sábado, 6 de junho de 2009

O padre é um "mistério de graça e de misericórdia": Bento XVI à comunidade do Seminário Francês de Roma


Maturidade humana, qualidades espirituais, zelo apostólico, rigor intelectual: são estas, segundo o Papa, as aptidões que se requerem aos futuros padres. Recebendo a comunidade do Seminário Francês, Bento XVI recordou a meritória actividade formativa desenvolvida, desde a origem desta instituição, pela Congregação do Espírito Santo (Espiritanos), acompanhando cerca de cinco mil seminaristas ou padres jovens, ao longo de um século e meio, tarefa agora transmitida à Conferência Episcopal Francesa.
O Santo Padre sublinhou que mantém toda a sua força e validade o carisma da Congregação fundada pelo venerável padre Liberman, nomeadamente nas missões africanas e fez votos de que o Senhor abençoe a Congregação e as suas missões. Detendo-se depois na exigente missão de formar novos padres, observou Bento XVI:

“A tarefa de formar padres é uma missão delicada. A formação proposta no seminário é exigente porque é uma porção do povo de Deus que será confiada à solicitude pastoral dos futuros padres, este povo que Cristo salvou e pelo qual deu a sua vida”.

Para maturarem as diversas qualidades que se requerem num padre, os candidatos precisam de as poder testemunhar antes de mais nos seus formadores:

“É uma lei da nossa humanidade e da nossa fé que geralmente não sejamos capazes de dar senão aquilo que recebemos anteriormente de Deus através as mediações eclesiais e humanas por Ele instituídas. Quem recebe o cargo do discernimento e da formação deve recordar-se que a esperança que tem para os outros é antes de mais um dever para si mesmo”.

O Ano do Sacerdócio, que está para iniciar, oferece “a possibilidade de perscrutar mais profundamente a identidade do padre, mistério de graça e de misericórdia” – sublinhou Bento XVI, citando o cardeal Suhard, que dizia a propósito dos ministros de Cristo:

“Eterno paradoxo do padre. Leva em si os contrários. Concilia, à custa da sua vida, fidelidade a Deus e fidelidade ao homem. Tem um ar pobre, sem forças… Não dispõe de meios políticos nem de recursos financeiros, nem da força das armas de que outros se servem para conquistar a terra. Para o padre, a sua força é a de ser desarmado e de tudo poder naquele que o fortifica”.

Recordando, a concluir, que a particularidade do Seminário Francês é o facto de se encontrar “na cidade de Pedro”, Bento XVI fez votos de que “no decurso da sua estadia em Roma os seminaristas possam familiarizar-se de modo privilegiado com a história da Igreja, descobrir as dimensões da sua catolicidade e a sua unidade viva à volta do sucessor de Pedro, de modo que o amor da Igreja se fixe para sempre no seu coração de pastor”.

sexta-feira, 5 de junho de 2009

l´ ultimo libro di Monsignor Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II



Un grande libro appena pubblicato

Non è uscito "col botto", ma quasi in sordina, come il piccolo seme di cui parla Nostro Signore nel Vangelo; e come quel seme, è destinato a crescere molto e a fungere da ricovero per tante anime smarrite dalla crisi che ha seguito l’ultimo Concilio. Stiamo parlando dell’ultimo libro di Monsignor Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, edito dalla Casa Mariana Editrice di Frigento, fondata e diretta dai Francescani dell’Immacolata.

E’ certamente una pubblicazione destinata a far scorrere molto inchiostro e probabilmente ad accendere qualche polemica, sebbene ciò non rientri nelle intenzioni dell’Autore. Ci sembra però inevitabile visti i contenuti del libro, l’eminenza di chi lo ha scritto e l’aria che tira in molti ambienti del mondo cattolico (e non). A ciò si aggiungano la prefazione di Sua Ecc.za Mons. Mario Oliveri, Vescovo di Albenga e Imperia e la presentazione di Sua Ecc.za Mons. Albert Malcom Ranjith, Arcivescovo Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti.


Cosa è uscito dunque dalla penna dell’ultimo grande teologo della Scuola Romana? Rispettivamente un ridimensionamento, una critica ed una supplica.

Anzitutto ridimensionamento, o forse sarebbe meglio dire corretto inquadramento del Concilio Vaticano II. Sì, perché la teoria, la prassi, la stessa terminologia dei cinquant’anni che hanno seguito il Concilio, sono stati una falsificazione di ciò che realmente il Concilio è stato. Testi di Teologia, Corsi nelle Facoltà teologiche, articoli specifici e non, hanno posto il Concilio Vaticano II, ribattezzato "il" Concilio come il fondamento della vera fede, uscita finalmente dalle ristrettezze ecclesiali dei secoli passati. L’anno zero, insomma, l’anno di fondazione della chiesa, che infatti si rinomina "chiesa conciliare". E questo atteggiamento non è quello di qualche piccolo gruppo un po’ fanatico: bisogna andare nelle parrocchie, frequentare le Facoltà teologiche, leggere le pubblicazioni "cattoliche", ascoltare i discorsi dei cattolici "adulti" per rendersi conto della vastità e della radicalità del nuovo corso. "La ripetitività, in effetti, è ormai una recita: e ripetitivo è il reiterato richiamo al Vaticano II, il celebrarne acriticamente i meriti, l’affermarne l’importanza oltre i limiti del dovuto, il dichiararne l’incomparabile eccellenza rispetto ad ogni altro Concilio, il farne un prontuario di ricette per la soluzione di problemi d’ogni ordine e tipo. Mi pare che, dopo quasi mezzo secolo d’un linguaggio siffatto, d’incensazioni "a tre tiri doppi", di celebrazioni intempestive, non richieste e controproducenti, sia finalmente venuto il momento di voltar pagina. Mi pare anzi che, "finite le feste al tempio" e conclusa la fase osannante, s’imponga oggi di necessità una riflessione storico-critica sui testi conciliari, che ne ricerchi i collegamenti - qualora effettivamente ci siano - con la continuità della Tradizione cattolica… Ne va della Fede e dell’autentica testimonianza cristiana" (p. 17). E’ questo un dovere del Magistero, precisa Gherardini; è questo un diritto dei fedeli, che per decenni hanno dovuto ingoiare veleno, mentre venivano rassicurati che tutto era voluto dal Concilio…


Monsignor Gherardini dedica i primi capitoli ad un’analisi del valore del Vaticano II, secondo quanto il Concilio stesso ha affermato di sé, escludendo che il Concilio si sia avvalso dell’infallibilità propria ai Concili ecumenici che lo precedono e facendo il punto sulla "pastoralità" che lo caratterizza. Conseguentemente al valore del Vaticano II, Gherardini offre i criteri per l’interpretazione fedele dei suoi testi, indicando in tal modo i criteri di cui avvalersi nella tanto auspicata analisi storico-critica dei documenti conciliari.

In secondo luogo, nel nuovo libro si trova una critica, nel significato più nobile del termine, di quell’arte, cioè di giudicare secondo i principi del vero, del buono e del bello, che nel nostro caso, non sono altro che i principi custoditi, tramandati, sviluppati dalla Tradizione della Chiesa. Gherardini attua in tutta la sua pregnanza quell’invito a considerare il Vaticano II alla luce della Tradizione. Ed è per tale motivo che a fianco di rilievi indubbiamente positivi, egli non può tacere problemi reali che i testi stessi rivelano. Dal documento conciliare sulla Sacra Liturgia, ai passi più discussi di Lumen Gentium, fino alle dichiarazioni sull’ecumenismo e la libertà religiosa, il lavoro di Monsignore è tutto un confronto analitico e serrato con la grande Tradizione della Chiesa, da parte di un uomo che quella Tradizione e quella Chiesa ama veramente e per le quali ha consacrato tutta la sua vita. E cosa risulta dal confronto con la Tradizione? Non vogliamo fare come quelli che, leggendo una romanzo, saltano subito alla fine, per sapere l’esito ultimo della storia; rimandiamo perciò allo studio del testo. Però un assaggio lo vogliamo offrire, citando un passaggio del libro: "A chi mi chiedesse se in ultim’analisi la tabe modernista s’annidasse proprio nei documenti conciliari e se i Padri stessi ne fossero più o meno infetti, dovrei rispondere con un no quanto con un sì. No, perché il respiro soprannaturale è tutt’altro che assente dal Vaticano II grazie alla sua aperta confessione trinitaria, alla sua fede nell’incarnazione e redenzione universale del Verbo, al radicato convincimento circa l’universale chiamata alla santità, alla riconosciuta e professata causalità salutare dei sacramenti, alla sua alta considerazione del culto liturgico ed eucaristico in special modo, alla sacramentalità salvifica della Chiesa, alla devozione mariana teologicamente alimentata. Ma anche sì, perché non poche pagine dei documenti conciliari arieggiano scritti e idee del modernismo – si veda soprattutto la Gaudium et Spes – e perché alcuni Padri conciliari – e non dei meno significativi – non nascondevano aperte simpatie per antichi e nuovi modernisti… Volevan infatti una Chiesa pellegrina della verità, in cordata verso di essa insieme con ogni altro pellegrino… La volevan amica ed alleata d’ogni altro ricercatore. Assertrice, anche nell’ambito degli studi sacri, dello stesso criticismo metodologico d’ogni altra scienza. Una Chiesa, insomma, laboratorio di ricerca e non dispensatrice di verità calate dall’alto" (pp. 78-79). In definitiva, una Chiesa non cattolica. E nei documenti conciliari si possono purtroppo rinvenire le tracce di questo atteggiamento.


Infine, Monsignor Gherardini eleva una supplica – alla quale si unisce toto corde anche Sua Ecc.za Mons. Mario Oliveri, autore della Prefazione al volume – al Santo Padre, una supplica che è un’armonia di umiltà, coraggio e scienza e che proponiamo di seguito per intero e che – chissà – non possa dare origine ad una sottoscrizione pubblica da parte dei media veramente cattolici, non per spirito referendario, ma per manifestare il sostegno delle pecore al loro Pastore Supremo, perché, secondo l’espressione da Egli stesso adoperata, "non fugga davanti ai lupi":


SUPPLICA AL SANTO PADRE

Beatissimo Padre,

so bene che questa comunicazione diretta è anomala e gliene chiedo scusa. Il ricorrervi dipende anzitutto dalla fiducia che ispira la sua Persona e, in pari tempo, dall'aver Ella stessa raccomandato a tutta la Chiesa, come principio interpretativo del Vaticano II, l'ermeneutica della continuità, sulla quale, se me lo consente, vorrei brevemente parlarLe.

Fin ad oggi mi son sempre scrupolosamente guardato dall’interloquire con chi ha la responsabilità della Chiesa; ho, sì, richiesto qualche raro telegramma in particolari circostanze, ma nulla di più.

Anche il nostro personale rapporto all'interno del dibattito teologico è stato solo episodico; è mancata, per mia scelta, una reciproca frequentazione. Raramente infatti m'espongo, mai mi propongo. Raccogliendo però il suo invito sull'ermeneutica della continuità, faccio oggi un'eccezione e sottopongo alla Santità Vostra alcune mie riflessioni a tale riguardo.


