sábado, 28 de dezembro de 2013

Benedetto XVI: La questione della riforma liturgica del Vaticano II oggi


L’intensità dello scontro sulla liturgia è sotto molti aspetti un buon segno (da papa Benedetto XVI)
  • Il primato di Dio e il Vaticano II (da Benedetto XVI)
  • La questione della riforma liturgica del Vaticano II oggi (da Benedetto XVI)
  • Continuità e novità del Vaticano II: l’esempio del “subsistit” (da papa Benedetto XVI)

  • da Papa Benedetto XVI – Il Circolo degli studenti – Card. K. Koch, Il Concilio Vaticano II. L’ermeneutica della riforma, LEV, Città del Vaticano, 2013, pp. 180-186
    Papa Benedetto XVI: […] Siamo lieti che la liturgia sia diventata trasparente, siamo anche lieti che ora sia celebrata in lingua corrente.
    Per quanto concerne il latino anche adesso nella candidatura a vescovo emerge il problema della conoscenza della lingua. «Lui conosce un po' di latino» si dice qualche volta. Non si può certo fare grande sfoggio di questa cosa. Tuttavia ritengo che non si debba perdere totalmente il latino. Negli incontri internazionali dovrebbe poter legare una componente fondamentale in tutti i testi. Si dovrebbe poter cantare il Pater noster, il Sanctus e l'Agnus Dei. Questo rinforza anche il senso di comunitarietà e dona un'esperienza concreta di cattolicità. Per questo scopo non è necessario lo studio del latino. L'essenziale di ciò che è stato detto dovrebbe essere reso noto: cioè quello che il Sanctus, l'Agnus Dei e il Pater noster significano. In San Pietro già lo facciamo: preghiamo il Canone con l'assemblea in latino in modo che anche i credenti sappiano di cosa si tratta. Naturalmente è importante che nessuno venga a messa senza alcune conoscenze fondamentali, che piuttosto esiste una formazione di base che consente la comprensione anche di quegli elementi che sebbene non si comprendano a livello linguistico, possono essere compresi nel loro nucleo essenziale. Qualcosa in riferimento al canone: la grande preghiera di ringraziamento in cui il Signore si fa presente in mezzo a noi e a noi si dona.
    Direi: in generale dobbiamo essere grati. Dobbiamo certamente riflettere su ciò che può essere fatto meglio. lo sono contrario a grandi modifiche esteriori e strutturali che generano nuove inquietudini. Si ottiene molto di più attraverso un'interiore educazione all'essenza della liturgia. Questo ha inteso anche Udo Schiffers dicendo che deve avvenire un'iniziazione interiore attraverso cui si impara ciò che è la liturgia e ciò che in essa accade. Dipende insomma dal fatto che non si coltiva il proprio fare, con il quale in definitiva si approda sempre a se stessi e alla fine non ci si arricchisce, ma ci si svuota; che ciascuno sappia: qui succede qualcosa, qui Lui viene incontro a noi, qui Egli ci parla, qui noi gli rispondiamo, qui noi nel silenzio ci lasciamo toccare da Lui, qui si dona a noi.
    Secondo il mio parere, rinnovare queste essenziali conoscenze dovrebbe essere il compito della catechesi e delle omelie. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha deciso di fare una specie di campionario per le liturgie - non un libro con testi già pronti ma con alcuni dati di base, in che senso si deve parlare in taluni giorni affinché possa avvenire una continua educazione alla fede e alla liturgia. Così a proposito della direzione da assumere durante la preghiera ho proposto che non si debbano spostare di nuovo gli altari, girarli e così via, si dovrebbe piuttosto mettere sull'altare il crocifisso, la croce. Così si può […] vedere e guardare.
    Abbiamo allora un punto di riferimento comune. Che stiamo davanti oppure dietro alla croce, guardiamo tutti verso il crocifisso e veniamo uniti dallo sguardo comune. Ed egli, il Crocifisso, è il vero oriens.
    Naturalmente è sempre molto bello quando l'«orientamento» (a est) si può esprimere in maniera concreta, come avviene per molte chiese di epoca medievale nelle quali si trova una piccola apertura dalla finestra nella quale la luce del sole penetra nell'attimo in cui sorge. Celebrare insieme al cosmo è qualcosa di meraviglioso. Per questo sento le chiese in cemento che hanno solo luce artificiale e temperature artificiali come qualcosa di spaventoso, perché ci estraiamo dalla creazione e ci immettiamo in ciò che facciamo da soli. Superare questo avvitarsi, questo imprigionarsi in ciò che si produce da soli e uscire verso la libertà della creazione credo sia uno dei grandi aspetti della vera liturgia: che non siamo solo presenti a noi stessi nello spazio in cui noi facciamo, ma che noi ci proiettiamo nella grandezza del cosmo e della storia e andiamo incontro al Signore che ci viene incontro e anticipa la parusia già durante ogni liturgia.
    In altre parole: l'aspetto decisivo mi sembra prima di tutto l'educazione liturgica attraverso la quale gli uomini diventano consapevoli che qui non ci troviamo insieme in modo che io faccia qualcosa e l'altro qualcos'altro, che egli dica qualcosa e che io dica qualcos'altro. Invece ci troviamo insieme perché l'Altro, perché Dio stesso si rivolge a noi. E ci troviamo perché noi così entriamo dentro alla grande dimensione d'insieme della Chiesa di ieri, oggi e domani arrivando nell'eternità. Ci troviamo insieme in un'assemblea che è più della comunità e certo con questo trovarsi diventa comunità che si immerge in tutta la Chiesa intera con la quale vive e impara a pregare. Naturalmente le preghiere autoprodotte sono più semplici da comprendere ma scivolano altrettanto facilmente nel banale. E forse è difficile pregare con i grandi testi della Chiesa.
    Ma penso che uno dei contenuti della catechesi dovrebbe essere che nella preghiera noi ci leghiamo ai grandi oratori e pregando siamo parte della grande corrente di coloro che pregano - che a questo aggiungiamo e subordiniamo il nostro singolo pensiero affinché compiamo le grandi cose predisposte per noi con il nostro modesto io che è ancorato saldamente alla grandezza di tutta la Chiesa.
    Entrambi i punti sono quindi: da una parte una vera conoscenza di ciò che è la liturgia e un lasciarsi condurre in essa. Questa deve essere vista nell'ottica del grande obiettivo da raggiungere con l'annuncio e la catechesi e far così ritornare la liturgia nuovamente alla sua grandezza cosmica e storico-salvifica, al suo incontro con Dio. D'altra parte - in ogni caso al momento - non si tratta di alcuna riforma strutturale ma solo di segno concreto collocare la croce come centro di entrambe le parti, il sacerdote e i credenti che non pregano diretti gli uni verso gli altri ma verso lo stesso Signore.
    Anche per la musica vale il concetto di non perdere la continuità con quanto avuto sinora e al contempo di procedere in avanti: ermeneutica della continuità. Non si dovrebbe buttare via ciò che è vecchio ma custodire in tutto il mondo gli elementi della comunitarietà che ci aiutano ad andare gli uni incontro agli altri. Mi ha sempre colpito quello che hanno detto alcuni soldati della Seconda Guerra Mondiale: «Per quanto fossi in Francia o in qualsiasi altra parte - quando andavo a messa, ero a casa». Questi elementi di comunitarietà li dobbiamo imparare nuovamente e dobbiamo così mantenere saldi anche gli elementi della lingua latina e del corale gregoriano.
    […] vorrei anche sottolineare la questione dell'immagine. Veramente dopo il Concilio ci fu un'iconoclastia, una distruzione delle immagini. Ci furono chiese in cemento nelle quali non vi doveva essere appeso neanche un quadro. Ma da quando il Signore è diventato un uomo e si è reso visibile, l'immagine è stata introdotta nella Chiesa e quindi lo scontro iconoclasta è stato solo uno scontro per l’ortodossia. La celebrazione delle immagini che si è diffusa in seguito al secondo Concilio di Nicea è la celebrazione dell'Orthodoxia, della visibilità di Dio, che si comunica anche attraverso le immagini e in questo senso è anche una celebrazione della ricchezza dei sensi che vengono raccolti e orientati. li cardinale Meisner ha scritto un libro sulla sensorialità della fede. Questo lo ritengo giusto, nel senso che davvero il corpo e quindi i sensi entrano a far parte della grandezza e vengono innalzati e purificati casi da essere destinati non solo allo spirito ma a tutto l'uomo, anima e corpo, con i suoi sensi.
    Credo che da quanto detto divenga evidente come noi possiamo essere grati per la riforma della liturgia anche se il suo corso è stato talvolta catastrofico. Non ho mai detto, credo, che fosse una catastrofe ma che il suo percorso in qualche tratto è stato catastrofico, questo lo si può e lo si deve davvero dire. Nel contempo, dobbiamo superare la mentalità del fare da sé e la mentalità dell'adeguamento, quindi della perdita di Dio e spingerei verso l'aspetto nodale.
    fonte

    SUA SANTIDADE BENTO XVI: Teologia della liturgia - questo significa che Dio agisce per mezzo del Cristo nella liturgia e che noi non possiamo agire che per mezzo Suo e con Lui.


