Presentiamo ai lettori italiani la prima opera tradotta nella nostra lingua di padre André Daigneault, sacerdote canadese legato al movimento che si ispira a Martha Robin, scrittore famoso e celebrato nel mondo francofono ma sconosciuto da noi. Finora esistevano solo le sue opere in francese: abbiamo creduto che fosse necessario avere uno dei suoi testi principali anche per noi italiani.
Il motivo è semplice: santa Teresa di Gesù Bambino ha innescato un processo di rinnovamento della spiritualità che si allarga sempre più. Le sue intuizioni sulla “piccola via” e sull’offerta all’Amore misericordioso sono folgoranti e da quando è stata nominata anche Dottore della Chiesa crediamo che il suo pensiero debba uscire dai confini della spiritualità e sia chiamato ad influenzare anche la teologia. Infatti, che senso avrebbe la sua nomina a Dottore se anche i teologi, gli uomini di Chiesa e i Vescovi, non dovessero rivolgersi a lei per ascoltare, capire, praticare e vivere il suo insegnamento? Il pensiero sgorgante dalla teologia di Teresa (chiamata popolarmente Teresina… non so se lei ne avrebbe piacere… Non vorrei che fosse un inconscio tentativo di sminuirla o relegarla al ruolo di una Vispa Teresa della teologia) dovrebbe essere studiato come si studia quello degli altri Dottori Giovanni Crisostomo o Gregorio di Nissa o gli altri, comprese le donne Teresa di Gesù e Caterina da Siena: non hanno tutti lo stesso ruolo sulla cattedra? A scuola c’è la professoressa di lettere e quella di matematica: parlano di cose diverse ma si siedono sulla stessa sedia e hanno lì la stessissima autorità.
Non so se questa nomina di Teresa sia stata recepita, forse è ancora relegata al ruolo di ispiratrice di devozione. Eppure non è un caso che questo dottorato sia stato proclamato all’inizio del terzio millennio, in tempi di crisi di fede; ciò che è posto come palo indicatore all’inizio di un sentiero di montagna indica la via, il sentiero corretto per non perdersi, forse anche l’unico sentiero giusto per arrivare alla meta (certo, si può anche camminare in mezzo ai rovi, ma ci si fa male e si rischia di perdersi: se c’è il tracciato segnalato, perché non seguire quello?).
Qual è questo sentiero, qual è questa via? E’ la via dell’imperfezione, come felicemente la chiama padre Daigneault. Sembra facile percorrerla perché tutti siamo imperfetti, ed invece è assai ardua, perché si tratta di entrare nell’imperfezione e non uscirne se non dopo una morte di noi stessi, e nessuno vuole gustare questa morte di sé. In altre parole, si tratta dell’eterna lotta tra orgoglio e umiltà.
Questo tema è centrale nella riflessione e dottrina del domenicano Marie Dominique Moliniè, altro grande maestro di questa schiera che andrebbe tradotto in italiano e conosciuto; di lui c’è qualcosa nelle nostre edizioni italiane, ma ancora non tutto. Il domenicano si dichiara folgorato da santa Teresa di Gesù Bambino e ne analizza il pensiero con una maestria e un vigore eccezionale. Non a caso a lui si rifarà poi un altro maestro di preghiera di terra francese: Jean Lafrance, che ha il merito di aver parlato della preghiera di supplica come la principale delle preghiere e che dedicò una delle sue opere proprio a santa Teresa di Gesù Bambino.
In un libro intervista dell’anno 2007, intitolato La mémoire du coeur, padre Daigneault alla domanda di quali autori spirituali amasse in modo speciale rispose: “Bernard Bro, Maurice Zundel, Henri Nouwen, Charles Journet e Marie-Eugene de l’Enfant Jesus; tutte le opere di Jean Lafrance sulla preghiera e i libri di padre Molinié, in particolare La lotta di Giacobbe e Il coraggio di avere paura. Infine tutti i libri di Divo Barsotti sulla Bibbia a causa dell’esegesi spirituale, che per me fu un vero nutrimento”.
