sexta-feira, 26 de julho de 2019

LA MISTICA DELLA RIPARAZIONE BY DON DIVO BARSOTTI




Pagine straordinarie di uno dei più bei libri del grande mistico del Novecento, Don Divo Barsotti, fondatore della Comunità dei Figli di Dio (“La mistica della riparazione”, I Edizione: Borla, Torino 1962).
«ALMENO TU AMAMI»Una domanda, anzitutto. Qual è l’oggetto della devozione al S. Cuore di Gesù? A che cosa questa devozione ci chiama?
La devozione al S. Cuore è essenzialmente una devozione riparatrice, richiama il cristiano alla riparazione. Il rapporto fra il S. Cuore e la riparazione non è tuttavia molto evidente, anche se non si può negare che i due termini siano in intimo rapporto fra loro.
Di fatto, la devozione al S. Cuore, così come spesso è intesa, non sembra avere un oggetto suo proprio, perché se nel S. Cuore vediamo soltanto il simbolo dell’amore divino verso di noi ci pare che, in fondo, anche la devozione dell’Eucarestia e quella stessa del Crocifisso non ci dicano cosa diversa, non abbiamo oggetto diverso. L’Eucarestia non è forse il dono di Dio, il dono supremo di Cristo, il dono anzi ch’egli ci fa di se stesso? E il Crocifisso non è la manifestazione, la rivelazione suprema dell’amore di Dio per noi?
In fondo, tutte le operazioni di Dio verso di noi sono operazioni di amore, che hanno avuto il loro principio nell’amore e hanno come loro fine l’amore. Non è proprio della devozione al S. Cuore il richiamo a meditare sull’amore di Dio, né è oggetto precipuo della devozione al S. Cuore un richiamo da parte di Dio a noi, affinché lo si ami. Sembra invece oggetto specifico della devozione al S. Cuore, così come l’ha voluta Gesù, la riparazione. Di fatto la riparazione è stata voluta direttamente da Cristo, mentre le altre devozioni della Chiesa non esprimono chiaramente un richiamo immediato alla riparazione. Perché il S. Cuore ha un rapporto con la riparazione? Ecco quello che non vediamo con chiarezza.
Accettiamo umilmente da Nostro Signore che egli, presentando il suo Cuore, voglia incitarci e impegnarci all’espiazione e alla riparazione. Non solo accettiamo umilmente, ma adempiamo l’ineffabile volontà di Dio che attraverso questo segno ci richiama a un grande dovere; sentiamo di doverci impegnare alla riparazione per il richiamo esplicito di Gesù a S. Margherita Maria. Anche se non conosciamo le ragioni profonde che possono giustificare il rapporto fra il S. Cuore e la riparazione, anche se non dovessimo conoscerle mai, ci basterebbe la parola stessa di Gesù, il fatto che Gesù medesimo ha voluto legare la rivelazione del suo Cuore divino, le sue apparizioni a S. Margherita Maria, al dovere della riparazione. E questo è nuovo nella devozione cattolica, questo è nuovo nella vita cristiana. Non certo perché prima di S. Margherita Maria i cristiani non sentissero il dovere di riparare, di espiare per i peccati del mondo (altrimenti non sarebbero stati cristiani), ma perché questa riparazione non era sentita in modo così chiaro, definito, specifico, come compito proprio della pietà cattolica. Oggi noi non potremmo più vivere la nostra vita cristiana integrale, non potremmo più rispondere a una vocazione divina che ci chiama alla perfezione, senza sentirci impegnati in modo preciso all’adempimento di questo dovere.
AMARE DIO PER GLI ALTRIMa di che riparazione si parla? E per quali motivi siamo impegnati a questa riparazione? Intanto risulta dalle parole stesse di Gesù a S. Margherita Maria: ella deve supplire dinanzi a Gesù tante altre anime che non lo amano. La riparazione, prima di tutto, esprime un nostro dovere di supplenza, e questo ci sembra veramente cristiano. Nell’andare verso Dio non siamo mai soli, non possiamo mai scioglierci dalla comunità, non possiamo mai pretendere di fuggire soli col Solo; il nostro dovere, quanto più ci accostiamo a Dio, è quello di rappresentare tutti gli altri che sono lontani.
Se Gesù ti dice: «Almeno tu amami», non intende con questo rinunziare all’amore di coloro che non lo amano, ma vuole che col tuo amore per lui tu compensi l’amore che i tuoi fratelli gli negano, che il tuo amore supplisca per loro, che tu lo ami per loro.
«Almeno tu amami».
«Mi ami tu più di questi?» domanda Gesù a Pietro.