  • La liturgia: opera del Cristo vivente
  • Il messaggio del Nuovo Testamento: fine del rito o nascita della liturgia nuova?
  • Partecipazione all’azione liturgica
  • Il nesso indissolubile tra il sacramento e la Chiesa, nella storia
  • Il senso delle realtà sacramentali
  • La liturgia: fedeltà irreformabile e rinnovamento
  • Due esempi
  • I Templi pagani e l’edificio liturgico nell’ebraismo e nel cristianesimo
  • In cosa consiste il sacrificio del Cristo
  • La liturgia: opera del Cristo vivente

    Teologia della liturgia - questo significa che Dio agisce per mezzo del Cristo nella liturgia e che noi non possiamo agire che per mezzo Suo e con Lui. Da noi stessi non possiamo costruire la nostra via verso Dio. Questa via non è percorribile, eccetto il caso che Dio stesso si faccia la via. E una volta per sempre: le vie dell’uomo che non pervengono accanto a Dio sono delle non-vie.

    Teologia della liturgia significa inoltre che nella liturgia il Logos stesso ci parla e non solo parla: viene con il Suo corpo, la Sua anima, la Sua carne, il Suo sangue, la Sua divinità, la Sua umanità per unirci a Lui, per fare di noi "un solo corpo". Nella liturgia cristiana tutta la storia della salvezza, anzi tutta la storia della ricerca umana di Dio, è presente, viene assunta e portata al suo compimento. La liturgia cristiana è una liturgia cosmica - abbraccia la creazione intera che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (Rm 8, 19).

    Trento non si ingannò, si appoggiò sul solido fondamento della Tradizione della Chiesa.
    (da La teologia della liturgia, Conferenza tenutasi nel monastero di Fontgombault dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, svoltasi presso l’Abbazia benedettina di “Notre Dame de Fontgombault”, in Francia, 22-24 luglio 2001)

    Penso che ciò che avviene nel Battesimo si chiarisca per noi più facilmente, se guardiamo alla parte finale della piccola autobiografia spirituale, che san Paolo ci ha donato nella sua Lettera ai Galati. Essa si conclude con le parole che contengono anche il nucleo di questa biografia: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Vivo, ma non sono più io. L'io stesso, la essenziale identità dell'uomo – di quest'uomo, Paolo – è stata cambiata. Egli esiste ancora e non esiste più. Ha attraversato un "non" e si trova continuamente in questo "non": Io, ma "non" più io. Paolo con queste parole non descrive una qualche esperienza mistica, che forse poteva essergli stata donata e che, semmai, potrebbe interessare noi dal punto di vista storico. No, questa frase è l'espressione di ciò che è avvenuto nel Battesimo. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande. Allora il mio io c'è di nuovo, ma appunto trasformato, dissodato, aperto mediante l'inserimento nell'altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Paolo ci spiega la stessa cosa ancora una volta sotto un altro aspetto quando, nel terzo capitolo della Lettera ai Galati, parla della "promessa" dicendo che essa è stata data al singolare – a uno solo: a Cristo. Egli solo porta in sé tutta la "promessa". Ma che cosa succede allora con noi? Voi siete diventati uno in Cristo, risponde Paolo (Gal 3, 28). Non una cosa sola, ma uno, un unico, un unico soggetto nuovo. Questa liberazione del nostro io dal suo isolamento, questo trovarsi in un nuovo soggetto è un trovarsi nella vastità di Dio e un essere trascinati in una vita che è uscita già ora dal contesto del "muori e divieni". La grande esplosione della risurrezione ci ha afferrati nel Battesimo per attrarci. Così siamo associati ad una nuova dimensione della vita nella quale, in mezzo alle tribolazioni del nostro tempo, siamo già in qualche modo introdotti. Vivere la propria vita come un continuo entrare in questo spazio aperto: è questo il significato dell'essere battezzato, dell'essere cristiano. È questa la gioia della Veglia pasquale. La risurrezione non è passata, la risurrezione ci ha raggiunti ed afferrati. Ad essa, cioè al Signore risorto, ci aggrappiamo e sappiamo che Lui ci tiene saldamente anche quando le nostre mani si indeboliscono. Ci aggrappiamo alla sua mano, e così teniamo le mani anche gli uni degli altri, diventiamo un unico soggetto, non soltanto una cosa sola. Io, ma non più io: è questa la formula dell'esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo. Io, ma non più io: se viviamo in questo modo, trasformiamo il mondo. È la formula di contrasto con tutte le ideologie della violenza e il programma che s'oppone alla corruzione ed all'aspirazione al potere e al possesso.
    (dall’omelia di Benedetto XVI nella Veglia Pasquale nella Notte Santa del 15 aprile 2006)

    Cari fratelli... il Giovedì Santo è il giorno in cui il Signore diede ai Dodici il compito sacerdotale di celebrare, nel pane e nel vino, il sacramento del suo corpo e del suo sangue fino al suo ritorno. Al posto dell'agnello pasquale e di tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza subentra il dono del suo corpo e del suo sangue, il dono di se stesso. Così il nuovo culto si fonda nel fatto che, prima di tutto, Dio fa un dono a noi, e noi, colmati da questo dono, diventiamo suoi: la creazione torna al Creatore. Così anche il sacerdozio è diventato una cosa nuova: non è più questione di discendenza, ma è un trovarsi nel mistero di Gesù Cristo. Egli è sempre Colui che dona e ci attira in alto verso di sé. Soltanto Lui può dire: «Questo è il mio corpo - questo è il mio sangue». Il mistero del sacerdozio della Chiesa sta nel fatto che noi, miseri esseri umani, in virtù del sacramento possiamo parlare con il suo io: in persona Christi. Egli vuole esercitare il suo sacerdozio per nostro tramite. Questo mistero commovente, che in ogni celebrazione del sacramento ci tocca di nuovo, noi lo ricordiamo in modo particolare nel Giovedì Santo. Perché il quotidiano non sciupi ciò che è grande e misterioso, abbiamo bisogno di un simile ricordo specifico, abbiamo bisogno del ritorno a quell'ora in cui egli ha posto le sue mani su di noi e ci ha fatti partecipi di questo mistero.
    (dall’Omelia di Benedetto XVI per la Messa del Crisma del Giovedì Santo 13 aprile 2006)

    http://www.gliscritti.it/index.html

    Benedetto XVI: La liturgia è ciò che fa Dio per l’uomo, non ciò che l’uomo fa per Dio

    La liturgia è ciò che fa Dio per l’uomo, non ciò che l’uomo fa per Dio (Benedetto XVI)


    Liturgia_celeste
    La liturgia manifesta il “Dio-con-noi”
    Messaggio del Papa alla 62ma Settimana Liturgica Nazionale Italiana
    Alcuni passaggi del messaggio che il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone ha inviato – a nome del Santo Padre – alla 62maedizione della Settimana Liturgica Nazionale Italiana, promossa dal Centro di Azione Liturgica (Cal) sul tema: “Dio educa il suo popolo. La liturgia, sorgente inesauribile di catechesi”, inaugurata lunedì a Trieste.
    10 agosto 2011
    * * *
    La Chiesa, specialmente quando celebra i divini misteri, si riconosce e si manifesta quale realtà che non può essere ridotta al solo aspetto terreno e organizzativo. In essi deve apparire chiaramente che il cuore pulsante della comunità è da riconoscersi oltre gli angusti e pur necessari confini della ritualità, perché la liturgia non è ciò che fa l’uomo, ma quello che fa Dio con la sua mirabile e gratuita condiscendenza. Questo primato di Dio nell’azione liturgica era stato evidenziato dal Servo di Dio Paolo VI alla chiusura del secondo periodo del Concilio Vaticano II mentre annunciava la proclamazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium: “In questo fatto ravvisiamo che è stato rispettato il giusto ordine dei valori e dei doveri: in questo modo abbiamo riconosciuto che il posto d’onore va riservato a Dio; che noi come primo dovere siamo tenuti ad innalzare preghiere a Dio; che la sacra Liturgia è la fonte primaria di quel divino scambio nel quale ci viene comunicata la vita di Dio, è la prima scuola del nostro animo, è il primo dono che da noi deve essere fatto al popolo cristiano…” (Paolo VI, Discorso per la chiusura del secondo periodo, 4 dicembre 1963, AAS [1964], 34).
    La liturgia, oltre ad esprimere la priorità assoluta di Dio, manifesta il suo essere “Dio-con-noi”, perché “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.” (Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, 1). In tal senso, Dio è il grande educatore del suo popolo, la guida amorevole, sapiente, instancabile nella e attraverso la liturgia, azione di Dio nell’oggi della Chiesa.
    A partire da questo aspetto fondativo, (occorre) riflettere sulla dimensione educativa dell’azione liturgica, in quanto “scuola permanente di formazione attorno al Signore risorto, luogo educativo e rivelativo in cui la fede prende forma e viene trasmessa” (Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 39). A tale proposito, è necessario approfondire sempre meglio il rapporto tra catechesi e liturgia, rifiutando, tuttavia, ogni indebita strumentalizzazione della liturgia a scopi “catechistici”. Al riguardo, la vivente tradizione patristica della Chiesa ci insegna che la stessa celebrazione liturgica, senza perdere la sua specificità, possiede sempre un’importante dimensione catechetica (cfr Sacrosanctum Concilium, 33). Infatti, in quanto “prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possano attingere uno spirito veramente cristiano” (ibidem, 14), la liturgia può essere chiamata catechesi permanente della Chiesa, sorgente inesauribile di catechesi, preziosa catechesi in atto (cfr Conferenza Episcopale Italiana, Il rinnovamento della catechesi, 7 febbraio 1970, 113). Essa, in quanto esperienza integrata di catechesi, celebrazione, vita, esprime inoltre l’accompagnamento materno della Chiesa, contribuendo così a sviluppare la crescita della vita cristiana del credente e alla maturazione della sua coscienza…
    http://www.enzocaruso.net/site/la-liturgia-e-cio-che-fa-dio-per-luomo-non-cio-che-luomo-fa-per-dio-benedetto-xvi/
     

    sexta-feira, 27 de dezembro de 2013

    BISHOP RUDOLF GRABER ON VATICAN II

    BISHOP RUDOLF GRABER ON VATICAN II




    BISHOP RUDOLF GRABER (1903-1992)

