4Introduzione alla preghiera del cuore
Agli Oblati, 11 marzo 2012


In quest’annata dedicata alla preghiera, e alla preghiera nella tradizione monastica in particolare, non possiamo non occuparci della preghiera del cuore, o preghiera di Gesù, chiamata anche preghiera mentale.
Qui operiamo una sintesi, per presentarla, definirla, e, soprattutto, riconoscerla come ‘tesoro’ per la nostra vita, prendendo spunto e riferendoci agli studi ed al commento di diversi autori monastici e spirituali che ne hanno parlato autorevolmente.
Prima di tutto: Che cos’è la preghiera del cuore.
Scrive Enzo Bianchi, priore di Bose:
“… ‘Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!’. Ecco la preghiera di Gesù, o preghiera del cuore: tutto qui! Poche parole, ma densissime, una sintesi delle due invocazioni registrate nel cap. 18 di  Luca: una fatta dal cieco di Gerico a Gesù che passava (Lc 18, 38), l’altra fatta dal pubblicano al tempio (Lc 18, 13). È nient’altro che il Kyrie eleison, il Signore pietà delle liturgie cristiane: invocazione ripetuta più volte nella celebrazione eucaristica, nella preghiera delle ore.
Certo è una preghiera elementare, semplice, ma il Signore non ci ha forse chiesto di non moltiplicare le formule come fanno i pagani (cfr Mt 6, 7)? Se queste parole hanno ottenuto l’intervento di Gesù che ha guarito il cieco, se hanno commosso Dio facendogli perdonare tutto al pubblicano, se poche parole di un ladrone in croce hanno ottenuto l’apertura del Regno dei cieli, perché stupirsi di questa essenzialità?” [1].
La preghiera del cuore non è niente di nuovo sotto il sole: affonda le sue radici nella Sacra Scrittura, il suo fondamento è chiaramente biblico:
Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”
Dt  6, 4


lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito…”
Rm 8, 26

Il cammino della preghiera è prima di tutto un ascolto: “Ascolta, figlio” (Prol. RB): un ascolto che, dalla testa, scende nel cuore, per convertire la vita.
Il “cuore” è il centro dell’ascolto: il luogo privilegiato dell’ascolto personale di Dio, nell’intimo, in profondità. Il “cuore” è il centro dell’essere.


Quando, come, dove…: origine ed essenza della preghiera del cuore.
Se i fondamenti della preghiera del cuore, così semplici, sono ritrovabili nella Sacra Scrittura, e se dunque questa preghiera di semplicità, cuore a Cuore con Dio, si esplicita nell’ascolto perseverante della Sua voce che parla al nostro cuore, e ci apre all’amore, comprendiamo con facilità come questa preghiera nasca proprio in ambito monastico:
le origini della preghiera mentale – più conosciuta con il nome di ‘preghiera del cuore’… - risalgono agli inizi del monachesimo cristiano, ai padri del deserto egiziano. Essa nasce dal modo di pregare dei primi monaci, che erano soprattutto eremiti e non avevano quindi uffici comuni. Ciascuno era libero di scegliere il suo modo di lodare Dio. Poiché i libri erano molto cari, gli eremiti possedevano nel migliore dei casi un salterio e recitavano solamente i salmi, ma spesso non facevano che ripetere qualche salmo o qualche versetto scelto… Questo modo di pregare corrispondeva perfettamente alle esigenze di monaci analfabeti. Ma ciò che all’inizio era nato da un’esigenza legata alla povertà divenne ben presto una via di ascesi deliberatamente scelta per la contemplazione continua di Dio, secondo il comando dell’apostolo Paolo: ‘ Pregate incessantemente’ (1 Ts 5, 17). È però necessario che questa preghiera sia purificata da ogni passione e anche da ogni distrazione. Il monaco deve svuotare la sua mente da ogni pensiero – anche dai pensieri buoni – e concentrarsi solamente su Dio, dunque vivere continuamente in presenza di Dio” [2].
Una preghiera, quella del cuore, che nasce con il monachesimo, in una forma appunto semplice e inizialmente molto libera, e si sviluppa particolarmente nella Chiesa ortodossa, tant’è questa preghiera è stata definita “il cuore dell’ortodossia”.
La preghiera di Gesù – sarebbe meglio dire: preghiera a Gesù - è davvero la più semplice preghiera cristiana. La sua forza sta nella ripetizione, nella ‘ruminazione’, cioè meditazione continua del nome di Gesù.
Basta una sola, breve frase: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”, ripetuta con amore e con perseveranza, per entrare in colloquio personale e profondo con il Signore. Lui non ha bisogno di trattati! A Lui basta il nostro cuore, unito alla fedeltà orante.
Generazioni e generazioni di padri del deserto e monaci dell’oriente cristiano, alcuni dei quali sono diventati riferimenti spirituali autorevoli nel mondo monastico, e dopo di loro molti santi, l’hanno pregata e praticata, diventando dei ‘fari’ di preghiera per tutti. Praticata, perché l’hanno portata nella vita, nel lavoro nei campi, ovunque e sempre.
Eccone alcuni esempi e suggerimenti:
Fa’ questo senza interruzione, in Chiesa, a casa, per la strada, durante il lavoro e durante  il pasto, sul tuo letto: in una parola, dal momento in cui apri gli occhi fino a quello in cui li chiudi”
Abate Filemone