L’amore che il Signore chiede non sottrae l’anima al mondo, non la divide dai fratelli; al contrario, è questo amore che la unisce di più agli uomini, la fa responsabile per tutti. Pietro, per questo amore, riceve una missione di universale paternità, la missione di guidare tutto il gregge di Cristo, e finalmente riceve la promessa di morire com’è molto Gesù: non solo il martirio, ma la partecipazione più piena alla Passione e alla Morte del Cristo, in una morte che dovrà essere atto di offerta per il mondo intero.
«Signore, non imputar loro questo peccato». È la preghiera di Stefano, ed è la preghiera di Pietro, perché il martirio cristiano mai potrebbe essere soltanto testimonianza di amore per Iddio, ma dev’essere anche testimonianza di amore per gli uomini, per quelli stessi che ti danno la morte.
Sembra che tutto ciò risponda ad un disegno preciso della provvidenza di Dio: i molti si salvano per i pochi, tutti si salvano per uno solo. Gesù, l’Unico, salva la moltitudine immensa; dopo di lui, ma con lui, i pochi salvano i molti. È una verità che si adatta ad ogni generazione umana: i veri cristiani saranno sempre il sale della terra, la luce del mondo. Saranno sempre un piccolo gregge. Ma sarà per questo piccolo gregge, per questo pugno di sale, per questa luce sul moggio che tutto il mondo sarà illuminato, che sarà impedita la corruzione universale e la rovina degli uomini.
Mistero che non osiamo nemmeno contemplare tanto ci fa paura, perché ci dice la nostra responsabilità precisa: siamo degli eletti da Dio. Ci rendiamo conto che non rispondere non è soltanto mettere in pericolo l’anima nostra, ma è mettere in pericolo la salvezza di innumerevoli anime, è defraudare tutta l’umanità, tutta la creazione, di una forza divina, di un potere di salvezza, di un dono di amore che attraverso i prescelti dovrebbe raggiungere gli altri? Dio certamente ci ama, se ci chiama presso di sé, ma tuttavia la chiamata non è limitata a noi soli; la chiamata di Dio ci separa dagli altri, ma per renderci solidali con essi, padri di tutti come Abramo. La chiamata di Dio strappa Abramo alla sua tribù, lo porta fuori della sua città, ma per farlo padre di tutti i credenti. Se non rispondiamo al Signore, non mettiamo in pericolo soltanto la nostra perfezione, la nostra santità: se ci accontentassimo soltanto di una nostra salvezza forse non ci potremmo salvare. Quante sono le anime anche buone che si accontentano di andare in Paradiso senza saper che questa loro volontà di una propria esclusiva salvezza, già forse le perde! Chi è prescelto non può rinunciare ad essere perfetto come il Signore lo vuole, non potrebbe rinunciarvi soprattutto per gli altri. Agli altri giunge la grazia attraverso di te. In che modo? Attraverso quali vie? Tu non lo sai. Comunque, nella stessa misura in cui sei chiamato alla perfezione, sei anche chiamato a rappresentare tutta quanta la Chiesa, tutta quanta la creazione, a portarla nel tuo cuore, con le tue mani, ad offrirla come tua offerta, a salvarla con te.
IL MISTERO DELLA REDENZIONEÈ il mistero Cristiano che si esprime in questa legge. Nella prima creazione Dio creò, moltiplicando le cose; dall’unità il processo divino passa alla molteplicità, ad una molteplicità sempre più varia, sempre più ricca di forme. Nella seconda creazione, al contrario, da questa molteplicità, da questa frammentarietà di una situazione divisa anche dal peccato, frantumata anche dal male, la parola divina chiama verso l’unità. Tutta quanta la creazione divina diviene un solo Cristo; Cristo, l’Unico, la salva in se stesso, assumendola in sé, portando egli stesso il peso di tutti i peccati, divenendo solidale con tutto l’universo dinanzi al Padre. Questo processo, dalla molteplicità all’unità, continua e diviene pienamente reale attraverso la Chiesa. Certo, nella medesima misura in cui siamo in Cristo, in cui ci trasformiamo in lui, dobbiamo operare anche per questa unità, per questa unificazione.
Non siamo salvi se non è salvo con noi l’universo, diceva Péguy. È vero, perché la nostra salvezza non è che una partecipazione al mistero di una redenzione universale. Ora, questo della redenzione cristiana è il mistero per cui, nell’unità di Cristo, tutto quanto è salvato. Non posso partecipare a questo mistero di redenzione che nella misura in cui io stesso divengo solidale veramente col mondo, nella misura in cui riunisco in me tutta quanta la creazione, assumendo tutto il peso delle sue angosce, del suo dolore, del suo male, della sua miseria, del suo peccato, e rispondendo di tutto dinanzi a Dio. I pochi salvano i molti.