    AUTHOR OF "ST ATHANASIUS AND THE CHURCH OF OUR TIME"



    ....A few years ago, Bishop Rudolf Graber asked, "Where do the conciliar texts speak of communion in the hand, for example, or where do they enjoin the so-called altar facing the people (which is scant testimony to that `giving perfect glory to God' which the Liturgy Constitution says [in Par. 5] is the goal and purpose of worship)? The answer is: NOWHERE. This good bishop went on to mention a number of other things which fall into the same category: elimination of the subdiaconate and the four minor orders the monotonous enumeration of "Sundays in ordinary time" _ while the Protestants of course have retained the pre-Lenten season and the Sundays "after Trinity" <de facto> abandonment of Latin as liturgical language of the Western Church; elimination of the second imposition of hands during priestly ordination, and many others.....

    . http://www.ewtn.com/library/LITURGY/FR94103.TXT
     
    http://triregnum.blogspot.pt/2013/06/bishop-rudolf-graber-on-vatican-ii.html

    MONS. RUDOLF GRABER: ATANASIO Y LA IGLESIA DE NUESTRO TIEMPO


    ATANASIO Y LA IGLESIA
    DE NUESTRO TIEMPO


    (En su lucha contra el Modernismo)
    MONSEÑOR RUDOLF GRABER
    Obispo de Regensburg
    El 1600 aniversario de la muerte de San Atanasio no debe pasar, sin que se haga mención del mismo por lo menos en un comentario. San Atanasio se encuentra entre aquellos escasos Santos a los cuales la Historia ha concedido el calificativo de "el Grande".
    Para no extendernos demasiado, citaremos aquí lo que Juan Adán Möler, dice de él en el prefacio de su obra "Atanasio el grande y la Iglesia de su tiempo", especialmente en la lucha contra el Arrianismo (Maguncia, 1844): "Ya cuando entablé mis primeros contactos con la Historia de la Iglesia, me pareció Atanasio de tal importancia, tan extraordinaria su vida, sus persecuciones por causa de la fe, su resurgimiento, su nueva caída y reiterada subida, su alta dignidad cristiana, y su sublimidad sobre toda desgracia vislumbrada en toda su historia, que despertó tanto mi simpatía, que sentí un profundo deseo de conocer más íntimamente a este gran hombre y estudiarlo en sus propios documentos. El vago sentimiento que me atraía hacia estos escritos, no quedó defraudado; de ellos manaba una rica fuente de alimento espiritual. Pero, cuanto más iba comparando lo que yo hallaba en Atanasio, con lo que se hablaba del santo en otros libros, más me dolía que este gran Padre de la Iglesia no hubiese sido conocido y reconocido durante tantísimo tiempo, tal como se merecía. Esto me hizo tomar la determinación de trabajar sobre él, de sacar a la luz del día los tesoros de fe y de sabiduría cristiana que albergaba y exponer al mismo tiempo su historia".
    En reminiscencia del título de esa obra, hemos escogido el título de "ATANASIO Y LA IGLESIA DE NUESTRO TIEMPO" (En su lucha contra el modernismo).
    Ojalá este humilde escrito pudiera contribuir a la actualización de las palabras que San Basilio el Grande escribió en el año 371 a Atanasio: "En todo, el Señor realiza lo grande, por medio de aquellos que son dignos de Él. Confiamos por ello, que este servicio tan excelso valga también para ti, y en consecuencia que finalice el descarriamiento del pueblo, que todos se sometan al mutuo amor y que se renueve la antigua fuerza de la Iglesia".LEER TODA LA OBRA...
    Regensburg, en la Fiesta de San Atanasio, 2 de mayo de 1973.
    RUDOLF GRABER, Obispo de Regensburg

    Mons. Rudolf Graber: Con lo pseudo-altare non più sacro, perde poco alla volta il carattere sacro anche Quello che si mette sopra: il Figlio di Dio, Gesù Cristo eucaristico è dimenticato e persino negato.

    serve un nuovo Sant'Atanasio



    Il posto di Atanasio. Rudolf Graber
    tratto dal Settimanale di Padre Pio dal Numero 38 del 29 settembre 2013
    di Paolo Risso
    Vescovo per trent’anni, mons. Graber vive anni difficili per la Chiesa. Si trova a dover denunciare una “teologia” sempre più lontana da Cristo, snaturata a partire dalla Liturgia, che ha distrutto ormai il senso del “Sacro”. Crisi tutt’altro che risolta, dati i nostri stessi tempi bui.
    ******

    Lo sguardo luminoso dietro le lenti. Il volto sereno atteggiato a sorriso. Uno stile serio e lieto con la sicurezza della Verità. Così si presentava già al primo incontro mons. Rudolf Graber, vescovo di Ratisbona, il quale nella sua lunga vita si distinse per le virtù e per le opere. Una vita incentrata in Gesù Cristo e tutta “giocata” per Lui e per la sua Chiesa.

    Profilo di un uomo
    Era nato il 13 settembre 1903. Intelligentissimo e lucido, presto appassionato di Gesù, il giovane si avvia rapidamente al Sacerdozio con l’intento di prolungare Gesù in primo luogo nel servizio alla Verità. A soli 23 anni, il 1° agosto 1926, è ordinato sacerdote.
    Vorrebbe dedicarsi subito all’apostolato diretto, ma i superiori lo mandano a Roma a laurearsi in Sacra Teologia all’Angelicum, l’ateneo dei Domenicani che sulla scia del Fondatore, il beato padre Giacinto Cormier (†1916) e dei suoi illustri docenti, tra i quali il padre Reginaldo Garrigou-Lagrange (†1964), allora era assai prestigiosa scuola di Filosofia e di Teologia, alla sequela di san Tommaso d’Aquino.
    Addottoratosi in modo brillante, don Rudolf, dal 1929 al 1962, lavorerà nella sua diocesi di Eichstâtt in Baviera. Dal 1941 è professore di Storia della Chiesa, di Teologia fondamentale, di Ascetica e Mistica all’Università. Intraprende la sua attività scientifica di studi e ricerche e le sue pubblicazioni, tradotte in diverse lingue, lo rendono noto in Germania e nel mondo.
    Nello studio della Teologia intorno a Gesù Cristo, don Rudolf scopre in modo singolare il posto della Madonna e di Lei si innamora a fondo, intravedendo presto una forza di irradiazione sulle anime che solo Maria Santissima può donare. Così dal 1957 al 1962 diventa capo della redazione del Bote von Fatima (Messaggero di Fatima). Sale su molti pulpiti e cattedre a parlare della Madonna: la sua identità, i suoi privilegi, il suo ruolo nell’opera della Salvezza, nella conversione delle anime e del mondo a Gesù, il Figlio suo e nostro unico Salvatore. Nel 1973 vengono pubblicati due volumi delle sue splendide omelie mariane e di altri suoi scritti sui grandi problemi della Chiesa, da lui sempre studiati e illuminati.
    Un grande avvenimento è accaduto intanto nella sua vita. Il 28 marzo 1962, da papa Giovanni XXIII è elevato alla dignità di vescovo e insediato nella antica e illustre Ratisbona. Come vescovo ratisbonese partecipa al Concilio Vaticano II, impegnandosi nella difesa della Verità.

    Centenario di sant’Atanasio
    Sarà un nobile Presule, ma a renderlo ancora celebre a più di 20 anni dalla sua morte avvenuta il 31 gennaio 1992 (un trentennio di Episcopato!), è il suo libro Sant’Atanasio e la Chiesa del nostro tempo (edizioni Civiltà, Brescia 1973), pubblicato nel XVI centenario della morte di sant’Atanasio (†373), vescovo di Alessandria d’Egitto, il grande difensore della Divinità di Gesù Cristo contro l’eresia di Ario, al Concilio di Nicea (325) e sino alla sua fine, subendo attacchi, condanne, esilio e sofferenze di ogni genere.

