sexta-feira, 16 de dezembro de 2022

Filmes

In cinematografia (per cui si ringrazia il rev.do diacono don Ambrogio Fidato, segretario di S.E.R.ma Mons. Eleuterio Favella).


I DIALOGHI DELLE CARMELITANE

I DIALOGHI DELLE CARMELITANE
Genere: storico - Anno: 1960 - Giudizio: stupendo (***)
 
L'AMORE SARA' SEMPRE VITTORIOSO: QUANDO SI AMA, SI PUO' TUTTO
Le sedici martiri di Compiegne barbaramente ghigliottinate a Parigi il 17 luglio 1794 dalla Rivoluzione Francese
LA STORIA COMPLETA DELLE MARTIRI DI COMPIEGNE
L'avvincente racconto di Padre Antonio Maria Sicari
FILM INTEGRALE ''I DIALOGHI DELLE CARMELITANE''
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SAN GIUSEPPE CAFASSO


SAN GIUSEPPE CAFASSO

sacerdote (1811-1860) 23 giugno

san_giuseppe_cafasso-04Soprannominato per la sua missione «prete della forca», era un insegnate di vita e santità sacerdotale. Direttore spirituale e amico intimo di Don Bosco. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori.Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale.

Si è spesso sostenuto che Giuseppe Cafassosia stato membro della congregazione salesiana, ma la cosa non risponde a verità: direttore spirituale e amico intimo del fondatore S. Giovanni Bosco (31 gen), rimase sempre sacerdote diocesano. La congregazione salesiana d’altronde venne fondata nel 1854, solo sei anni prima della sua morte.

BENEDETTO XVI PARLA DI DON CAFASSO

Anch’egli come San Giovanni Bosco, era nato a Castelnuovo d’Asti, un grosso borgo di campagna, terzo di quattro figli in una famiglia contadina di discrete condizioni; frequentò la scuola a Chieri, poco distante da Torino, ed entrò nel locale seminario, aperto da pochi san-giuseppe-cafassoanni per volere dell’arcivescovo del capoluogo piemontese. Si distinse come migliore studente del suo corso; fu ordinato prete nel 1833, con una dispensa speciale dell’autorità ecclesiastica, non avendo ancora raggiunto l’età canonica. Trasferitosi poi a Torinoper poter continuare gli studi teologici, si sistemò in un alloggio modesto, ma non trovando sufficientemente adeguati i corsi del seminario diocesano e dell’università, si spostò al convitto ecclesiastico, istituto aperto da don Luigi Guala presso la chiesa di San Francesco d’Assisi, sentendolo più confacente alle sue esigenze. Superò più che brillantemente l’esame diocesano d’ammissione e don Guala subito gli conferì un insegnamento.

Quando don Guala chiese al suo assistente chi avrebbe dovuto scegliere come insegnante, questi rispose: “il piccoletto”, alludendo a Giuseppe Cafasso che era piccolo di statura e rachitico. Egli compensava il suo miserevole e disprezzato aspetto fisico con una voce melodica e serena, che don Bosco definiva “la tranquillità indisturbata” e che affascinava chi l’ascoltava. Dimostrò di essere un insegnate nato: non si accontentava di insegnare, voleva educare; 16-San-Giuseppe-Cafassomirava non solo a “fornire nozioni” ma ad illuminare e dirigere le menti degli studenti.

Come disse Benedetto XVI ai suoi fedeli in piazza san Pietro: “Il suo segreto era semplice: essere un uomo di Dio; fare, nelle piccole azioni quotidiane, “quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime“. Amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti. Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico, come il buon pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale.”

Ben presto si sparse la fama che all’Istituto San Francesco a Torino ci fosse un nuovo insegante assai bravo. Era ugualmente stimato come predicatore. Una volta disse a don Bosco: “Gesù Cristo, Sapienza infinita, usava parole ed espressioni accessibili a chi lo ascoltava, seguine l’esempio “. Si serviva del dono di una predicazione semplice e colloquiale per incoraggiare la speranza e l’umile confidenza in Dio, in contrasto con la dottrina rigorista dei giansenisti, diffusasi nell’Italia settentrionale. Essi insegnavano che anche la più piccola caduta era un peccato grave, che poteva portare giuseppe cafassoalla dannazione eterna. Più tardi il Cafasso scriverà: “quando confessiamo, nostro Signore ci vuole pieni di pietà e di amore; tutti quelli che vengono da noi debbono sentire la nostra paternità, senza alcun accenno alla loro personalità o a ciò che hanno commesso. Se respingiamo qualcuno o se un’anima si perde per colpa nostra ce ne sarà chiesto conto”.

