quarta-feira, 13 de março de 2019

Divo Barsotti: il sacerdote, il mistico, il padre



 

Padre Serafino Tognetti, primo successore di don Divo Barsotti alla guida della Comunità dei Figli di Dio, nonché noto ed apprezzato conferenziere di Radio Maria, è l’autore di una biografia intitolata "Divo Barsotti. Il sacerdote, il mistico, il padre" -  Edizioni San Paolo, che narra l’affascinante avventura umana e spirituale di colui che si può ben definire uno dei mistici più originali del ‘900.
Sacerdote stimato e ricercato da vescovi, preti, religiosi e laici per incontri, conferenze, predicazioni di esercizi spirituali in Italia e nel mondo intero, autore di una miriade di libri di spiritualità di profondo spessore teologico e spirituale tradotti in molte lingue, fondatore della Comunità dei Figli di Dio che ha come scopo di vivere in pienezza il dono del battesimo in una sorte di monachesimo in mezzo al mondo, don Divo Barsotti, la cui vita attraversa tutto il XX secolo (1914 – 2006), rimane ancora sconosciuto a buona parte del popolo cristiano. L’intento di padre Serafino, che visse con lui per ventidue anni e che gli subentrò nella guida della comunità, è proprio quello di far conoscere le ricchezze dell’insegnamento di un prete che per tutta la vita ha cercato “Dio solo”.
Da questo lavoro minuzioso e dettagliato emerge la figura di un gigante della spiritualità contemporanea.
Don Divo che si alzava tutte le mattine alle 3,15 passava parecchie ore della giornata in preghiera, leggeva moltissimo (la sua biblioteca conta circa 12.000 libri), scriveva, accoglieva persone desiderose di consigli e direzione per la propria vita.

Un tema forte della sua spiritualità era la comunione dei santi. Egli viveva in simbiosi con i santi di ogni tempo: li amava, li studiava e li faceva conoscere. Poi si sentiva legato agli uomini di tutte le epoche e per loro pregava e intercedeva portandoli continuamente nel proprio cuore e affidandoli alla misericordia di Dio.

Uomo di profonda fede, don Divo metteva la Messa al centro della propria giornata. Tutti coloro che lo hanno visto celebrare l’eucaristia sono unanimi nel testimoniare il raccoglimento, la profondità, il senso del Mistero con cui viveva questo sacramento e, talvolta, si potevano notare le lacrime scendere copiose dal suo viso. Scrive padre Tognetti: “Vivere la Messa di don Divo Barsotti significava per i presenti essere toccati e rapiti, aiutati e sospinti, senza ovviamente che egli facesse nulla per attirare a sé questa attenzione. Tutt’altro: era come se egli sparisse per fare emergere il Mistero, la presenza di Dio Salvatore”. Mi sembra una testimonianza quanto mai opportuna in un’epoca in cui non solo molti fedeli, ma anche parecchi preti sembrano smarrire il senso di Dio e assistiamo sgomenti a celebrazioni liturgiche sciatte e banali.
Ebbe anche, a metà degli anni ’50, alcune incomprensioni con l’autorità ecclesiastica per certe idee innovative che si trovavano nei suoi libri ma sempre rimase obbediente al suo Vescovo. Nonostante la stima che gli manifestavano importanti personalità della gerarchia della Chiesa, don Divo visse sempre nel silenzio e nel nascondimento. La sua radicalità evangelica lo rese un uomo libero davanti a mode e condizionamenti che, soprattutto nei turbolenti anni post-conciliari, si fecero strada nel clero e tra la gente. Barsotti, in ogni situazione, affermò il primato di Dio e una fedeltà totale alla Chiesa. Nel 1971 papa Paolo VI lo chiamò a predicare gli esercizi spirituali a lui e alla Curia.
Mi auguro che sempre più persone possano attingere calore e luce per la propria vita spirituale da un personaggio che con la sua testimonianza ha mostrato la bontà e la bellezza di una vita vissuta nell’amore per Dio e per il prossimo.
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Riporto da "Avvenire" di oggi, 14 febbraio, questa anticipazione del libro. Di p. Serafino Tognetti.


Non si può parlare delle fonti di don Divo e ignorare la sua biblioteca. Don Divo si costruì e si costituì in tanti anni una preziosa biblioteca, luogo per lui vitale, che al termine della sua vita ammonterà a circa 12.000 volumi. Acquistava personalmente i libri, li leggeva sottolineandoli, facendo anche dei brevi commenti negli spazi in margine. 

Amava entrare in dialogo con gli autori che via via andava conoscendo e studiando. Non era di quelli che vanno a prelevare il testo nelle sale di una biblioteca per poi riporlo, una volta letto, nello scaffale con un certo distacco; non esageriamo se affermiamo che i libri che andava acquistando diventavano per lui quasi come dei figli. E i figli non si possono prestare ad altri: rimangono tuoi. Egli pertanto non acquistava mai dei libri se non quelli che veramente lo interessavano; e, per questo, quello che comprava leggeva. Don Divo lesse moltissimo. Passava ore e ore immerso nella lettura.