    Mons. Rudolf Graber, partendo dalla crisi ariana del IV secolo d.C. e presentando la figura e l’opera gigantesca di sant’Atanasio, passa poi a illustrare come una gravissima crisi sta dilagando ora nel secolo XX, nella Chiesa, crisi tutt’altro che risolta. Egli osserva lucidamente che il pericolo che ci sovrasta e ci minaccia nel nostro tempo è assai peggiore dell’assalto di Ario nell’epoca dell’intrepido Atanasio.
    È entrato ora nel popolo già cristiano-cattolico un veleno mortale. Noi sappiamo qual è il canale di infiltrazione: sul popolo hanno presa non tanto le idee astratte, ma ciò che tocca con mano, ciò che in pratica gli è proposto, ciò che vive. In una parola, la Liturgia. Gli incessanti cambiamenti, le inattese e, per la maggioranza, non motivate sorprendenti novità liturgiche, hanno gettato l’allarme hanno confuso gli spiriti semplici e retti, pronti a ricevere tutto, in modo indiscriminato. Attraverso una riforma liturgica, condotta spesso in modo scanzonato, è stata scossa e sofisticata la fede retta e semplice nei Sacramenti: il Battesimo e la Confessione, soprattutto l’Eucaristia.
    Si è diffusa – denuncia mons. Graber – una deplorevole confusione nelle coscienze, che è la causa principale dello smarrimento del “Sacro”. Una desacralizzazione, voluta e imposta da certo clero progressista, che fa parte del “complotto” delle forze sovversive (leggi: Massoneria) che vogliono rovinare la fede e la preghiera. Cambiata la regola della preghiera (lex orandi), si cambia in modo facilissimo la regola della fede (lex credendi), e viceversa, per cui a un certo punto, nulla più regge.
    Oggi, a 45-50 anni dall’inizio di queste cose, ne vediamo la gravità, ma chi pone mano ad esse? L’attenzione, purtroppo, continua a essere rivolta più all’uomo che a Dio.
    Mons. Graber, in questo suo capolavoro, accusa e documenta tale complotto, ripetendo il monito dello statista barone Von Hertling, uomo pio e saggio, che già nel 1905 aveva scritto: «Gli indecisi, i titubanti, gli uomini di poca fede sogliono subire l’assalto senza possibilità di opporre resistenza; così si spezzano gli ultimi legami che li tenevano uniti alla Chiesa. Credono di avere il diritto di condannare tutta la pietà cattolica».
    Queste parole dette del modernismo d’inizio secolo XX, mons. Graber le applica in modo ancora più denso al modernismo del nostro tempo che giunge alla negazione piena di Gesù Cristo stesso e del Cattolicesimo che viene da Lui: «Del Cattolicesimo così non resta più nulla» (ven. Pio XII), solo un umanitarismo come vogliono la Massoneria e gli “utili idioti” che di essa fanno il gioco, sorridendo alle “aperture”, all’“aria aperta” fatta entrare nella Chiesa!
    Il servirsi della “tavola” come faceva Cranmer (1489-1556) all’inizio dell’anglicanesimo, al posto del vero altare ormai trascurato e disprezzato, nuoce assai in questo senso. “Assemblea” e celebrante si “autocelebrano” a vicenda, incentrandosi sull’uomo e non su Dio. è sminuita la realtà del Sacrificio di Gesù e si fa risaltare invece la convivialità.
    Con lo pseudo-altare non più sacro, perde poco alla volta il carattere sacro anche Quello che si mette sopra: il Figlio di Dio, Gesù Cristo eucaristico è dimenticato e persino negato. Le molte, irriverenti e diverse maniere di dare la Comunione (“sulla mano”, ma si poteva trovare una cosa peggiore?) fanno il resto. E il continuo chiasso di vario genere, musiche e canti stolti e brutti, persino da osteria, uccidono lo spirito di preghiera, che non può esserci senza raccoglimento.
    Dal lucido libro di mons. Graber, questi sono soltanto appunti. Ciò che qui viene chiamata «crisi della Chiesa», papa Paolo VI ha chiamato «autodistruzione della Chiesa»: occorre ascendere alle sue cause, per correggere e riemergere, ma chi lo fa? Ci si illude ancora in un falso ottimismo che aggrava il male, senza rimedio.

    Una teologia senza Cristo
    Mons. Graber addita il “documento” della Società segreta (si trova nell’Archivio Vaticano), che suona così: «Noi cerchiamo di distogliere il prete dall’altare e procuriamo di occuparlo in altre cose; rendiamolo politicante e gaudente; in breve diverrà ambizioso, intrallazzatore e perverso. La nostra impresa mira alla corruzione del popolo per mezzo del clero. E con questa corruzione siamo certi di vedere la Chiesa precipitare nella tomba». Nel suo libro, mons. Graber fa vedere (scrive ai primi anni ’70 del secolo scorso) che il programma della Massoneria si sta realizzando. In tutti i Paesi marciano «i pornoteologi», come li definì padre Cornelio Fabro (1911-1995), uno dei maggiori filosofi italiani del nostro tempo. Tutto va a rotoli, si difendono, si giustificano le relazioni pre-matrimoniali, gli adulteri, l’amore di gruppo, gli atti contro natura e quant’altro di perverso possa esistere.
    Si pensi ora quanto più tutto ciò si è realizzato oggi, ma la Chiesa come ai tempi di sant’Atanasio, non scenderà nella tomba, perché Essa appartiene a Gesù, l’Uomo-Dio che l’ha acquistata con il suo Sangue e con il medesimo Sangue la nutre.
    Infine, mons. Graber rammenta Karl Rahner, prima del Concilio Vaticano II: già allora non era senza macchia. Infatuato di Heidegger e di tutta la filosofia esistenzialistica, portò fin dal principio una nascosta (neppur troppo) contraddizione di se stesso, che si è aggravata negli anni del Concilio e del post-Concilio, quando tutto è stato posto in discussione. Oggi, anche rileggendo il Rahner pre-conciliare, lo si vede come un vero camaleonte che prende sempre il colore dell’ambiente, a dir poco un opportunista.
    Quindi è passato alla testa della schiera attivissima non solo in Germania, ma nel mondo intero, lanciatasi all’assalto del Cristo stesso e della sua Chiesa. Sotto un linguaggio fine e persino a volte edificante, egli elabora una “teologia” incentrata sull’uomo e sul mondo, una teologia senza Cristo. Altri “teologi”, altre “cattedre” lo hanno seguito, così che oggi una triste, tristissima gloria resta a Rahner. Egli ha minato e quasi distrutto la fede nel Battesimo – imposto e voluto da Cristo – con il suo slogan: «Ogni uomo è cristiano».
    Ci troviamo così di fronte a una nuova “strage degli innocenti”: i bimbi morti senza Battesimo, perché le nuove pratiche e la svalutazione del Battesimo hanno preso forza dalle tesi di Rahner. Ma tutta una pastorale (che è la negazione della pastorale vera), proprio a causa di Rahner professato da legioni, non si occupa più della Salvezza delle anime, della lotta al peccato, della vita in grazia di Dio, della Confessione frequente e della necessaria, indispensabile, continua conversione a Gesù Cristo. Una realtà terribile: sembra non esistere il problema più urgente, l’unico vero problema, la Salvezza delle anime. Al punto che malati e morenti sono spesso lasciati morire senza Sacramenti: certi preti e parroci non se ne interessano più!
    Conclude così il libro mons. Graber: «La terra tremi sotto i nostri piedi. Si può presagire con certezza che la Chiesa uscirà incolume da una tale rovina, ma nessuno può dire e congetturare chi e che cosa sopravvivrà. Noi, dunque, avvisando, raccomandando, alzando le mani, vorremmo impedire il male mostrandone i segni. Persino i giumenti che portano i falsi profeti, si impennano, arretrano e rinfacciano con linguaggio umano la loro ingiustizia a chi li batte e non vede la spada sguainata (da Dio), che chiude loro la strada. Operate dunque finché è giorno, perché di notte nessuno può operare. Non serve nulla l’aspettare: l’attesa non ha fatto altro che aggravare tutte le cose».
    Ecco, ciò che serve oggi: un nuovo sant’Atanasio. O meglio: molti sant’Atanasio. Ma Gesù, per mezzo di Maria Santissima Immacolata, non mancherà di mandarceli quando Lui vorrà. A noi pregare, agire, soffrire e offrire per Lui e affrettare l’ora.
     

    quinta-feira, 26 de dezembro de 2013

    Sua Santidade Bento XVI: dirijamo-nos ao Menino de Belém, ao Filho da Virgem Maria e digamos: «Vinde salvar-nos»! . Actualité du Message de Benoît XVI .Actualidad del Mensaje de Benedicto XVI





    Pope's Urbi et Orbi Address . Pope's Christmas Eve Homily



    Pope's Urbi et Orbi Address

    Dear Brothers and Sisters in Rome and throughout the world! Christ is born for us! Glory to God in the highest and peace on earth to the men and women whom he loves. May all people hear an echo of the message of Bethlehem which the Catholic Church repeats in every continent, beyond the confines of every nation, language and culture. The Son of the Virgin Mary is born for everyone; he is the Saviour of all.
    This is how Christ is invoked in an ancient liturgical antiphon: "O Emmanuel, our king and lawgiver, hope and salvation of the peoples: come to save us, O Lord our God". Veni ad salvandum nos! Come to save us! This is the cry raised by men and women in every age, who sense that by themselves they cannot prevail over difficulties and dangers. They need to put their hands in a greater and stronger hand, a hand which reaches out to them from on high. Dear brothers and sisters, this hand is Jesus, born in Bethlehem of the Virgin Mary. He is the hand that God extends to humanity, to draw us out of the mire of sin and to set us firmly on rock, the secure rock of his Truth and his Love (cf. Ps 40:2).read...