Per il bene della Chiesa - e più specificamente per l'attuazione della "salus animarum" che ne è la prima e "suprema lex" - dopo decenni di libera creatività esegetica, teologica, liturgica, storiografica e "pastorale" in nome del Concilio Ecumenico Vaticano II, a me pare urgente che si faccia un po' di chiarezza, rispondendo autorevolmente alla domanda sulla continuità di esso - non declamata, bensì dimostrata - con gli altri Concili e sulla sua fedeltà alla Tradizione da sempre in vigore nella Chiesa.

Non so se questo scritto perverrà nelle mani della Santità Vostra, né se vi perverrà così com'è stato concepito e come il benemerito Editore l’ha tipograficamente realizzato, anziché in qualche sintesi d'ufficio che non ne metta in risalto le connessioni logiche. Da parte mia, proprio queste connessioni ho collocato a supporto della presente supplica, dettata dalla mia profonda convinzione circa l'improrogabile necessità che il dettato conciliare venga preso in esame in tutta la sua complessità ed estensione. Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all'auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un'attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d'ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote, e si continui invece a parlarne solo ripetendone il contenuto o presentandolo come una novità assoluta.

Ho detto che un esame di tale e tanta portata trascende di gran lunga le possibilità operative d'una singola persona, non solo perché un medesimo argomento esige trattazioni su piani diversi - storico, patristico, giuridico, filosofico, liturgico, teologico, esegetico, sociologico, scientifico - ma anche perché ogni documento conciliare tocca decine e decine d'argomenti che solo i rispettivi specialisti son in grado di signoreggiare.


A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre alla Santità Vostra -d'una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull'ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti. Pare, infatti, logico e doveroso che ogni suo aspetto e contenuto venga studiato in sé e contestualmente a tutti gli altri, con l'occhio fisso a tutte le fonti, e sotto la specifica angolatura del precedente Magistero ecclesiastico, solenne ed ordinario. Da un così ampio ed ineccepibile lavoro scientifico, comparato con i risultati sicuri dell'attenzione critica al secolare Magistero della Chiesa, sarà poi possibile trarre argomento per una sicura ed obiettiva valutazione del Vaticano II in risposta alle seguenti - tra molle altre - domande: Qual è la sua vera natura?

La sua pastoralità - di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione - in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico? Si concilia con esso? Lo presuppone? Lo contraddice? Lo ignora?

È proprio possibile definire dogmatico il Vaticano II? E quindi riferirsi ad esso come dogmatico? Fondare su di esso nuovi asserti teologici? In che senso? Con quali limiti? È un "evento" nel senso dei professori bolognesi, che cioè rompe i collegamenti col passalo ed instaura un'era sotto ogni aspetto nuova? Oppure tutto il passato rivive in esso "eodem sensu eademque sententia"?


È evidente che l'ermeneutica della rottura e quella della continuità dipendono dalle risposte che si daranno a tali domande. Ma se la conclusione scientifica dell'esame porterà all'ermeneutica della continuità come l'unica doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare - al di là d'ogni declamatoria asseverazione - che la continuità è reale, e tale si manifesta, solo nell’identità dogmatica di fondo. Qualora questa, o in lutto o in parte, non risultasse scientificamente provata, sarebbe necessario dirlo con serenità e franchezza, in risposta all'esigenza di chiarezza sentita ed attesa da quasi mezzo secolo.
La Santità Vostra mi chiederà perché mai dica a Lei ciò che Ella già conosce meglio di me, avendone chiaramente e coraggiosamente già parlato. In fondo, me lo chiedo anch'io, un po' meravigliato per il mio ardire e dispiaciuto per il tempo che Le sottraggo. Vedo, però, nel mio ardire un atto insieme di "parresìa" e di coerenza, in linea con l'ecclesiologia che i miei grandi Maestri avevan appreso dalla Parola rivelata, dalla patristica e dal Magistero e che - "quasi in insipientia loquor" (2Cr 11,17) - anch'io ho avuto l'onore e la gioia di ritrasmetter a migliaia d'alunni. È l'ecclesiologia che nella Chiesa una-santa-cattolica-apostolica riconosce la presenza misterica del Signore Nostro Gesù Cristo e secondo la quale il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent". Basta una sua parola, Beatissimo Padre, perché tutto, essendo essa stessa la Parola, ritorni nell'alveo della pacifica e luminosa e gioiosa professione dell'unica Fede nell'unica Chiesa.


Ho detto, strada facendo, che lo strumento per "reparare omnia" potrebb'esser un grande documento papale, destinato a rimanere nei secoli come il segno e la testimonianza del Suo vigile e responsabile esercizio del ministero petrino. Qualora, però, non volesse agire da solo, Ella potrebbe disporre che o qualche suo dicastero, o l'insieme delle Pontificie Università dell'Urbe, o un organismo unitario e di vastissima rappresentatività, assicurandosi la collaborazione di tutti i più prestigiosi, sicuri e riconosciuti specialisti in ognuno dei settori in cui s'articola il Vaticano II, organizzi una serie di congressi d'altissima qualità a Roma o altrove; o una serie di pubblicazioni su ognuno dei documenti conciliari e sulle singole tematiche di essi.

Si potrà in tal modo sapere se, in che senso e fin a che punto il Vaticano II, e soprattutto il postconcilio, possan interpretarsi nella linea d'un'indiscutibile continuità sia pur evolutiva, o se invece le sian estranei se non anche d'ostacolo.
Ringraziando in anticipo la Santità Vostra e rinnovandoLe sinceramente le mie scuse, Le auguro che la pienezza della grazia divina, la verità divinamente rivelata e la Tradizione dalla quale la rivelazione stessa è veicolata nell'alternarsi dei periodi e delle epoche della storia ecclesiastica, sian sempre la luce del Suo ministero. Mi benedica


Sac. Brunero Gherardini


Il libro Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, di Monsignor Brunero Gherardini può essere richiesto scrivendo a CASA MARIANA EDITRICE, Via dell'Immacolata, 83040 Frigento (Av) telefonando o inviando un fax allo 0825.444015 - 444391 oppure rivolgendosi alla Chiesa Maria SS. Annunziata, Via Lungo Tevere Vaticano, 1 - 000193 Roma. Tel. 06.6892614 (apertura: 9.00 – 12.00; 16.00-20.00) . Tutti i libri di "Casa Mariana Editrice" non hanno un prezzo commerciale ma vengono ripagati con un'offerta a secondo della disponibilità e bontà dei lettori.
fonte:messainlatino.it

El caso por la misa en latín DIETRICH VON HILDEBRAND




Dietrich von Hildebrand, fué uno de los filósofos cristianos más eminentes del mundo. Profesor en la Universidad Fordham, el Papa Pio XII lo llamó «el Doctor del siglo XX en la Iglesia», Juan Pablo II lo definió como «Uno de los más grandes eticistas del Siglo XX», sobre él Benedicto XVI afirmó: “Cuando la historia intelectual de la Iglesia Católica en el siglo XX sea escrita, el nombre de Dietrich von Hildebrand será más prominente entre las figuras de nuestro tiempo”.

Es autor de muchos libros, incluyendo la Transformación en Cristo y Liturgia y Personalidad.

↔ [Artículo original del ejemplar de octubre de 1966 de la revista Triumph] ↔

La argumentación para la nueva liturgia han sido con esmero empaquetada y debe ahora ser aprendida de memoria. La nueva forma de la misa está diseñada para engarzar al celebrante y al fiel en una actividad comunal. «En el pasado el feligrés atendía la Misa en aislamiento personal, cada adorador practicando sus devociones privadas, o cuando mejor, siguiendo los procedimientos en su misal.» «Hoy el fiel puede comprender el carácter social de la celebración; aprende a apreciarlo como una comida de comunidad. Antes, el sacerdote mascullaba en una lengua muerta, que creó una barrera entre el sacerdote y la gente. Ahora cada uno habla en inglés, que tiende a unir al sacerdote y la gente el uno con el otro.» «En el pasado el sacerdote decía la misa con su espalda a la gente, que creaba el ambiente de un rito esotérico. Hoy, debido a que el sacerdote afronta a la gente, la misa es una ocasión más fraternal.» «En el pasado el sacerdote entonaba cánticos medievales extraños. Hoy la asamblea entera canta canciones con melodías fáciles y poema lírico familiar, y experimenta hasta con la música folklórica.» La argumentación para la nueva misa, entonces, trata de esto: hacer sentir al fiel más en casa, en la casa de Dios.


Mi preocupación no es la situación legal de los cambios. Enérgicamente no deseo ser entendido como lamentando que la Constitución haya permitido al vernáculo complementar el latín. Lo que deploro es que la nueva misa sustituye la misa latina, que la vieja liturgia está siendo imprudentemente desechada, y negada a la mayor parte del Pueblo de Dios.

Quisiera hacer varias preguntas a aquellos que fomentan este desarrollo: ¿La nueva misa, más que la vieja, incita al espíritu humano? ¿evoca un sentido de eternidad? ¿Ayuda a elevar nuestros corazones de las preocupaciones de la vida diaria - de los aspectos puramente naturales del mundo - hacia Cristo? ¿Aumenta la reverencia, una apreciación de lo sagrado?

Por supuesto que estas preguntas son retóricas, y autocontestables. Las formulo porque pienso que todos los Cristianos atentos querrán sopesar su importancia antes de llegar a una conclusión sobre los méritos de la nueva liturgia.

¿Cuál es el papel de la reverencia en una vida realmente cristiana, y sobre todo en una adoración realmente cristiana de Dios?


La reverencia da al ser la oportunidad de hablarnos: la grandeza última del hombre es el ser capax Dei. La reverencia es de importancia capital para todas las esferas fundamentales de la vida del hombre. Puede ser correctamente llamada «la madre de todas las virtudes», pues es la actitud básica que todas las virtudes presuponen. El gesto más elemental de la reverencia es una respuesta a ser uno mismo. Esta distingue a la autónoma majestad del ser, de una mera ilusión o ficción; es un reconocimiento de la consistencia interior y positiva del ser - de su independencia de nuestros humores arbitrarios. La reverencia da al ser la oportunidad de desplegarse a sí mismo, para, así como era, hablarnos; fecundar nuestras mentes. Por lo tanto la reverencia es indispensable a cualquier conocimiento adecuado del ser.

La profundidad y la plenitud del ser, y sobre todo sus misterios, nunca serán revelados a nadie sino solo a la mente reverente. Recuerde que la reverencia es un elemento constitutivo de la capacidad para «sorprenderse», que Platón y Aristóteles afirmaron que es la condición indispensable para la filosofía. En efecto, la irreverencia es una fuente principal del error filosófico. Pero si la reverencia es la base necesaria para todo el conocimiento confiable del ser, es además, indispensable para comprender y ponderar los valores basados en el ser. Sólo el hombre reverente que está listo a admitir la existencia de algo mayor que él, quién quiere ser silencioso y dejar al objeto hablarle - quién se abre - es capaz de entrar en el mundo sublime de los valores. Además, una vez que una gradación de valores ha sido reconocida, una nueva clase de reverencia está en orden- una reverencia que no responde sólo a la majestad de ser como tal, sino al valor específico de un ser específico y a su fila en la jerarquía de valores. Y esta nueva reverencia permite el descubrimiento de todavía otros valores.