MOSTRA DI SAN GIUSEPPE CAFASSO

(La mostra al Santuario (2010-2011) per i 150 anni dalla morte e i 200 anni dalla nascita di questo grande santo prete torinese, iniziatore della grande schiera dei santi “sociali”)

Nel 1848, alla morte di don Guala, divenne direttore dell’istituto e della chiesa di San Francesco, compito non facile dovendo prendersi cura di una sessantina di giovani preti di diverse diocesi, con un retroterra culturale e ambientale assai differente e con idee politiche opposte. Quell’anno fu particolarmente turbolento in tutta Europa: uno stato dopo l’altro sperimentava moti rivoluzionari e l’Italia conobbe queste vicissitudini in vista dell’unificazione nazionale,
raggiunta nel 1861. Benché non mancassero detrattori, fuori e dentro l’ambiente ecclesiastico, Giuseppe san giuseppe cafasso3Cafasso con il suo insegnamento, la sua fede luminosa e la sua cura per ognuno, riuscì a tener salda la barra dell’istituto in quei tempi travagliati. Il suo affetto e la sua attenzione per i preti giovani e inesperti, la sua insistenza sullo spirito mondano come peggior nemico fecero sì che influenzassero tutto il clero piemontese, e non solo quello, perché il suo ministeroraggiunse molte altre persone, suore e laici di ogni classe sociale. Il suo confessionale era molto frequentato: Giuseppe Cafasso aveva il carisma di un’intuizione particolare nel rapporto con i penitenti.

Quando la Compagnia di Gesù era stata soppressail santuario di Sant’Ignazio a Lanzo Torinese, sulle colline vicino alla capitale dei Savoia, era stato preso in carico dall’archidiocesi e don Guala era stato nominato amministratore. Alla morte di costui l’incarico passò al Cafasso, che continuò l’opera del suo predecessore, predicando ai pellegrini e dirigendo esercizi spirituali per clero e laici. Durante la sua amministrazione furono portati a termine i lavori, iniziati da don Guala, di ristrutturazione della foresteria e delle vie di accesso al santuario.

Di tutte le sue attività quella che più colpì l’opinione pubblica fu il suo ministero presso i carcerati: nelle prigioni, dove gli uomini vivevano
in condizioni degradanti e disumane, don Cafasso visitava i carcerati, facendo sentire loro affetto e portandoli alla confessione; le SAN GIUSEPPE CAFASSOesecuzioni erano ancora pubbliche ed egli accompagnò al patibolo oltre sessanta condannati, tra cui famosi briganti e rivoluzionari, che chiamava “santi impiccati”. Aveva l’ambizione di portare i condannati a morte subito in Paradiso, senza passare per il Purgatorio e per il recupero dei carcerati, è proprio il caso di dirlo, fece più lui di mille legislazioni.

Era capace di rimanere nelle prigini anche tutta la notte. Portava sigari e tabacco da fiutare, al posto della calce che i carcerati raschiavano dai muri; ma soprattutto portava alla conversione ladri e assassini efferati. Erano lenti e tormentati pentimenti, altre volte, invece, si trattava di conversioni immediate, che avvenivano anche a pochi istanti prima dell’impiccagione. Il «prete della forca» usava immensa misericordia, possedendo un’intuizione prodigiosadei cuori, e trattava i suoi «santi impiccati» come «galantuomini», tanto che il colpevole sentiva così forte l’amore paterno da piegarsi e desiderare di morire per arrivare presto in Paradiso con Gesù, come il buon Ladrone, crocefisso sul Calvario.

