quarta-feira, 30 de março de 2011

S. Ecc. Mons. Mario Oliveri, Vescovo di Albenga-Imperia : LA RISCOPERTA DI ROMANO AMERIO



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Pubblichiamo un articolo di S. Ecc. Mons. Mario Oliveri,
Vescovo di Albenga-Imperia

apparso sul n° di giugno 2009 di
Studi Cattolici
Mensile di studi e attualità


via Stradivari, 7, 20131 Milano

L'articolo in formato pdf


La riscoperta di Romano Amerio




Nel 1985, l’Editore Ricciardi pubblicava un corposo e accurato studio di Romano Amerio, dal titolo Iota Unum - Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX. Ora, due altre Case editrici hanno annunciato la riedizione di quel libro di 656 pagine [Fede e Cultura -Verona e Lindau -Torino], 
e la cosa è vista in diversi ambienti come di notevole significato e interesse. Anche L’Osservatore Romano, che a quello studio, al suo primo apparire, non aveva dato attenzione, adesso ha mostrato interesse. Anzi, il giornale della Santa Sede aveva già riportato significativa informazione circa un Convegno di studio riguardante la personalità e l’opera letteraria, filosofica e teologica del pensatore di Lugano.
Nel 1985, l’Editore Ricciardi pubblicava un corposo e accurato studio di Romano Amerio, dal titolo Iota Unum - Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX. Ora, due altre Case editrici hanno annunciato la riedizione di quel libro di 656 pagine [Fede e Cultura -Verona e Lindau -Torino], e la cosa è vista in diversi ambienti come di notevole significato e interesse. Anche L’Osservatore Romano, che a quello studio, al suo primo apparire, non aveva dato attenzione, adesso ha mostrato interesse. Anzi, il giornale della Santa Sede aveva già riportato significativa informazione circa un Convegno di studio riguardante la personalità e l’opera letteraria, filosofica e teologica del pensatore di Lugano.

Un’opera silenziata

Al primo apparire dello studio di Romano Amerio non fu certamente soltanto L’Osservatore Romano a fare silenzio su l’opera che era stata concepita per far riflettere, per far pensare, per richiamare al rigore di ragionamento dell’intelletto umano. L’opera da moltissimi ambienti di cultura (soprattutto di cultura religiosa, di cultura teologica) era stata ignorata, condannata proprio al silenzio. Da altri ambienti, invece, ahimè, era stata pregiudizialmente bollata come scritto anti-conciliare, tipico esempio di un rifiuto del pensiero nuovo, dell’era nuova, della nuova pentecoste, della nuova primavera dello spirito; frutto di una mens che si meraviglia che da un nuovo incessante pensare nasca necessariamente una nuova azione, un nuovo modo di azione, e dunque di impostare tutta la missione della Chiesa: se la Chiesa ha di sé stessa una nuova concezione - e questo era in quel tempo il modo di ragionare dominante di molta letteratura che si presentava come cattolica -, se dal Concilio è nata una nuova ecclesiologia, perché non accogliere una nuova pastorale, nuovi metodi di azione all’interno di tale nuova Chiesa, perché non accettare che un pensiero che sempre si rinnova, che sempre si autocrea, generi un continuo cambiamento nell’azione, un progresso indefinito, verso qualcosa che resta sempre necessariamente indefinito?

Non si meravigli il lettore della descrizione dell’ambiente che prevaleva dentro la Chiesa quando l’opera di Amerio fu pubblicata. Non poteva sicuramente dare buona attenzione al pensiero di Amerio chi era ormai convinto che il Concilio Vaticano Il rappresentasse una vera discontinuità con quello che la Chiesa aveva per secoli, nel passato, insegnato, operato, vissuto. Diffusissima era la mentalità secondo la quale il Vaticano II fu davvero una rivoluzione, una svolta (cambiamento di direzione), un mutamento radicale o sostanziale (benché non si adoperasse quest’ultimo termine, poiché sostanza era un concetto appartenente a una filosofia superata, superata dal pensiero filosofico moderno ... ).
Per molti, moltissimi, il mettere a silenzio, il rifiutare il pensiero di Amerio era naturale, era anzi un dovere: nessuno poteva permettersi di ingenerare dubbi di qualsiasi natura sul Vaticano II, se non – tutt’al più - per dire che esso era stato ancora troppo prudente, e che quindi era necessario andare oltre, poiché sempre si deve andare oltre.

Ragionamento sempre lineare

Se qualcuno ritenesse eccessivo questo discorso, avrebbe senz’altro la possibilità di tentare di mostrare il perché la pensa in tal modo. Così, quelli che ritenevano, allora, eccessivo il ragionamento di Romano Amerio (in verità sempre lineare, sempre ben articolato, di immediata comprensione) avrebbero potuto instaurare un dialogo (che peraltro propugnavano come la vera formula di ogni progresso nel pensiero e nell’azione e nel trovare la concordia), avrebbero potuto tentare di dimostrare perché la filosofia che sottostava a tutte le pagine di quel libro non era più accettabile, benché fosse stata la filosofia comune all’interno della Chiesa, per secoli, superando cambiamenti storici (sempre accidentali), epoche molto travagliate nella vita della Chiesa e nella vita del mondo. Non lo fecero: tacquero o rifiutarono in blocco, senza dire le ragioni del rifiuto.