El hombre refleja su carácter esencialmente receptivo como una persona creada, únicamente en la actitud reverente; la grandeza última del hombre debe ser capax Dei. El hombre tiene la capacidad, en otras palabras, de comprender algo mayor que él, ser afectado y fecundado por ello, abandonársele para su propio bien - en una respuesta pura a su valor. Esta capacidad de superarse distingue al hombre de una planta o un animal; éstos últimos se esfuerzan sólo por desplegar su propio ser. Ahora: sólo el hombre reverente es quien puede superarse conscientemente y así conformarse a su condición humana fundamental y a su situación metafísica.

¿Encontramos mejor a Cristo elevándonos hasta Él, o arrastrándole a nuestro mundo rutinario?

El hombre irreverente por contraste, se acerca al ser en una actitud de superioridad arrogante o de familiaridad indiscreta, satisfecha. En cualquier caso él está discapacitado; es el hombre que va tan cerca de un árbol o edificio quien ya no puede verlo. En vez de permanecer a la distancia espiritual apropiada, y mantener un silencio reverente de modo que el ser pueda decir su palabra, él se impone y así, en efecto, silencia al ser. En ninguna esfera es la reverencia más importante que la religión. Tal como hemos visto, esta afecta profundamente la relación del hombre hacia Dios. Pero además penetra la religión entera, sobre todo la adoración a Dios. Hay un eslabón íntimo entre reverencia y santidad: la reverencia nos permite experimentar lo sagrado, elevarse sobre lo profano; la irreverencia nos ciega al mundo entero de lo sagrado. La reverencia, incluyendo el sobrecogimiento - incluso temor, miedo y temblor - es la respuesta específica a lo sagrado.


Rudolf Otto ha desarrollado claramente este punto en su famoso estudio «La Idea de lo Santo». Kierkegaard también llama la atención al papel esencial de la reverencia en el acto religioso, en el encuentro con Dios. ¿Y no temblaron los Judíos en el temor profundo cuándo el sacerdote trajo el sacrificio en el sancta sanctorum? ¿No fué golpeado Isaiah con el miedo piadoso cuándo vio a Yahweh en el templo y exclamó, «el infortunio es conmigo, estoy condenado! pues soy un hombre de labios sucios… pero aún mis ojos han visto al Rey»? ¿Acaso las palabras de San Pedro después de la pesca milagrosa, «apártate de mí, oh Señor, porque soy un pecador» no declaran que cuándo la realidad de Dios fuerza la entrada sobre nosotros nos golpea con miedo y reverencia? El cardenal Newman ha demostrado en un sermón aturdidor que el hombre que no teme y no reverencía no ha conocido la realidad de Dios.

Cuando San Buenaventura escribe en Itinerium Mentis ad Deum que sólo un hombre de deseo (como Daniel) puede entender a Dios, él quiere decir que una cierta actitud del alma debe ser alcanzada a fin de entender el mundo de Dios, en el cual Él quiere conducirnos.

Este consejo es sobre todo aplicable a la liturgia de la Iglesia. El sursum corda - levantemos nuestros corazones - es la primera exigencia para la verdadera participación en la misa. Nada podría obstruir más el encuentro del hombre con Dios que la noción de que «vamos al altar de Dios» del mismo modo en el que vamos a una reunión social agradable, relajante. Esto es el motivo por el cual la misa latina con el Canto gregoriano que nos levanta hasta una atmósfera sagrada, es inmensamente superior a una misa vernácula con canciones populares, que nos abandona en una atmósfera profana simplemente natural.


El error básico de la mayor parte de las innovaciones es imaginar que la nueva liturgia lleva al santo sacrificio de la misa más cerca hacia el fiel, que esquilado de sus viejos rituales la misa ahora se introduce en la sustancia de nuestras vidas. Porque la pregunta es si en la misa encontramos mejor a Cristo elevándonos hacia Él, o arrastrándole a nuestro propio caminante mundo rutinario. Los innovadores sustituirían la santa intimidad con Cristo por una familiaridad impropia. La nueva liturgia realmente amenaza con frustrar el encuentro con Cristo pues desalienta la reverencia ante el misterio, impide el temor y casi extingue un sentido de santidad. Lo que realmente importa, seguramente, no es si los fieles se sienten como en su casa en la misa, sino si los saca de su vida ordinaria hacia el mundo de Cristo - si su actitud es la respuesta de la reverencia última: si son imbuidos de la realidad de Cristo.

Aquellos que se expresan con inmoderado entusiasmo sobre la nueva liturgia hacen mucho del punto que durante los años la misa había perdido su carácter comunal y se había hecho una ocasión para la adoración individualista. La nueva misa vernácula, insisten, restaura el sentido de comunidad sustituyendo las devociones privadas con la participación de la comunidad. Mas ellos olvidan que hay diferentes niveles y clases de comunión con otras personas. El nivel y la naturaleza de una experiencia de comunión está determinada por el tema de la comunión, el nombre o la causa en la cual los hombres están reunidos. Entre más alto el bien que el tema representa y que enlaza a los hombres, más sublime y más profunda es la comunión. Obviamente la escencia y la naturaleza de una experiencia de comunidad en el caso de una gran emergencia nacional son radicalmente diferentes de la experiencia de comunidad de un cóctel. Y por supuesto las diferencias más asombrosas en comunidades serán encontradas entre la comunidad cuyo tema es lo sobrenatural y aquella cuyo tema es simplemente natural. La realización de las almas de los hombres que son realmente tocados por Cristo, es la base de una comunidad única, una comunión sagrada, una cuya calidad es incomparablemente más sublime que aquella de cualquier comunidad natural. La auténtica comunión entre los fieles que la liturgia del Jueves Santo expresa tan bien en las palabras «congregavit nos in unum Christi amor», es sólo posible como fruto de la comunión Tu-yo con Cristo mismo. Sólo una relación directa al Dios-hombre puede realizar esta unión sagrada entre los fieles.


La despersonalizante «experiencia común» es una teoría perversa de la comunidad.

La comunión en Cristo no tiene nada de la auto afirmación encontrada en las comunidades naturales. Esta respira de la Redención. Esta libera a los hombres de todo egocentrismo. Mas aún tal comunión enfáticamente no depersonaliza al individuo; lejos de disolver a la persona en lo cósmico, en el desmayo panteísta tan a menudo alabado entre nosotros estos días, realiza al verdadero ser de la persona en un modo único. En la comunidad de Cristo el conflicto entre persona y comunidad que está presente en todas las comunidades naturales no puede existir. Luego esta experiencia de comunidad sagrada está realmente en guerra con la despersonalizante «experiencia común» encontrada en asambleas masivas y reuniones populares que tienden a absorber y evaporar al individuo. Esta comunión en Cristo que estaba tan totalmente viva en los siglos cristianos tempranos, que todos los santos entraron y que encontró una expresión incomparable en la liturgia ahora bajo ataque - esta comunión nunca ha considerado a la persona individual como un mero segmento de la comunidad, o como un instrumento para servirlo. En esta unión vale la pena notar que la ideología totalitaria no solo sacrifica el individuo al colectivo; algunas ideas cósmicas de Teilhard de Chardin, por ejemplo, implican el mismo sacrificio de la colectividad. Teilhard subordina al individuo y su santificación al supuestp desarrollo de la humanidad. En un tiempo en el que esta perversa teoría de la comunidad es abrazada incluso por muchos Católicos, hay motivos claramente urgentes de insistir enérgicamente en el carácter sagrado de la verdadera comunión en Cristo. Yo sostengo que la nueva liturgia debe ser juzgada por esta prueba: ¿contribuye esta a la auténtica comunidad sagrada? Se da por hecho que se esfuerza por un carácter de comunidad; ¿pero es este el carácter deseado? ¿Es esta una comunión basada en recogimiento, contemplación y reverencia? ¿Cuál de los dos - la nueva misa, o la misa latina con el Canto gregoriano - evoca estas actitudes del alma con más eficacia, permitiendo así una comunión más profunda y verdadera? ¿No está claro que con frecuencia el carácter de comunidad de la nueva misa es puramente profano, que, como con otras reuniones sociales, su mezcla de relajación ocasional y ajetreada actividad impide un encuentro reverente, contemplativo con Cristo y con el misterio inefable de la Eucaristía?


POR SUPUESTO NUESTRA ÉPOCA está penetrada por un espíritu de irreverencia. Está vista en una noción deformada de la libertad que exige derechos rechazando obligaciones, que exalta la autoindulgencia, que aconseja el «dejate ir». El habitare secuni de los Diálogos de San Gregorio - la morada en presencia de Dios - que presupone la reverencia, es hoy considerado algo no natural, pomposo, o servil. ¿Pero no es la nueva liturgia un compromiso con este espíritu moderno? ¿De donde viene el desprecio de arrodillarse? ¿Por qué debería la Eucaristía ser recibida estando de pie? ¿Es el no arrodillarse, en nuestra cultura, la expresión clásica de adorar la reverencia? El argumento que en una comida nosotros deberíamos estar de pie más bien que arrodillarnos es apenas convincente. En primer lugar, este no es la postura natural para la comida: nos sentamos, y en el tiempo de Cristo uno posaba. Pero lo que es más importante en esto es una concepción expresamente irreverente de la Eucaristía para acentuar su carácter como una comida a costa de su carácter único como un misterio santo. Acentuar la comida a expensas del sacramento seguramente delata la tendencia a obscurecer la santidad del sacrificio. Esta tendencia es aparentemente atribuible a la desafortunada creencia que la vida religiosa se hará más viva, más existencial, si está sumergida en nuestra vida diaria. Pero esto es correr el peligro de absorber lo religioso en lo mundano, de borrar la diferencia entre lo sobrenatural y lo natural. Temo que esto represente una intrusión inconsciente del espíritu naturalista, del espíritu más totalmente expresado en el inmanentismo de Teilhard de Chardin.


Otra vez ¿por qué ha sido abolida la genuflexión en las palabras et incarnatus est en el Credo? ¿No era esta una expresión noble y hermosa de adorar la reverencia profesando el abrasador misterio de la Encarnación? Independientemente de la intención de los innovadores, ciertamente han creado el peligro, si acaso sólo psicológico, de disminuir la conciencia y el temor de los fieles al misterio. Hay aún otra razón para vacilar en hacer cambios a la liturgia que no son estrictamente necesarios. Los cambios frívolos o arbitrarios tienen tendencia a erosionar un tipo especial de reverencia: pietas. La palabra latina, como el Pietaet alemán, no tiene ningún equivalente inglés, pero puede ser entendida como el compromiso por el respeto de la tradición; la honra a lo que nos ha sido pasado por antiguas generaciones; fidelidad a nuestros antepasados y sus trabajos. Note que la piedad es un tipo derivado de la reverencia y por lo tanto no debería ser confundida con la reverencia primaria, que hemos descrito como una respuesta al mismo misterio de ser, y por último una respuesta a Dios. Resulta que si el contenido de una tradición dada no corresponde al objeto de la reverencia primaria, esto no merece la reverencia derivada. Así si una tradición encarna malos elementos, como el sacrificio de seres humanos en el culto de los aztecas, entonces aquellos elementos no deberían ser considerados con pietad. Pero no es el caso cristiano. Aquellos que idolatran nuestra época, quiénes se conmueven en lo que es moderno simplemente porque es moderno, quiénes creen que en nuestros días el hombre por fin ha llegado a su «mayoría de edad» carecen de pietad. El orgullo de estos «nacionalistas temporales» no es sólo irreverente, es incompatible con la verdadera fe. Un Católico debería considerar su liturgia con pietad. Él debería reverenciar, y por lo tanto temer abandonar los rezos y posturas y música que han sido aprobados por tantos santos a lo largo de la era cristiana y entregados a nosotros como una herencia preciosa. Para no ir más lejos: la ilusión que podemos sustituir el Canto gregoriano con sus inspirados himnos y ritmos, por una igualmente fina, si no es que mejor música, delata una ridícula confianza en sí mismo y la carencia de auto conocimiento. No olvidemos que en todas partes de la historia del cristianismo, el silencio y la soledad, la contemplación y el recogimiento, han sido considerados necesarios para conseguir un verdadero encuentro con Dios. Este no es sólo el consejo de la tradición cristiana, que debería ser respetada por piedad; sino que está arraigado en la naturaleza humana. El recogimiento es la base necesaria para la verdadera comunión del mismo modo en que la contemplación proporciona la base necesaria para la verdadera acción en la viña del Señor. Un tipo superficial de comunión - la camaradería jovial de un asunto social - nos saca a la periferia. Una comunión realmente cristiana nos hace entrar en las profundidades espirituales.