Giovanni Bosco lo incontrò per la prima volta una domenica nell’autunno del 1827, quando era ancora un ragazzo vivace mentre Giuseppe Cafasso era già sacerdote, e tornato a casa annunciò: “L’ho visto! Gli ho parlato!”. “Chi hai visto?” gli chiese la madre, “Giuseppe Cafasso, e ti assicuro che è un santo.” Quattordici anni dopo don Bosco, nella chiesa di San Francesco a Torino, celebrava la statue-depicting-san-giuseppe-cafasso-1811-1860-who-comforted-68-executed-personssua prima Messa, entrando poi a far parte dell’istituto, studiando sotto la direzione del Cafasso, condividendo molti dei suoi ideali. Fu egli ad introdurlo nell’universo dei quartieri poveri e delle carceri di Torino, aiutandolo a scoprire la sua vocazione di apostolo dei giovani.

Giovanni Cagliero, salesiano, scrive: “Noi amiamo e riveriamo il nostro caro padre e fondatore don Bosconon di meno amiamoGiuseppe Cafasso, per oltre vent’anni maestro, consigliere e guida, nelle vicende spirituali e nelle iniziative, di don Boscooso dire che la bontà , i risultati, la saggezza di don Bosco son la gloria di don CafassoFu grazie a lui che don Bosco si stabilì a Torino, che i giovani si riunirono nel primo oratorio salesiano; l’obbedienza, l’amore e la saggezza che ha insegnato hanno portato frutti in migliaia di giovani in Europa, Asia e Africa, ragazzi che oggi sono ben preparati per la vita nella Chiesa di Dio e nella società degli uomini”.

Il Cafasso non cercò mai di formare in don Bosco un discepolo “a sua immagine e somiglianza” don Bosco non copiò il Cafassolo imitò certo nelle virtù umane e sacerdotali – definendolo “modello di vita sacerdotale” -, ma secondo le proprie personali attitudini e la propria peculiare vocazione; un segno della saggezza del maestro spirituale e dell’intelligenza del discepolo: il primo non si impose sul secondo, ma lo rispettò nella sua personalità e lo aiutò a leggere quale fosse la volontà di Dio su di lui.

SAN GIUSEPPE CAFASSO1L’insegnamento di don Cafasso influenzò anche altri, oltre a don Boscola marchesa Giulietta Falletti di Barolo, che fondò una dozzina di istituti di caritàdon Giovanni Cocchi, fondatore di un istituto per artigiani e altre opere di carità a Torino; padre Domenico Sartoris, il fondatore delle Figlie di Santa Chiara; il Beato Clemente Marchisio (20 sett), fondatore delle Figlie di San Giuseppe, e molti altri fondatori di istituzioni caritative.

Gisueppe Cafasso morì il 23 giugno 1860; don Bosco fece l’elogio al funerale e in seguito ne scirsse la biografia. Fu canonizzato da papa Pio XII il 9 aprile 1948, che lo proclamò patrono delle carceri italiane e, con l’Esortazione apostolica Menti nostrae, il 23 settembre 1950, lo propose come modello ai sacerdoti impegnati nella Confessione e nella direzione spirituale.

Della sua morte egli, con profonda umiltà, affermava: «Disceso che sarò nel sepolcro, desidero e prego il Signore a fare perire sulla terra, la mia memoria, sicché mai più alcuno abbia a pensare di me, fuori di quelle preghiere che attendo dalla carità dei fedeli. E accetto in penitenza dei miei peccati tutto quello che dopo la mia morte si dirà nel mondo contro di me»

E’ invocato: come protettore del clero e delle carceri italiane

FontiIl primo grande dizionario dei santi di Alban Butler; http://www.santiebeati.it/dettaglio/59000


quarta-feira, 14 de dezembro de 2022

segunda-feira, 12 de dezembro de 2022

Segundo o Papa, "a consolação nos torna audazes" e vamos adiante porque sentimos "a força de Deus".


 

O Papa: a consolação de Deus nos dá paz, é espontânea

"O que é a consolação espiritual? É uma profunda experiência de alegria interior, que permite ver a presença de Deus em tudo; ela revigora a fé e a esperança, assim como a capacidade de fazer o bem. Trata-se de um grande dom para a vida espiritual e para a vida no seu conjunto. É viver esta alegria interior", disse Francisco na catequese da Audiência Geral.

