cui «il Papa e lo spazzino» avevano pari dignità; il suo era un monachesimo interiore che lo portava a privilegiare il rapporto con Dio più che quello con i fratelli che peraltro tanto amò e ebbe a soffrire molto, soprattutto nella sua prima esperienza alla Fornace. Di lui vengono ricordate infatti due caratteristiche tipiche del padre (umano o spirituale che sia) ovvero la tenerezza e la fermezza con la quale si rapportava con i propri figli e fratelli, senza sconti per nessuno solo se si trattava di "difendere" Gesù Salvatore anche a costo di essere scortese o spigoloso. Una figura che a ben vedere oggi, regno del politically correct, sarebbe alquanto scomoda anche per alcuni uomini di Chiesa , ma che sicuramente porterebbe avanti quella che riteneva dover essere la missione di ogni comunità monastica e al tempo stesso l’opera di Carità più importante ovvero "dare Dio alle anime". Questa quindi la sua grande missione, essere testimone della presenza del Mistero attraverso la ricerca continua e senza sosta della volontà di Dio. Barsotti trovò veramente pace solo al termine della propria vita terrena che fu tormentata da prove ed incomprensioni, oltre che da gioie e consolazioni. Una su tutte il doloroso distacco a metà degli anni 60, con il gruppo originario di fratelli che con lui avevano iniziato l’avventura della Comunità che decisero di stabilirsi proprio alle Fornaci di Collelungo. Nonostante queste ed altre vicissitudini, riuscì sempre a far passare il messaggio che «vale la pena vivere per Dio» e fu talmente credibile in questa sua certezza che la sua figura colpì tanto anche un grande teologo come Von Baltasar che arrivò a dire: «Barsotti ha dato al Cristianesimo uno splendore inaudito».
L’idea personale che mi sono fatto di D. Divo è che è stato un personaggio difficilmente catalogabile e alquanto scomodo per chi avesse tentato di farlo ma talmente innamorato di Gesù Cristo da darsi da solo una collocazione: "nell’altro mondo", perché diceva che il cristiano non può avere un cuore titubante ma eroico e deve essere appunto "un uomo dell’altro mondo". La bella giornata si è poi conclusa con la testimonianza di Vittorio che fu chierichetto di d. Barsotti quando era sacerdote a Palaia. La preghiera alla Madonna ha concluso una giornata intensa, dove il relatore ha saputo collocare la figura del Padre in modo veramente bello.

Don Divo Barsotti in una rara intervista


Don Divo Barsotti in una rara intervista Don Divo Barsotti in una rara intervista

Nella primavera del 1991, chi scrive insieme a Pietro Mirabile e Giulio Palumbo – due straordinari amici e poeti spirituali, figli elettivi di San Pio da Pietrelcina con cui vissero spesso a fianco – ci recammo a Settignano, sulle colline di Firenze, a Casa San Sergio fondata da uno dei protagonisti del cattolicesimo novecentesco: Don Divo Barsotti, un grande mistico, autore di pagine sterminate e immense, fondatore della Comunità dei Figli di Dio. Fummo “affidati” al Padre Serafino Tognetti che fu poi il primo superiore della comunità dopo la morte di Don Barsotti (1914-2006), e vivemmo giorni che solo la Parola nello Spirito potrebbe raccontare compiutamente. I lunghi dialoghi e i silenzi intessuti con il Padre, la Santa Messa come autentica adorazione del Sacrificio e della Gloria, i suoi ammaestramenti, risuonano ancora in me. Incontrai successivamente a Palermo, ospite della CFD, il Padre ed anche in quella occasione ebbi forte l’esperienza dell’Incontro con un autentico uomo di Dio. Conservo di Don Divo lettere, giudizi sulle mie opere (specie su “Il Cristo di ogni giorno”) e alcuni brevi testi destinati e pubblicati da Spiritualità & Letteratura, nonché una straordinaria prefazione per una Antologia del Sacro, da me pubblicata. Questi materiali preziosi unitamente a delle considerazioni storiche e spirituali con la narrazione di quelle esperienze di incontro saranno oggetto di un profilo che intendo presto dedicare alla Sua Memoria viva e Santa.