El camino a una verdadera comunión cristiana: Reverencia.. Recogimiento.. Contemplación


Por supuesto deberíamos deplorar un excesivo y sentimental devocionalismo y reconocer que muchos Católicos lo han practicado. Pero el antídoto no es una experiencia de comunidad como tal, así como la cura para la pseudocontemplación no es la actividad como tal. El antídoto debe animar a la verdadera reverencia, a una actitud de recogimiento auténtico y devoción contemplativa a Cristo. Solo desde esta actitud puede tener lugar una comunión verdadera en Cristo. Las leyes fundamentales de la vida religiosa que gobiernan la imitación de Cristo, la transformación en Cristo, no se cambian según los humores y hábitos del momento histórico. La diferencia entre una experiencia de comunidad superficial y una experiencia de comunidad profunda es siempre la misma. El recogimiento y la adoración contemplativa de Cristo - que sólo la reverencia hace posible - será la base necesaria para una verdadera comunión con otros en Cristo en cada era de la historia humana.
fonte:creer en méxico

quinta-feira, 4 de junho de 2009

La confesión de un Obispo francés Maurice Gaidon



El obispo francés Maurice Gaidon, emérito de Cahors, ha publicado hace algunos meses un libro que ha sorprendido por la claridad de su análisis y la sinceridad de sus afirmaciones. Allí, el anciano prelado realiza un balance de su ministerio y hace una fuerte crítica de un modo de gobierno episcopal que, por desgracia, se repite con frecuencia y que es potenciado por el mal funcionamiento de muchas conferencias episcopales. Ofrecemos a continuación la traducción al español de unos breves extractos.

***

“¿De dónde proviene esta impresión de extraño letargo que percibo en el contacto con nuestras comunidades desorientadas, de nuestros sacerdotes desencantados, y de mis hermanos obispos por el temeroso silencio en nuestras asambleas?”

“Yo pienso que a nuestro lenguaje le falta vigor y que el espíritu profético está demasiado ausente de nuestros textos, sabiamente medidos y dignos de resoluciones votadas al final de «meeting radical-socialistas». [...]. Un texto se diluye cuando es revisado y corregido en una asamblea de un centenar de miembros, algunos de los cuales no hablan nunca mientras que otro toman la palabra sin complejos. En una asamblea infiltrada, en parte, por “grandes mitras” que preparan cuidadosamente ciertas elecciones y se reparten los “puestos clave” del episcopado. [...]. Nosotros no queremos salir de un tono conciliador y buscamos, en primer lugar, el consuelo de un blando consenso en los campos más sensibles, como son los problemas de moral conyugal y las cuestiones de bioética. Ya había encontrado estas indecisiones al momento de la ley sobre el aborto y constaté que no estábamos listos para cruzar la espada contra los políticos. Siento la misma impresión cuando el gobierno se prepara a abrir los debates sobre los contratos de unión entre dos personas del mismo sexo. ¿De dónde surge este miedo si no dudamos en hacer oír nuestra voz en otros problemas sociales?”

“Y algunos de nosotros no terminan de tejer alabanzas a este régimen digno de elogios… lo que es un colmo. No tenemos que alabar a un régimen que trata a la Iglesia con tanta desenvoltura y no pierde ocasión de poner obstáculos a la difusión del mensaje cristiano. No debemos incensar a un poder político cuyo liberalismo moral contribuye a degradar el clima de nuestra sociedad. [...]. No debemos olvidar tan velozmente elecciones legislativas que han llevado a la banalización del aborto. [...]. Pagaremos caro y largamente estas decisiones, a las cuales hemos opuesto una resistencia realmente mediocre y un discurso sin aristas vivas ni acentos vigorosos”.

“He vivido mal la reforma litúrgica, impuesta en el plazo de un domingo y con un autoritarismo clerical insoportable. [...]. Tengo la impresión de haber vivido estos años como una lenta deriva, impulsada por las modas y por los lenguajes establecidos en nuestro universo clerical, y de reencontrarme, a la hora de mi última etapa, en un doloroso desconcierto, invadido por el sentimiento de haber padecido pasivamente las tomas de posición y las decisiones de mis hermanos en el episcopado y de haber seguido con ellos la corriente de compromisos, en lugar de usar el lenguaje áspero y profético de los testigos y anunciadores de una Palabra que es una espada”.

“La esperanza no tiene nada que ver con un optimismo al mando que reina con demasiada frecuencia en las oficinas eclesiásticas que yo frecuento”

***

Fuente: Messainlatino.it

Traducción: La Buhardilla de Jerónimo

FINS E FRUTOS DA MISSA



Na linha do pensamento e do significado profundo do Ofertório da Missa, é útil e salutar saber e meditar nos Fins e nos Frutos da Santa Missa.

Cada Missa que é celebrada ou oferecida pela Igreja, para além da intenção específica, tem quatro fins ou intenções gerais :

* Adoração. Na Missa adora-se a Deus, como criador de todas as coisas.

* Ação de Graças. Na Missa dá-se graças a Deus como um Pai generoso que abençoa abundantemente os Seus filhos.

* Contrição. Na Missa oferece-se a Deus o arrependimento pelas faltas contra um Deus misericordioso que se entregou pelos pecados de todos os homens.

* Petição. Na Missa pede-se a Deus que atenda as nossas necessidades, porque só Ele nos pode ajudar plenamente.

Por Frutos da Missa entendemos os efeitos que resultam da Missa para as pessoas que participam na celebração (recepção da graça, propiciação pelos pecados do mundo e satisfação da pena devida ao pecado), em contraste com os efeitos directamente referentes ao próprio Deus (culto e acção de graças).

Embora o Sacrifício da Missa tenha intrinsecamente um valor infinito, os seus frutos são limitados, de harmonia com as disposições e as capacidades das pessoas que os recebem.

Os Frutos da Missa são tradicionalmente classificados com a referência às pessoas que os recebem em :

* Frutos gerais os de que beneficia toda a Igreja dos vivos e dos já falecidos.

* Frutos especiais os de que beneficiam todos os que participam na celebração da Missa, pela contribuição para o Ofertório e pelo estipêndio de quem pede a Missa.

* Frutos pessoais os de que beneficia apenas o sacerdote celebrante.

* Frutos ministeriais os de que beneficiam aqueles por quem a Missa é celebrada.

Uma vez que o valor intrínseco da Missa é infinito, e os seus Frutos ministeriais beneficiam aqueles por quem é celebrada a Missa, mas de maneira limitada às sua disposições ou possibilidades, parece que se deveria sempre mandar celebrar a Missa por muitas intenções, ou por todas as almas do purgatório porque :

- Todas podem beneficiar sem prejuízo mútuo e na medida em que são capazes.

- Não limitamos a aplicação dos valores infinitos da Missa, nem alteramos nenhum dos outros Frutos da Missa.

- Não fazemos discriminação de pessoas, pois que há muitos familiares e amigos por quem nunca mandamos celebrar a Missa e que beneficiarão da Missa que for celebrada por todas as almas do Purgatório.

- Segundo estes princípios, uma pessoa falecida por quem é celebrada a Santa Missa, recebe tanto dos Frutos ministeriais dessa Missa, como receberia se essa Missa fosse celebrada por todas as almas do Purgatório, isto é, segundo a sua capacidade.

Porquê limitar os Frutos ministeriais de cada Missa ?

A Missa foi instituída na Última Ceia, durante o banquete da Ceia Pascal.

Parece que não faz sentido uma Missa sem Comunhão, e o Senhor disse "Tomai e comei".

Mas a Comunhão supõe uma devida preparação, isto é, a ausência de pecado grave, porque nos une intimamente com Cristo e, com pecados graves não é possível qualquer união com Cristo.

Assim diz o Catecismo da Igreja Católica :

1391.- A Comunhão aumenta a nossa união com Cristo. Receber a Eucaristia na comunhão traz consigo, como fruto principal, a união íntima com Cristo. De fato, o Senhor diz : "Quem come a minha Carne e bebe o meu Sangue permanece em Mim e Eu nele"(Jo.6,56).

A vida de Cristo encontra o seu fundamento no «Banquete Eucarístico» : "Assim como o Pai, que vive, Me enviou, e Eu vivo pelo Pai, também o que Me come viverá por Mim".

Como alimento, a Comunhão, conserva e renova a vida da graça recebida no Baptismo, afasta-nos do pecado e perdoa os pecados veniais como diz o Catecismo da Igreja Católica :

1394. - Tal como o alimento corporal serve para restaurar as forças perdidas, assim também a Eucaristia (Comunhão) fortifica a caridade que, na vida quotidiana, tende a enfraquecer; e esta caridade vivificada, apaga os pecados veniais. Dando-Se a nós, Cristo reaviva o nosso amor e torna-nos capazes de quebrar as ligações desordenadas às criaturas e radicar-nos n’Ele.

A Comunhão não se pode receber em Pecado Mortal, porque isso seria mais um pecado de sacrilégio, profanação do Sagrado, mas, recebida na graça de Deus, ajuda a evitar os Pecados Mortais :

1395. - Pela mesma caridade que acende em nós, a Eucaristia preserva-nos dos pecados mortais futuros. Quanto mais participarmos na vida de Cristo e progredirmos na sua amizade, mais difícil nos será romper com Ele pelo pecado mortal.

Na Comunhão todos recebemos o Mesmo Corpo e o mesmo Sangue e ficamos mais unidos no mesmo e único Corpo : a Igreja, na qual ficámos incorporados no nosso Baptismo.

Necessitamos, pois, de nos unirmos neste banquete da Comunhão para tornarmos mais forte a nossa união de membros num só e mesmo Corpo que é a Igreja.

1417. - A Igreja recomenda vivamente aos fiéis que recebam a sagrada Comunhão sempre que participem na celebração da Eucaristia (Missa); isso constitui para eles uma obrigação, ao menos uma vez por ano.

