sábado, 17 de dezembro de 2016

S. Alfonso Maria de Liguori Meditazioni per li giorni della novena di Natale


quinta-feira, 17 de dezembro de 2015

MEDITAZIONE I : "Figlio, io t'ho dato al mondo per luce e vita delle genti, acciocché procuri loro la salute ch'io stimo tanto come se fosse la salute mia."

Meditazioni per li giorni della novena di Natale


- 180 -


MEDITAZIONE I.
Dedi te in lucem gentium, ut sis salus mea usque ad extremum terrae (Is. XLIX, 6).
Considera come l'Eterno Padre disse a Gesù bambino nell'istante della sua concezione queste parole: Dedi te in lucem gentium, ut sis salus mea. Figlio, io t'ho dato al mondo per luce e vita delle genti, acciocché procuri loro la salute ch'io stimo tanto come se fosse la salute mia. Bisogna dunque che tutto t'impieghi in beneficio degli uomini. Totus illi datus, totus in suos usus impenderis (S. Bernardo, serm. 3, in Circ.).1 Bisogna però che nascendo tu patisca un'estrema povertà, acciocché l'uomo diventi ricco, ut tua inopia dites.2 Bisogna che sii venduto come schiavo per acquistare all'uomo la libertà; e che come schiavo sii flagellato e crocifisso, per soddisfare alla mia giustizia la pena dall'uomo dovuta; bisogna che dia il sangue e la vita per liberare l'uomo dalla morte eterna. In somma sappi che non sei più tuo, ma sei dell'uomo. Parvulus... natus est nobis, [et] Filius datus est nobis (Is. IX, 6). Cosi, Figlio mio diletto, l'uomo si arrenderà ad amarmi e ad esser mio, vedendo ch'io gli dono tutto te, mio Unigenito, e che non mi resta più che dargli.
Sic... Deus - o amore infinito, degno solamente d'un Dio infinito - sic... Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum

- 181 -




daret (Io. III, 16). A questa proposta Gesù bambino non già si attrista, ma se ne compiace, l'accetta con amore ed esulta. Exsultavit ut gigas ad currendam viam (Ps. XVIII, 6). E dal primo punto della sua Incarnazione egli ancora si dona tutto all'uomo ed abbraccia con piacere tutti i dolori e le ignominie che deve soffrire in terra per amore dell'uomo. Questi furono, dice S. Bernardo, i monti e le colline che dovè con tanti stenti passare Gesù Cristo, per salvare gli uomini: Ecce iste venit saliens in montibus, transiliens colles (Cant. II, 8).3 - Pondera qui che il divin Padre mandando il Figlio ad esser nostr o Redentore e paciere tra esso e gli uomini,si è obbligato in certo modo a perdonarci ed amarci per ragion del patto di ricevere noi nella sua grazia, posto che 'l Figlio soddisfaccia per noi la sua divina giustizia. All'incontro il divin Verbo, avendo accettata la commissione del Padre, il quale, mandandolo a redimerci, a noi lo donava, egli anche si è obbligato ad amarci, non già per nostro merito, ma per eseguire la pietosa volontà del Padre.

Affetti e preghiere.
Caro mio Gesù, s'è vero - come dice la legge - che colla donazione si acquista il dominio; giacché il vostro Padre vi ha donato a me, voi siete mio; per me siete nato, a me siete stato datoParvulus... natus est nobis, [et] Filius datus est nobis. Dunque ben posso dire: Iesus meus et omnia. Giacché voi siete mio, tutte le cose vostre ancora son mie. Me ne assicura il vostro Apostolo: Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. VIII, 32). Mio è il vostro sangue, miei sono i vostri meriti, mia è la vostra grazia, mio è il vostro paradiso. E se voi siete mio, chi mai potrà togliervi da me? Deum a me tollere nemo potest, così diceva con giubilo S. Antonio abbate.4

- 182 -

Così da oggi avanti voglio andar dicendo ancor io. Solamente per mia colpa io posso perdervi e separarmi da voi; ma io, o Gesù mio, se per lo passato vi ho lasciato e v'ho perduto, ora me ne pento con tutta l'anima, e sto risoluto di perdere la vita e tutto, prima che perdere voi, bene infinito ed unico amore dell'anima mia.
Vi ringrazio, o Eterno Padre, di avermi donato il vostro Figlio; e giacché voi l'avete donato tutto a me, io miserabile mi dono tutto a voi. Per amore di questo medesimo Figlio, voi accettatemi e stringetemi co' lacci d'amore a questo mio Redentore; ma stringetemi tanto ch'io possa ancora direQuis me separabit a caritate Christi?5 Qual bene mai del mondo avrà più da separarmi da Gesù Cristo mio? E voi mio Salvatore, se siete tutto mio, sappiate ch'io son tutto vostro. Disponete di me e di tutte le mie cose come vi piace. E come posso negar niente a un Dio che non mi ha negato il sangue e la vita?
Maria, madre mia, custoditemi voi colla vostra protezione. Io non voglio esser più mio, voglio essere tutto del mio Signore. Voi pensate a rendermi fedele; in voi confido.

S. Alfonso Maria de Liguori Meditazioni per li giorni della novena di Natale



S. Alfonso Maria de Liguori
Meditazioni
per li giorni della novena di Natale

I Edizione IntraText CT
Copyright Èulogos 2007 - Vedi anche: Crediti

IntraText CT è il testo ipertestualizzato completo di liste e concordanze delle parole.
AiutoIn generale - Testo e ricerca - Liste - Concordanze - Glossario - Per leggere meglio

- Indice -


segunda-feira, 12 de dezembro de 2016

COME PREGARE QUESTO DIO CHE SFUGGE? Divo Barsotti

: quanto più lo cerchiamo, tanto più Lui sembra allontanarsi
«Che tipo di rapporto possiamo stabilire noi con il Signore, trascendenza infinita, al di là del tempo e dello spazio?» 
 di Andrea Fagioli 
   FIRENZE. Nelle ultime pagine di un suo diario ha scritto di non saper pregare. Proprio lui, don Divo Barsotti , fondatore di una comunità contemplativa, conosciuto per i suoi studi di spiritualità e le meditazioni sui misteri cristiani, che passa ore e ore nella cappella del suo piccolo eremo intitolato all'espressione più alta del monachesimo russo, San Sergio.
   