Tommaso Romano

(il testo che segue, curato da me e da Giulio Palumbo, fu pubblicato per la prima volta su Spiritualità & Letteratura nel 1991 ed è stato riproposto nel volume curato da Giovanni Dino sugli Editoriali scritti da Giulio Palumbo (1936-1997) per la nostra rivista che ancora francescanamente continua a pubblicarsi e che furono editi nella collana Ercta della Provincia Regionale di Palermo nel 2006, che allora dirigevo).  
 
 

La Casa San Sergio a Settignano sorge in una zona verde e di silenzio, ben adatta a quello spirito di riposo e riflessione di cui l’uomo d’oggi e di sempre ha bisogno. Si tratta di una piccola Comunità di dieci persone. In un clima di fraternità e semplicità, essa trascorre le proprie giornate nella preghiera, nel lavoro, nello studio, nella vita comunitaria. Don Barsotti svolge i suoi molteplici impegni nel suo ampio studio. Un grande crocefisso di singolare espressività pende alla parete, posto sotto lo sguardo di chi siede al tavolo di lavoro. Una vastissima biblioteca con volumi di ogni sorta, di spiritualità e di studio, riempie tutt’intorno la stanza. Nella sala del pranzo comune, un ritratto di Mons. Giulio Facibene, una delle personalità che Don Barsotti ha frequentato familiarmente ed ha avuto modo di apprezzare. Niente radio, né televisione. Solo un ritrovare se stessi e tenersi liberi da ogni condizionamento.
D.- Quando e come è nata, Padre, questa accogliente sede della Comunità?
R.- Nel 1955 vi era qualche giovane che aspirava a vivere in Comunità insieme a me. Cercavo una sede idonea. Ero intanto cappellano delle Suore della Calsa a Firenze. Poi rimasi per sei mesi a Monte Senario, nella casetta eremitica di San Filippo Benizi. Successivamente mi venne indicata questa casa attuale e, vistala, feci il compromesso. La casa apparteneva ad una principessa rumena, una pretendente al trono di Romania, cugina di Vladimiro Ghika, di cui è in corso il processo di beatificazione come martire in Romania. Nel sessanta si aprì un’altra Comunità alla “Fornace”presso Pisa. I giovani che qui stavano, affermando di voler fare vita del tutto contemplativa, non condividevano i miei impegni nella predicazione degli Esercizi spirituali, ai quali da parte mia non intendevo rinunziare. Così si separarono da me. E da allora non si sono più mantenuti insieme tra loro. E’ stato un dramma per me, com’è testimoniato nel Diario “L’acqua e la pietra”. Così per vent’anni ho sperimentato la solitudine qui, nella Casa San Sergio. Finché nel 1985 sono venuti questi nuovi giovani, due dei quali, sono già sacerdoti, mentre altri due si preparano a diventarlo. In tutto siamo dieci. Ed altri giovani ancora dovranno venire.
D. - Quindi la consolazione dopo l’amarezza.
R. - Proprio così. Forse l’obbiezione di quei primi giovani, fortemente persuasi da qualcuno tra loro, era un pretesto per distruggere tutto.
D. - Mi pare ci siano anche delle suore nella Comunità.
R. - Sì, esistono due case di Suore, una delle quali e vicina alla nostra.
D. - Che cosa può dire dei suoi venti anni trascorsi qui da solo?
R. - Sono stati anni di studio e di preghiera. Tenevo esercizi spirituali nei monasteri specie presso i Carmelitani.
D. - Lei risolve nella ragione e nella fede i problemi dell’uomo - la morte, la solitudine - che altri non risolvono…
R. - La fede dovrebbe conoscere questa problematica ed avere in sé la capacità di risolverla. Essa
conosce il superamento della solitudine. Il Signore, infatti, è con noi. Lui era presente nei miei vent’anni di solitudine. Mi amava. Così superai la solitudine umana di cui senso a volte mi prendeva. Quanto alla morte, chi veramente crede vive al di là della morte.