Mas não esqueçamos que é necessário comungar com a alma em estado de graça, isto é, sem consciência de pecado grave.
fonte:universo católico

Dr. Alberto Caturelli :Estrategia y táctica del progresismo y la iniquidad enmascarada


Desde hace mucho tiempo existe una estrategia no declarada y una táctica móvil aplicable a cada circunstancia. La estrategia, término de origen castrense, es el arte de dirigir las operaciones y se identifica con un plan inmutable que tiene también un fin inmutable. Como lo denunciaba hace un siglo San Pío X ”traman la ruina de la Iglesia, no desde fuera, sino desde dentro”; según el gran Papa Santo, el plan se aplica “a la raíz misma” de la Iglesia.


1. Estrategia y táctica del “espíritu del mundo”

La exhortación apostólica Sacramentum Caritatis fue promulgada por el Santo Padre Benedicto XVI el 22 de febrero de 2007.

Los diarios de las primeras semanas de marzo, en sus títulos y crónicas permiten identificar el “espíritu del mundo” interesado solamente en lo “sensacional” que pudiera dañar, horadar o desprestigiar a la Iglesia Católica. Al mismo tiempo es interesante analizar las reacciones de personajes de entrecasa en las que puede percibirse la interpretación sin compromiso, la sordina aplicada a toda la composición, la sordera respecto de lo “dicho”, el velamiento progresivo de lo develado. Ante el gran documento, terriblemente vinculante, algunos se desvinculan manifestando que no hay sorpresa, que era lo esperado (sobre todo de Ratzinger!), que es un intento de recuperar la tradición, que –después de todo- el documento aunque refleja el pensamiento del Papa “es el producto del trabajo en el sínodo de Obispos, que se hizo hace dos años”; que el documento, dice el titular de un diario, tiene “el sello de Ratzinger”… Pero lo mejor es un silencio que se puede “oír”.

Desde hace mucho tiempo, detrás de esta malla de innumerables hilos, existe una estrategia no declarada y una táctica móvil aplicable a cada circunstancia. La estrategia, término de origen castrense, es el arte de dirigir las operaciones y se identifica con un plan inmutable que tiene también un fin inmutable. Como lo denunciaba hace un siglo San Pío X ”traman la ruina de la Iglesia, no desde fuera, sino desde dentro”; según el gran Papa Santo, el plan se aplica “a la raíz misma” de la Iglesia (Pascendi,3). La estrategia, ciertamente diabólica, es inmutable en su propósito esencial. La táctica, compuesta de “reglas” o procedimientos que orientan las operaciones (a veces hábilmente disimuladas para lograr el fin) es cambiante, dinámica. San Pío X habla de “una táctica… insidiosa” que caracteriza a los modernistas y que consiste “en no exponer jamás sus doctrinas de un modo metódico”. El “teólogo” progresista habla por sí mismo, es “creador” y las “originalidades” doctrinarias son casi tantas como el número de “teólogos” y de “opinadores” esparcidos por todas partes.

La estrategia es siempre la misma –desde el seno de los Doce con el primer traidor- hasta el fin de los tiempos. La táctica es cambiante, “insidiosa” y así será hasta el fin de la historia.

En medio de esta “tensión” cargada de misterio, se promulga la exhortación apostólica.

2. El contenido esencial de la Sacramentum Caritatis

La primera línea del documento recuerda que la Eucaristía “es el don que Jesucristo hace de si mismo”, su “infinita humildad” y su amor también infinito porque tanto nos amó que nos hizo “el don de su cuerpo y de su sangre”; de ahí la colaboración litúrgica que nos obliga a “leer los cambios indicados por el Concilio dentro de la unidad que caracteriza el desarrollo histórico del rito mismo, sin introducir rupturas artificiosas”.
fonte:el cruzamante

A utilização de mulheres como acólitos e a recepção da Comunhão na mão são inadmissíveis na Missa Antiga, esclareceu o canonista Pe. Wolfgang F. Rothe



Capa do livro "Liturgische Versöhnung", do Padre Wolfgang F. RotheA obra é um comentário canônico ao Motu Proprio ‘Summorum Pontificum’ para estudo e prática. No passado, teólogos e canonistas famosos – entre outros o especialista em Teologia Dogmática de Munique, Pe. Bertram Stubenrauch, analogamente postularam que determinadas “conquistas” litúrgicas como acólitas e Comunhão na mão deveriam ser introduzidas na liturgia tradicional.

O autor do novo livro demonstra apenas que em geral os fiéis se voltaram para o Rito Antigo justamente “porque eles rejeitavam práticas litúrgicas como acólitas e Comunhão na mão – esta particularmente introduzida de maneira ilegal e posteriormente legitimada”.

Consequentemente, daí se depreende que desde o início não havia a presença de acólitas e a Comunhão na mão não era praticada na celebração da Missa segundo o Missal de 1962. O autor declarou que a utilização de acólitas e da Comunhão na mão na Liturgia Antiga são proibidos com fundamento nos costumes.

O livro apareceu com prefácio do Vice-Presidente da Comissão Pontifícia ‘Ecclesia Dei’, Monsenhor Camille Perl. O monsenhor diz que o livro é um “comentário notável”. Ele seria especialmente útil para os pastores da Igreja, “em primeiro lugar os párocos, em seguida, também os bispos”.
fonte:fratres in unum

Aumentan los autores y las obras e los Institutos que tratan de restaurar la auténtica liturgia católica



03/06/09 Si ayer SECTOR CATÓLICO hacía referencia al crecimiento del número de autores católicos que cada día se muestran entusiamados con la celebración de la forma extraordinaria del Rito Romano, hoy conocemos, a través de Una Voce Málaga, un gran número de institutos religiosos masculinos que siguen el Misal de 1962 y que se encuentran en plena comunión con Roma, más que a alguno le pese.

Es el caso de la Administración Apostólica San Juan María Vianney, la Fraternidad San Pedro, el Instituto Cristo Rey, la Fraternidad San Vicente Ferrer, el Instituto San Felipe Neri, el Instituto Buen Pastor; las abadías benedictinas de Fontgombault, Gaussan, Le Barroux, Randol, La Garde y Triors; el Instituto Santa Cruz de Riaumont, los Canónigos Regulares Madre de Dios, los Canónigos Regulares Nueva Jerusalén, los monjes de Mount Carmel, la Fraternidad de Cristo Sacerdote y los Hijos del Santísimo Redentor. ¡Enhorabuena a todos ellos!
02/06/09 Según informa Frates in Unum, un nuevo libro sobre la reforma litúrgica ha visto la luz en Alemania. Se trata de una obra del padre Wolfgang F. Rothe, especialista en Teología Dogmática por la Universidad de Munich, que lleva por título original Liturgische Versöhnung (Reconciliación Litúrgica). Al parecer, el texto es un comentario canónico al Motu Proprio Summorum Pontificum de Benedicto XVI y en él se denuncian numerosos abusos que se habrían introducido en el Novus Ordo de la Misa, como por ejemplo, la comunión en la mano o el acolitado femenino, ajenos completamente al Rito Romano.

El libro profundiza en la misma línea de la planteada en el último del padre Nicola Bux, teólogo y consultor de la Congregación para la Doctrina de la Fe, quien recientemente publicó "La Reforma de Benedicto XVI" o del que ayer mismo hacíamos referencia en SECTOR CATÓLICO y que ha sido publicado por el obispo Athanasius Schneider, obispo de Kazajstán, y titulado Dominus est.

Y es que realmente soplan nuevos vientos en el mundo litúrgico. No sólo en Roma sino que cada vez son más la voces que se unen al Papa Benedicto XVI en todo el mundo para tratar de recuperar el auténtico espíritu de la liturgia católica que fue dinamitado por otro espíritu, del que muchos se hicieron eco en su momento, y que entró en la Iglesia como el humo de satanás.

Por otra parte, ayer también conocíamos la decisión de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei de autorizar la celebración tradicional del rito ambrosiano anterior a la renovación litúrgica en virtud de la misma aplicación canónica del Motu Proprio Summorum Pontificum. De este modo, se vuelve a constatar la fuerza de la Tradición impulsada por Roma en los últimos años.

Continúa el aumento imparable de los institutos religiosos masculinos que celebran según la forma extraordinaria
Fonte:sector católico

Festa de Jesus Cristo Sumo e Eterno Sacerdote


“El Señor lo ha jurado y no se arrepiente: Tú eres sacerdote eterno, según el rito de Melquisedec."

“La Epístola a los Hebreos define con exactitud al sacerdote cuando dice que es un hombre escogido entre los hombres, y está constituido en favor de los hombres en lo que se refiere a Dios, para ofrecer dones y sacrificios por los pecados. Por eso, el sacerdote mediador entre Dios y los hombres, está íntimamente ligado al Sacrificio que ofrece, pues este es el principal acto de culto en el que se expresa la adoración que la criatura tributa a su Creador.
“En el Antiguo Testamento, los sacrificios eran ofrendas que se hacían a Dios en reconocimiento de su soberanía y en agradecimiento por los dones recibidos, mediante la destrucción total o parcial de la víctima sobre un altar. Eran símbolo e imagen del auténtico sacrificio que Jesucristo, llegada la plenitud de los tiempos, habría de ofrecer en el Calvario. Allí, constituido Sumo Sacerdote para siempre, Jesús se ofreció a Sí mismo como Víctima gratísima a Dios, de valor infinito: quiso ser al mismo tiempo sacerdote, víctima y altar. En el Calvario, Jesús, Sumo Sacerdote, hizo la ofrenda de alabanza y acción de gracias más grata a Dios que puede concebirse. Fue tan perfecto este Sacrificio de Cristo que no puede pensarse otro mayor. A la vez, fue una ofrenda de carácter expiatorio y propiciatorio por nuestros pecados. Una gota de la Sangre derramada por Cristo hubiera bastado para redimir todos los pecados de la humanidad de todos los tiempos. En la Cruz, la petición de Cristo por sus hermanos los hombres fue escuchada con sumo agrado por el Padre, y ahora continúa en el Cielo siempre vivo para interceder por nosotros.
“Jesucristo en verdad es sacerdote, pero sacerdote para nosotros, no para sí, al ofrecer al Eterno Padre los deseos y sentimientos religiosos en nombre del género humano. Igualmente, El es víctima, pero para nosotros, al ofrecerse a sí mismo en vez del hombre sujeto a la culpa. Pues bien, aquello del apóstol: tened en vuestros corazones los mismos sentimientos que tuvo Jesucristo en el suyo, exige a todos los cristianos que reproduzcan en sí, en cuanto al hombre es posible, aquel sentimiento que tenía el divino Redentor cuando se ofrecía en sacrificio, es decir, que imiten su humildad y eleven a la Suma Majestad de Dios la adoración, el honor, la alabanza y la acción de gracias. Exige, además, que de alguna manera adopten la condición de víctima, abnegándose a sí mismos según los preceptos del Evangelio, entregándose voluntaria y gustosamente a la penitencia, detestando y confesando cada uno de sus propios pecados” (Pío XII, Enc. Mediator Dei, 20/II/1947, 22). Este es hoy nuestro propósito”.
Fuente: Francisco Fernández Carvajal: Hablar con Dios. Ediciones Palabra, Madrid, 1987.

FIESTA DE JESUCRISTO SUMO Y ETERNO SACERDOTE "Tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech



Hoy celebramos una de las fiestas más importantes de nuestra Fraternidad, la Fiesta de Jesucristo Sumo y Eterno Sacerdote.