Mariangela Jaguraba - Vatican News

"A consolação" foi o tema da catequese do Papa Francisco na Audiência Geral, desta quarta-feira (23/11), realizada na Praça São Pedro.

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Francisco sublinhou que a consolação, "que seria a luz da alma", é "outro elemento importante para o discernimento", mas "pode prestar-se a equívocos".

"O que é a consolação espiritual? É uma profunda experiência de alegria interior, que permite ver a presença de Deus em tudo; ela revigora a fé e a esperança, assim como a capacidade de fazer o bem. Trata-se de um grande dom para a vida espiritual e para a vida no seu conjunto. É viver esta alegria interior", disse o Papa, ressaltando que "a consolação é um movimento íntimo. A pessoa se sente abraçada pela presença de Deus, de uma maneira sempre respeitosa da própria liberdade".

A paz genuína faz germinar bons sentimentos em nós

"Pensemos na experiência de Santo Agostinho, quando fala com a mãe Mônica sobre a beleza da vida eterna; ou na perfeita alegria de São Francisco, pensemos em tantos santos e santas que souberam fazer maravilhas, não porque se julgavam hábeis e capazes, mas porque foram conquistados pela docilidade pacificadora do amor de Deus", sublinhou Francisco, afirmando que "se trata da paz, que Santo Inácio sentia em si com admiração quando lia a vida dos santos. Ser consolado é estar em paz com Deus. Sentir que tudo está organizado, em paz, tudo é harmônico dentro de nós". "Trata-se da paz que Edith Stein experimenta após a conversão; um ano depois de ter recebido o Batismo", disse ainda o Papa, sublinhando que "uma paz genuína é uma paz que faz germinar bons sentimentos em nós".

Segundo o Pontífice, "a consolação refere-se, primeiramente, à esperança, propende para o futuro, põe a caminho, permite tomar iniciativas até àquele momento adiadas, ou nem sequer imaginadas, como o Batismo para Edith Stein".

A consolação é uma paz tal, não para ficar sentados saboreando-a, mas dá paz, atrai ao Senhor, põe você a caminho para fazer coisas boas. Em tempos de consolação, quando somos consolados, nos vem a vontade de fazer o bem sempre, e quando há o momento da desolação nos vem a vontade de nos fechar em nós mesmos e não fazer nada. A consolação nos leva para frente, a serviço dos outros, da sociedade, das pessoas.

A consolação nos torna audazes

De acordo com Francisco, "a consolação espiritual não é “pilotável”, não é programável a bel-prazer, é uma dádiva do Espírito Santo: permite uma familiaridade com Deus, que parece anular as distâncias. Santa Teresa do Menino Jesus, visitando com 14 anos a Basílica de Santa Cruz de Jerusalém, em Roma, procura tocar o prego ali venerado, um daqueles com que Jesus foi crucificado. Teresa sente esta sua ousadia como um transporte de amor e de confidência". A consolação "é espontânea. A consolação nos leva a fazer tudo espontâneo, como se fossemos crianças. As crianças são espontâneas e a consolação leva com uma doçura com uma paz muito grande".

Segundo o Papa, "a consolação nos torna audazes" e vamos adiante porque sentimos "a força de Deus". A consolação "nos leva a fazer coisas que no tempo da desolação não seríamos capazes de dar o primeiro passo. Este é o belo da consolação".

Falsas consolações

Francisco advertiu que "há também falsas consolações. Na vida espiritual ocorre algo semelhante ao que acontece nas produções humanas: há originais e há imitações".

Se a consolação autêntica for como uma gota sobre uma esponja, será suave e íntima; as suas imitações serão mais barulhentas e vistosas, serão fogos de palha, sem consistência, levarão a fechar-se em si mesmas, e a não se preocupar com os outros. No final, a falsa consolação deixa-nos vazios, distantes do centro da nossa existência. Por isso, quando estamos felizes, em paz, somos capazes de fazer qualquer coisa, mas não confundir aquela paz com um momento passageiro porque o entusiasmo hoje existe e depois passa, e não existe mais.