D. - La realtà di Dio che ci riempie è un suo atto di fede e una sua conquista personale, come risulta da tutte le sue opere...
R. - La fede è la cosa più miracolosa. L’uomo sa di essere un nulla, un lampo. Ma crede, anzi è
certo, di essere il temine di un Amore infinito. Ecco il miracolo operato delle fede. Certo, è difficile credere. Vincere questo vertiginoso abisso che si apre all’uomo. Difficile perché le cose di
Dio non sono mai facili, ma debbono essere affrontate e superate. Anch’io potrei perdermi se Dio
non mi sostenesse. Infatti, è più facile non credere che credere. E l’uomo spesso sceglie la via più
facile. Anche ciò che insegna l”Islam è facile. “Come fa Dio ad amare l”uomo?”, esso si chiede.
E il più grande mistico musulmano fu martirizzato per aver affermato l'amore di Dio all’uomo. La
morte è il problema fondamentale. Tutto passa attraverso di essa. Anche la storia finisce. Dunque
il problema vero è la fede, che supera la prigionia del tempo. Essa sola ti rivela lo stupore e l'assurdo dell’Infinito che ti conosce e ti ha.
D. – L’eterno opposizione tra cultura e fede da tanti è vista come inevitabile. In quali termini Lei
la risolve?
R. - Per molti c’è opposizione tra cultura e fede perché si teme per la propria autonomia. Ma questo è un falso concetto. La fede infatti non è opposizione. E la natura non può stare senza fede.
D. - Quale il suo pensiero sui momenti storici attuali e sulle profezie, sui fenomeni di “apparizioni” e sui “messaggi”, oggi particolarmente abbondanti nella Chiesa? Quale il futuro che Lei prevede?
R. - Da quando Gesù ascese al cielo, la Chiesa non ha mai conosciuto tanti diretti interventi di Dio. Quindi non c’è abbandono da parte Sua verso di noi, e ciò è assicurato da tanti assidui interventi. Quanto al futuro, molti aspettano un intervento divino. E’ difficile, infatti, pensare come si possa arrivare ad una ripresa, e all’attuale situazione, attraverso le sole vie umane. Tanto tutto è stato sconvolto. E questi interventi divini fanno pensare ad una azione prossima di Dio nel mondo. Come, non sappiamo. Tali segni sono necessari per chi ha poca fede. Medugorje, ad esempio, rivela più del Concilio, attraverso le conversione anche i vescovi devono capire ciò. L”uomo è smarrito. Ed ecco che Cristo dice: «ci sono Io››. Questo è l’apparizione. Necessaria perché oggi non c’è più la testimonianza. Cinquant’anni fa o ancor più di recente c'erano grandi figure in Italia: I Card. Schustrer e Dalla Costa, Don Orione, Padre Pio. Ora è buio. Ecco la necessità di una luce. Che ci dice: Dio è con noi.
D. - Lei scrive in “Cento pensieri sull’amore”: «Il dialogo non crea l’unità, la suppone». Quindi vi è oggi anche nella Chiesa, una eccessiva o errata fiducia nel dialogo, come mezzo capace di avvicinare le tesi e le fedi più opposte.
R. - I dialoghi sono parole. Restano parole. E le divisioni egualmente rimangono. Come si realizza, infatti, l'unità? Forse col rinunciare a Cristo? Ai misteri? o con l’approdare ad una religiosità vaga? Quando saremo uno in Cristo, solo allora sapremo dialogare nella Carità e comprenderci. Solo allora saprem realizzare l’unità.
D. - Quindi solo lo Spirito realizzerà l'unità e l'ecumenismo.
R. - Esattamente. E l'unica via per arrivarci è la preghiera, attraverso la quale Egli solo realizzerà l’unità.                   (n. 16, 1991)

(intervista realizzata a San Sergio a Settignano (Firenze), condotta e realizzata insieme a Tommaso
Romano, in occasione di una visita/soggiorno spirituale unitamente a Pietro Mirabile nel 1991)