   «Quando uno vuol pregare - spiega a bassa voce l'anziano sacerdote, originario di Palaia, in provincia di Pisa -, gli sembra sempre di non saper pregare, perché pregare vuol dire entrare in comunione con Dio. E questo Dio ci sfugge. Da una parte ci attira e non possiamo fare a meno di cercarlo; dall'altra, quanto più lo cerchiamo tanto più Lui sembra allontanarsi. E' un gioco quello a cui Dio ci sottopone». E per spiegare il «gioco» Barsotti ricorre a Sant'Agostino, «che a proposito della Grazia divina, diceva che è come porgere una noce a un bambino. Il bambino corre per prenderla e se ci allontaniamo lui corre
ancora di più. Così il Signore fa con noi: si allontana perché camminiamo più veloci verso di Lui». 
   Ancora una volta siamo saliti a Settignano, a Casa San Sergio, per ascoltare «il padre», come lo chiamano i «suoi», per ascoltare questo mistico che alla soglia degli 87 anni (li compirà il 25 aprile prossimo) stupisce per la profondità e la lucidità delle sue riflessioni. E'
dal 1955 che vive qui, in quest'oasi di silenzio e preghiera a due passi da Firenze. La vuole così da quando ha fondato la Comunità dei Figli di Dio per vivere in mezzo al mondo una spiritualità di carattere monastico, basata sul primato dell'esercizio delle virtù teologali
(fede, speranza, carità) e sul primato dei valori contemplativi del silenzio e della preghiera. 
   Ma se gli chiediamo cos'è la preghiera, lui risponde che dobbiamo prima chiederci se esiste: «Che rapporto possiamo stabilire noi con un Dio che è trascendenza infinita, che è al di là del tempo e dello spazio? Come mai l'uomo, nonostante tutto, ha sempre creduto di poter stabilire con Dio questo contatto che sembra impossibile?». Semplice e difficile al tempo stesso la risposta: «Perché il Dio in cui crediamo - dice Barsotti - è il Dio dell'alleanza, che ha voluto stabilire un rapporto, che ha reso possibile un incontro nostro con Lui. Ma ancora non è una risposta vera. La preghiera presuppone un grande mistero,
il mistero dell'Incarnazione. Dio si è fatto uomo. Facendosi uomo può parlarmi e io posso parlare a Lui. La comune natura rende possibile un contatto, un incontro. E la preghiera per i cristiani è proprio questo: parlare ad una persona vivente».  
   Allora, se la preghiera è possibile, cos'è? «E' questa unione con Dio. E' vivere una unione per la quale noi ci doniamo a Lui e Lui si dona a noi. Ma tutto è possibile perché è Dio che ha preso l'iniziativa. Dunque, è lui che prega. La preghiera nostra presuppone Lui. Non potremmo parlare a Lui senza che prima Lui parli a noi. E la nostra preghiera tanto più è vera, quanto più noi sentiamo che è Lui il primo che parla, il primo che entra nella nostra vita. E ci dà la speranza, ci viene in soccorso, ci conosce e ci ama. La preghiera presuppone dunque prima di tutto la fede». 
   E' la fede - prosegue don Barsotti - che dà la possibilità della preghiera. Il dono che l'uomo fa di sé a Dio è il dono della sua povertà e dei suoi peccati. Lui non può chiederci altro, anche perché l'unica cosa che non ha è il peccato. Lo riceve da noi. Si è fatto uomo
per addossare su di sé le nostre pene e i nostri peccati. Mentre tutto nella nostra vita sembra cadere nel vuoto, Dio alimenta in noi una speranza che sembra assurda, la speranza di una vita immortale. La preghiera è dunque uno scambio di vita: Dio si fa uomo e prende sopra di sé la nostra povertà, ma noi prendiamo di Lui tutto quello che egli è.
Nemmeno il Paradiso ci interessa più: abbiamo più che il Paradiso se abbiamo Lui». 
   E se qualcuno chiedesse a don Barsotti «insegnami a pregare», cosa risponderebbe il sacerdote teologo e poeta? «Prima di tutto gli direi che Dio è con lui, che gli parla, che lo ama. Se si riesce a pensare che c'è un Dio che ci ama, la preghiera nasce da sola. Una delle cose più grandi per l'uomo è sentire che vi è un'altra creatura che lo ama, che pensa a lui. Sentirsi pensati, amati, è la gioia più grande. Non per nulla il fidanzamento è il periodo più ricco che l'uomo viva, perché è un rapporto d'amore che nasce dalla consapevolezza e dall'esperienza di amare e di essere amati. Allora, se si vuole vivere la preghiera, prima di tutto si deve pensare che Dio è reale, che non è soltanto una immensità, non è soltanto la verità, non è soltanto la gioia, non è soltanto l'amore: è una persona. Alla fidanzata non si chiede altro che esistere».
   «Chiedete e vi sarà dato», dice il Vangelo. Dunque, nella preghiera si possono chiedere cose anche molto terrene? «Possiamo chiedere tutto - risponde Barsotti -. Dio viene incontro a noi così come siamo e noi siamo di carne, siamo piccoli. Dio non dimentica la nostra povertà e la nostra pochezza. Ci ha detto Lui stesso di chiedere il pane quotidiano,
ovvero tutto quello che riguarda i bisogni elementari dell'uomo. Con Dio siamo in un rapporto di amicizia, anche se un po' strano, perché da una parte c'è Lui che è tutto e dall'altra ci siamo noi che siamo nulla. Ma se Lui ci ama così come siamo deve venire incontro ai bisogni reali dell'uomo, che sono anche quelli dello stipendio, di un amore umano, di una certa felicità, di un certo successo, anche sul piano sociale. Tutto questo il Signore lo sa. Non ci condanna per il fatto che sentiamo questi bisogni. Ma se fossimo presi dall'amore di Dio questi bisogni cadrebbero. Anche un giovane quando comincia ad
amare una ragazza fin tanto che non è riamato sente la vita inutile: è una cosa terribile.
   
   Quando però avverte di essere amato, sente di possedere tutto. Chi è convinto di essere amato da Dio può fare a meno di tutto. In questo senso la preghiera ci spoglia dei nostri bisogni, perché è un dono più grande di quanto possono esserlo i bisogni dell'uomo». 
                                                                
                                                                   Andrea Fagioli 

Dio non ha fede / Don Divo Barsotti

 /  

1422181953_st-paul-conversionChe cos’è la fedeltà dell’uomo a Dio? È il suo amore. L’amore cioè dell’uomo verso Dio è come l’amore della donna verso l’uomo: è abbandono, è il lasciarsi possedere, è l’essere dell’altro, è un accettare di essere amati, è un lasciarsi possedere da chi ci ama.
L’amore in san Paolo ha un carattere di iniziativa; se ha carattere di iniziativa non può essere proprio dell’uomo nei confronti di Dio; l’amore dell’uomo in senso proprio è quando l’uomo ha iniziativa, e allora questo amore è soltanto nei riguardi degli altri, perché io posso amare davvero di amore cristiano quando non ti amo perché mi hai fatto del bene, ma ti amo indipendentemente da questo; ti amo di amore preveniente, di amore disinteressato, di un amore in cui l’uomo ha l’iniziativa come in Dio. Dio mi ama: non ha fede, Dio, ama; è l’uomo che ha fede; ma la fede nell’uomo se è amore è abbandono, è un volersi lasciare amare, è un lasciarsi possedere da Colui che ti ha scelto.
In san Paolo la vita cristiana è nei riguardi di Dio fede, e nei riguardi del prossimo amore. Ma la fede che dice tutto il rapporto dell’uomo nei confronti di Dio non è una fede senza amore, perché tu non puoi lasciarti possedere da un altro se tu non ami: sarebbe prostituzione donarsi senza amore. Sarebbe prostituzione voler che Dio avesse ogni diritto su noi se noi di fatto non lo amassimo; ma il nostro modo di amare è precisamente accettare di essere amati, è precisamente il rispondere a questo amore divino col dirgli sì: «Tu mi vuoi, ecco sono qui, voglio essere tuo». Questa è la fede.

