Biografia di San Giovanni Calabria |
Prete
Prete semplice ma particolarmente deciso è stato don Giovanni Calabria. Volle essere strumento di Dio e della chiesa; dovette affrontare difficoltà e superare ostacoli e negli ultimi anni della sua vita fu afflitto da intensi e dolorosi mali fisici. Ma la sua volontà rimase sempre ferma.
Era nato nel 1873 a Verona. A 13 anni perdette il padre e la sua vita conobbe un'estrema miseria. Grazie ad un sacerdote che volle stargli vicino, fu in grado di studiare, superare gli esami e frequentare, come esterno, il seminario. Dopo una breve parentesi di servizio militare ritornò al seminario.
Nel 1901 fu ordinato sacerdote; fino al 1907 rimase di aiuto nella parrocchia della città dedicata a Santo Stefano. Nel 1907 iniziò la sua "opera" fondando la "Casa dei Buoni Fanciulli". ll suo scopo era raccogliere "i bisognosi" ovunque e comunque si trovassero: non lo impensierivano le difficoltà economiche, né badava alle capacità intellettuali, ma si preoccupava di offrire a ciascuno l'aiuto di cui percepiva il bisogno.
Attorno alla sua opera cominciarono a raccogliersi alcuni sacerdoti; nel 1910 istituì il ramo femminile, fondando le "Povere Serve alla Divina Provvidenza". Nel 1919 avviò una seconda casa: le sue attività assistenziali cominciavano a espandersi.
Nel 1933 costruì a Negrar (Verona) un grandissimo e moderno ospedale e una casa di riposo per anziani.
Nel 1934 estese ancor più la sua opera mandando missionari in India. Ma questa missione non diede i frutti sperati: "Per circa un anno le cose procedettero bene: i fratelli erano contenti, i superiori della missione pure; scrivevano elogiandone lo spirito di pietà e di abnegazione e ne chiedevano altri e, possibilmente, almeno un sacerdote. Poi ci furono difficoltà inevitabilmente d'ambiente, scoppiò la complicazione della guerra italo-abissina, mentre in seno alla stessa congregazione si era ormai maturata la delicata situazione che provocò la visita apostolica... Il visitatore, infatti, vagliata la situazione delle missioni, decise di richiamare i fratelli in patria".
Personalmente non intraprese lunghi viaggi, restò "recluso" in una piccola porzione della sua casa a Verona, ma dalla sua stanza allargò i suoi orizzonti ovunque la Chiesa richiedesse interventi.
Egli era in tutto un "prete di Dio": diceva chiaramente che la sua opera "sarà grande se sarà piccola, sarà ricca se sarà povera; avrà la protezione di Dio se non cercherà quella dell'uomo". E aggiungeva: "Scopo del vero sacerdote è accendere un piccolo fuochetto che, se la Provvidenza lo vorrà, farà estendere il suo calore e la sua luce ovunque e comunque".
Si preoccupò di scrivere e soprattutto di dare possibilità a tutti di leggere della buona stampa; pubblicò egli stesso, presso una tipografia che aveva fondato, un famoso libro: "Apostolica vivendi forma". In queste pagine denunciò i mali del tempo e cercò di far comprendere come, con l'aiuto di Dio e della divina Provvidenza, tutto si poteva "aggiustare".
Sapeva trovare il tono e la frase appropriata per rivolgersi ai sacerdoti, alle persone che potevano aiutare il popolo di Dio a ritrovare "la strada". Era preoccupato in quanto percepiva che "il mondo" si stava allontanando dal messaggio del Vangelo. Amava la chiesa, anche come "istituzione", con un amore completo, "disinteressato". Soffrì in continuazione di disagi, situazioni impossibili, ma il suo essere era dedicato tutto e solo alle opere di Dio: non aveva tempo per lagnarsi.
Il fuoco di Dio gli bruciava dentro: lo forgiava e lo spingeva verso nuove opere che spesso venivano ritenute "impossibili".
Voleva che nessuno pensasse al denaro, alle necessità materiali; percepiva che alle urgenze materiali avrebbe provveduto la divina Provvidenza.
Seppe essere vicino a tutti i bisognosi, per primo si occupò dei carcerati e credette profondamente nella missione della Chiesa rivolta ai "fratelli separati"; fondò in Italia l'Unione Medica Missionaria e fu un anticipatore di certe linee pastorali della Chiesa espresse dal Vaticano II. In particolare sul tema dei fratelli separati scrisse un agile opuscolo, "Omnes unum sint", che fece spedire ovunque, alle personalità delle chiese separate, comprese le chiese orientali e i fratelli anglicani; voleva creare attraverso la carità i contatti rivolti all'opera di unità.
Subì, anche per questa sua larga operosità, invidie e perfino ispezioni canoniche, ma non pensò mai di rallentare o di fermare la sua attività.
Gli ultimi suoi anni di vita vennero contrassegnati da persistente malattia. Chi si recava nella sua casa lo sentiva non di rado gridare per le sofferenze che il suo corpo incontrava; ma invocava continuamente l'aiuto di Dio ed esclamava: "Per me non c'è altro che Dio e non voglio altro che Dio". Il 4 dicembre 1954, il suo spirito si acquietò nella pace eterna.
Beatificato il 17 aprile 1988 è stato canonizzato il 18 aprile 1999.