Ci domandiamo sempre perché Nostro Signore agisca in un modo così curioso. Perché è veramente curioso il modo di agire di Dio. Dopo duemila anni siamo come all’inizio; pochi santi, un discreto numero di anime buone, una grande moltitudine di cristiani di nome e una moltitudine sterminata di anime che non conoscono il Cristo. È fallito il Cristianesimo? Continua il mistero di Uno che salva tutti, dei pochi che salvano i molti.
Cristo è sempre presente, nella Chiesa, nella storia del mondo, ed è presente nel Sacrificio per cui assume la creazione, e si addossa la miseria e i peccati del mondo: «Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis». Nella Messa, Gesù non è presente soltanto per la sua nascita da Maria, per i miracoli che ha compiuto in favore dei lebbrosi e dei ciechi: è presente nel mistero di una morte per effetto della quale egli assume tutto il peccato umano e lo cancella in sé. «Agnus Dei, qui tollis peccata mundi»: tutti egli li prende sopra di sé. Veramente la Messa è la salvezza dell’universo; in ogni istante Gesù rimane vivo, l’Unico che salva tutti. E poiché noi dobbiamo essere in lui, non possiamo vivere altro che questo stesso mistero. Ecco l’impegno per noi: non di separarci dagli altri, non di sentirci diversi, non di rigettare il peso della miseria e del peccato umano, ma caricarcene totalmente per risponderne a Dio.
Voi mi dite: «Non è orgoglio, in fondo, tutto questo? Non dobbiamo piuttosto badare ad espiare il nostro peccato piuttosto che quello degli altri? Come osiamo investirci di questa responsabilità e voler rispondere del peccato umano quando noi stessi siamo così peccatori?». È vero, di fatto non possiamo rispondere a questo dovere che nella misura in cui siamo santi. Appunto nella stessa misura in cui siamo chiamati alla perfezione, siamo anche chiamati ad assumerci questo peccato.
AI limite estremo, quando fossimo santi come Gesù, anche noi dovremmo caricarci di tutto il peccato umano, come lui. Possiamo riparare poco, e ripariamo poco effettivamente, proprio perché non siamo nel Cristo, perché estremamente imperfetta è la nostra unione con lui. Quanto più saremo nel Cristo, tanto più potremo dunque rappresentare l’umanità peccatrice, essere solidali con questa umanità per salvarla innanzi al Volto di Dio. Così, quando abbiamo espiato i nostri peccati, si inizia per noi il vero martirio. Santi della santità di Gesù, diveniamo vittime immolate che si offrono al Padre per ottenere misericordia. Quando per questa via saremo santi della santità di Gesù, in questa santità si realizzerà l’unità nostra con Cristo e con tutti i fratelli, perché non ci separeremo più da loro, ma vorremo che la loro condanna sia la nostra, parteciperemo al loro castigo, sopporteremo il peso dell’universale peccato. Nessuna dottrina teologica rivela più di questa la nostra unità con gli uomini, manifesta maggiormente l’infinita carità di Dio e dice meglio la dignità del cristiano, chiamato a collaborare con Dio per sollevare il mondo e farlo partecipe della santità e della gloria di Dio.
MARIA E I SANTI CONTRIBUISCONO ALLA REDENZIONEDopo Gesù, colei che più di tutte le altre anime umane ha posto riparo al peccato del mondo (dopo Gesù e in dipendenza assoluta da lui, perché in fondo quella di lei è una partecipazione al mistero della Redenzione del Cristo) è Maria. Non che Maria e Gesù in parti uguali (o, sia pure, uno per grandissima e l’altra per piccolissima parte) contribuiscano a riparare al peccato e a salvare il mondo con la loro riparazione; ma Maria, nella stessa misura in cui è nel Cristo, in cui vive la santità stessa di Gesù, in cui è associata al mistero di Gesù, vive anche il mistero di questa Redenzione universale, e lo vive dipendentemente da Cristo. In quanto ella è nel Cristo, ella è la riparatrice universale: non solo «sublimiori modo redempta», ma «universalis corredentrix».
Secolo per secolo vi sono grandi anime sulle quali pesa davvero tutto il peccato di una generazione, su cui grava la miseria del mondo. Sono le anime più sante. Così noi comprendiamo perché la santità non può mai dissociarsi dal dolore; se la santità di fatto ci unisce a Cristo nella sua morte, ci unisce a Cristo anche nel mistero di una riparazione; proprio quanto più siamo santi tanto più dobbiamo anche soffrire. Per questo i più grandi santi sono quelli che più hanno sofferto: sono stati fatti degni di una più intima partecipazione al mistero della Croce per divenire, generazione per generazione, il sostegno del mondo.
  1. Veronica Giuliani, grandissima mistica giunta al matrimonio spirituale, deve subire le più gravi persecuzioni che si possano immaginare. Per ordine del S. Uffizio viene deposta dalla sua carica di maestra delle novizie e messa in carcere, a pane e acqua, guardata a vista da due suore, e privata dei Sacramenti, senza poter parlare con alcuno. E così vive glorificando e ringraziando Dio e chiedendo di soffrire sempre più.