Don Divo Barsotti e la “vita angelica” dei Cristiani in terra



PDFStampaE-mail
Don Divo Barsotti e la “vita angelica” dei Cristiani in terraDivio Barsotti, settimo di nove figli, era nato a Palaia (PI) il 25 aprile 1914. A undici anni entra nel seminario di San Miniato e verrà ordinato sacerdote il 4 luglio 1937.  Pochi anni dopo l’ordinazione sacerdotale, per interessamento di Giorgio La Pira, si  trasferì a Firenze, dove  iniziò la sua attività di predicatore e di scrittore. Oggi è unanimemente riconosciuto come mistico, e come uno degli scrittori di spiritualità cattolica più importanti del secolo ventesimo. La sua produzione letteraria è notevolissima: più di 150 libri, molti dei quali tradotti in lingue straniere, e diverse centinaia di articoli presso quotidiani e riviste di spiritualità. Ha scritto commenti alla Sacra Scrittura, studi su vite di santi, opere di spiritualità, diari e poesie. Tra i suoi testi più importanti: Il Mistero Cristiano nell’anno liturgico, Il Signore è uno, Meditazioni sull’Esodo, La Teologia spirituale di san Giovanni della Croce, La religione di Giacomo Leopardi, La fuga immobile. Ha fondato la “Comunità dei figli di ... 
...   Dio”, famiglia religiosa di monaci, formata da laici consacrati che vivono nel mondo e religiosi che vivono in case di vita comune; in tutto, circa duemila persone. Vicino alla sensibilità del Cristianesimo orientale, Barsotti ha, tra gli altri, anche la Russia quali Sergio di Radonez, Serafino di Sarov, Silvano del Monte Athos, con il suo lavoro “Cristianesimo russo”. Nel 1972 è stato chiamato a predicare gli Esercizi spirituali in Vaticano al Papa. Ha insegnato teologia per più di trent’anni presso la Facoltà teologica di Firenze e ha vinto diversi premi letterari come scrittore religioso.
E’ vissuto con i suoi giovani monaci in un piccolo monastero dedicato a san Sergio di Radonez, nelle pendici dei colli di Firenze e lì è morto il 15 febbraio 2006. Barsotti parla della vita angelica dei cristiani sulla terra nel suo libro: “ La preghiera”. Lavoro del cristiano” edito dalle edizioni San Paolo nel 2005. e scrive:  “Bios anghelicòs”. Nella vita angelica, la vita contemplativa si associa alla vita attiva; gli Angeli sono al servizio degli uomini nello stesso tempo che adorano Dio. Potremo pensare a una vita contemplativa che ci separi dai nostri fratelli, non e così: gli angeli che contemplano incessantemente Dio sono gli stessi che ti guidano nella vita e ti conducono nelle vie del Signore.
La vita contemplativa nel Cristianesimo non separa dai fratelli, ma importa un superamento, un trascendere e abbracciare ogni cosa. Solo l’amore può realizzare questa vita. Noi vivremo la vita angelica se vivremo dinanzi al trono di Dio come rappresentanti dei nostri fratelli. Il fatto d’impegnarti per gli uomini non ti deve distogliere da Dio.
La vita contemplativa non deve essere per te una dispensa della vita attiva, non può essere in nessun modo un pretesto perché tu ti senta meno impegnato nella salvezza degli uomini. Allora soltanto tu realizzerai il tuo ideale in modo perfetto quando, vivendo la tua vita contemplativa dinanzi a Dio, vivrai come colui che è a servizio di tutti i fratelli, e tutti li porta nel cuore davanti al Signore.
E’ questa la vita angelica, l’ideale di vita che tu devi realizzare. (…). Dobbiamo vivere nel mondo, in nessun modo sottrarci al mondo, ma vivere nel mondo come una rivelazione dell’Invisibile, essere nel mondo una rivelazione di Dio. Vivere nel mondo, in unione con tutti i fratelli, in continuo rapporto con loro di amore, di servizio…eppure essere in mezzo a loro come un’apparizione del Cielo. Questo è chiesto al cristiano: non soltanto di vivere in una continua supplica e invocazione al Signore, ma anche in una trasformazione di sé: la nostra preghiera veramente sarà perfetta quando avrà operato una presenza in Cristo in noi, quando in Lui noi saremo così trasformati, non è forse vero che allora, vivendo nel mondo, di un’altra realtà? Ecco il nostro compito. Dobbiamo vivere in Cielo, anche quaggiù. Vivere in Cielo sarebbe facile se il Signore ci portasse fuori di questo mondo con la morte.
Invece noi dobbiamo morire, non dobbiamo sottrarci a questo mondo; dobbiamo rimanere quaggiù, e vivere un rapporto continuo con le cose, un servizio continuo ai nostri fratelli, ma vivere quaggiù una vita di pace, di beatitudine, di amore – essere quaggiù in qualche modo la Sua luce.
Dobbiamo essere come angeli. Che cosa vuoi dire essere come angeli per quel che riguarda il nostro rapporto con Dio? Per quel che riguarda il nostro rapporto con gli uomini? Essere angeli per il Signore! Vuol dire vivere in un totale oblio di sé, come consumati nella presenza di Dio – colui che vede il Signore non può ricordarsi di sé. Un’anima che vede il Signore non può avere più di sé conoscenza: Dio la invade talmente che la cancella. L’anima non sente di aver più alcun valore come non esistesse più…Umiltà totale di un’anima che è come sparita ai propri occhi, dimentica così di se stessa da non sapere più nulla di sé, da non poter più attrarre a sé alcuna creatura! Umiltà che non obbedisce più alla forza centripeta, che attrae a se stessi, ma alla legge di un amore centrifugo che totalmente si dà e non conserva più per sé alcuna cosa! Umiltà totale che s’identifica all’atto dell’adorazione!
L’atto di adorazione perfetta non esige certo l’annientamento ontologico ma quel puro annientamento psicologico della creatura che fa come se essa non fosse. E’ questa l’esperienza dell’anima che viva nell’adorazione: annientamento che non è proprio soltanto della creatura angelica che viva alla presenza di Dio, ma è proprio anche della umanità stessa di Gesù che vive dinanzi al Volto del Padre. Vivere in totale purezza è in fondo un trasformarsi totalmente nella luce, quasi un non essere più in sé, per sé, per essere tutti investiti da Dio: l’anima certo rimane, la creatura certo rimane, ma non rivela più che il Signore.
E tuttavia questo non basta. Investito dalla grazia, trasformato nel Cristo, tu vivi ancora nel mondo – tu hai ancora una missione da compiere, tu devi servire. Che cosa è l’angelo di Dio nel suo rapporto col mondo? Puro strumento della  volontà divina. Dio per compiere i suoi disegni volle gli angeli. E’ per gli angeli che si compie quanto Dio vuole quaggiù. Che cosa vuol dire per noi non aver più una volontà propria? La volontà dell’uomo è a servizio esclusivo di Dio: l’uomo non vuole che la Sua volontà. Non ha più un suo disegno da compiere perché non ha più desiderio alcuno. L’uomo è attivo nei confronti con le creature, perché è puramente e totalmente passivo di fronte a Dio.
L’angelo non riceve comando dalla creatura, non subisce l’azione dell’uomo: egli è totalmente passivo di fronte a Dio, sempre in ascolto della divina parola, sempre disponibile a Lui, sempre totalmente impegnato al compimento del divino volere. Ecco quanto c’impone la vita religiosa: di essere come angeli, per vivere una vita che sia adorazione pura e universale servizio. Viviamo questa adorazione sua, questo puro scomparire di tutto quel che noi siamo nella luce divina! Che la luce divina veramente eclissi per noi ogni umano ricordo, che l’anima nostra si affidi in Dio, Lui solo  contempli, tutta la vita sia questo atto di adorazione e di amore! Ma siamo anche angeli di Dio per essere strumento della sua volontà.
La nostra azione dev’essere talmente vasta, talmente efficace, come l’azione stessa di Dio, sicché Dio lavori, agisca, non in vece nostra, ma attraverso di noi. Tutta l’azione di Dio, tutta l’efficacia della divina Onnipotenza si deve esprimere, si deve esercitare attraverso la nostra povertà umana, attraverso la nostra stessa debolezza. Lo strumento umano nelle mani di Dio non potrà reggere alla violenza di questa Omnipotenza divina e sarà spezzato. Se noi vivremo nelle mani di Dio e Dio si vorrà servire di noi, la Volontà di Dio violentemente ci spezzerà come fu spezzata l’Umanità di Gesù, che non poté reggere alla forza divina, alla forza di quella Omnipotenza che attraverso questa Umanità doveva traboccare nel mondo. Sì, il servizio supremo, l’atto supremo che noi dobbiamo dare al mondo sarà precisamente un nostro martirio.
Noi non saremo mai santi come quando morremo, e la nostra morte sarà l’atto supremo onde noi avremo vissuto la nostra adorazione a Dio, sarà l’atto onde noi avremo esercitato la più grande efficacia in un servizio di amore ai nostri fratelli quaggiù. Vivere questa vita vuol dire tendere a questo martirio di amore per Iddio nell’adorazione, di amore ai fratelli nel sacrificio, nell’immolazione di sé”.
Don Marcello Stanzione