 Lettura e preghiera furono senza dubbio le attività portate avanti da lui con maggiore continuità e profondità di coinvolgimento. Per conoscere Barsotti, e farsene una idea giusta, è dunque fondamentale accostarsi alla sua biblioteca ed entrare, così come oggi possiamo, nel mondo delle sue letture. Prima del “cosa”, è importante però capire “come” don Divo leggeva. Ciò che più lo interessava era entrare in contatto vivo con i diversi autori. Tante volte dichiarò che gli interessava più sant’Agostino che i suoi trattati teologici, più san Tommaso che la "Summa theologiae". 

È evidente che, cercando di entrare nel cuore dell’autore attraverso la lettura, egli poi ne capisse anche meglio gli scritti, con logica circolare: conosco il testo, arrivo all’autore, capisco meglio il suo messaggio. È doveroso parlare allora, più che di autori, di “amicizie spirituali”. Egli sentiva l’urgenza di stringere amicizie spirituali con coloro che gli parlavano di Dio o, meglio, lo aiutavano ad addentrarsi di più nel Mistero, anche se non necessariamente dovevano essere autori spirituali.

Per questo egli sentiva la necessità di entrare in rapporto di amicizia non solo con i teologi, gli scrittori ecclesiastici e i santi, ma anche con i letterati, i poeti, i filosofi, i musicisti, i pittori, compresi i peccatori e gli atei. Nel diario ci si imbatte spesso in lunghi elenchi di nomi di scrittori, che egli conosceva e con i quali aveva da tempo aperto un colloquio spirituale. Tra essi, nomi famosi come Omero, Sofocle, Virgilio, Dante, Shakespeare, Goethe, Dostoevskij, Manzoni, Balzac, O’Neill, Verga, eccetera, ma anche meno conosciuti come Li Po, Wang Wei, Hardy, Murasaki, e artisti e poeti quali Brecht, Neruda, Eliot, Kafka, Rilke, Montale, Chagall, Cervantes, Bach, Giotto… Il bisogno che don Divo aveva di leggere era consequenziale a quello di conoscere la realtà con gli occhi di questi grandi pensatori e artisti, per fare poi le proprie sintesi e trasformarle in vita propria. 

«L’uomo ha bisogno meno di mangiare il pane che i libri – affermava don Divo –; io non riesco a capire come si possa vivere senza sentire la necessità di studiare, di conoscere». Entrare in contatto con i Padri, i santi, gli uomini di genio, era addirittura più necessario che relazionarsi con il prossimo: «L’importanza che hanno le letture non l’hanno la conversazione e il rapporto personale». Anche se poi, evidentemente, era nel rapporto di carità con le persone in carne e ossa, che la ricchezza proveniente dalle letture diveniva vita. Per questo motivo non si può dire che egli ebbe dei veri e propri maestri. Anzi, don Divo stesso mette in guardia chi volesse fare una ricerca sulle sue fonti. 

Don Divo leggeva, pensava e scriveva, per poi prendere atto che altri, nello stesso tempo ma molte volte con altra formazione e in altri luoghi, diceva più o meno la stessa cosa, senza che vi fosse dipendenza reciproca. «Mi ricordo lo stupore che ebbi quando conobbi i libri di Durrwell – scrive don Divo all’amico don Emilio Grasso –: mi sembrò di averli scritti io stesso, tanto quel pensiero esprimeva in modo più sistematico quello che io avevo già scritto o pensato». Prima del Concilio Vaticano II don Divo aveva meditato e scritto, per esempio, sul valore della liturgia come accesso al mistero di Dio, o anche sulle religioni non cristiane come "praeparatio evangelica", o sui sacramenti della Chiesa come cammino di divinizzazione dell’uomo, o ancora sulla divina Rivelazione nelle sue fasi progressive. Su tali temi, sviluppati poi nella riflessione conciliare e resi patrimonio comune della Chiesa di oggi, egli trovò allora sintonie, più o meno profonde, con pensatori che andava conoscendo attraverso le letture e con i quali stabilì presto rapporti personali di dialogo epistolare e di incontri diretti; e parliamo di Henry de Lubac, Louis Bouyer, Jean Danielou, Hans Urs von Balthasar. Per questo motivo gli scritti di don Barsotti mantengono intatta ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, una loro originalità. La libertà del suo pensare e del suo dialogare con interlocutori di tale livello, che stimava e amava, rimase comunque intatta fino alla fine, tant’è che su alcuni di essi, quali von Balthasar e lo stesso Durrwell, non mancava di esprimere perplessità su alcuni punti della loro teologia. Assolutamente in sintonia Barsotti si trovava con quei teologi che denunciavano il penoso divorzio tra teologia e spiritualità. Su questo punto probabilmente furono gli scritti del cardinal John Henry Newman quelli che apprezzò di più, ma anche Romano Guardini fu da lui letto con interesse.