Ed eccoti qui la squadra bell’e composta. Li conosciamo e li riconosciamo e ci sentiamo a casa: qui la spiritualità si fa teologia e diventa viva. Ci sono grandi uomini di Dio – basti pensare ai nomi di Zundel e Barsotti – c’è un Cardinale. A loro uniamo anche Martha Robin, che non ha bisogno di alcuna presentazione. Ma ne aggiungiamo idealmente tanti altri di cui non sappiamo; conosciamo però che questo movimento si sta allargando, silenziosamente ma decisamente. Si tratta di un popolo di umili e di semplici, di imperfetti che hanno aperto il cuore a questa via: ci sono Cardinali e parroci, ci sono padri e madri di famiglia, giovani e vecchi, ci sono coloro che supplicano la salvezza per sé e per tutti avendo, come afferma san Luigi Maria Grignon de Montfort nel suo Trattato della vera devozione alla santa Vergine, “sulle spalle lo stendardo insanguinato della croce, il crocifisso nella mano destra, la corona nella sinistra, i sacri nomi di Gesù e di Maria nei loro cuori”. I loro patroni del santo Vangelo sono Maria di Magdala, il pubblicano che sta in fondo al tempio, il buon ladrone. Questi piccoli hanno capito che se siamo chiamati tutti alla santità (e lo siamo) non è per emergere sugli altri, ma per far emergere la potenza di Dio, e che la via della santità è per tutti, basta volerlo. Qui sta la questione: noi non lo vogliamo veramente, perché pensiamo che la santità consista nel compiere opere straordinarie o avere carismi eccezionali. Teresa di Gesù Bambino invece non fece altro che la malata: non ebbe mai estasi, non ebbe rivelazioni, non ebbe il dono di leggere nei cuori, non digiunava e non portava il cilicio: niente di niente; anzi, dice lei stessa che dopo aver ricevuto la santa Comunione alla Messa poteva succederle anche di addormentarsi o sonnecchiare nello scanno del coro. Quando morì, la suora che doveva scrivere due righe per il necrologio del monastero si disse preoccupata perché non sapeva che cosa scrivere: non c’era niente di straordinario da segnalare a riguardo della giovane suor Teresa appena morta. Se quella suora avesse immaginato che da quel giorno ad oggi sono stati scritti fiumi di parole e consumati vagoni di inchiostro su Teresa, chissà come ci sarebbe rimasta! Questa era suor Teresa, ora santa e Dottore della Chiesa; ma anche nella vita di Molinié, di Zundel, di Barsotti (tanto per citare alcuni di questa schiera) non si registra una santità pirotecnica, clamorosa. Tutti e tre conobbero anzi difficoltà varie e incomprensioni. Quale fu la loro grandezza e quella degli altri di questa squadra? Quella di aver intrapreso la strada della discesa. Intuirono che l’umiltà è la sola grande virtù del cristiano, che l’umile può tutto, perché tutto può suo cuore di Dio, a patto che rimanga umile, che rimanga ultimo.
Quando Divo Barsotti lesse nella preghiera di san Francesco di Assisi Le lodi di Dio Altissimo l’espressione riferita a Dio “Tu sei umiltà”, rimase come folgorato. Ma come, Dio è umiltà? Come si combinano insieme la gloria infinita, la trascendenza divina assoluta con l’umiltà? Francesco infatti non afferma che Dio è umile, ma che è umiltà in sé, e altro non è che questo. Di qui la riflessione: Dio è amore, l’amore è umiltà, dunque Dio è umiltà.
Di fronte a questa espressione di san Francesco non resta che mettersi in ginocchio e adorare. Cosa che egli per altro fece immediatamente. Il Natale (Incarnazione) ed Eucaristia furono in Francesco le fonti della sua commozione perenne: Dio era questo Natale, Dio era questo nascondimento nella sacra Particola dell’Altare.
Ecco la schiera di adoranti, in ginocchio, che si volge verso Dio Umile e che non può fare altro che rimanere lì, in ginocchio, attratti invincibilmente dall’amore discendente di Dio che riempie ogni cosa. Ma attenzione: si riempie solo ciò che è vuoto. Questi uomini hanno capito che la via della perfezione è quella dello svuotamento perché il Verbo incarnato stesso la percorse: “Egli svuotò Se stesso” (Fil 2,7).
Padre Daigneault ha il grande merito di mettersi in questo gruppo e di descrivere quello che vede, la via dell’imperfezione, e invitare tutti a percorrerla perché oggi vi è bisogno di questa santità. Inutile sarebbe pregare “O Dio, dacci dei santi!” se noi non ci mettessimo a disposizione noi per esserlo, come se santi dovessero essere sempre gli altri. Se per essere santi occorresse avere qualità eccezionali, potremmo anche avere ragione perché riconosciamo di non avere doti eccelse, ma questa scusa non vale più. Essere santi è semplice, basta volerlo. Poi impareremo che magari saremo anche crocifissi, che non avremo l’aureola o la gloria umana, non avremo il nostro nome sui giornali e folle plaudenti, ma allora avremo già capito che queste cose non sono la santità. La santità è Dio, la santità è Gesù e, vista dalla nostra parte, la santità è la via dell’imperfezione accettata, amata, accolta e vissuta con fede.
La lettura di questo libro pertanto è impegnativa. Per certi tratti è sconvolgente. Arrivati all’ultima pagina saremo probabilmente in crisi, e se questo succederà, ben venga. La parola “crisi” infatti significa “decisione”, non ha necessariamente una connotazione negativa.
Quale decisione? A voi la risposta.
La via della discesa è in discesa. In Paradiso non ci si va con le mani (scalando la montagna) ma con i piedi (scivolando in una fossa). Non temiamo: non cadremo nel nulla eterno ma nelle braccia di Dio, che non aspetta e non vuole altro.