Don Divo Barsotti in una rara intervista



Nella primavera del 1991, chi scrive insieme a Pietro Mirabile e Giulio Palumbo – due straordinari amici e poeti spirituali, figli elettivi di San Pio da Pietrelcina con cui vissero spesso a fianco – ci recammo a Settignano, sulle colline di Firenze, a Casa San Sergio fondata da uno dei protagonisti del cattolicesimo novecentesco: Don Divo Barsotti, un grande mistico, autore di pagine sterminate e immense, fondatore della Comunità dei Figli di Dio. Fummo “affidati” al Padre Serafino Tognetti che fu poi il primo superiore della comunità dopo la morte di Don Barsotti (1914-2006), e vivemmo giorni che solo la Parola nello Spirito potrebbe raccontare compiutamente. I lunghi dialoghi e i silenzi intessuti con il Padre, la Santa Messa come autentica adorazione del Sacrificio e della Gloria, i suoi ammaestramenti, risuonano ancora in me. Incontrai successivamente a Palermo, ospite della CFD, il Padre ed anche in quella occasione ebbi forte l’esperienza dell’Incontro con un autentico uomo di Dio. Conservo di Don Divo lettere, giudizi sulle mie opere (specie su “Il Cristo di ogni giorno”) e alcuni brevi testi destinati e pubblicati da Spiritualità & Letteratura, nonché una straordinaria prefazione per una Antologia del Sacro, da me pubblicata. Questi materiali preziosi unitamente a delle considerazioni storiche e spirituali con la narrazione di quelle esperienze di incontro saranno oggetto di un profilo che intendo presto dedicare alla Sua Memoria viva e Santa.

Tommaso Romano

(il testo che segue, curato da me e da Giulio Palumbo, fu pubblicato per la prima volta su Spiritualità & Letteratura nel 1991 ed è stato riproposto nel volume curato da Giovanni Dino sugli Editoriali scritti da Giulio Palumbo (1936-1997) per la nostra rivista che ancora francescanamente continua a pubblicarsi e che furono editi nella collana Ercta della Provincia Regionale di Palermo nel 2006, che allora dirigevo).  
 
 

La Casa San Sergio a Settignano sorge in una zona verde e di silenzio, ben adatta a quello spirito di riposo e riflessione di cui l’uomo d’oggi e di sempre ha bisogno. Si tratta di una piccola Comunità di dieci persone. In un clima di fraternità e semplicità, essa trascorre le proprie giornate nella preghiera, nel lavoro, nello studio, nella vita comunitaria. Don Barsotti svolge i suoi molteplici impegni nel suo ampio studio. Un grande crocefisso di singolare espressività pende alla parete, posto sotto lo sguardo di chi siede al tavolo di lavoro. Una vastissima biblioteca con volumi di ogni sorta, di spiritualità e di studio, riempie tutt’intorno la stanza. Nella sala del pranzo comune, un ritratto di Mons. Giulio Facibene, una delle personalità che Don Barsotti ha frequentato familiarmente ed ha avuto modo di apprezzare. Niente radio, né televisione. Solo un ritrovare se stessi e tenersi liberi da ogni condizionamento.
D.- Quando e come è nata, Padre, questa accogliente sede della Comunità?
R.- Nel 1955 vi era qualche giovane che aspirava a vivere in Comunità insieme a me. Cercavo una sede idonea. Ero intanto cappellano delle Suore della Calsa a Firenze. Poi rimasi per sei mesi a Monte Senario, nella casetta eremitica di San Filippo Benizi. Successivamente mi venne indicata questa casa attuale e, vistala, feci il compromesso. La casa apparteneva ad una principessa rumena, una pretendente al trono di Romania, cugina di Vladimiro Ghika, di cui è in corso il processo di beatificazione come martire in Romania. Nel sessanta si aprì un’altra Comunità alla “Fornace”presso Pisa. I giovani che qui stavano, affermando di voler fare vita del tutto contemplativa, non condividevano i miei impegni nella predicazione degli Esercizi spirituali, ai quali da parte mia non intendevo rinunziare. Così si separarono da me. E da allora non si sono più mantenuti insieme tra loro. E’ stato un dramma per me, com’è testimoniato nel Diario “L’acqua e la pietra”. Così per vent’anni ho sperimentato la solitudine qui, nella Casa San Sergio. Finché nel 1985 sono venuti questi nuovi giovani, due dei quali, sono già sacerdoti, mentre altri due si preparano a diventarlo. In tutto siamo dieci. Ed altri giovani ancora dovranno venire.
D. - Quindi la consolazione dopo l’amarezza.
R. - Proprio così. Forse l’obbiezione di quei primi giovani, fortemente persuasi da qualcuno tra loro, era un pretesto per distruggere tutto.
D. - Mi pare ci siano anche delle suore nella Comunità.
R. - Sì, esistono due case di Suore, una delle quali e vicina alla nostra.
D. - Che cosa può dire dei suoi venti anni trascorsi qui da solo?
R. - Sono stati anni di studio e di preghiera. Tenevo esercizi spirituali nei monasteri specie presso i Carmelitani.
D. - Lei risolve nella ragione e nella fede i problemi dell’uomo - la morte, la solitudine - che altri non risolvono…
R. - La fede dovrebbe conoscere questa problematica ed avere in sé la capacità di risolverla. Essa
conosce il superamento della solitudine. Il Signore, infatti, è con noi. Lui era presente nei miei vent’anni di solitudine. Mi amava. Così superai la solitudine umana di cui senso a volte mi prendeva. Quanto alla morte, chi veramente crede vive al di là della morte.
D. - La realtà di Dio che ci riempie è un suo atto di fede e una sua conquista personale, come risulta da tutte le sue opere...
R. - La fede è la cosa più miracolosa. L’uomo sa di essere un nulla, un lampo. Ma crede, anzi è
certo, di essere il temine di un Amore infinito. Ecco il miracolo operato delle fede. Certo, è difficile credere. Vincere questo vertiginoso abisso che si apre all’uomo. Difficile perché le cose di
Dio non sono mai facili, ma debbono essere affrontate e superate. Anch’io potrei perdermi se Dio
non mi sostenesse. Infatti, è più facile non credere che credere. E l’uomo spesso sceglie la via più
facile. Anche ciò che insegna l”Islam è facile. “Come fa Dio ad amare l”uomo?”, esso si chiede.
E il più grande mistico musulmano fu martirizzato per aver affermato l'amore di Dio all’uomo. La
morte è il problema fondamentale. Tutto passa attraverso di essa. Anche la storia finisce. Dunque
il problema vero è la fede, che supera la prigionia del tempo. Essa sola ti rivela lo stupore e l'assurdo dell’Infinito che ti conosce e ti ha.
D. – L’eterno opposizione tra cultura e fede da tanti è vista come inevitabile. In quali termini Lei
la risolve?
R. - Per molti c’è opposizione tra cultura e fede perché si teme per la propria autonomia. Ma questo è un falso concetto. La fede infatti non è opposizione. E la natura non può stare senza fede.
D. - Quale il suo pensiero sui momenti storici attuali e sulle profezie, sui fenomeni di “apparizioni” e sui “messaggi”, oggi particolarmente abbondanti nella Chiesa? Quale il futuro che Lei prevede?
R. - Da quando Gesù ascese al cielo, la Chiesa non ha mai conosciuto tanti diretti interventi di Dio. Quindi non c’è abbandono da parte Sua verso di noi, e ciò è assicurato da tanti assidui interventi. Quanto al futuro, molti aspettano un intervento divino. E’ difficile, infatti, pensare come si possa arrivare ad una ripresa, e all’attuale situazione, attraverso le sole vie umane. Tanto tutto è stato sconvolto. E questi interventi divini fanno pensare ad una azione prossima di Dio nel mondo. Come, non sappiamo. Tali segni sono necessari per chi ha poca fede. Medugorje, ad esempio, rivela più del Concilio, attraverso le conversione anche i vescovi devono capire ciò. L”uomo è smarrito. Ed ecco che Cristo dice: «ci sono Io››. Questo è l’apparizione. Necessaria perché oggi non c’è più la testimonianza. Cinquant’anni fa o ancor più di recente c'erano grandi figure in Italia: I Card. Schustrer e Dalla Costa, Don Orione, Padre Pio. Ora è buio. Ecco la necessità di una luce. Che ci dice: Dio è con noi.
D. - Lei scrive in “Cento pensieri sull’amore”: «Il dialogo non crea l’unità, la suppone». Quindi vi è oggi anche nella Chiesa, una eccessiva o errata fiducia nel dialogo, come mezzo capace di avvicinare le tesi e le fedi più opposte.
R. - I dialoghi sono parole. Restano parole. E le divisioni egualmente rimangono. Come si realizza, infatti, l'unità? Forse col rinunciare a Cristo? Ai misteri? o con l’approdare ad una religiosità vaga? Quando saremo uno in Cristo, solo allora sapremo dialogare nella Carità e comprenderci. Solo allora saprem realizzare l’unità.
D. - Quindi solo lo Spirito realizzerà l'unità e l'ecumenismo.
R. - Esattamente. E l'unica via per arrivarci è la preghiera, attraverso la quale Egli solo realizzerà l’unità.                   (n. 16, 1991)