Los orígenes de esta fiesta se remontan a principios del siglo XX, pues en algunos misales de la época encontramos la misa votiva de Jesucristo Sumo y Eterno Sacerdote. Sin embargo, en España adquirió el rango de Fiesta el 22 de agosto de 1973 gracias a los esfuerzos del santo arzobispo de Valencia Don Jose María García Lahiguera. Los primeros pasos de este acontecimiento se remontan a 1950, en que con motivo de un viaje a Roma, él, junto con la Madre Fundadora de las Oblatas de Cristo Sacerdote, Madre María del Carmen Hidalgo de Caviedes y Gómez solicitaron a S. S. el Papa Pio XII la gracia de poder celebrar todos los años, el día 25 de abril, aniversario de la fundación de la Congregación, en todos los monasterios la liturgia propia de la fiesta de Jesucristo Sumo y Eterno Sacerdote. La Santa Sede concedió este privilegio a la Congregación en un rescripto de fecha 25 de junio de 1952.
El interés por la fiesta se iba propagando y extendiendo entre muchos sacerdotes.


En noviembre de 1954, Don José María García Lahiguera propuso a la Congregación de San Pedro Apóstol de Madrid que se adhiriera para elevar a la Santa Sede la petición de la institución de la fiesta litúrgica y el 31 de mayo de 1956 se envió toda la documentación a la Sagrada Congregación de Ritos. Aunque el asunto parece que entonces se paraliza Don José María no pierde ocasión para insistir en su propósito y al abrirse el Concilio Vaticano II en el que él mismo participó como Padre Conciliar, se dirige por escrito a la Comisión Conciliar de Liturgia e, incluso en la intervención que tuvo en el Aula Conciliar del esquema sobre los sacerdotes el 25 de octubre de
1965 –en la que habló de la responsabilidad de los obispos, de la dirección espiritual de los sacerdotes, de los ejercicios espirituales–, llegó a proponer ‘como monumento litúrgico del Concilio la institución de la Fiesta de Cristo Sacerdote’. Esta propuesta fue rubricada por 194 Padres Conciliares, de los cuales cinco eran Cardenales.
En principio la propuesta no prosperó, pero como la Instrucción para la aplicación de la Constitución Conciliar sobre la Sagrada Liturgia de 24 de junio de 1970 permitía a las congregaciones religiosas solicitar la aprobación de los textos litúrgicos de su Titular, se elaboraron los textos para la Misa y la Liturgia de las Horas de Cristo Sacerdote, que fueron aprobadas por la Sagrada Congregación para el Culto Divino por rescripto de 21 de diciembre de 1971. En abril de 1972, Mons. José María García Lahiguera remitió los textos a todos los obispos españoles proponiéndoles que sea todo el episcopado español el que solicite la inserción de dicha fiesta en el calendario litúrgico nacional. Por fin el 5 de julio de 1973 la asamblea plenaria de la Conferencia Episcopal Española, después de mucho trabajo, sufrimiento y sobre todo oración suplicante y confiada por parte de Don José María, aprobó la petición a la Santa Sede, que fijó su inserción con fecha 22 de agosto de 1973, fijando su celebración en el jueves siguiente a la solemnidad de Pentecostés.
En su deseo de que llegara a ser fiesta universal interesó a muchos obispos de América latina para que también sus naciones la solicitasen a la Santa Sede y actualmente son varias las naciones que la celebran.


Nuestra felicitación y hermandad espiritual a las comunidades que viven la espiritualidad de Cristo Sacerdote:


-Confraternidad de Cristo Sacerdote (Australia)

-Oasis de Jesús Sacerdote (España)

-Oblatas de Cristo Sacerdote

-Siervas Seglares de Cristo Sacerdote

-Misioneras de Cristo Sacerdote

-Auxiliares Parroquiales de Cristo Sacerdote

-Familia de la Cruz (México)

-Instituto Cristo Rey Sumo Sacerdote

-Sociedad de Jesucristo Sacerdote


Publicado por Fraternidad de Cristo Sacerdote y Santa María Reina

quarta-feira, 3 de junho de 2009

Mais de 10 000 católicos que seguem a Missa Tridentina na peregrinação a Chartres

Bastará observar com atenção as fotos desta peregrinação a Chartres para nos darmos conta que a maioria dos participantes são jovens de todas as idades que apreciam e amam a Missa Tridentina











El Reinado Social de Nuestro Señor Jesucristo




por R.P. Manuel Folgar S.

Si Jesucristo ostenta todo poder en el cielo y en la tierra, entonces, no hay absolutamente ningún poder que esté sobre Él, por el contrario, todos están bajo su dominio y soberanía. No hay Reyes, ni Príncipes, Parlamentos, ni Cámaras que puedan sustraerse a la realeza de Cristo. Es más, todo poder de este mundo es participación del poder absoluto y supremo de Dios, por ello no puede ser ejercido en contra de su voluntad, ni de su santa ley. También el poder mundano está en función del fin último del hombre que es la gloria de Dios y bienaventuranza eterna.

El Reinado Social de Nuestro Señor Jesucristo

La importantísima y trascendental labor que ha de desempeñar todo sacerdote católico es el anuncio del Reino de Dios y la misión de extender el reinado social de Nuestro Señor Jesucristo.

Al tratar el tema del reinado de Cristo estamos tocando la esencia misma del Evangelio


- Jesús “recorría toda la Galilea, enseñando en las sinagogas, predicando el evangelio del reino y curando en el pueblo toda enfermedad y toda dolencia” Mt.4,23-, los fundamentos de la misión que el Señor ha encomendado a su Iglesia -” Id por todo el mundo y predicad el Evangelio a toda criatura” Mc. 16,15- , la razón de ser misma de la obra Redentora y Salvadora de Nuestro Señor Jesucristo - “Vosotros, que un tiempo no erais pueblo, ahora sois pueblo de Dios” 1Pe 2,10-.

La pretensión que nos ocupa es muy ambiciosa y resulta del todo imposible en tan corto tiempo abarcar la entraña misma y las consecuencias que se derivan de nuestra fe católica. Es esta una cuestión de tiempo, de lectura serena y pausada de la Palabra de Dios, de meditación orante, de estudio del Magisterio de la Iglesia y de profunda reflexión.

Podemos, sin embargo, aproximarnos y asomarnos sin miedo que algo aprenderemos.


Un presupuesto indispensable

Hemos de comenzar por un presupuesto indispensable al tratar del “Reino de Cristo”, un presupuesto que muy a menudo no se tiene en cuenta y debido a ello surgen los bandos, las suspicacias, las rebeldías, las incomprensiones, la polémica…

“Aconteció que, orando Jesús a solas, estaban con Él los discípulos, a los cuales preguntó: ¿Quién dicen las muchedumbres que soy yo?” Lc.9,18.

Comprenderemos todos que no era un espíritu de curiosidad lo que movía al Señor a realizar esta pregunta. Bien sabía lo que se decía de Él, pero no teme que salgan a la luz las distintas opiniones que circulan entre la gente. Comienzan así a dar sus respuestas: “unos que Juan Bautista; otros, Elías; otros, que uno de los antiguos profetas ha resucitado”. Lc.9, 19

En un momento determinado Jesús va más allá, toca el fondo al que pretende llegar, “ Y vosotros, ¿quién decís que soy yo?” Lc.9, 20.

Era de su parte una verdadera provocación lanzada para que cada uno se “situase”, tomase “posición “ ante su Persona. Es entonces cuando Pedro responde, “Tú eres el Mesías, el Hijo de Dios vivo”.Mt. 16,16


La respuesta del Príncipe de los Apóstoles se desmarca completamente de cuanto hasta el momento se había dicho. No era una respuesta lógica, tampoco una apreciación, ni siquiera un juicio fruto de la propia reflexión. La respuesta de Pedro era una “respuesta de fe”; lo dice el mismo Jesús: “Bienaventurado tú, Simón Bar Joná, porque no es la carne ni la sangre quien esto te ha revelado, sino mi Padre, que está en los cielos” Mt. 16, 17.

Cuanto venimos diciendo es transferible al tema que nos ocupa.

Los posicionamientos ante la Persona de Nuestro Señor Jesucristo son también hoy muy dispares, incluso absolutamente contrarios y consecuentemente lo mismo sucede con los posicionamientos ante la naturaleza de la Iglesia y su misión en el mundo.

Comprenderemos, por lo tanto, que el presupuesto ineludible para poder aceptar la realeza de Nuestro Señor Jesucristo es la fe.

Sólo quien ha recibido, por medio del Santo Bautismo, el don de la fe puede afirmar que Jesús es el Hijo de Dios hecho hombre, el Salvador y Redentor de la humanidad, y reconocerle como Rey de los cielos y de la tierra.


La doctrina acerca de la realeza de Cristo es una verdad de fe.

En la era de las comunicaciones el mundo se ha convertido en una aldea en la que con inusitada rapidez se transmite la información. Llegan directamente a las casas con total fluidez las distintas opiniones, y corrientes de pensamiento . Nuestro Señor Jesucristo y su Iglesia no quedan al margen de los debates y comentarios de la más rabiosa actualidad. Sin embargo el ritmo vertiginoso de los adelantos de la técnica no es proporcional al verdadero progreso cultural y espiritual de las gentes. Por eso no se corresponde la cantidad de información que se recibe con la calidad en la formación que se posee. Vivimos en una época de muchísima información y de muy baja formación. Este pronunciadísimo desnivel es todavía más patente y manifiesto en lo que se refiere al plano espiritual y a cuanto afecta a la verdad católica.


La deficiente formación religiosa existente, sumada a la paupérrima o nula vida espiritual de las gentes, es la explicación de tantos desatinos y desaciertos en los juicios de valor que se emiten a diario respecto de todo lo religioso.

Nos ha tocado vivir en una época de crisis que afecta a los cimientos mismos de la civilización cristiana y occidental. No es el caso de profundizar ahora en ello, pero sí hemos de reseñar que en la raíz de esta incertidumbre colosal se esconde una crisis de pensamiento y de fe. Se vive mal porque se razona peor, cuando no se vive bajo la tiranía de la sinrazón que conduce al absurdo.

Su Santidad el Papa San Pío X como padre y vigía de la cristiandad no se cansó de señalar reiteradamente el camino para no extraviarse respecto de la verdad: conducirse por la luz de la razón iluminada por la Revelación.

Todo este preámbulo se hace necesario puesto que sin fe nos encontramos ante un obstáculo insalvable para acercarnos al “Reino de Dios” y para poder reconocer a Nuestro Señor Jesucristo como “Rey de reyes y Señor de los que gobiernan”.

La fe no es un sentimiento, no es una apreciación, tampoco una conjetura. De este gravísimo error brota la terrible confusión reinante.

La fe es la completa adhesión de la inteligencia a las verdades reveladas por Dios y transmitidas infaliblemente por la Iglesia. Comprendemos, entonces, como en la raíz de la ruina de la fe se encuentra una perversión del pensamiento, un alejamiento de la luz de la verdad para introducirse en la oscuridad del error.