Portata ogni giorno nella vita, filtrando in essa ogni azione, intenzione e scelta, la preghiera del cuore
si svolga senza tregua nella tua anima. Non desistere mai dal richiamarla in qualunque momento della tua attività, nell’operare come nel camminare, quando dormi, quando riposi, e persino quando attendi alle più importanti necessità della tua vita”
Giovanni Cassiano, Conferenze, 10, 10

e così questa preghiera del cuore
“sarà come esporre qualcosa al sole, perché significa stare in presenza del Signore che è il sole del mondo spirituale”
Teofane il Recluso


A questo punto risulta chiaro che la preghiera del cuore non è tanto una ‘pratica’ di orazione, ma è una via per entrare in stato di orazione; per imparare a vivere da oranti; a “restare” in Dio. Alla Sua presenza. E questo è fondamentale. Per lasciare la superficie delle cose, e, di passaggio in passaggio (la preghiera è fatta di stadi diversi) scendere in profondità.
Ne sentiamo tutti l’esigenza, l’urgenza: oltre e dentro il fluttuare ed il marasma, a volte, della vita che gira e rigira, il nostro ‘punto fermo’ è Gesù, e la preghiera di Gesù è come l’àncora, che ci lega saldamente alla ‘roccia’.
Vediamo allora, soprattutto per chi vuole stare saldo in Cristo vivendo nel mondo, di entrare maggiormente nelle profondità della preghiera di Gesù.
Scegliamo un testo utile e significativo a riguardo, tra tanti che se ne possono trovare, per comprendere meglio, e poi verificarci.