(intervista realizzata a San Sergio a Settignano (Firenze), condotta e realizzata insieme a Tommaso
Romano, in occasione di una visita/soggiorno spirituale unitamente a Pietro Mirabile nel 1991)

Biografia di Don Divo Barsotti il monaco de "L’attesa", maestro di fede

Don Divo Barsotti


Biografia di Don Divo Barsotti

Don Divo Barsotti (Palaia 1914-Firenze 2006) è stato una delle figure eminenti della Chiesa italiana del XX secolo: sacerdote, scrittore, predicatore, fondatore di una Comunità monastica, soprattutto mistico, un uomo che ha cercato Dio per tutta la vita e lo ha amato con tutto il cuore, facendone il perno e il centro unico dell'esistenza.

Entrato in seminario a San Miniato (Pisa), a 14 anni aveva già letto tutti i romanzi di Dostoevskij, gli scritti di Shakespeare, Goethe e di altri autori classici. Attratto dal mondo della poesia e della letteratura, stava meditando di lasciare il seminario, quando, all'età di 19 anni, ebbe un'esperienza profonda e decisiva dell'amore di Dio, e si diede così a una vita di preghiera continua e grande mortificazione, progettando di andare in missione una volta ordinato sacerdote. Egli aveva maturato una visione del Cristo, unico salvatore del mondo, che accoglie in sé tutte le culture, tutte le esperienze, tutto quello che viene dall'uomo ' tranne il peccato ' per elevarlo e divinizzarlo, e vagheggiò di girare il mondo come san Benedetto Labre, povero, solo, 'ebbro' di Dio, ad annunciare ai popoli che non lo conoscevano (era affascinato soprattutto dall'Asia) il nome e la presenza di Gesù.

Non riuscì a realizzare questo desiderio, e anzi, per un periodo di ben cinque anni, gli fu chiesto di aspettare, a casa propria (era già sacerdote) che il Signore manifestasse meglio la Sua volontà nei suoi confronti. Furono anni di intensa preghiera e purificazione.

||||| ||||| ||||| ||||| ||||| Ingresso libero ||||| ||||| ||||| ||||| |||||

Divo Barsotti è nato a Palaia (PI) nel 1914. Pochi anni dopo l'ordinazione sacerdotale, per interessamento di Giorgio La Pira, si è trasferito a Firenze, dove ha iniziato la sua attività di predicatore e di scrittore. Oggi è unanimemente riconosciuto come mistico e come uno degli scrittori di spiritualità più importanti del secolo. La sua produzione letteraria è notevolissima: più di 150 libri, molti dei quali tradotti in lingue straniere, tra cui il russo e il giapponese, più centinaia di articoli presso quotidiani e riviste di spiritualità.
Siamo nel 1956. Da qualche anno la Comunità dei figli di Dio cercava una sede; erano stati fatti progetti e tentativi: dalla casina nel bosco, al villaggio, all'eremo di Montesenario. C'era qualche soldo da parte (fra gli offerenti anche Marcello Candia), ma era difficile individuare un luogo corrispondente ai desideri del Padre.
Si dice che una signora di origine ebrea, convertita dal Padre al cattolicesimo e venuta a far parte della C.F.D. (Elisa Uzielli), desiderasse donare una casa come segno di attaccamento al Padre e alla Comunità; ma qualsiasi proposta facesse e qualsiasi fabbricato proponesse non otteneva il suo consenso.
Infine, in un giorno di primavera, il Padre si era lasciato accompagnare sulla collina di Settignano, fin oltre la villa Gamberaia e di lì, oltrepassato il sottopasso e superata la salita buia oltre la villa, era arrivato sulla sommità della stradina da dove si scorge la casa che veniva proposta alla sua attenzione.
Narrano le testimoni che a quel punto lo si vide accelerare il passo e prendere la rincorsa fino a fermarsi davanti ad un cancelletto verde da cui sporgeva un glicine fiorito. Quando le compagne di viaggio lo raggiunsero trovarono il Padre commosso e pieno di entusiasmo: aveva riconosciuto la casa del sogno!
Ora lasciamo alle sue parole descriverlo: "Una notte sognai. Ero davanti a un cancello di ferro, sovrastava il cancello una pianta di glicine in fiore. Mi venne fatto di suonare al cancello, e attesi. Si aprì il cancello e mi apparve davanti senza farmi entrare un monaco orientale di circa 50 anni di età.
Durante la Messa meglio niente applausi
(Di A. Giuliano, Avvenire del 19.06.2014)