  2. Giovanni della Croce fu messo in carcere in una cella dove non poteva stare in piedi né distendersi, a pane e acqua, flagellato a sangue dai confratelli. E, alla vigilia della morte, giunto alla più grande purezza di amore, fu confinato in un convento dove il Superiore non aveva per lui che rimproveri.
È giusto che sia così, è stupendo, è divino, che sia così! Tutto ciò dimostra che la cosa più grande è il dolore; esso ci fa simili a Cristo. Dalla Croce fiorisce la grazia.
Non soffriamo perché siamo peccatori, soffriamo nonostante la nostra innocenza; ogni cristiano soffre nella misura in cui è innocente, nella misura in cui è santo, perché il dolore nel Cristianesimo non è più soltanto castigo al peccato, è soprattutto, invece cosa meravigliosa! – l’atto per mezzo del quale Dio, nella nostra carne, cancella il peccato: non lo subisce, ma lo distrugge.
Se vi è dunque la possibilità di una salvezza del mondo, questa salvezza sarà raggiunta sempre attraverso il dolore umano, accettato liberamente dalle anime sante in solidarietà, in unione con tutti i peccatori dell’universo. Allora si capisce, prima di tutto, che cosa voglia dire esser chiamati ad essere cristiani, chiamati alla vita religiosa; che cosa voglia dire esser chiamati da Dio, stimolati da lui, dalla sua grazia, giorno per giorno, per il raggiungimento della perfezione evangelica: vuol dire essere chiamati, come Gesù, al sacrificio per i peccati del mondo. Crediamo alle volte di liberarci dal dolore liberandoci dal nostro peccato e, spesso, se anche non ci lamentiamo con Dio per i pesi dei quali ci grava, pensiamo tuttavia che impegnandoci più seriamente a seguirlo potremo in qualche modo sottrarci a troppo grandi sofferenze, a troppo grandi dolori. Non sappiamo invece che la nostra vocazione cristiana, nella misura in cui ci chiama alla perfezione, è anche una promessa di dolore e di sofferenza, è anche una promessa di martirio e di morte. Dobbiamo saper accettare tutto questo. A questo ci chiama la devozione al Cuore di Gesù.
COLLABORATORI DI CRISTODobbiamo essere coscienti della nostra missione: con Cristo, in lui, dobbiamo redimere il mondo nella misura in cui soffriamo. Uniti a Cristo nella carità, ma solidali col mondo, dobbiamo cooperare alla sua redenzione: ognuno di noi coopera alla redenzione se in lui vive la carità di Dio.
Quale grande missione! Accettiamola e benediciamo Dio che ha voluto chiamarci a collaborare con lui. Non possiamo sottrarci alla sofferenza in altro modo che sottraendoci all’amore. E anche se ci sottraessimo all’amore soffriremmo ugualmente, ma della sofferenza dei dannati. C’è infatti la sofferenza di Cristo che redime, ma c’è anche la sofferenza non accettata per amore, la sofferenza che rimane inutile e che è segno di una nostra condanna.
Amare: ecco la vita del cristiano. Amare così da non poter sopportare più nessuna pena per i nostri fratelli, così da assumere nel nostro spirito l’angoscia e il dolore di tutti, perché per l’amore di Dio che vive nei nostri cuori sia salvato con noi tutto il mondo.
È necessario comprendere prima di tutto il piano divino della redenzione umana: l’Uno che salva tutti, e in lui i pochi che salvano i molti. Nella misura in cui siamo santi, in cui siamo nel Cristo, anche noi dobbiamo rappresentare, e rappresentiamo di fatto sempre di più, tutta l’umanità dinanzi a Dio. La rappresenteremo non separandoci da essa, ma portandone il peso del peccato su di noi, perché soltanto in questo modo si può rappresentare in modo veritiero l’umanità dinanzi al Padre; non in quanto siamo peccatori, ma in quanto portiamo di tutti i peccati il peso e il gravame dinanzi a Dio.
Altra cosa sarebbe esser solidali col mondo nel peccato: in questo caso saremmo anche noi separati da Dio, non più salvatori, ma piuttosto bisognosi di essere salvati e redenti. Invece, nella misura in cui siamo redenti, nella misura in cui abbiamo risposto al Signore, ma anche nella misura in cui vogliamo tendere alla perfezione divina della carità, dobbiamo sentirci impegnati ad assumere il peso, il castigo del peccato umano, e non dobbiamo sottrarci alla sofferenza né dobbiamo pretendere di schivare la pena e il martirio; dobbiamo anzi prepararci, come Gesù si preparò durante tutta la sua vita, ad accettare la nostra croce che è la Croce di Gesù, ed è la croce stessa del mondo.