Saber distinguir quando é uma consolação de Deus

O Papa disse que "por isso, é necessário fazer discernimento, até quando nos sentimos consolados. Pois a falsa consolação pode tornar-se um perigo, se a procurarmos como um fim em si mesma, de modo obsessivo, e nos esquecendo do Senhor. Como diria São Bernardo, procuram-se as consolações de Deus, não se procura o Deus das consolações. Devemos procurar o Senhor que com a sua presença nos consola e nos leva adiante. É a dinâmica da criança de que falamos da última vez, que só procura os pais para obter algo deles, mas não por eles mesmos. Por interesse. As crianças sabem fazer isso, e quando a família é dividida, elas têm o hábito de procurar aqui e lá, e isso não faz bem, isso não é consolação, mas interesse".

Segundo o Pontífice, "corremos o risco de viver a relação com Deus de maneira infantil, de o reduzir a um objeto para o nosso uso e consumo, perdendo o dom mais belo, que é Ele mesmo". "Assim, vamos adiante na vida entre a consolação de Deus e a desolação do pecado, do mundo, mas sabendo distinguir quando é uma consolação de Deus que lhe dá paz até o fundo da alma, e um entusiasmo passageiro, que não é ruim, mas não é a consolação de Deus", concluiu o Papa.

Nossa Senhora de Guadalupe :"Querido filho, não tenhas medo e não te aflijas. Não se perturbe o teu coração e não te preocupes .


Nossa Senhora de Guadalupe responde aos aflitos e perturbados

As aparições de Nossa Senhora de Guadalupe estão envoltas em aura de mistério. O manto do indígena João Diogo é, ainda hoje, uma grande incógnita para a ciência. Mas, além disso, Nossa Senhora deixou-nos valiosos conselhos que são bastante úteis para os nossos tempos:

 

“Porque sou verda­dei­ramente vossa Mãe compassiva, quero muito, desejo muito que construam aqui para mim um templo, para nele Eu mostrar e dar todo o meu amor, minha compaixão, meu auxílio e minha salvação a ti, a todos os outros mo­ra­dores desta terra e aos demais que me amam, me invoquem e em mim confiem. Neste lugar que­ro ouvir seus lamentos, remediar todas as suas misérias, sofrimentos e dores.”



"Querido filho, não tenhas medo e não te aflijas. Não se perturbe o teu coração e não te preocupes com esta ou com qualquer outra doença. Não estou aqui, eu que sou sua mãe? Não estás sob a minha protecção? Não sou a fonte da tua alegria? Não estás presente na minha túnica, na cruz dos meus braços? O que mais queres? Nada te deve afligir nem perturbar."

Nossa Senhora de Guadalupe a São João Diogo

Hoje é a Festa de Nossa Senhora de Guadalupe


A Virgem de Guadalupe e o índio Juan Diego No mês de Dezembro, celebramos na Igreja uma data muito especial. Nos lembramos da padroeira de toda a América Latina e também Imperatriz da América: Nossa Senhora de Guadalupe, conhecida mais carinhosamente como a Virgem de Guadalupe.

Essa aparição de Nossa Senhora é um pouco diferente da história que todos conhecemos sobre a Virgem de Aparecida. Essa história aconteceu no México, em 1531, quase 200 anos antes da aparição de Nossa Senhora Aparecida.

A história é muito bonita e envolve um índio chamado Juan Diego, que é santo e cuja festa celebramos no dia 9. Esse indiozinho se encontrou várias vezes com uma aparição da Virgem em um monte chamado Tepeyac. Qual era o desejo da Virgem?Que se erguesse em sua honra uma Igreja naquele local.

Juan Diego, com a melhor das intenções se dirigia ao Bispo para lhe dizer o desejo da Virgem, mas ele tinha muita dificuldade em acreditar no que estava escutando e portanto pedia provas. A Virgem lhe prometeu que enviaria um sinal por meio dele. Mas Juan Diego não voltou para encontrar a Virgem para que ela o pudesse dar esse sinal.