La Messa è finita. Nel senso che ormai pare stia andando a farsi benedire l’osservanza delle più elementari norme liturgiche. Che non ci sia più religione in alcune celebrazioni eucaristiche è una questione seria. E padre Serafino Tognetti, monaco e primo successore di don Divo Bar­sotti alla guida della Comunità dei Figli di Dio, non può fare a meno di rilevarlo in questo provocatorio volumetto. In appendice a un testo denso di stupore per il paradosso del cristianesimo la cui forza si sprigiona nella debolezza: "Cercate voi in tutta la letteratura di tutto il mondo, antica e moderna, studiate tutte le religioni del mondo e ditemi se trovate un re-­agnello o una divinità che si faccia mite, vittima".
Ecco alcune osservazioni appassionate sulla realtà sconfortante di certe Messe odierne. Sotto la sua lente finisce quindi l’uso ultimamente in voga di applaudire in Chiesa.
(In questo breve video è documentata la richiesta paterna e amorevole di Papa Giovanni, affinché in Chiesa - Tempio di Dio - non si battano le mani, non si parli, né tantomeno si schiamazzi. Nel TEMPIO DI DIO non si battono le mani neppure al Papa.)
Titolo originale: Intervista a Padre Serafino Tognetti - Di Cristina Siccardi

Padre Serafino Tognetti è nato a Bologna nel 1960. Dal 1983 è membro della Comunità dei figli di Dio fondata da don Divo Barsotti (1914-2006), ed è sacerdote dal 1990. Padre Serafino ha gentilmente rilasciato questa intervista dove parla del suo padre fondatore, con il quale ebbe modo di vivere e collaborare in stretta figliolanza spirituale.

Padre, Lei ha avuto la possibilità di vivere insieme a Don Divo Barsotti. In che anno e in quali circostanze lo conobbe? Che cosa di lui la rapì maggiormente?
Il mio incontro con don Divo Barsotti risale agli inizi degli anni ’80. Io avevo vent’anni, frequentavo la parrocchia ma non avevo nessuna idea di vocazione e nemmeno avevo una vita di preghiera significativa. La prima volta che vidi don Barsotti fu in occasione di una santa Messa e rimasi colpito, sorpreso, quasi turbato dalla sua celebrazione eucaristica, dall’intensità della sua preghiera: chino sull’altare, piangeva sommessamente e pregava commosso durante la consacrazione, totalmente preso da quello che stava celebrando, assente ad ogni altra realtà che non fosse la presenza di Dio, della sua bontà, del suo Sacrificio. Ogni volta che celebrava la Messa viveva questa partecipazione.
(di Cristina Siccardi)
Titolo originale: Il centenario della nascita di don Divo barsotti.
Don Divo Barsotti, del quale quest’anno si celebrano i cento anni dalla nascita (1914-2006), pur essendo stato prolifico pensatore e scrittore, non viene citato dalla maggioranza dei teologi. Per quale ragione?
Seppure apprezzato dalle più alte gerarchie ecclesiastiche a lui contemporanee, questo monaco mistico fu un “grillo parlante” che non ebbe paura di mettere, pubblicamente, il «dito nella piaga»: la volontà di molti uomini di Chiesa di abbracciare il mondo.

Pietro Zovatto, autore dell’introduzione al libro del monaco toscano "L’attesa" - Diario: 1973-1975 (San Paolo, pp. 266) scrive: «Anche il Concilio Vaticano II, e più precisamente nella costituzione Gaudium et spes, non sfugge all’ambiguità nel determinare il rapporto chiesa-mondo e si lascia sfuggire un’occasione unica, quella di portare la Croce al centro dell’assise conciliare. 
Firenze, 22 giugno 1966
Caro F. e cara C., vi sono vicino con tutto l'affetto. Non solo questi giorni, che per voi iniziano un cammino nuovo che è un'avventura meravigliosa ma sconosciuta, sono per se stessi di un'immensa importanza e di grandissimo valore, ma la morte della mamma così imprevedibile dopo pochi giorni dal matrimonio, può avervi lasciato in un certo smarrimento oltre che in una grande pena. Per tutto questo ho sentito il bisogno di scrivervi, di dirvi che dovete con semplicità abbandonarvi senza sgomento alla provvidenza di Dio.
La mamma, che non poteva stare sempre con voi, ora vi segue sempre - il suo amore si è fatto più puro e più efficace e voi siete nelle mani di un Dio che vi ama. Non importa se Egli non vi dice in precedenza cosa vi aspetta nella vita, basta che sappiate che non siete soli. Egli vi ama.
Guardate con fiducia l'avvenire. Vogliatevi bene e bene davvero cercando di comprendervi a vicenda, di essere uno per l'altro. Solo nel dono scambievole di sé, che è sacrificio, è anche la gioia. L'amore è fatto di umiltà, di pazienza, di pace.
Vi seguirò sempre con affetto: siatene certi, anche se ci vedremo poco. Quante volte mi verrà fatto di salire col pensiero da voi! Ben poche volte invece salirò davvero le vostre scale, ma che importa se rimaniamo uniti nell'affetto e nella preghiera. E voi potrete contare sempre su questa e su quello.
Vi abbraccio caramente.
Sac. Divo Barsotti
La Comunità dei Figli di Dio, col patrocinio del Progetto Culturale della CEI, ricorda Don Divo Barsotti nel centenario della sua nascita: 1914 - 25 aprile - 2014.

Programma della tre giorni di incontri a ingresso libero: 25 - 27 aprile 2014 (Scarica)

PALAIA (PI), venerdì 25 aprile
15:00 Raduno in piazza Sant'Andrea. Accoglienza e presentazione dei luoghi legati alla vita di Don Divo a Palaia. Scopertura della lapide commemorativa nella casa natale.
16:30 Ritrovo per tutti nella Pieve di S. Martino. Introduzione di p. Benedetto Ravano, Moderatore generale della Comunità dei Figli di Dio. Margherita Giuffrida Ientile (CFD), "Divo Barsotti e le sue radici: la terra, la famiglia, la diocesi di San Miniato".
17:45 Celebrazione dei Vespri e S. Messa presieduta da S.E. Mons. Fausto Tardelli, Vescovo di San Miniato. Orario previsto di fine giornata: 19.00.

FIRENZE, sabato 26 aprile
8:30 Accoglienza nell'auditorium del Centro congressi Spazio Reale (*), via di San Donnino 6, San Donnino, Campi Bisenzio (FI). Celebrazione delle Lodi e S. Messa presieduta da S. Em. Card. Giuseppe Betori Arcivescovo di Firenze.
Un maestro di fede come don Divo Barsotti diceva:
“Noi offendiamo Dio quando non chiediamo i miracoli! Noi non ci crediamo! Per questo non chiediamo.
Parlo schiettamente. Guardate i santi: insistevano. Pensate a quello che diceva san Filippo Neri: ‘Noi dobbiamo costringere Dio a venire a compiere questo miracolo’. Aveva una forza che non si lasciava vincere dal fatto del silenzio di Dio, dal fatto che sembrava che Dio non ascoltasse la preghiera, insistevano fintanto che Dio non doveva piegarsi alla volontà dell’uomo”.