    Pope's Christmas Eve Homily

    Dear Brothers and Sisters! The reading from Saint Paul’s Letter to Titus that we have just heard begins solemnly with the word "apparuit", which then comes back again in the reading at the Dawn Mass: apparuit – "there has appeared". This is a programmatic word, by which the Church seeks to express synthetically the essence of Christmas. Formerly, people had spoken of God and formed human images of him in all sorts of different ways. God himself had spoken in many and various ways to mankind (cf. Heb 1:1 – Mass during the Day). But now something new has happened: he has appeared. He has revealed himself. He has emerged from the inaccessible light in which he dwells. He himself has come into our midst. This was the great joy of Christmas for the early Church: God has appeared. No longer is he merely an idea, no longer do we have to form a picture of him on the basis of mere words. He has "appeared". But now we ask: how has he appeared? Who is he in reality? The reading at the Dawn Mass goes on to say: "the kindness and love of God our Saviour for mankind were revealed" (Tit 3:4).



    Homélie de Benoît XVI pour la messe de la nuit de Noël. Message de Benoît XVI à Rome et au monde, 25 décembre 2011

     

    Message de Benoît XVI à Rome et au monde, 25 décembre 2011




    Chers frères et sœurs de Rome et du monde entier !

    Le Christ est né pour nous ! Gloire à Dieu au plus haut des cieux et paix sur la terre aux hommes qu’Il aime. Qu’à tous parvienne l’écho de l’annonce de Bethleem, que l’Église Catholique fait retentir dans tous les continents, au-delà de toute frontière de nationalité, de langue et de culture. Le Fils de la Vierge Marie est né pour tous, il est le Sauveur de tous.

    Une antique antienne liturgique l’invoque ainsi : « O Emmanuel, notre Législateur et notre Roi, espérance et salut des nations, viens, Seigneur, viens nous sauver ! » Veni ad salvandum nos ! Viens nous sauver ! C’est le cri de l’homme de tous les temps, qui se sent incapable de surmonter tout seul difficultés et périls. Il a besoin de mettre sa main dans une main plus grande et plus forte, une main qui de là-haut se tende vers lui. Chers frères et sœurs, cette main c’est Jésus, né à Bethléem de la Vierge Marie. Il est la main que Dieu a tendue à l’humanité, pour la faire sortir des sables mouvants du péché et la faire reprendre pied sur le roc, le roc solide de sa Vérité et de son Amour (cf. Ps 39 [40], 3).lire...

    Homélie de Benoît XVI pour la messe de la nuit de Noël



    « Noël est une épiphanie – la manifestation de Dieu et de sa grande lumière dans un enfant qui est né pour nous. Né dans l’étable de Bethléem, non pas dans les palais des rois », explique Benoît XVI qui s’inspire de l’expérience de saint François d’Assise en disant: « Quand, en 1223, François d’Assise célébra Noël à Greccio avec un bœuf et un âne et une mangeoire pleine de foin, une nouvelle dimension du mystère de Noël a été rendue visible. François d’Assise a appelé Noël « la fête des fêtes » – plus que toutes les autres solennités – et il l’a célébré avec « une prévenance indicible ». Avec une profonde dévotion, il embrassait les images du petit enfant et balbutiait des paroles de tendresse à la manière des enfants, nous raconte Thomas de Celano ». lire...

    L'omelia di Benedetto XVI durante la Messa della Notte per il Natale 2011. Messaggio natalizio “Urbi et Orbi” rivolto da Benedetto XVI

    1. Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!
    Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti.
    Così lo invoca un’antica antifona liturgica: "O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio". Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci! Questo è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui. Cari fratelli e sorelle, questa mano è Cristo, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore (cfr Sal 40,3).leggere...
     
     
    L'omelia di Benedetto XVI durante la Messa della Notte per il Natale 2011
    Cari fratelli e sorelle,
    La lettura tratta dalla Lettera di san Paolo Apostolo a Tito, che abbiamo appena ascoltato, inizia solennemente con la parola “apparuit”, che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – “è apparso”.
    È questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo, vuole esprimere l’essenza del Natale. Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini (cfr Eb 1,1: lettura nella Messa del giorno).
    Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale: Dio è apparso.leggere...

    Solemne celebración de la Natividad del Señor en el Vaticano . Mensaje papal por Navidad

    Benedicto XVI: El Príncipe de la paz conceda paz y estabilidad a la Tierra

    Queridos hermanos y hermanas de Roma y del mundo entero:
    Cristo nos ha nacido. Gloria a Dios en el cielo, y paz a los hombres que él ama. Que llegue a todos el eco del anuncio de Belén, que la Iglesia católica hace resonar en todos los continentes, más allá de todo confín de nacionalidad, lengua y cultura. El Hijo de la Virgen María ha nacido para todos, es el Salvador de todos.
    Así lo invoca una antigua antífona litúrgica: «Oh Emmanuel, rey y legislador nuestro, esperanza de las naciones y salvador de los pueblos, ven a salvarnos, Señor Dios nuestro». Veni ad salvandum nos. Este es el clamor del hombre de todos los tiempos, que siente no saber superar por sí solo las dificultades y peligros. Que necesita poner su mano en otra más grande y fuerte, una mano tendida hacia él desde lo alto. Queridos hermanos y hermanas, esta mano es Cristo, nacido en Belén de la Virgen María. Él es la mano que Dios ha tendido a la humanidad, para hacerla salir de las arenas movedizas del pecado y ponerla en pie sobre la roca, la roca firme de su verdad y de su amor (cf. Sal 40,3).
    leer...

    Navidad es Epifanía, dijo el santo padre en Nochebuena


    “Queridos hermanos y hermanas: La lectura que acabamos de escuchar, tomada de la Carta de san Pablo Apóstol a Tito, comienza solemnemente con la palabra apparuit, que también encontramos en la lectura de la Misa de la aurora: apparuit – ha aparecido. Esta es una palabra programática, con la cual la Iglesia quiere expresar de manera sintética la esencia de la Navidad. Antes, los hombres habían hablado y creado imágenes humanas de Dios de muchas maneras. Dios mismo había hablado a los hombres de diferentes modos (cf. Hb 1,1: Lectura de la Misa del día). Pero ahora ha sucedido algo más: Él ha aparecido. Se ha mostrado. Ha salido de la luz inaccesible en la que habita. Él mismo ha venido entre nosotros. Para la Iglesia antigua, esta era la gran alegría de la Navidad: Dios se ha manifestado. Ya no es sólo una idea, algo que se ha de intuir a partir de las palabras. Él «ha aparecido». Pero ahora nos preguntamos: ¿Cómo ha aparecido? ¿Quién es él realmente? La lectura de la Misa de la aurora dice a este respecto: «Ha aparecido la bondad de Dios y su amor al hombre» (Tt 3,4). Para los hombres de la época precristiana, que ante los horrores y las contradicciones del mundo temían que Dios no fuera bueno del todo, sino que podría ser sin duda también cruel y arbitrario, esto era una verdadera «epifanía», la gran luz que se nos ha aparecido: Dios es pura bondad. Y también hoy, quienes ya no son capaces de reconocer a Dios en la fe se preguntan si el último poder que funda y sostiene el mundo es verdaderamente bueno, o si acaso el mal es tan potente y originario como el bien y lo bello, que en algunos momentos luminosos encontramos en nuestro cosmos. «Ha aparecido la bondad de Dios y su amor al hombre»: ésta es una nueva y consoladora certidumbre que se nos da en Navidad.leer...

    A mensagem natalícia "Urbi et Orbi" do Papa Bento XVI . Homilia de Bento XVI durante a missa da noite de Natal de 2011


    Amados irmãos e irmãs de Roma e do mundo inteiro!
    Cristo nasceu para nós! Glória a Deus nas alturas e paz na terra aos homens do seu agrado: a todos chegue o eco deste anúncio de Belém, que a Igreja Católica faz ressoar por todos os continentes, sem olhar a fronteiras nacionais, linguísticas e culturais. O Filho de Maria Virgem nasceu para todos; é o Salvador de todos.
    Numa antífona litúrgica antiga, Ele é invocado assim: «Ó Emanuel, nosso rei e legislador, esperança e salvação dos povos! Vinde salvar-nos, Senhor nosso Deus». Veni ad salvandum nos! Vinde salvar-nos! Tal é o grito do homem de todo e qualquer tempo que, sozinho, se sente incapaz de superar dificuldades e perigos. Precisa de colocar a sua mão numa mão maior e mais forte, uma mão do Alto que se estenda para ele. Amados irmãos e irmãs, esta mão é Cristo, nascido em Belém da Virgem Maria. Ele é a mão que Deus estendeu à humanidade, para fazê-la sair das areias movediças do pecado e segurá-la de pé sobre a rocha, a rocha firme da sua Verdade e do seu Amor (cf. Sal 40, 3).