Nuestro Señor Jesucristo se presentó ante el mundo como el Camino, la Verdad y la Vida. Los instrumentos para encontrar a quien es la Verdad nos los ofrece el mismo Señor: la Sagrada Revelación ( Tradición oral y escrita) y el Magisterio infalible de la Iglesia.

Dios infunde la virtud de la fe en el alma del bautizado, el hombre ha de responder acogiendo el don y corresponder adhiriendo su inteligencia a la Revelación del mismo Dios. Esta sumisión, esta confianza y entrega del hombre a Dios, lejos de empobrecerle lo eleva a la participación en la vida y en el amor mismo de Dios.

La luz que viene en nuestra ayuda es clara: Revelación de Dios y Magisterio de la Iglesia.


La realeza de Cristo en la Sagrada Revelación

Antiguo Testamento

La primera pregunta que uno puede plantarse es si verdaderamente Jesús es Rey. Para encontrar la respuesta hemos de acudir forzosamente a la Revelación. ¿Qué nos enseña el mismo Dios acerca de esta materia?

Si acudimos a la Sagrada Escritura en busca de textos que den fe de la realeza de Cristo nos encontramos que es como ir en busca de agua al mar. El carácter real del Mesías prometido por Dios y aguardado por Israel es una idea dominante en todo el Antiguo Testamento.


Ya en el libro de los Números, Balaán pronuncia el oráculo en el que manifiesta que contempla, aunque no de cerca, como “una estrella sale de Jacob, un cetro surge de Israel” Núm.24, 17, y “de Jacob sale un dominador”Núm.24,19.

En los textos del Profeta Isaías la tradición cristiana ha interpretado un anuncio del Mesías que se ha visto cumplido en Jesús y en el reino inaugurado por Él: “Porque un niño nos ha nacido, un hijo se nos ha dado. Sobre sus hombros descansa el poder, y es su nombre: “Consejero prudente, Dios fuerte, Padre eterno, Príncipe de la paz”. Dilatará su soberanía en medio de una paz sin límites, asentará y afianzará el trono y el reino de David sobre el derecho y la justicia, desde ahora y para siempre” Is. 9, 5-6.

El carácter real del Mesías como descendiente de la casa de David aparece con toda claridad en las palabras del Profeta.

En la misma línea, el Profeta Jeremías predice en su oráculo: “He aquí que vienen días, oráculo del Señor, en que yo suscitaré a David un descendiente legítimo, que reinará con sabiduría, que practicará el derecho y la justicia en esta tierra”. Jer. 23,5

El Profeta Daniel anuncia como “el Dios del cielo hará surgir un reino que jamás será destruido y cuya soberanía no pasará a otro pueblo. Pulverizará y aniquilará a todos los otros y él mismo subsistirá por siempre” Dan. 2, 44. Y en la primera de sus visiones narra, “vi venir sobre las nubes alguien semejante a un hijo de hombre; se dirigió hacia el anciano y fue conducido por él. Se le dio poder, gloria y reino, y todos los pueblos, tacones y lenguas le servían. Su poder es eterno y nunca pasará, y su reino jamás será destruido” Dan. 7, 13-14

Con toda la carga expresiva de los términos empleados, la clara referencia a la estirpe de David y las connotaciones que los Profetas aplican al reino anunciado, especialmente su carácter de soberanía absoluta y universal, así como su característica de eternidad, es imposible no ver una clara referencia a Nuestro Señor Jesucristo en quien, según sus propias palabras, se cumplen todas las Escrituras: “Escudriñad las Escrituras, ya que en ellas creéis tener la vida eterna, pues ellas dan testimonio de mí, y no queréis venir a mí para tener la vida” Jn. 5,39

Después de estas palabras contundentes del Señor bien podemos culminar estas referencias a algunos de los Profetas con la visión casi fotográfica del Profeta Zacarías:

“Salta de alegría, Sión, lanza gritos de júbilo, Jerusalén, porque se acerca tu rey, justo y victorioso, humilde y montado en un asno, en un joven borriquillo”Zac.9,9

El libro de los Salmos canta también la realeza de Cristo y sus desposorios místicos con su Esposa la Iglesia: “Tu trono, como el de Dios, es eterno, un cetro de equidad es el cetro de tu reino. Amas la justicia y odias la maldad, por eso te ha ungido el Señor tu Dios con perfume de fiesta entre tus compañeros” Sal.44.


Nuevo Testamento

Como no podía ser de otra manera toda la doctrina acerca de la realeza de Cristo que venimos entresacando del Antiguo Testamento se ve confirmada en el Nuevo, manifestándose así la plenitud de la Revelación.

En los umbrales mismos del Nuevo Testamento se nos da autorizada carta de presentación de Jesús de Nazaret, el Hijo de María la Virgen. Tal carta de presentación nos la relata el Santo Evangelio en la Anunciación que el Arcángel San Gabriel hace a la Virgen elegida por Dios para que a través de ella se cumplan las promesas realizadas por Dios a su pueblo: “No temas, María, porque has hallado gracia delante de Dios, y concebirás en tu seno y darás a luz un hijo, a quien pondrás por nombre Jesús. El será grande y llamado Hijo del Altísimo, y le dará el Señor Dios el trono de David, su padre, y reinará en la casa de Jacob por los siglos, y su reino no tendrá fin”. Lc. 1,30-33

Podríamos continuar con otra serie de textos entresacados del Evangelio, de las cartas del Apóstol San Pablo y del Libro del Apocalipsis. En todos ellos encontraríamos apoyatura más que suficiente para presentar a Nuestro Señor Jesucristo como verdadero y auténtico Rey del cielo y de la tierra, y a su Santa Iglesia como verdadero “reino de Cristo sobre la tierra”, destinada a extenderse a todos los hombres y a todas las naciones”(Quas Primas 10)

Todos los textos de la Sagrada Escritura gozan de la autoridad divina y son verdad infalible revelada por Dios que ni se engaña Él mismo, ni nos engaña a nosotros. Sería suficiente una sola referencia a la realeza de Cristo para que esta fuese una verdad e fe. No tenemos una, sino abundantes referencias. Sin embargo, quizás la verdad adquiera una carga de profundidad asombrosa y una severidad majestuosa y divina cuando brota de los labios mismos de Nuestro Señor Jesucristo.

“ Le dijo entonces Pilato: ¿Luego tú eres rey? Respondió Jesús: Soy rey, como tú dices. Yo para esto he nacido y para esto he venido al mundo, para dar testimonio de la verdad; todo el que es de la verdad oye mi voz”. Jn. 18, 37

La verdad que perseguimos acerca de la condición de Cristo la obtenemos de sus propias palabras, “soy rey”. Esta es la verdad testimoniada por quien ha venido al mundo para dar testimonio de ella. Todo el que es de la verdad oye la voz de Jesucristo y reconoce su testimonio: “Yo soy el Alfa y el Omega, el Principio y el Fin”. Él es, por lo tanto el Autor de la creación –el Alfa-, es la Meta de todo lo creado –el Omega-, es el “Rey de los reyes y Señor de los señores” Ap. 19, 16.

La Sagrada Tradición

El “sagrado depósito de la Revelación” se encuentra en la Sagrada Escritura y en la Sagrada Tradición de la Iglesia. Ambas fuentes de la Revelación contienen la verdad de fe acerca de la realeza de Nuestro Señor Jesucristo. “No hay ni un profeta, ni un evangelista, ni uno de los apóstoles que no le asegure su cualidad y sus atribuciones de rey” (M. Pie)

La Sagrada Liturgia de la Iglesia imbuida toda ella de piedad bebe en el sagrado depósito de la fe y expresa luego los contenidos mismos de la verdad católica , bien mediante la proclamación de la Palabra de Dios, bien mediante ritos y símbolos que expresan esa misma fe con toda su pureza. Así en la liturgia católica la Iglesia celebra y glorifica a Cristo como “a su Autor y Fundador como Soberano Señor y Rey de los Reyes”.

Los Padres de la Iglesia se expresan de igual manera, en sintonía absoluta con la Sagrada Revelación. Válgannos de muestra las palabras de San Cirilo de Alejandría:

“Posee Cristo el poder supremo sobre toda la creación, no por violencia ni por usurpación, sino en virtud de su misma esencia y naturaleza. Es decir, la autoridad de Cristo se funda en la admirable unión hipostática. De donde se sigue que Cristo no sólo debe ser adorado como Dios por los ángeles y por los hombres, sino que además, los ángeles y los hombres deben sumisión y obediencia a Cristo en cuanto hombre; en una palabra, por el solo hecho de la unión hipostática, Cristo tiene potestad universal sobre la creación”.

También el Supremo Magisterio de la Iglesia que custodia, profundiza y transmite fiel e íntegramente el Sagrado depósito de la fe propone como verdad la Realeza de Nuestro Señor Jesucristo.

Podemos afirmar que a Realeza de Cristo es una verdad dogmática, aunque no definida ex cáthedra, y que se apoya en la Sagrada Revelación y en el Magisterio infalible de la Iglesia.

Cristo es Rey Universal

Podemos afirmar que Nuestro Señor Jesucristo es Rey universal, tal es la enseñanza que se desprende de las palabras del Apóstol San Pablo: Jesucristo “es la imagen de Dios invisible, primogénito de toda criatura; porque en Él fueron creadas todas las cosas del Cielo y de la Tierra, las visibles y las invisibles, los Tronos, las Dominaciones, los Principados, las Potestades; todo fue creado por Él y para Él”.

“Todo fue creado por Él y para ÉL” y como consecuencia lógica no podemos establecer excepción alguna “allí donde Dios no ha dejado lugar a la excepción. El hombre individual y el jefe de familia, el simple ciudadano y el hombre público, los particulares y los pueblos, en una palabra, todos los elementos de este mundo terrestre, cualesquiera que sean, deben sumisión y homenaje al nombre de Jesús”.(M. Pie)

No hay excepción alguna ante la soberanía de Jesucristo tal y como lo expresa la carta a los Filipenses: “Dios lo levantó sobre todo y le concedió el “Nombre-sobre-todo-nombre”; de modo que al nombre de Jesús toda rodilla se doble en el cielo, en la tierra, en el abismo, y toda lengua proclame: Jesucristo es Señor, para gloria de Dios Padre”. Flp. 2, 9-11

Si todo fue creado por Él, entonces, todo le pertenece y tiene un dominio soberano sobre todas las cosas. Y si todo fue creado para Él, entonces todo debe tender hacia Él como hacia su fin último y supremo.


Cristo es Rey universal en cuanto que es Dios y posee el dominio sobre toda criatura, pero también en cuanto Hombre, ya que Él es el Hombre Dios que nos ha rescatado y redimido. En cuanto Hombre Redentor nos ha rescatado y por eso nos recuerda el Apóstol San Pablo que no hemos sido comprados ni con plata, ni con oro, sino al precio del Cuerpo y de la Sangre de Cristo.

Jesús manifiesta :”Todo poder me ha sido dado en el cielo y en la tierra”, es decir en el orden sobrenatural y en el orden natural. Es Rey en cuanto Dios, pero Rey también en cuanto Hombre Redentor de la humanidad ya que la Santísima Trinidad ha tenido la voluntad de dar a Jesucristo-Hombre un verdadero y absoluto poder real sobre todas las cosas.

Cuando decimos sobre todas las cosas queremos expresar el mundo invisible, y el mundo visible al que pertenecen los hombres y las sociedades.