Ao mesmo tempo, um tio do índio ficou gravemente doente e então Juan Diego tentou evitar ainda mais a Virgem porque ele não queria ser interrompido enquanto tentava ajudar seu familiar. Nesse contexto se dá um dos encontros mais bonitos entre a Virgem e o índio.

Dando a volta no monte para não encontrar a Virgem, a viu descer do monte na sua direção e disse: “O que acontece meu filhinho mais pequeno? Aonde vais?”

 

“Que não se perturbe o seu rosto, nem seu coração. Não temas esta doença nem nenhuma outra, não fiques aflito, não estou eu aqui, que sou sua mãe? Você não está debaixo da minha sombra e sob o meu cuidado? Não sou eu a fonte da sua alegria?

Na presença da Virgem, sempre respeitoso, explicou a difícil situação que estava passando em casa. A Virgem escutou com muito cuidado tudo o que ele tinha para dizer e no final respondeu uma frase que ficou muito famosa: “Que não se perturbe o seu rosto, nem seu coração. Não temas esta doença nem nenhuma outra, não fiques aflito, não estou eu aqui, que sou sua mãe? Você não está debaixo da minha sombra e sob o meu cuidado? Não sou eu a fonte da sua alegria?

Juan Diego, ao ouvir essas palavras, ficou com o coração consolado. A Virgem então pediu que ele subisse ao monte e pegasse umas flores e as guardasse em seu manto. Foi o que ele fez. A Virgem então disse que essas flores seriam o sinal que o Bispo estava esperando. Pediu que Juan Diego voltasse ao Bispo e contasse tudo o que acontecera.

Ao chegar na presença do Bispo, Juan Diego relatou o seu encontro com a Virgem e quando lhe foi pedido mostrar o sinal, desamarrou seu manto e deixou cair as variadas flores. As flores por si só já seriam um sinal, porque essas flores não cresciam naquele período. Mas talvez não seriam sinal suficiente. Por isso, ao deixar que as flores caiam, perceberam admirados que no manto do índio havia uma imagem de Nossa Senhora.

Juan Diego apresenta o manto ao bispo

Essa é a imagem que hoje conhecemos como a Virgem de Guadalupe. É uma imagem impressionante, que até hoje é muito estudada pelos cientistas porque não se sabe explicar ao certo como se formou a imagem. Também foram descobertas várias particularidades interessantes como as imagens que se formam no olho da Virgem quando olhadas bem de perto.

:: Oração a Nossa Senhora de Guadalupe

A Virgem de Guadalupe, assim como Nossa Senhora Aparecida e todas as devoções marianas, é uma demonstração particular de amor de Nossa Senhora pelo seu povo querido. Ela é a discípula perfeita de seu Filho e é a que melhor leva as pessoas ao encontro com Jesus. Um fato que sempre chama atenção na história de Guadalupe é a conversão dos índios. Antes da aparição, se encontravam muitas dificuldades em catequizar os indígenas. Mas uma vez que eles conheceram a Virgem de Guadalupe (Que possui também traços indígenas), eles perceberam que a salvação de Deus era também para eles e os batizados cresceram incrivelmente.

Que hoje possamos nos aproximar um pouco mais de Maria e pedir a ela que nos ajude a ser cada vez mais próximos de Jesus. Que nos confiemos em seus braços porque ela com certeza repete a todos nós aquela frase que um dia falou a São Juan Diego: “Não estou eu aqui, que sou sua mãe?”


domingo, 11 de dezembro de 2022

O Papa: reler a própria vida nos faz descobrir "os pequenos milagres" que Deus faz por nós


Mariangela Jaguraba - Vatican News

O Papa Francisco deu continuidade ao ciclo de catequeses sobre o discernimento na Audiência Geral, desta quarta-feira (19/10), realizada na Praça São Pedro.

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Neste encontro semanal com os fiéis, o Papa meditou "sobre outro ingrediente indispensável para o discernimento: a própria história de vida".