Poi don Divo spiegava:
“No, non è che Dio si pieghi alla volontà dell’uomo, ma Dio risponde alla preghiera dell’uomo. Noi manchiamo contro il Signore quando non chiediamo i miracoli. Dobbiamo chiedere a Dio e non dobbiamo vergognarci di chiedergli tanto…
Facciamo poche storie: non crediamo, non crediamo. Bene, non devo turbarmi, perché se anche avessi ammazzato, perché se anche avessi commesso un adulterio… se veramente io fossi il peggiore dei peccatori, posso io pensare che il mio peccato sia un limite alla Onnipotenza e alla Misericordia Divina?”.

Infine don Barsotti aggiungeva:
“Perché si stanca la pazienza di Dio? Perché non gli si chiede quello che noi possiamo desiderare. Se tu chiedi meno della creazione, tu vai all'Inferno, perché non chiedi quello che Lui ti dona. Lui ti dona Se Stesso. I santi chiedevano e chiedevano, fintanto che non avevano ottenuto”.
Don Divo Barsotti saliva al Padre il 15 febbraio 2006; così ne dava l'annuncio Radio Vaticana, descrivendone sinteticamente la figura.

E' morto Don Divo Barsotti, teologo e poeta. Aveva 92 anni. Ha fatto conoscere all'Italia i mistici russi.
Firenze. E’ morto stamani nell'eremo di Casa San Sergio, a Settignano, sui colli fiorentini, don Divo Barsotti, teologo, scrittore e poeta. Il 14 aprile avrebbe compiuto 92 anni. Grande interprete del monachesimo orientale, don Barsotti ha scritto oltre 150 libri: commenti alla Sacra Scrittura, studi sui santi, opere di spiritualità, diari e poesie. Ha dialogato con i più grandi filosofi e pensatori del Novecento: da Hans Urs Von Balthasar a Thomas Merton, da Giuseppe Dossetti a Giorgio La Pira. Tra i suoi testi più importanti, figurano “La teologia spirituale di San Giovanni della Croce”, “La legge è l’amore”, “Cristianesimo russo”.
Nel 1946 ha fondato la Comunità dei Figli di Dio, formata da laici consacrati che vivono nel mondo e religiosi che vivono in case di vita comune: in tutto circa duemila persone. La Comunità è presente in Italia e nel mondo (Africa, Australia, Sri Lanka, Colombia) e si impegna a vivere la radicalità battesimale con i mezzi che sono propri della grande tradizione monastica.
Il mistico che rischiò di diventare giornalista
Il 14 febbraio alle 18, presso il Seminario vescovile di San Miniato, verrà presentato il libro Don Divo Barsotti, il cercatore di Dio. Dieci anni di interviste (Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2008, pagine 114, ). (L'evento è già avvenuto. Questo articolo viene riproposto per far conoscere la spiritualità di Don Divo Barsotti).
Pubblichiamo stralci dell’introduzione dell’autore e un frammento di uno dei colloqui.

di Andrea Fagioli

“Mi sembra che Dio rimanga sempre Dio ovvero trascendenza infinita, sia in un mondo caotico come il nostro, sia in un mondo anche più ordinato. L’uomo si trova sempre nell’impossibilità di stabilire con Dio un rapporto vero, ma vivrà sempre per l’Assoluto e l’Assoluto soltanto potrà dare una risposta ai suoi problemi più profondi.
Credo anzi che oggi si faccia ancora più presente questo bisogno di qualcosa di fermo, di immutabile. È il momento che la vocazione contemplativa si imponga di più nella Chiesa per la salvezza del mondo”.

La preghiera che Don Divo ha recitato per tutta la vita al termine della S.Messa:
O Dio, ecco, io prostrato davanti a te, nell'abisso nel mio nulla ti adoro.
Confido nel tuo amore infinito, che tu ascolti la mia povera parola e l’accogli. Perciò ti prego: degnati di accettare la mia consacrazione e di ricevere dalle mani della mia dolce Madre tutto me stesso.
Io mi offro e mi dono tutto a te nei miei voti di povertà, castità e obbedienza.
Ma poiché l’oblazione non compie il sacrificio, distruggi tu medesimo questa vittima, consumandola nel fuoco del tuo santo amore.
O Dio, che ti compiaci di manifestare le tue perfezioni divine nella debolezza e miseria dei tuoi infimi servi e nelle tenebre della fede ti compiaci di fare tuoi figli chi non ha saputo che offenderti, compi tu l’opera tua e glorifica in me il tuo Santissimo Nome, elevando nella tua onnipotenza la mia preghiera, ascoltandola nella tua sapienza, compiendola nel tuo amore infinito. Amen.

 
Studi su Divo Barsotti nel V° anniversario della morte.
Spunti tratti da: “Apre gli occhi l’Amore ” - Ed. San Paolo.

Barsotti è cosciente della portata del discorso della fede nella sua relazione con la morte. Egli, pertanto rifugge da qualsiasi forma di trionfalismo. Su questo punto, come su altri, don Divo non cambia posizione.
Nel 1945, nel diario La fuga immobile, scrive: “Io non mi stupisco che siano pochi i credenti, ma mi stupisco che ce ne possano essere”.

E il 15 agosto 1973 conferma la sua profonda convinzione: “La fede è sempre miracolo. Pretendere che siano molti i credenti è assurdo. E’ già inconcepibile che ve ne sia qualcuno, ma bastano pochi a dare a tutti gli uomini una speranza, una ragione di vivere, a essere sostegno dell’universo”.

Questa visione non viene modificata e non s’incrina minimamente con il passare del tempo. Il 28 agosto 1985 annota nel suo diario: “Non sono i pochi che salvano i molti? Quale può essere l’efficacia di questi pochi che non temono di confessare il Cristo in un mondo pagano? Forse tra poco non v i sarà la stessa proporzione anche nelle nazioni che si dicono abusivamente cristiane? E dobbiamo essere ottimisti – la fede vera di uno solo basta a rispondere per tutta una città. Il potere che ha uno solo che ama Dio, non è più grande del potere del mondo?”
26 Gennaio 1989
La Chiesa da decenni parla di pace e non la può assicurare, non parla più dell'inferno e l'umanità vi affonda senza orgoglio. Non si parla del peccato, non si denuncia l'errore.
A che cosa si riduce il magistero? Mai la Chiesa ha parlato tanto come in questi ultimi anni, mai la sua parola è stata così priva di efficacia.
Nel mio nome scacceranno i demoni .... Com'è possibile scacciarli se non si crede più alla loro presenza? E i demoni hanno invaso la terra.
La televisione, la droga, l'aborto, la menzogna e soprattutto la negazione di Dio: le tenebre sono discese sopra la terra.
Leggo la vita di Cechov. Era un agnostico, ma il suo amore per gli uomini, la sua semplicità ci conquistano. Mi domando come mai queste biografie che certo non sono di santi, mi prendono tanto.
Non vuole essere un eroe, non è un filosofo, sdegna di affrontare i grandi problemi, è conciliante, crede ingenuamente nel progresso.

"Tu mi ami" di Don Divo Barsotti

Signore, eccomi qui: se tu vuoi amarmi, prendimi.
Non voglio opporre alcuna resistenza al tuo amore.
Io non ho creduto che tu mi potessi amare.
Ma dal momento che tu me lo chiedi, ecco, ora mi abbandono totalmente a te per essere amato.