Il monastero interiore
Non tutti possono lasciare il mondo, ma tutti possono praticare la preghiera di Gesù nel mondo. Anche nel mondo si può vivere come nel deserto. Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore! Questa è la pietra della vera umiltà, con la quale viene eretto il muro di questo monastero nascosto. Chi pronuncia le parole di questa preghiera pone una pietra dopo l’altra. Giorno dopo giorno, anno dopo anno crescono attorno all’anima le mura invisibili che ci separano dalla vita mondana. L’orante perde il gusto e l’interesse alla dispersione mondana come ai divertimenti grossolani… La società delle persone vuote diventa per lui noiosa e pesante […] Egli non deve cercare esteriorità per riempire il vuoto della vita, perché la sua vita è piena di significato interiore, Egli è il monaco nascosto di un monastero nascosto… Vive nel mondo, ma, per la sua anima, è andato a vivere nel monastero della preghiera. Egli ha costruito questo monastero con paziente e perseverante fatica, praticando la preghiera di Gesù, con l’aiuto di Dio. Dopo che egli è entrato nel monastero (interiore), la grazia di Dio gli ha donato la visione.
Lo starec Paisij dice: ‘Se qualcuno ha purificato la sua anima dalle passioni carnali, con l’aiuto di Dio e le proprie fatiche, ma più ancora con la più profonda umiltà, viene la grazia: la Madre di Dio afferra l’intelletto, che lei ha purificato, e come un piccolo bambino lo conduce per la mano elevandolo alla visione spirituale. In misura della sua purificazione lei gli aprirà indicibili e irraggiungibili misteri divini.’ Questa viene chiamata a ragione la preghiera vera e spirituale. […] Nessuno può giungere alla visone divina unicamente per mezzo dei propri sforzi, ma è necessario che Dio prenda dimora nella sua anima e lo guidi con la sua grazia.
Dopo la preghiera di Gesù è difficile all’anima dell’orante prendere contatto con cose terrene; ma questo non dovrebbe inquietare, perché si dovrebbe trattare la vita mondana come un servizio di obbedienza. La parola ‘obbedienza’ concilia le faccende secolari con la preghiera.
Nel monastero si inviano i novizi, dopo la santa Messa, ai lavori alla stalla. Questi lavori come gli altri, non sono ‘mammona’, o un altro dio da servire, ma appartengono alla vita comune e all’obbedienza. Le occupazioni per procurarsi il pace quotidiano, o per la famiglia in genere, oppure altro, sono, per coloro che praticano la preghiera del cuore, ‘atto d’obbedienza’.
L’uomo che vive nel mondo deve andare, dopo la preghiera, nel mondo per obbedire ai disegni di Dio su di lui. Non si va nel mondo per divertirsi… Non ci sono due mondi separati, uno spirituale e l’altro carnale; ma nell’anima c’è un solo mondo, quello di Dio. Se ci sono compiti da assolvere nel mondo, come il lavoro nella stalla, questi appartengono all’ ‘obbedienza terrena’. Solo bisognerebbe vigilare, affinché l’attenzione appresa durante la preghiera non si perda durante il lavoro terreno. Non si deve cedere ai pensieri malvagi che offendono il Signore, ma durante la vita quotidiana si deve riportare la mente al livello supremo di attenzione interiore sperimentata durante l’orazione, che è rimasta viva nell’anima. Così che questo ricordo dell’attenzione, appresa durante la preghiera, non vada perduto, ma venga utilizzato nella vita quotidiana.
Se la preghiera di Gesù viene praticata anche durante il giorno, si dovrebbe usare la massima prudenza. Non farlo spesso, ma farlo solo per riportarsi allo stato di preghiera che resta nascosto nel cuore…”
Valentin Svencickij [3]