Perché ora, qui e là, sembra esservi a riguardo del pensatore di Lugano una qualche attenzione, un atteggiamento un poco mutato?
Forse perché, almeno in certi ambienti ecclesiali (non però sicuramente in tutti) ci si sta accorgendo, e quasi si sta costatando, che senza continuità di pensiero, e quindi nell’azione; che senza continuità nella conoscenza e nell’adesione alla verità conosciuta, non è possibile fare un discorso serio su alcuna cosa, non è possibile dire una parola che valga la pena di ascoltare, di credere, di trasmettere, di farne la base per l’umano comportamento, per l’umano vivere?

Continuità della Tradizione

Si sta forse prendendo atto che là dove il Concilio Vaticano II è stato interpretato come discontinuità con il passato, come rottura, come rivoluzione, come cambiamento sostanziale, come svolta radicale, e dove è stato applicato e vissuto come tale, è nata davvero un’altra chiesa, ma che non è la Chiesa vera di Gesù Cristo; è nata un’altra fede, ma che non è la vera fede nella divina Rivelazione; è nata un’altra liturgia, ma che non è più la Liturgia divina, ma che non è più la Liturgia tutta intessuta di Trascendenza, di Adorazione, di Mistero, di Grazia che discende dall’Alto per rendere davvero nuovo l’uomo, per renderlo capace di adorare in Spirito e Verità; si è andata diffondendo una morale della situazione, una morale che non è ancorata se non al proprio modo di pensare e di volere, una morale relativistica, a misura del pensiero non più sicuro di nulla, perché non più aderente all’essere, al vero, al bene.

Se i timidi segnali di interesse e di considerazione nei confronti di un pensatore che fu mosso da amore per la verità e dunque da amore per la Chiesa, la quale non ha innanzitutto da compiere alcunché se non trasmettere la Verità della divina Rivelazione (e tutto quello che essa comporta), come è stata recepita e vissuta nel corso dei secoli dalla Chiesa di Gesù Cristo, guidata dallo Spirito Santo, ha rilevato con assoluta onestà le variazioni della Chiesa cattolica del secolo XX, ne ha mostrato l’incongrucnza con la Traditio Ecclesiae, con quanto cioè nei secoli era stato dalla Chiesa creduto, insegnato, trasmesso con un linguaggio che non può dire nova (cose nuove, verità nuove), ma tutt’al più nove (in modo nuovo); se tali segnali di interesse e considerazione sono segni reali e dovessero ancor crescere diffusamente, si potrebbe sperare che i tempi del disorientamento in molta Filosofia e in altrettanta Teologia stiano per essere superati per lasciare spazio a un pensiero corrispondente alle essenze, alla realtà delle cose, alla sostanza delle cose, sostanza che non muta, che non può mutare, neppure quando mutano gli accidenti, le forme esterne, le espressioni contingenti, che non costituiscono il quid est di una cosa.

È tuttavia assai dura a morire la mentalità secondo la quale il Concilio Vaticano II sia stato quasi una rifondazione della Chiesa nei tempi moderni, e che con esso la Chiesa abbia fatto pace con il mondo, si sia rappacificata con la modernità, con la filosofia diventata quasi esclusiva negli ultimi secoli, secondo la quale tutto è sempre in fieri, tutto si evolve, tutto dipende dal pensiero creativo dell’uomo, tutto è in suo totale potere.

Non solo interpretazioni

Un’altra idea, molto diffusa, continua a essere sostenuta: quella secondo la quale ci sarebbero state senza dubbio delle variazioni di rilievo, negative, dopo il Concilio Vaticano Il, ma esse sarebbero esclusivamente dovute a erronee interpretazioni del Vaticano II, il quale dovrebbe considerarsi tutto perfetto in sé stesso e che non conterrebbe nei suoi testi nulla, assolutamente nulla, che possa dar adito a cattive interpretazioni.
Questo modo di pensare non tiene conto che i cattivi interpreti, postconciliari, del Concilio, hanno - non pochi - lavorato dentro il Concilio, i cui testi mostrano in diversi punti l’influsso dei novatores: in diversi testi sta qualche radice che favorisce la cattiva interpretazione.
Peraltro coloro che si appellano al cosiddetto «spirito del Concilio» per superarne la lettera, per giustificare l’ermeneutica della discontinuità radicale, sarebbero così poco intelligenti e avveduti da creare il loro ragionamento partendo dal nulla, dall’inesistente? O partendo da documenti - quelli del Concilio - che con nessuna delle loro espressioni potrebbero far pensare a novità rispetto al Magistero della Chiesa nei secoli, negli ultimi secoli, nell’ultimo Pontificato prima del Vaticano Il?