    E é isto mesmo o que significa o nome daquele Menino (o nome que, por vontade de Deus, Lhe deram Maria e José): chama-se Jesus, que significa «Salvador» (cf. Mt 1, 21; Lc 1, 31). Ele foi enviado por Deus Pai, para nos salvar sobretudo do mal mais profundo que está radicado no homem e na história: o mal que é a separação de Deus, o orgulho presunçoso do homem fazer como lhe apetece, de fazer concorrência a Deus e substituir-se a Ele, de decidir o que é bem e o que é mal, de ser o senhor da vida e da morte (cf. Gn 3, 1-7). Este é o grande mal, o grande pecado, do qual nós, homens, não nos podemos salvar senão confiando-nos à ajuda de Deus, senão gritando por Ele: «Veni ad salvadum nos – Vinde salvar-nos!»
    O próprio facto de elevarmos ao Céu esta imploração já nos coloca na justa condição, já nos coloca na verdade do que somos nós mesmos: realmente nós somos aqueles que gritaram por Deus e foram salvos (cf. Est (em grego) 10, 3f). Deus é o Salvador, nós aqueles que se encontram em perigo. Ele é o médico, nós os doentes. O facto de reconhecer isto mesmo é o primeiro passo para a salvação, para a saída do labirinto onde nós mesmos, com o nosso orgulho, nos encerramos. Levantar os olhos para o Céu, estender as mãos e implorar ajuda é o caminho de saída, contanto que haja Alguém que escute e possa vir em nosso socorro.
    Jesus Cristo é a prova de que Deus escutou o nosso grito. E não só! Deus nutre por nós um amor tão forte que não pôde permanecer em Si mesmo, mas teve de sair de Si mesmo e vir ter connosco, partilhando até ao fundo a nossa condição (cf. Ex 3, 7-12). A resposta que Deus deu, em Cristo, ao grito do homem, supera infinitamente as nossas expectativas, chegando a uma solidariedade tal que não pode ser simplesmente humana, mas divina. Só o Deus que é amor e o amor que é Deus podia escolher salvar-nos através deste caminho, que é certamente o mais longo, mas é aquele que respeita a verdade d’Ele e nossa: o caminho da reconciliação, do diálogo e da colaboração.
    Por isso, amados irmãos e irmãs de Roma e do mundo inteiro, neste Natal de 2011, dirijamo-nos ao Menino de Belém, ao Filho da Virgem Maria e digamos: «Vinde salvar-nos»! Repitamo-lo em união espiritual com tantas pessoas que atravessam situações particularmente difíceis, fazendo-nos voz de quem a não tem.
    Juntos, invoquemos o socorro divino para as populações do Nordeste da África, que padecem fome por causa das carestias, por vezes ainda agravadas por um estado persistente de insegurança. A comunidade internacional não deixe faltar a sua ajuda aos numerosos refugiados vindos daquela Região, duramente provados na sua dignidade.
    O Senhor dê conforto às populações do Sudeste asiático, particularmente da Tailândia e das Filipinas, que se encontram ainda em graves situações de emergência devido às recentes inundações.
    O Senhor socorra a humanidade ferida por tantos conflitos, que ainda hoje ensanguentam o Planeta. Ele, que é o Príncipe da Paz, dê paz e estabilidade à Terra onde escolheu vir ao mundo, encorajando a retoma do diálogo entre israelitas e palestinianos. Faça cessar as violências na Síria, onde já foi derramado tanto sangue. Favoreça a plena reconciliação e a estabilidade no Iraque e no Afeganistão. Dê um renovado vigor, na edificação do bem comum, a todos os componentes da sociedade nos países do Norte da África e do Médio Oriente.
    O nascimento do Salvador sustente as perspectivas de diálogo e colaboração no Myanmar à procura de soluções compartilhadas. O Natal do Redentor garanta a estabilidade política nos países da região africana dos Grande Lagos e assista o empenho dos habitantes do Sudão do Sul na tutela dos direitos de todos os cidadãos.
    Amados irmãos e irmãs, dirijamos o olhar para a Gruta de Belém: o Menino que contemplamos é a nossa salvação. Ele trouxe ao mundo uma mensagem universal de reconciliação e de paz. Abramos- Lhe o nosso coração, acolhamo-Lo na nossa vida. Repitamos-Lhe com confiada esperança: «Veni ad salvandum nos».

    Amados irmãos e irmãs!
    A leitura que ouvimos, tirada da Carta do Apóstolo São Paulo a Tito, começa solenemente com a palavra «apparuit», que encontramos de novo na leitura da Missa da Aurora: «apparuit – manifestou-se». Esta é uma palavra programática, escolhida pela Igreja para exprimir, resumidamente, a essência do Natal. Antes, os homens tinham falado e criado imagens humanas de Deus, das mais variadas formas; o próprio Deus falara de diversos modos aos homens (cf. Heb 1, 1: leitura da Missa do Dia). Agora, porém, aconteceu algo mais: Ele manifestou-Se, mostrou-Se, saiu da luz inacessível em que habita. Ele, em pessoa, veio para o meio de nós. Na Igreja antiga, esta era a grande alegria do Natal: Deus manifestou-Se. Já não é apenas uma ideia, nem algo que se há-de intuir a partir das palavras. Ele «manifestou-Se». Mas agora perguntamo-nos: Como Se manifestou? Ele verdadeiramente quem é? A este respeito, diz a leitura da Missa da Aurora: «Manifestaram-se a bondade de Deus (…) e o seu amor pelos homens» (Tt 3, 4). ...


    The Story of Christmas Dom Prosper Gueranger

    The Story of Christmas Dom Prosper Gueranger






    Missa Pontifical celebrada pelo Cardeal Raymond Leo Burke em honra do Padre Stefano Maria Manelli, sendo o seu dia de festa do padroeiro: que Deus o conserve e o livre de seus inimigos.

    No domingo, 26 de dezembro de 2010, Sua Eminência o Cardeal Raymond Leo Burke celebrou uma Missa Pontifical no Seminário dos Frades Franciscanos da Imaculada, em Roma. A Missa foi celebrada em honra do Padre Stefano Maria Manelli, sendo o seu dia de festa do padroeiro, e em ação de graças para a elevação de Sua Eminência ao cardinalato





    Texto e fotos de: New Liturgical Movement

    . A missa foi cantada pelos coros combinado dos frades franciscanos e Irmãs da Imaculada de vários conventos dos F.I na Itália, e foi conduzido pela Ir. Maria Cecília Manelli e Pe. Giovanni Maria Manelli - resultando em um excelente exemplo da magnificência da Missa. Os irmãos e irmãs também tiveram a honra de receber Sua Excelência Dom Gino Reali, bispo da diocese local de Porto-Santa Rufino, em Roma.

    Em sua homilia, o Cardeal Burke focou na necessidade de beleza e esplendor, na liturgia sagrada, ecoando o que Sua Santidade o Papa Bento XVI escreveu na carta que acompanha o seu Moto Proprio "Summorum Pontificum": "Não é apropriado falar destas duas versões do Missal Romano como se fossem «dois ritos». Pelo contrário, é uma questão de um duplo uso do único e mesmo Rito. "E" O que para as gerações anteriores era sagrado, permanece sagrado e grande também para nós, e não pode ser de improviso totalmente proibido ou mesmo prejudicial. Cabe a todos nós, para conservar as riquezas que foram crescendo na fé da Igreja e de oração, e dar-lhes seu devido lugar ... "

    Fotos aqui:






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    quarta-feira, 25 de dezembro de 2013

    Benedict XVI , Will people find room in their lives for children, the poor and God? BENTO XVI : Se se apaga a luz de Deus, apaga-se a dignidade divina do homem. BENOIT XVI invite à accorder plus de place à Dieu pour devenir à Son image. Benedicto XVILa Verdad a la que no le basta el cielo ha brotado de la tierra para ser colocada en un pesebre.

    Pope: Homily at Christmas Vigil Mass (full text)





    (Vatican Radio) Pope Benedict XVI led the Universal Church in joyous celebrations for the birth of Our Lord Christmas Eve in Mass attended by thousands and broadcast globally from St. Peter’s Basilica. During his homily he posed a question to believers and non-believers alike: Will people find room in their hectic, technology-driven lives for children, the poor and God?. He also also prayed that Israelis and Palestinians live in peace and freedom, and asked the faithful to pray for strife-torn Syria as well as Lebanon and Iraq.

    Below the full text of Pope Benedict XVI’s Homily at Christmas Mass 2012
    Homily Christmas Vigil

    Dear Brothers and Sisters!
    Again and again the beauty of this Gospel touches our hearts: a beauty that is the splendour of truth. Again and again it astonishes us that ...»