Non oso dire che ti amo. Ma una cosa, Signore, voglio dirti: finalmente voglio credere che tu mi ami.
Tu me l’hai detto, Signore, e io non voglio rifiutarmi di credere. Mi abbandono a te!
Mi offro a te, come sono: povera carta per essere bruciata, legno secco per essere consumato dal fuoco.
Mi getto in te, Signore, perché finalmente tu mi bruci, mi consumi!

Ecco, Signore, sono davanti a te; non ho altro da dirti che questo: amami, perché voglio essere amato, perché finalmente ho capito che la mia vita può avere soltanto un senso e un valore nel fatto che tu mi ami, che tu vuoi amarmi.
Non rifiuto più il tuo amore per me. Questo e null'altro.

Post correlati: Don Divo Barsotti
“Io sono perplesso nei confronti del Concilio: la pletora dei documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno paura. Sono documenti che rendono testimonianza di una sicurezza tutta umana più che di una fermezza semplice di fede. Ma soprattutto mi indigna il comportamento dei teologi.
Il Concilio e l’esercizio supremo del magistero è giustificato solo da una suprema necessità. La gravità paurosa della situazione presente della Chiesa non potrebbe derivare proprio dalla leggerezza di aver voluto provocare e tentare il Signore? Si è voluto forse costringere Dio a parlare quando non c’era questa suprema necessità? È forse così? Per giustificare un Concilio che ha preteso di rinnovare ogni cosa, bisognava affermare che tutto andava male, cosa che si fa continuamente, se non dall'episcopato, dai teologi.
Nulla mi sembra più grave, contro la santità di Dio, della presunzione dei chierici che credono, con un orgoglio che è soltanto diabolico, di poter manipolare la verità, che pretendono di rinnovare la Chiesa e di salvare il mondo senza rinnovare se stessi. In tutta la storia della Chiesa nulla è paragonabile all’ultimo Concilio, nel quale l’episcopato cattolico ha creduto di poter rinnovare ogni cosa obbedendo soltanto al proprio orgoglio, senza impegno di santità, in una opposizione così aperta alla legge dell’evangelo che ci impone di credere come l’umanità di Cristo è stata strumento dell’onnipotenza dell’amore che salva, nella sua morte”.
Don Divo Barsotti

 
Ogni anima, ogni cristiano deve essere centro del mondo; ogni anima orante deve realizzare questa sua vocazione di essere il cuore dell’universo. Il centro del mondo è là dove si trova un cristiano, un cristiano consapevole, uno che voglia essere pienamente cristiano, che voglia rispondere pienamente al suo dovere, alla sua vocazione.
È questo: nulla di più, nulla di meno. Sia un’anima semplice, sia un’anima grande, sia un dotto o no, ognuno ha questa vocazione precisa.
Tutte le miserie del mondo si danno convegno nel mio cuore per implorare la misericordia di Dio, e tutte le bellezze dell’universo, tutte le grazie che Dio spande nell’universo, tutte si riassumono in me perché da me si innalzi un ringraziamento per tutte quante le cose, una lode per tutta la divina bontà che Dio ha effuso nell’universo; ecco la vocazione cristiana.
Il binomio benedettino: ora et labora, non va inteso: «Prega in tal modo che la preghiera sia il tuo vero lavoro»?
Don Divo Barsotti

Post correlati: Don Divo Barsotti
Di Don Divo Barsotti.

È il Salmo che tutta l'antichità cristiana sembra avere amato di più.
Anticamente era questo Salmo che introduceva il Sacrificio eucaristico. Il canto di questo Salmo accompagnava l'assemblea liturgica nella sua processione verso l'altare. Il posto che occupava nella Liturgia della Chiesa ci dice già come questo Salmo debba essere interpretato: come il Salmo della iniziazione cristiana.
Quanto Dio compie per un'anima è qui espresso con le più semplici parole e con un accento che difficilmente si ritrova nell'Antico Testamento; possiamo dire che questo Salmo ha un carattere evangelico "ante litteram".

Quando Gesù parlerà del "Buon Pastore" Egli certamente si rifarà alla grande profezia di Ezechiele (capitolo 34) e anche ad altri oracoli profetici - Zaccaria, Isaia anche - ma probabilmente Egli si richiamerà in modo più diretto, forse, a questo Salmo. Se il capitolo del "Buon Pastore" del IV Vangelo è una continuazione meravigliosa, stupenda, dell'oracolo di Ezechiele, le parabole invece del "Buon Pastore" nei Vangeli sinottici sembrano più facilmente ispirarsi a questo Salmo divino.
La vita di Gesù come impegno di vita: un brano del Vangelo per ogni giorno, con una meditazione di Don Divo Barsotti e una breve preghiera che sintetizza sia il messaggio che la meditazione.

Questo è un libro particolarmente felice: si intitola con la parola che Gesù rivolgeva a coloro che Egli amava e che invitava a seguirlo; un libro nel quale ogni giorno viene data al lettore prima la Parola di Dio, poi di seguito la nostra parola umana, che commenta, spiega e guida l'anima nella sua risposta al Signore. (Don Divo Barsotti)


SEGUIMI a cura di Mariadele Orioli Soffiatti - Edizioni Parva - pp. 400 (Breve estratto)

Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo: con la tua croce hai redento il mondo.
Perché per noi la rivelazione suprema di Dio è Gesù Crocifisso? Perché il supremo segno della gloria deve essere proprio la Croce? Non è la morte di per sé che rivela Dio, e non è la crocifissione che di per sé rivela Dio: infatti tutti muoiono e tanti sono morti crocifissi. La morte del Cristo rivela Dio perché in quella morte si è rivelato un amore che tutto abbraccia e che tutto si è donato.
Teologia e spiritualità monastica nei diari di Divo Barsotti. "Sull’orlo di un duplice abisso" è il primo studio sull’intero corpus dei diari pubblicati da don Divo Barsotti. Il libro rappresenta un’opportunità di approfondimento sistematico del tesoro prezioso che i diari racchiudono, o di scoperta per coloro che ancora non li conoscessero.

SULL'ORLO DI UN DUPLICE ABISSO di Stefano Albertazzi - Edizioni S. Paolo - pp. 454 (Brevi estratti)
pg 46 - Introduzione ai diari - (...) Sin dall'inizio Barsotti ha mostrato di privilegiare questo genere letterario (i diari) per la sua palese diffidenza nei confronti di certa teologia e più in generale del pensiero di carattere sistematico. Nel diario del 1994 afferma: "Scrivere un sistema sembra presunzione di chi voglia abbracciare tutta la realtà. Nel sistema la realtà è come congelata, non è più viva".
pg 52 - Dalle note - (...) "tutti i miei scritti sono e vogliono essere uno scavo, un tentare continuamente il mistero".
pg 55 - Introduzione ai diari - (...) Egli continua la stesura dei diari pur sapendo che essi possono diventare per lui "un grave atto di accusa" e "una sentenza di severa condanna": la grandezza della vocazione che ha ricevuto da Dio diventa sempre più un'accusa alla sua povertà. Nel giudizio gli verrà domandato conto di ogni sua parola e ogni parola che non si sarà incarnata nella sua vita lo condannerà: nonostante il sentimento della propria indegnità gli rimane però la speranza che Cristo lo salvi, non solo con la sua Parola, ma ancor più con il suo silenzio, capace di "inghiottire" in sé tutte le parole dell'uomo.