Nei documenti conciliari non vi sarebbe proprio traccia di quella mentalità che esisteva chiaramente all’interno del Concilio e che il cardinal Joseph Ratzinger descrive nel suo libro-autobiografia (La mia vita) in questi termini: «Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione. Sempre più il Concilio pareva assomigliare a un grosso parlamento ecclesiale che poteva cambiare tutto e rivoluzionare ogni cosa a modo proprio ... Le discussioni conciliari venivano sempre più presentate secondo lo schema partitico tipico del parlamentarismo moderno» (pp. 97-98). «Alla fine “credere” significava qualcosa come “ritenere”, avere un’opinione soggetta a continue revisioni» (p. 90).

Dal fenomeno al fondamento

A questo punto, sono contento di poter riprodurre per i lettori della prestigiosa rivista Studi cattolici quanto scrivevo, nel 2005, a modo di prefazione al libro Romano Amerio. Della verità e dell’amore (Marco Editore), di Enrico Maria Radaelli, con Introduzione del prof. Antonio Livi:
«La persona e l’opera intellettuale di Romano Amerio inducono a riflessione; toccano l’essenza della Filosofia e dunque della Teologia. La vera intelligenza della fede non può aversi se non all’interno di un pensiero che ha come suo oggetto la verità, e altresì la certezza della possibilità di raggiungere la verità e di conoscere la verità, di raggiungerla con corretto ragionamento razionale o di accoglierla dall’alto, dopo aver compreso che tale verità va accolta e che essa mai è contro l’intelligenza.
«Non è infatti contro l’intelligenza aderire a una verità superiore all’umana intelligenza, superiore all’umano procedere delI’intelligenza, ma illuminante le reali profondità dell’essere, e che eleva la conoscenza dell’uomo sino a raggiungere la Verità di Dio, della sua divina Parola, del suo Verbo.
«Romano Amerio fu mirabilmente convinto che fede e intelligenza debbono necessariamente incontrarsi, non possono mai essere in contraddizione e in vero contrasto. Egli capì in maniera davvero chiara che non si fa Teologia senza la vera Filosofia, e che questa non perde nulla della propria natura che le viene da Dio, quando si lascia illuminare dalla Verità di Dio, dalla Verità rivelata.
«Tutto il filosofare di Romano Amerio è guidato da fondamentali certezze, senza le quali non è più possibile intendersi, trasmettere la conoscenza di ciò che è, non di ciò che appare. Ecco perché filosofare è sempre un “passare dal fenomeno al fondamento”, come giustamente rileva Antonio Livi; è un passare dall’apparenza delle cose alla sostanza od essenza delle cose; è sempre un superamento degli accidenti per giungere alla sostanza; è sempre un superare ciò che muta, che si presenta in mutevoli modi e forme, per cogliere l’immutabilità dell’essere, dunque dell’essenza. delle cose. È dall’immutabilità dell'essenza delle cose che dipende l’immutabilità della conoscenza, dunque della verità, delle cose.
«Abbiamo perciò il primato dell’essere, abbiamo il primato della verità, abbiamo il primato della conoscenza, abbiamo il primato dell’intelligenza sulla volontà e sull’azione (“nihil volitum quin precognitum”). L’“agere sequitur esse”, l’agere deve conformarsi all’esse, deve conformarsi alla verità.
«Da quanto detto, si comprende perché Romano Amerio, da filosofo e da credente, da cristiano, da cattolico, non ha potuto distogliere il suo sguardo da certi modi di fare teologia, da certi modi di fare magistero all’interno della Chiesa; non ha potuto - poiché allora avrebbe tradito la verità e il bene - disinteressarsi della vita della Chiesa, che non è più concepibile nella sua vera essenza se non deriva dalla Verità e se non tende alla Verità, alla perfetta trasmissione e conoscenza della Verità di Dio.
«Egli fu tra i più convinti che non sono possibili mutamenti sostanziali nella conoscenza della verità e tanto meno nella trasmissione della Verità rivelata; non sono perciò possibili rivoluzioni e mutamenti sostanziali nella verità e nella vita della Chiesa. Ciò che muta è accidentale, mai sostanziale; mutano gli accidenti, non le essenze.
«I suoi scritti, il suo amore alla verità e alla Chiesa, furono da molti non accolti bene, giudicati male, non compresi. Essi meritano una migliore, più spassionata, più vera conoscenza. Il suo severo giudizio sulle nuove impostazioni teologiche, e talora anche su certe posizioni magisteriali degli ultimi decenni della vita della Chiesa, partiva da convinzioni di ragione c di fede che tenevano conto sia del retto filosofare sia della totale Traditio Ecclesiae, che è la vera garanzia circa la conoscenza della Verità rivelata.
«Egli ebbe anche lucida conoscenza delle condizioni dentro le quali il magistero della Chiesa diventa sicura garanzia della Verità rivelata. Quelle condizioni debbono verificarsi tutte, perché l’intelligenza possa comprendere che deve piegarsi alla Verità, che è tanto più alta e vincolante quanto più essa è superiore all’umana intelligenza».


† Mario Oliveri
Vescovo di Albenga-Imperia
 
http://www.unavox.it/ArtDiversi/div098_Oliveri_Amerio.html