Reconhecer a presença de elementos “tóxicos”

"A nossa vida é o “livro” mais precioso que nos foi confiado, um livro que muitos infelizmente não leem, ou o fazem demasiado tarde, antes de morrer. No entanto, é nesse livro que se encontra aquilo que se procura inutilmente por outros caminhos", frisou o Pontífice, ressaltando que Santo Agostinho compreendeu isso, "relendo a sua vida, observando nela os passos silenciosos e discretos, mas incisivos, da presença do Senhor. No final deste percurso, notará com admiração: «Tu estavas dentro de mim, e eu fora. Lá, eu procurava-te. Deformado, lançava-me sobre as belas formas das tuas criaturas. Tu estavas comigo, mas eu não estava contigo». Daqui deriva o seu convite a cultivar a vida interior, para encontrar o que se procura: «Volta para ti mesmo. No homem interior habita a verdade»".

Muitas vezes, também nós vivemos a experiência de Agostinho, de nos encontrarmos presos em pensamentos que nos afastam de nós mesmos, mensagens estereotipadas que nos ferem: “Nada valho”, “tudo acontece de mau comigo”, “nunca farei nada de bom”, e assim por diante. Ler a própria história significa também reconhecer a presença destes elementos “tóxicos”, para depois ampliar a trama da nossa narração, aprendendo a observar outras coisas, tornando-a mais rica, mais respeitadora da complexidade, conseguindo até captar os modos discretos como Deus age na nossa vida.

Ler a própria vida

A seguir, o Papa disse que certa vez conheceu "uma pessoa que as pessoas que a conheciam diziam que ela merecia o Prêmio Nobel da negatividade", pois "tudo era ruim e ela sempre se colocava pra baixo". "Era uma pessoa amarga, mas tinha muitas qualidades. Então, essa pessoa encontrou outra pessoa que a ajudou bem, e toda vez que ela reclamava de alguma coisa, a outra pessoa dizia: "Mas agora, para compensar, diga algo bom sobre você". E ela respondeu: "Sim, eu também tenho essa qualidade", e pouco a pouco isso a ajudou a seguir em frente, a ler bem sua vida, tanto as coisas ruins quanto as coisas boas", sublinhou Francisco.

Ler a própria vida, e assim ver as coisas que não são boas e também as coisas boas que Deus semeia em nós.”

Segundo o Papa, "a narração das vicissitudes da nossa vida permite também compreender matizes e detalhes importantes, que podem revelar-se ajudas valiosas até então ocultas. Uma leitura, um serviço, um encontro, à primeira vista considerados de pouca importância, sucessivamente transmitem uma paz interior, transmitem a alegria de viver e sugerem outras iniciativas de bem. Deter-se e reconhecer isto é indispensável para o discernimento, é uma obra de recolha daquelas pérolas preciosas e escondidas que o Senhor disseminou no nosso terreno".

Quem caminha circularmente nunca vai para a frente

"O bem está escondido, sempre, porque o bem tem pudor e se esconde: o bem fica escondido; é silencioso, requer uma escavação lenta e contínua, pois o estilo de Deus é discreto, não se impõe; é como o ar que respiramos, não o vemos, mas nos faz viver, e só nos damos conta dele quando nos falta", disse ainda Francisco.

O Papa sublinhou que "habituar-se a reler a própria vida educa o olhar, o aguça, permite notar os pequenos milagres que o bom Deus realiza para nós todos os dias".

Quando prestamos atenção, observamos outros rumos possíveis que revigoram o gosto interior, a paz e a criatividade. Acima de tudo, torna-nos mais livres dos estereótipos tóxicos. Diz-se sabiamente que o homem que não conhece o seu passado está condenado a repeti-lo. É curioso, não é? Se não conhecemos o caminho feito, o passado, repetimos sempre o mesmo, somos circulares. A pessoa que caminha circularmente nunca vai para a frente, não tem caminho. É como o cachorro que morde o rabo, vai sempre assim, e repete as coisas.

A importância da vida dos santos

Segundo o Papa, "a vida dos santos é uma ajuda preciosa para reconhecer o estilo de Deus na própria vida: permite familiarizar-se com o seu modo de agir. O comportamento de alguns santos nos interpela, mostrando-nos novos significados e oportunidades. Foi o que aconteceu, por exemplo, a Santo Inácio de Loyola. Quando descreve a descoberta fundamental da sua vida, acrescenta uma importante observação: «Por experiência, deduziu que alguns pensamentos o deixaram triste e outros, alegre; e pouco a pouco aprendeu a conhecer a diversidade dos espíritos que nele se agitavam»".

