sábado, 14 de abril de 2012

La firma di un documento che stabilisce le relazioni tra la Santa Sede e i discepoli di Mons. Lefebvre è una questione di giorni.


Roma e Ecône sul punto di raggiungere un accordo
La firma di un documento che stabilisce le relazioni tra la Santa Sede e i discepoli di Mons. Lefebvre è una questione di giorni.

Ufficialmente, il Vaticano attende la risposta di Mons. Bernard Fellay, il superiore dei lefebvriani. Appena ricevuta a Roma - «è una questione di giorni, e non più di settimane», - si indica in Vaticano, essa sarà «immediatamente» esaminata. Se è conforme alle aspettative, la Santa Sede annuncerà molto presto un accordo storico con questo gruppo di fedeli, conosciuto sotto il nome di «integralisti».

Ma ufficiosamente, e con la massima discrezione, i designati hanno lavorato, da entrambe le parti, a «raggiungere un accordo». Nelle ultime settimane, sono stati conclusi i punti finali tra Roma e Ecône, al fine di rispondere meglio alle richieste di «chiarimenti» sollecitati dal Vaticano lo scorso 16 marzo.

Una trattativa molto delicata
È così che la risposta finale di Mons. Fellay, estremamente ponderata e ben preparata, dovrebbe risolvere - questa volta, davvero - una trattativa molto delicata rilanciata da Benedetto XVI dopo la sua elezione, nel 2005.

La commissione «Ecclesia Dei», collocata all'interno della Congregazione per la Dottrina della Fede, il ministero più importante in Vaticano, è responsabile di questo dossier. Ma esso è anche, a questo punto, seguito personalmente da Benedetto XVI. Ed egli vuole un accordo.

Il che lascia pensare le persone ben informate che un risultato positivo sta davvero per realizzarsi. Anche a costo della permanenza di divergenze profonde riguardanti il ​​Concilio Vaticano II.

Divergenze completamente ammesse, del resto, dal Papa. Egli ha posto il suo pontificato nell'ambito di tale linea di reinterpretazione del Concilio Vaticano II. Secondo due linee: eliminare lo spirito di «rottura» del '68 ed evitare di opporre la più alta tradizione della Chiesa alla sua modernità.

Cinquanta anni di opposizione
Lunedì, Benedetto XVI compirà 85 anni. Egli è stanco. I suoi collaboratori non lo non nascondono. Questa settimana si è dovuto riposare a Castel Gandolfo dal suo viaggio estenuante in Messico e Cuba, poi dalle lunghe celebrazioni della Settimana Santa. Dovrebbe tornare in Vaticano Venerdì sera. Priorità sulla sua agenda: questa decisione sulla vicenda lefebvriana. Sarà una delle più pesanti del pontificato.

Da cinquanta anni, i Lefebvriani sono in opposizione con la Santa Sede sul Vaticano II. E in rottura giuridica formale, dal giugno 1988, quando Mons. Marcel Lefebvre ha ordinato quattro vescovi, nonostante il divieto del papa.

Joseph Ratzinger fu incaricato a suo tempo da Giovanni Paolo II delle trattative con il vescovo ribelle. Egli non ha mai accettato questo fallimento. Né, una volta diventato Papa, la prospettiva di uno scisma duraturo nella Chiesa.

Benedetto XVI spinge la Chiesa a riconciliarsi con se stessa
Uno dopo l'altro, Benedetto XVI ha demolito, con tutta la sua autorità papale, gli ostacoli che hanno impedito una completa riconciliazione con i discepoli di Mons. Marcel Lefebvre. E, se un accordo definitivo è annunciato nei prossimi giorni, la parte essenziale del lavoro è stata già messo in atto da questo papa:
  • Il ripristino nel 2007 - come rito «straordinario» nella Chiesa cattolica - della Messa detta in latino, cioè, secondo il Messale di Giovanni XXIII in vigore prima del Concilio Vaticano II.
  • La rimozione, nel 2009, delle scomuniche che colpivano i quattro vescovi ordinati da Mons. Lefebvre.
  • L'avvio, in quello stesso anno, delle discussioni dottrinali tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X sul Concilio Vaticano II.
L'apparente fallimento di queste ultime, un anno fa, aveva dato l'impressione di un completo fallimento della trattativa.

Il dissenso dottrinale tra i lefebvriani e Roma per quanto riguarda il Concilio Vaticano II è effettivamente abissale. Ma si era dimenticato che l'oggetto di quelle conversazioni non è stato trovare un accordo, ma stabilire l'elenco delle divergenze e delle loro ragioni.

È quindi in piena consapevolezza e, dunque senza alcuna ambiguità, che Roma intende suggellare questa unità ritrovata con Ecône, roccaforte dei lefebvriani in Svizzera. Essa probabilmente comporterà la creazione di uno statuto speciale - una «prelatura personale» - già sperimentato dall'Opus Dei. Questa struttura garantisce una vera autonomia di azione e nello stesso tempo la condivisione della fede cattolica. Il suo superiore risponde direttamente al papa, e non ai vescovi.

Ma la vera «rivoluzione» che Benedetto XVI cerca di lasciare agli occhi della storia della Chiesa cattolica è altrove. Essa non tocca aspetti periferici della Chiesa cattolica. Questi d'altronde fanno già sobbalzare i gruppi contrari a questa riconciliazione. I cosiddetti «progressisti» della Chiesa conciliare che vedono le «conquiste» del Concilio Vaticano II rimesse in discussione. I cosiddetti «ultras» dei ranghi lefebvriani che vedono in questo un tradimento e un compromesso con la Roma modernista.

Questa rivoluzione mira ad una visione allargata della Chiesa cattolica. Benedetto XVI, il teologo, non ha mai ammesso che nel 1962 la bimillenaria Chiesa cattolica si discostasse dalla cultura e dalla forza del suo passato. Più che una riconciliazione con i lefebvriani, egli si ripropone, con questo gesto, una riconciliazione della Chiesa cattolica con se stessa.