    教宗和意大利总统及卸任总理互送圣诞祝贺





    (梵蒂冈电台讯)教宗本笃十六世12月23日与意大利总统乔治·纳波利塔诺彼此互祝圣诞。在热情的电话交谈中,意大利总统向教宗本笃十六世祝贺圣诞和新年,教宗也向意大利总统表达分享这一喜悦,及对意大利人民关怀。当晚,教宗和意大利卸任总理马里奥·蒙蒂也在电话会晤中互祝佳节。

    ...»

     

    «La verdad ha brotado de la tierra», el Papa en su Mensaje Navideño



    Jesus nascimento

    (RV).- (Con audio) Este mediodía, en la Solemnidad de la Navidad del Señor, desde la Logia Central de la Basílica Vaticana, Benedicto XVI dirigió el tradicional Mensaje navideño a los fieles presentes en la Plaza de San Pedro y a cuantos lo escucharon a través de la radio y la televisión, tras lo cual impartió la Bendición Apostólica “Urbi et Orbi”.

    Tras su Mensaje, el Santo Padre expresó su felicitación por la Navidad, en este Año de la fe, con las palabras tomadas del Salmo 85: «La verdad brota de la tierra».

    La Verdad a la que no le basta el cielo –dijo el Papa– ha brotado de la tierra para ser colocada en un pesebre. Y se preguntó ¿en bien de quién vino con tanta humildad tan gran excelsitud? Ciertamente –respondió–, no vino para bien suyo, sino nuestro, a condición de que creamos».

    «A ...»

    Папа: насычаная праграма на Божае Нараджэнне і Новы год




    MP3 Вігілійная св. Імша на Божае Нараджэнне 24 снежня ў 22.00 і ўрачыстае благаслаўлене “Urbi et orbi” (Гораду і свету) у аўторак днём, гэта асноўныя моманты святочных дзён для Папы ў Ватыкане. Сёлета Бэнэдыкта XVI чакае такая ж шырокая праграма літургічных мерапрыемстваў, як і ў папярэднія гады. Вігілійная св. Імша, якая доўжыцца больш за дзве гадзіны, была перанесена з поўначы на 22.00, каб 85-гадовы Пантыфік меў больш часу на адпачынак да святочнага благаслаўлення “Urbi et orbi” у першы дзень Божага Нараджэння. Перад ім Бэнэдыкт XVI традыцыйна звернецца з заклікам да міру і справядлівасці ў крызісных рэгіёнах свету і прамовіць святочныя віншаванні на дзясятках моваў. Перад святочным набажэнствам на заканчэнне году, якое Бэнэдыкт XVI узначаліць 31 снежня ў 17.00, сёлета Папу чакае яшчэ ...»

    Benedikt XVI.: „Wo Gott geleugnet wird, da gibt es keinen Frieden“



    „Beten wir in dieser Stunde für die Menschen, die heute (in Bethlehem) leben und leiden. Beten wir darum, dass dort Friede sei. Beten wir darum, dass Israelis und Palästinenser im Frieden des einen Gottes und in Freiheit ihr Leben entfalten können. Beten wir auch für die umliegenden Länder, für den Libanon, für Syrien, den Irak und so fort: dass dort Friede werde.“

    Bethlehem war das Zentrum der Christmette, die Papst Benedikt XVI. an diesem Montag im Petersdom feierte, und zwar das biblische wie das reale. Bereits am Nachmittag hatte der Papst sein Friedenslicht am Licht von Bethlehem angezündet, seitdem brennt es im Fenster seines Arbeitszimmers. In seiner Predigt nahm der Papst immer wieder Bezug auf den Ort der Menschwerdung, und das auch metaphorisch: Wir sollten aus einem ...»


     

    Messe de Noël : le Pape invite à accorder plus de place à Dieu pour devenir à Son image



    Ce lundi soir, plusieurs milliers de fidèles ont assisté à la veillée, puis à la messe de Noël qui ont été célébrées dans la Basilique Saint-Pierre. Benoît XVI a présidé la célébration eucharistique qui débuta à 22 heures. Dans son homélie, le Pape a invité les hommes à accorder plus de place à Dieu pour devenir des hommes à Son image, des hommes de paix, « objet de bienveillance », car a-t-il insisté, « si la lumière de Dieu s’éteint, la dignité divine de l’homme s’éteint aussi», rejetant ainsi « les courants de pensée répandus » selon lesquels « le monothéisme serait la cause de la violence et des guerres ».

    Accorder du temps à Dieu

    L’Evangile de Jean raconte que Marie et Joseph se sont installés dans l’étable, car il n’y avait plus de place pour eux dans la salle commune. Dans son ...»

    Se se apaga a luz de Deus, apaga-se a dignidade divina do homem: Bento XVI na missa do galo. Papa pede paz para Médio Oriente



    Ontem à noite, na “Missa do galo”, Bento XVI recordou as populações que “vivem e sofrem” em Belém, na Cisjordânia, terra natal de Jesus, e as de todo o Médio Oriente, pedindo a paz na região e diálogo entre os fiéis das várias religiões. “Rezemos para que lá haja paz. Rezemos para que israelitas e palestinos possam conduzir a sua vida na paz do único Deus e na liberdade. Peçamos também pelos países vizinhos – o Líbano, a Síria, o Iraque, etc. – para que lá se consolide a paz… Que cristãos e muçulmanos construam conjuntamente os seus países na paz de Deus”.
    Na missa da noite de Natal, na basílica de São Pedro, Bento XVI pediu ainda que os cristãos possam “conservar a sua casa” nos países onde teve origem a sua fé e que “cristãos e muçulmanos construam, juntos, os seus países na paz de Deus”. O Papa evocou uma passagem do profeta Isaías para desejar que “em vez dos armamentos para a guerra, surjam ajudas para os doentes”. “Iluminai [Senhor] quantos julgam dever praticar violência em vosso nome, para que aprendam a compreender o absurdo da violência e a reconhecer o vosso verdadeiro rosto. Ajudai a tornarmo-nos homens ‘do vosso agrado’: homens segundo a vossa imagem e, por conseguinte, homens de paz”.
    Numa reflexão sobre o fanatismo religioso e a violência, o Papa frisou que ao longo da história da humanidade “não houve apenas casos de mau uso da religião, mas, da fé no Deus que Se fez homem, nunca cessou de brotar forças de reconciliação e magnanimidade. Bento XVI recordou mesmo os “tipos de violência arrogante” que decorreram da negação de Deus, “com o homem a desprezar e a esmagar o homem”, em “toda a sua crueldade”, no século passado. “Onde não se dá glória a Deus, onde Ele é esquecido ou até mesmo negado, também não há paz. Hoje, porém, há correntes generalizadas de pensamento que afirmam o contrário: as religiões, mormente o monoteísmo, seriam a causa da violência e das guerras no mundo”.
    Para estas correntes, frisou o Papa, “seria preciso libertar a humanidade das religiões, para se criar então a paz. O monoteísmo, a fé no único Deus, seria prepotência, causa de intolerância, porque pretenderia, fundamentado na sua própria natureza, impor-se a todos com a pretensão da verdade única”. Bento XVI condenou as “deturpações do sagrado”, reconhecendo como “incontestável algum mau uso da religião na história”. “É verdade que o monoteísmo serviu de pretexto para a intolerância e a violência. É verdade que uma religião pode adoecer e chegar a contrapor-se à sua natureza mais profunda, quando o homem pensa que deve ele mesmo deitar mão à causa de Deus, fazendo assim de Deus uma sua propriedade privada”. Contudo – precisou o Papa, “não é verdade que o ‘não’ a Deus restabeleceria a paz. Se a luz de Deus se apaga, apaga-se também a dignidade divina do homem”.

    Eis o texto integral da homilia do Papa, na missa da noite de Natal:

    Amados irmãos e irmãs!
    A beleza deste Evangelho não cessa de tocar o nosso coração: uma beleza que é esplendor da verdade. Não cessa de nos comover o facto de Deus Se ter feito menino, para que nós pudéssemos amá-Lo, para que ousássemos amá-Lo, e, como menino, Se coloca confiadamente nas nossas mãos. Como se dissesse: Sei que o meu esplendor te assusta, que à vista da minha grandeza procuras impor-te a ti mesmo. Por isso venho a ti como menino, para que Me possas acolher e amar.
    Sempre de novo me toca também a palavra do evangelista, dita quase de fugida, segundo a qual não havia lugar para eles na hospedaria. Inevitavelmente se põe a questão de saber como reagiria eu, se Maria e José batessem à minha porta. Haveria lugar para eles? E recordamos então que esta notícia, aparentemente casual, da falta de lugar na hospedaria que obriga a Sagrada Família a ir para o estábulo, foi aprofundada e referida na sua essência pelo evangelista João nestes termos: «Veio para o que era Seu, e os Seus não O acolheram» (Jo 1, 11). Deste modo, a grande questão moral sobre o modo como nos comportamos com os prófugos, os refugiados, os imigrantes ganha um sentido ainda mais fundamental: Temos verdadeiramente lugar para Deus, quando Ele tenta entrar em nós? Temos tempo e espaço para Ele? Porventura não é ao próprio Deus que rejeitamos? Isto começa pelo facto de não termos tempo para Ele. Quanto mais rapidamente nos podemos mover, quanto mais eficazes se tornam os meios que nos fazem poupar tempo, tanto menos tempo temos disponível. E Deus? O que diz respeito a Ele nunca parece uma questão urgente. O nosso tempo já está completamente preenchido.
    Mas vejamos o caso ainda mais em profundidade. Deus tem verdadeiramente um lugar no nosso pensamento? A metodologia do nosso pensamento está configurada de modo que, no fundo, Ele não deva existir. Mesmo quando parece bater à porta do nosso pensamento, temos de arranjar qualquer raciocínio para O afastar; o pensamento, para ser considerado «sério», deve ser configurado de modo que a «hipótese Deus» se torne supérflua. E também nos nossos sentimentos e vontade não há espaço para Ele. Queremo-nos a nós mesmos, queremos as coisas que se conseguem tocar, a felicidade que se pode experimentar, o sucesso dos nossos projectos pessoais e das nossas intenções. Estamos completamente «cheios» de nós mesmos, de tal modo que não resta qualquer espaço para Deus. E por isso não há espaço sequer para os outros, para as crianças, para os pobres, para os estrangeiros. A partir duma frase simples como esta sobre o lugar inexistente na hospedaria, podemos dar-nos conta da grande necessidade que há desta exortação de São Paulo: «Transformai-vos pela renovação da vossa mente» (Rm 12, 2). Paulo fala da renovação, da abertura do nosso intelecto (nous); fala, em geral, do modo como vemos o mundo e a nós mesmos. A conversão, de que temos necessidade, deve chegar verdadeiramente até às profundezas da nossa relação com a realidade. Peçamos ao Senhor para que nos tornemos vigilantes quanto à sua presença, para que ouçamos como Ele bate, de modo suave mas insistente, à porta do nosso ser e da nossa vontade. Peçamos para que se crie, no nosso íntimo, um espaço para Ele e possamos, deste modo, reconhecê-Lo também naqueles sob cujas vestes vem ter connosco: nas crianças, nos doentes e abandonados, nos marginalizados e pobres deste mundo.

    Na narração do Natal, há ainda outro ponto que gostava de reflectir juntamente convosco: o hino de louvor que os anjos entoam depois de anunciar o Salvador recém-nascido: «Glória a Deus nas alturas, e paz na terra aos homens do seu agrado». Deus é glorioso. Deus é pura luz, esplendor da verdade e do amor. Ele é bom. É o verdadeiro bem, o bem por excelência. Os anjos que O rodeiam transmitem, primeiro, a pura e simples alegria pela percepção da glória de Deus. O seu canto é uma irradiação da alegria que os inunda. Nas suas palavras, sentimos, por assim dizer, algo dos sons melodiosos do céu. No canto, não está subjacente qualquer pergunta sobre a finalidade; há simplesmente o facto de transbordarem da felicidade que deriva da percepção do puro esplendor da verdade e do amor de Deus. Queremos deixar-nos tocar por esta alegria: existe a verdade; existe a pura bondade; existe a luz pura. Deus é bom; Ele é o poder supremo que está acima de todos os poderes. Nesta noite, deveremos simplesmente alegrar-nos por este facto, juntamente com os anjos e os pastores.
    E, com a glória de Deus nas alturas, está relacionada a paz na terra entre os homens. Onde não se dá glória a Deus, onde Ele é esquecido ou até mesmo negado, também não há paz. Hoje, porém, há correntes generalizadas de pensamento que afirmam o contrário: as religiões, mormente o monoteísmo, seriam a causa da violência e das guerras no mundo; primeiro seria preciso libertar a humanidade das religiões, para se criar então a paz; o monoteísmo, a fé no único Deus, seria prepotência, causa de intolerância, porque pretenderia, fundamentado na sua própria natureza, impor-se a todos com a pretensão da verdade única. É verdade que, na história, o monoteísmo serviu de pretexto para a intolerância e a violência. É verdade que uma religião pode adoecer e chegar a contrapor-se à sua natureza mais profunda, quando o homem pensa que deve ele mesmo deitar mão à causa de Deus, fazendo assim de Deus uma sua propriedade privada. Contra estas deturpações do sagrado, devemos estar vigilantes.
    Se é incontestável algum mau uso da religião na história, não é verdade que o «não» a Deus restabeleceria a paz. Se a luz de Deus se apaga, apaga-se também a dignidade divina do homem. Então, este deixa de ser a imagem de Deus, que devemos honrar em todos e cada um, no fraco, no estrangeiro, no pobre. Então deixamos de ser, todos, irmãos e irmãs, filhos do único Pai que, a partir do Pai, se encontram interligados uns aos outros. Os tipos de violência arrogante que aparecem então com o homem a desprezar e a esmagar o homem, vimo-los, em toda a sua crueldade, no século passado. Só quando a luz de Deus brilha sobre o homem e no homem, só quando cada homem é querido, conhecido e amado por Deus, só então, por mais miserável que seja a sua situação, a sua dignidade é inviolável. Na Noite Santa, o próprio Deus Se fez homem, como anunciara o profeta Isaías: o menino nascido aqui é «Emmanuel – Deus-connosco» (cf. Is 7, 14). E verdadeiramente, no decurso de todos estes séculos, não houve apenas casos de mau uso da religião; mas, da fé no Deus que Se fez homem, nunca cessou de brotar forças de reconciliação e magnanimidade. Na escuridão do pecado e da violência, esta fé fez entrar um raio luminoso de paz e bondade que continua a brilhar.

    Assim, Cristo é a nossa paz e anunciou a paz àqueles que estavam longe e àqueles que estavam perto (cf. Ef 2, 14.17). Quanto não deveremos nós suplicar-Lhe nesta hora! Sim, Senhor, anunciai a paz também hoje a nós, tanto aos que estão longe como aos que estão perto. Fazei que também hoje das espadas se forjem foices (cf. Is 2, 4), que, em vez dos armamentos para a guerra, apareçam ajudas para os enfermos. Iluminai a quantos acreditam que devem praticar violência em vosso nome, para que aprendam a compreender o absurdo da violência e a reconhecer o vosso verdadeiro rosto. Ajudai a tornarmo-nos homens «do vosso agrado»: homens segundo a vossa imagem e, por conseguinte, homens de paz.
    Logo que os anjos se afastaram, os pastores disseram uns para os outros: Coragem! Vamos até lá, a Belém, e vejamos esta palavra que nos foi mandada (cf. Lc 2, 15). Os pastores puseram-se apressadamente a caminho para Belém – diz-nos o evangelista (cf. 2, 16). Uma curiosidade santa os impelia, desejosos de verem numa manjedoura este menino, de quem o anjo tinha dito que era o Salvador, o Messias, o Senhor. A grande alegria, de que o próprio anjo falara, apoderara-se dos seus corações e dava-lhes asas.
    Vamos até lá, a Belém: diz-nos hoje a liturgia da Igreja. Trans-eamus – lê-se na Bíblia latina – «atravessar», ir até lá, ousar o passo que vai mais além, que faz a «travessia», saindo dos nossos hábitos de pensamento e de vida e ultrapassando o mundo meramente material para chegarmos ao essencial, ao além, rumo àquele Deus que, por sua vez, viera ao lado de cá, para nós. Queremos pedir ao Senhor que nos dê a capacidade de ultrapassar os nossos limites, o nosso mundo; que nos ajude a encontrá-Lo, sobretudo no momento em que Ele mesmo, na Santa Eucaristia, Se coloca nas nossas mãos e no nosso coração.
    Vamos até lá, a Belém! Ao dizermos estas palavras uns aos outros, como fizeram os pastores, não devemos pensar apenas na grande travessia até junto do Deus vivo, mas também na cidade concreta de Belém, em todos os lugares onde o Senhor viveu, trabalhou e sofreu. Rezemos nesta hora pelas pessoas que actualmente vivem e sofrem lá. Rezemos para que lá haja paz. Rezemos para que Israelitas e Palestinianos possam conduzir a sua vida na paz do único Deus e na liberdade. Peçamos também pelos países vizinhos – o Líbano, a Síria, o Iraque, etc. – para que lá se consolide a paz. Que os cristãos possam conservar a sua casa naqueles países onde teve origem a nossa fé; que cristãos e muçulmanos construam, juntos, os seus países na paz de Deus.
    Os pastores apressaram-se… Uma curiosidade santa e uma santa alegria os impelia. No nosso caso, talvez aconteça muito raramente que nos apressemos pelas coisas de Deus. Hoje, Deus não faz parte das realidades urgentes. As coisas de Deus – assim o pensamos e dizemos – podem esperar. E todavia Ele é a realidade mais importante, o Único que, em última análise, é verdadeiramente importante. Por que motivo não deveríamos também nós ser tomados pela curiosidade de ver mais de perto e conhecer o que Deus nos disse? Supliquemos-Lhe para que a curiosidade santa e a santa alegria dos pastores nos toquem nesta hora também a nós e assim vamos com alegria até lá, a Belém, para o Senhor que hoje vem de novo para nós. Amen.