Francisco disse que "o discernimento é a leitura narrativa das consolações e desolações que experimentamos ao longo da nossa vida. É o coração que nos fala de Deus, e nós devemos aprender a compreender a sua linguagem". "Perguntemo-nos, no final do dia, por exemplo: o que aconteceu hoje no meu coração? Alguns pensam que fazer este exame de consciência é prestar contas dos pecados feitos. Cometemos muitos, não é? Não, mas se perguntar: o que aconteceu dentro de mim? O que me alegrou? O que me entristeceu? E assim aprender a discernir o que acontece dentro de nós", concluiu.

Pope: Advent offers us a time to know the Lord in new ways


Pope: Advent offers us a time to know the Lord in new ways

Pope Francis focuses his Advent reflections on how we, like John the Baptist, can renew our understanding of who the Lord is and be surprised by God's mercy and tenderness. He also blesses the nativity figurines of the baby Jesus brought by children and their families.

By Thaddeus Jones

Pope Francis welcomed the many pilgrims for the midday Angelus on this Third Sunday of Advent, in particular families with their children, who brought little statuettes of the Child Jesus to be blessed on this day, a tradition Saint Pope Paul VI started over fifty years ago.

Before imparting his apostolic blessing, the Pope Francis offered his reflections on the Sunday Gospel when today we read about John the Baptist who while in prison sends his disciples to ask Jesus if He really is the Messiah. John the Baptist learns that Jesus is indeed the Christ, who with words and gestures of compassion towards all and with loving mercy heals the sick, restores sight to the blind, raises the dead, and preaches good news to the poor, just as the prophets foretold.

Overcoming doubt

The Pope observed how today's Gospel notes that John is in prison, and more than a physical place, we can imagine the inner confine that the Baptist is experiencing, where there can be darkness, unknowing and difficulty seeing clearly. The Pope said in John's case, it is as if he is no longer able to see in Jesus the awaited Messiah, and out of doubt sends his disciples to verify it. 

Spiritual growth

This appears rather surprising to us, the Pope pointed out, since John had baptized Jesus in the Jordan and told his disciples He is the Lamb of God. 

“But this means that even the greatest believer goes through the tunnel of doubt. And this is not a bad thing; on the contrary, sometimes it is essential for spiritual growth: it helps us understand that God is always greater than we imagine Him to be.” 

We need to always be open to surprise about how God works and how His actions are different from how we would presume they would be, exceeding our needs and expectations, the Pope emphaiszed. So we need to seek the Lord always, keep our eyes open, and be changed by Him. Recalling the work of theologian Henri de Lubac, he said that God needs to be rediscovered in a series of stages, sometimes with the idea that we may be losing Him. Like John the Baptist, may we too rediscover Him, also by opening our minds and not letting our ideas and mindsets limit our understanding. 

Surprised by God's mercy

At times we also may not see any newnewss in the Lord, the Pope suggested, and be held captive by our thinking that we know so much already about Him. Perhaps we see a powerful God only but overlook His humble meekness, mercy and love, "who always intervenes respecting our freedom and our choices," he added. Our ideas or biases about God and even others need to be challenged, he said, and Advent is an ideal time for "overturning our perspectives, for letting ourselves be surprised by God’s mercy."

“Preparing the Nativity display for the Infant Jesus, we learn again who our Lord is; a time to leave behind certain mindsets and prejudices about God and our brothers and sisters; a time in which, instead of thinking about gifts for ourselves, we can give words and gestures of consolation to those who are wounded, as Jesus did with the blind, the deaf and the lame.”

In conclusion, the Pope encouraged everyone to allow the Blessed Mother to "take us by the hand" as we prepare for Christmas and to recognize in the smallness of the Infant Jesus the greatness of God who is coming to dwell among us.

The Pope then greeted the children present in the square and wished them and their families a blessed Christmas. He blessed the figurines of the Child Jesus they brought with them that they will then place in their own Christmas nativity scenes back home.