Cosa ci dice questo brano?
Che anche la preghiera, per parafrasare un’espressione similare di san Giovanni Bosco, è “cosa del cuore”. Discesa dalla mente al cuore. Unione trasformante. Non c’è preghiera, se non c’è incontro vivo e unione con Dio. E tutti possono arrivare qui, a vivere questa unione.
Perché la preghiera non è tale se non diventa vita, se non sfocia e non cambia la vita. Preghiera allora è conversione. E qui torniamo all’insegnamento di san Benedetto, lungo tutto il corpo della Sua Regola. San Benedetto è maestro nel dirci che la preghiera non è spiritualismo, ma un ‘lavoro’ faticoso, portato dalla grazia di Dio, che ci muove a conversione. La preghiera è l’affare più incarnato della vita, proprio perché Gesù che preghiamo è il Verbo Incarnato, che ha a cuore la storia, che si prende cura di noi, dal di dentro, e non dal di fuori.
Ora, per un laico, e per un oblato benedettino che voglia vivere così, la preghiera di Gesù è una via molto bella per passare dalla superficie delle cose all’interiorità. Per non vivere “da smemorati”, come mette in guardia san Benedetto.
Gli autori monastici ci ricordano, ancora, che per arrivare a questa preghiera di Gesù ci sono dei “gradini”. Questi ‘gradini’ sono i preliminari, senza dei quali la preghiera di Gesù non è possibile. Quali sono questi ‘gradini’?
1. La piena fedeltà ai comandamenti del Signore
La fedeltà e l’osservanza della legge di Dio, la pratica fedele dei Suoi comandamenti, sgombra il cuore, purifica la vita, lascia il campo libero e aperto, pronto all’azione della grazia.
La purificazione che apre a Dio è il primo livello della preghiera del cuore.
Se la mia vita è ‘intasata’, se davvero ancora faccio confusione tra desiderio di Dio e brama delle cose mondane, la preghiera di Gesù non trova il terreno buono, e i frutti della preghiera non possono crescere e maturare nella vita.
Con Dio non si bara. Egli ci chiama a conversione, dunque a salvezza.
Il vero orante si lascia purificare, convertire. Perché sa che nella conversione c’è la Vita. E allora la preghiera di Gesù ha un senso, diventa efficace. Se no, sarebbe come perdere tempo, perché non ci sarebbero le condizioni necessarie alla preghiera.
2. L’amore per il prossimo
È il secondo presupposto. Fare attenzione a non ferire od offendere il nostro prossimo con parole o azioni, con lo sguardo o il pensiero. Si deve mostrare attenzione e amore per il prossimo, specie se debole e indigente.
Se per superficialità, leggerezza, dispersività, abbiamo ferito qualche nostro fratello o sorella, bisogna riparare e scusarsi. L’umiltà è la riuscita della preghiera. Se anche si prega giorno e notte, ci si affatica nella preghiera, ma non ci si purifica dall’orgoglio e non si fanno gesti, e non si hanno parole buone e di umiltà, la preghiera non avrà successo, c’è poco da fare.
I monaci orientali che hanno praticato per tutta una vita la preghiera di Gesù, hanno attestato questo, sulla base dell’esperienza: “non bisogna mai e per nessuna ragione recare dolore agli altri, causando ad essi una malattia”. Vigilare sulla coscienza dei fratelli. Scrive Isacco il Siro: “Se tu con il tuo intelletto vuoi essere in compagnia di Dio, devi soprattutto occuparti di far diventare il cuore misericordioso, così possiamo più di ogni altra cosa diventare simili al Padre celeste”.
3.Umiliarsi davanti al Signore
Sant’Isacco il Siro dice: “l’umiltà è il vestito di Dio”. L’umiltà è la terza e importante condizione per ottenere la preghiera di Gesù. Se non ci si vede… piccoli, non si ricevono grazie. L’umiltà è opera dello Spirito Santo: l’umiltà non solo a parole, ma del cuore. Quando lo Spirito di Dio vuole prendere dimora in noi, ci dispone a vedere la nostra pochezza, la nostra miseria… e questa è una grazia che non ci svilisce, non ci mortifica, ma ci apre, come canali liberi, alla grazia di Dio. Forse non ce ne rendiamo sempre e bene conto, ma la superbia è proprio il grande male che ci tiene lontani da Dio, che ci fa credere autosufficienti, capaci di tenerci su… I padri del monachesimo dicono che la superbia è come “una grande ulcera” che, senza che ce ne accorgiamo, cresce e si gonfia dentro di noi, e ci fa credere grandi…
Invece, l’umiltà è la vera forza dell’uomo, che com-muove il Cuore di Dio verso di lui.
Antonio il grande, padre dei monaci d’oriente, prima di morire disse ai suoi fratelli: “la gente mi ha glorificato e lodato, ma per quello che mi riguarda, per tutta la mia vita non ho fatto altro che piangere i miei peccati”.
4. Il quarto presupposto è la purificazione della mente, del cuore e del corpo
Dice Origene: “Non basta dire: ‘guarda a Dio’, se poi non si insegna come si debba guardare a Lui. Soltanto la virtù, unita alla prudenza, ci rivela Dio.
Bisogna che cerchiamo sinceramente, in verità, di “vedere” il Dio tre volte Santo, cercando noi stessi la santità, la purezza, allontanandoci da ogni forma di peccato.
Allora, il pronunciare con le labbra, ripetutamente, ogni volta che possiamo: “Signore Gesù Cristo; Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”, non sarà solo questione di labbra; ma darà un’occupazione alla mente, impegnerà il corpo, e scenderà nel cuore. E così la preghiera diventa vita.
Il nome di Dio è santo ed è fonte di ogni santità, perciò la sua pronuncia santifica l’aria, le labbra, la lingua e il corpo. I demoni temono tanto il terribile Nome di Dio, che non si avvicinano al luogo dove tu preghi. E’ tutta la scienza della preghiera di Gesù. Oltre all’aiuto di Dio c’è bisogno di un fervido sforzo e di diligenza.
Non essere pigro con questa preghiera: finché dipende da te praticale giorno e notte, in ogni luogo e per quanto puoi. E se anche per tutta la tua vita, fino alla morte, resterai nella preghiera oralmente, in tal caso avresti raggiunto una cosa grande, perché il tuo santo proposito avrà dimostrato che tu ami sinceramente Dio. I tuoi sforzi non saranno inutili…
Quando la tua anima, libera dai legami del corpo, ascenderà al cielo e giungerà ai ‘guardiani dell’aria’ (Ef 2, 2), l’effetto della preghiera la circonderà e grazie all’onnipotente Nome di Gesù Cristo, la renderà inaccessibile agli spiriti del male” [4].