Si Jesucristo ostenta todo poder en el cielo y en la tierra, entonces, no hay absolutamente ningún poder que esté sobre Él, por el contrario, todos están bajo su dominio y soberanía. No hay Reyes, ni Príncipes, Parlamentos, ni Cámaras que puedan sustraerse a la realeza de Cristo. Es más, todo poder de este mundo es participación del poder absoluto y supremo de Dios, por ello no puede ser ejercido en contra de su voluntad, ni de su santa ley. También el poder mundano está en función del fin último del hombre que es la gloria de Dios y bienaventuranza eterna.

Su reino no es de este mundo, por eso no conoce límites, ni fronteras, no depende de la elección de los hombres.

Su reino es universal y eterno, es el reino de la verdad y de la vida, un reino de justicia, de paz y de amor. Es un reino espiritual que en palabras del Papa Pío XI “Lo evangelios describen este reino como un reino cuyo ingreso exige una penitencia preparatoria, ingreso que a su vez sólo es posible por medio de la fe y del bautismo, el cual, si bien es un rito externo, significa y produce la regeneración desalma. Este reino se opone solamente al reinote Satanás y a la potestad de las tinieblas, y exige de sus súbditos no sólo que, con el desprendimiento espiritual de las riquezas y de los bienes temporales, observen una moral pura y tengan hambre y sed de justicia, sino que exige además la abnegación de sí mismos y la aceptación de la cruz”.

“Todo fue creado por Él y para ÉL”, tanto el hombre como la sociedad.


Si el fin último del hombre es Dios, el hombre como ser social no puede ignorar su finalidad última, y por lo tanto la sociedad debe tender también hacia su fin último y supremo, que es Dios. “Todo lo que contribuye a formar una sociedad debe estar impregnado de Dios” (A. Philippe), de tal manera que “cuando un Estado se constituye, tiene como primer deber el de poner como base de su Carta fundamental, de su legislación y todo lo demás, la más absoluta dependencia para con Dios y su más entera conformidad con la Ley Eterna” (A. Philippe). Ningún Estado está excusado de someterse a la Ley natural porque ésta, según las enseñanzas de San Pablo está grabada no en piedra, sino en los corazones de los hombres. Esta ley natural es ley divina. Y quienes negasen la existencia de Dios no están justificados ya que tal y como se expresa San Pablo en su carta a los Romanos, “la ira de Dios se manifiesta desde el cielo contra toda impiedad e injusticia de los hombres, que injustamente cohíben la verdad; puesto que lo que es dable conocer de Dios está manifiesto en ellos, ya que Dios se lo manifestó. Porque lo invisible de Él, su eterno poder y su divinidad, se hacen notorios desde la creación del mundo, siendo percibidos por sus obras, de manera que no tienen excusa; por cuanto conocieron a Dios y no lo glorificaron como a Dios, ni le dieron gracias” Rom. 1,18

De ninguna de las maneras, pues, se puede justificar la ignorancia de Dios y sería un atrevimiento tal que sólo se podría calificar de soberbia frente a Dios el mero intento de justificar lo que Él mismo no justifica.


En cuanto a las sociedades de mayorías cristianas, teniendo en cuenta que el hombre se encuentra sobre la tierra para prepararse a su fin último, que no es otro que la eterna bienaventuranza, “todas las instituciones sociales, todas las acciones y directivas políticas deben tener en cuenta esta verdad fundamental, de que el hombre no ha sido hecho para este mundo, sino para la Eternidad. Las Constituciones de los pueblos, su Legislación, las disposiciones jurídicas, administrativas, etc. Deben considerar primeramente y antes de cualquier otra cosa, el fin último de toda existencia humana. Toda política debe, en razón de este fin último, ser conforme a la Ley Eterna de Dios, al Credo y al Decálogo”. Afirmar lo contrario sería caer en una verdadera esquizofrenia personal y colectiva. Por un lado la persona individualmente buscaría a Dios y socialmente, la reunión de todas las voluntades, ignoraría su finalidad principal. Peor aún, ensalzaría el fin opuesto, la radical ignorancia de Dios.

En este sentido se han expresado en numerosas ocasiones los Vicarios de Cristo. Escuchemos, a modo de ejemplo, las palabras de Su Santidad Juan XXIII:

“Ningún desatino, sin embargo, parece más propio de nuestro tiempo como el de querer constituir un orden temporal estable y provechoso sin asentarlo, sobre el único cimiento capaz de darle consistencia, es decir, prescindiendo de Dios; así como querer hacer la grandeza del hombre cegando la fuente de que mana y se nutre esa grandeza, o sea, frenando y, si fuera posible, destruyendo el impulso de los espíritus hacia Dios. Los sucesos que han tenido lugar en esta edad, y que han acarreado tantos desengaños y arrancado tantas lágrimas a no pocos, confirman, por el contrario, con cuanta verdad fue escrito: “Si el Señor no edificara la casa, en vano trabajan los que tratan de edificarla” ( Mater et Magistra)


La misión que Cristo ha encomendado a su Iglesia

El evangelista San Mateo nos narra uno de los encuentros del Señor Resucitado con sus Apóstoles. En este encuentro reciben el mandato misionero, válido para ellos y para sus sucesores de todos los tiempos:

“Jesús, les dijo: Me ha sido dado todo poder en el cielo y en la tierra; id, pues; enseñad a todas las gentes, bautizándolas en el nombre del Padre, del Hijo y del Espíritu Santo, enseñándoles a observar todo cuanto yo os he mandado. Yo estaré con vosotros siempre hasta la consumación del mundo” Mc. 28,18-20

A la luz de esta palabras no ofrece duda que el Señor ha dispuesto que su Iglesia sea el instrumento que Él ha puesto en el mundo para la salvación de las almas. Sólo Ella, iluminada por la luz del Espíritu de Dios, puede iluminar, enseñar y dirigir a los hombres hacia su meta última. En esta función de Maestra la Iglesia no tiene a nadie por encima de Ella, y de esta misión encomendada por Cristo nace su derecho y su obligación de iluminar a los Pueblos sobre sus deberes.


Siempre ha tenido la Iglesia conciencia clara de la misión recibida: “En medio de los desórdenes actuales, es necesario recordar a los hombres que la Iglesia es, por su divina institución, la única arca de salvación para la humanidad. Fundada por el Hijo de Dios sobre San Pedro y sus sucesores, no solamente es la guardiana de las verdades reveladas, sino también la custodia necesaria de la ley natural. Por esto, hoy más que nunca se debe enseñar que la verdad liberadora tanto para los individuos como para las sociedades es la verdad sobrenatural en su plenitud y pureza, sin atenuación ni disminución ni compromisos, tal, en una palabra, como Nuestro Señor Jesucristo vino a traerla al mundo, tal como la confió a la custodia y magisterio de Pedro y su Iglesia”

Carta de la Santa Sede 1917-

La Iglesia es, pues, la custodia de las verdades reveladas y también de las verdades morales del orden natural. Cuando las naciones prescinden de Dios y de su Iglesia están completamente errados y corren el gravísimo riesgo de poner a sus ciudadanos en el peligro de no alcanzar el fin para el cual han sido creados.


El gran error de nuestro tiempo

El mayor error que ataca la soberanía de Cristo sobre los hombres y las naciones ha sido desenmascarado por los Papas. Así se expresaba Pío XI “Juzgamos peste de nuestros tiempos al llamado laicismo con sus errores y abominables intentos…Se comenzó por negar el imperio de Cristo sobre todas las gentes; se negó a la Iglesia el derecho, fundado en el derecho del mismo Cristo, de enseñar al género humano, esto es, de dar leyes y de dirigir los pueblos para conducirlos a la eterna felicidad. Después, poco a poco, la Religión Cristiana fue igualada con las demás religiones falsas, y rebajada indecorosamente al nivel de éstas. Se la sometió luego al poder civil y a la arbitraria permisión de los gobernantes y magistrados. Y se avanzó más: Hubo algunos de éstos que imaginaron sustituir la Religión de Cristo con cierta religión natural, con ciertos sentimientos puramente humanos. No faltaron Estados que creyeron poder pasarse sin Dios, y pusieron su religión en la impiedad y en el desprecio de Dios.” -Quas Primas 23-

Ante esta situación, detalladamente descrita por el Sumo Pontífice, y que se corresponde literalmente con la situación de nuestros días se abre para los católicos un verdadero campo de batalla, un objetivo principal y supremo: Instaurar todas las cosas en Cristo.

Este fue el lema de Su Santidad Pío X. Sus palabras y sus indicaciones son el mejor objetivo que hoy pudiéramos y bebiéramos marcarnos:


“No, es necesario decirlo de nuevo enérgicamente en estos tiempos de anarquía social e intelectual en los que cada uno se erige en doctor y legislador…no se levantará la ciudad sino como Dios la ha levantado, no se edificará la sociedad si la Iglesia no pone los cimientos y dirige sus trabajos. No, la civilización no está por inventar, ni la ciudad nueva por construir en las nubes. Ha existido, existe; es la civilización cristiana, es la CIUDAD CATÓLICA. No se trata más que de instaurarla y restaurarla sobre sus naturales y divinos fundamentos contra los ataques siempre renovados e la utopía nociva, de la rebeldía y de la impiedad: Omnia Instaurare in Christo” .

Acabamos de asistir en Europa a un nuevo asalto del laicismo ante la impasibilidad de los católicos y del resto de los cristianos, la negativa a reconocer las raices cristianas de Europa , aunque el mero reconocimiento estaría por debajo de los mínimos exigibles ya que lo propio sería el reconocimiento gozoso de la Realeza de Cristo y la búsqueda de inspiración en sus santa Ley. Ante tal espectáculo recobran rabiosa actualidad las palabras del Papa Pío XI “Cuanto mayor es el indigno silencio con que se calla el dulce nombre de nuestro Redentor en las conferencias internacionales y en los Parlamentos, tanto más alta debe ser la proclamación de ese nombre por los fieles y la energía en la afirmación y defensa de los derechos de su real dignidad y poder” -Quas Primas-.

Venga a nosotros tu reino… y líbranos del Mal

La ciudad secularizada es una triste realidad en nuestros días. Los frutos son también evidentes.


“Estamos tentando a Dios si creemos que podremos conservar la fe en un mundo descristianizado en el que sólo se nos ofrecen incitaciones a la mundanidad en todos los sentidos, ¿conservarán la fe nuestros hijos si asisten a una escuela anticristiana, si escuchan mayoritariamente desfiguraciones racionalistas del contenido de la religión, si se ponen a su alcance un cúmulo de obras de teatro, de películas cuyo contenido es esencialmente anticristiano? Muchos son los que están naufragando en su fe en este tiempo y muchos son, desgraciadamente, los que lo harán” -J.M. Petit-

El drama es de proporciones gigantescas y el sufrimiento de los corazones católicos es todavía más desgarrador cuando contemplan estupefactos las complicidades y los guiños que no pocos “hombres de Iglesia” hacen a la Revolución. El pecado de los “perros mudos” de nuestros días es doble ya que no sólo no “ladran ante el enemigo”, es que a menudo sólo ladran, atacan y muerden a los de la propia casa. ¡Ay de vosotros cuando llegue al dueño de la casa!...
fonte:devoción católica