Attestano i padri monastici che la preghiera del cuore all’inizio costa, è faticosa, e in alcuni momenti molto difficile: “come frantumare pietre con un martello”. Non bisogna cercare subito le consolazioni di Dio, pregando. “Il cuore diventa duro, l’anima arida…”. Eppure, quel che conta è resistere, non cedere, perseverare. Non è il risultato che fa la preghiera. Bisogna continuare con costanza, giorno dopo giorno, goccia dopo goccia sulla ‘roccia’ del cuore. E ad un certo momento, per grazia, quando e come vuole Dio, l’anima, e non solo l’anima, ma tutto il nostro essere in preghiera, sperimenta la letizia, la vera gioia.
Il regno di Dio “è dei violenti!”, senza lotta non c’è vittoria.
La preghiera è fatta di tre principali stadi:
  1. Preghiera verbale o corporale;
  2. Preghiera della mente;
  3. Preghiera del cuore (o della mente nel cuore). Preghiera spirituale.
All’inizio, o durante un certo tempo di ‘pratica’ orante, la preghiera può rivelarsi una vera fatica, ma poi… per chi persevera nella grazia di Dio, essa diventa, a detta dei padri, “un fuoco di gioia che sgorga dal cuore”, e, per i perfetti, “una luce profumata che agisce”, “amore operante”, “Vangelo di Dio”, “piena certezza del cuore e speranza di salvezza!
Ci crediamo che “la preghiera è l’arma più potente in cielo e sulla terra”?
Allora cominciamo, e non desistiamo. Con l’aiuto di Dio, con la Sua grazia!
Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore…”.


[1] E. Bianchi, Introduzione a Caritone di Valamo, L’arte della preghiera, Gribaudi Editore, p. 7.
[2] V. Grolimund, L’arte delle arti. La preghiera mentale nella tradizione monastica russa, in AA. VV., Vie del monachesimo russo, Atti del IX Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa, Bose 20-22 settembre 2001, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, pp. 68-69.
[3] Brano tratto da Schimonaco Ilarion, Diario sulla preghiera di Gesù, Edizioni Paoline, Milano 2008, pp. 195-198.
[4] Ibidem, pp. 84-85.