sábado, 26 de setembro de 2009

Bento XVI: A imagem do Menino Jesus, com a ternura da sua infância, faz-nos ainda perceber a proximidade de Deus e o seu amor.



Bento XVI de joelhos reza diante da conhecida imagem do Menino Jesus de Praga venerada na Igreja de Santa Maria da Vitória em Praga ,capital da República Tcheca onde hoje chegou de visita.

Senhores Cardeais,

Senhor Prefeito e distintas Autoridades,

Caros irmãos e irmãs,

Queridas crianças,

Dirijo a todos a minha cordial saudação e exprimo a alegria de visitar esta Igreja, dedicada a Santa Maria da Vitória, onde é venerada a imagem do Menino Jesus, conhecida por todos como o “Menino Jesus de Praga”.

Agradeço a Dom Jan Graubner, Presidente da Conferência Episcopal, por suas palavras de boas-vindas em nome de todos os Bispos. Dirijo uma deferente saudação ao Prefeito e às outras Autoridades civis e religiosas, que desejaram estar presentes neste encontro. Saúdo-vos, caras famílias, que viestes tão numerosas para me encontrar.

A imagem do Menino Jesus faz-nos pensar imediatamente no mistério da Encarnação, no Deus Onipotente que se fez homem, e que viveu durante trinta anos na humilde família de Nazaré, confiado pela Providência ao premuroso cuidado de Maria e de José. O pensamento vai às vossas famílias e a todas as famílias do mundo, às suas alegrias e dificuldades. À reflexão associemos a oração, suplicando ao Menino Jesus o dom da unidade e da concórdia para todas as famílias. Pensamos especialmente naqueles jovens famílias, que devem fazer tantos esforços para dar aos filhos segurança e um futuro digno. Rezemos pelas famílias em dificuldades, provadas pela doença e pela dor, por aquelas em crise, desunidas ou feridas pela discórdia ou pela infidelidade. Confiemos todas ao Santo Menino Jesus de Praga, sabendo o quanto é importante a sua estabilidade e a sua concórdia para o verdadeiro progresso da sociedade e para o futuro da humanidade.

A imagem do Menino Jesus, com a ternura da sua infância, faz-nos ainda perceber a proximidade de Deus e o seu amor. Compreendemos o quanto somos preciosos aos seus olhos porque, graças a Ele, tornamo-nos filhos de Deus. Todo ser humano é filho de Deus e, pois, nosso irmão e como tal deve ser acolhido e respeitado. Possa a nossa sociedade compreender esta realidade! Toda pessoa humana seria então valorizada não por aquilo que tem, mas por aquilo que é, porque no vulto de todo ser humano, sem distinção de raça e cultura, brilha a imagem de Deus.

Isto vale sobretudo para as crianças. No Santo Menino Jesus de Praga contemplamos a beleza da infância e a predileção que Jesus Cristo sempre manifestou pelos pequenos, como lemos no Evangelho (cf. Mc 10,13-16). Quantas crianças não são amadas, nem acolhidas, nem respeitadas! Quantas são vítimas da violência e de toda forma de exploração da parte de pessoas sem escrúpulos! Possam ser reservados aos menores aquele respeito e aquela atenção que lhes são devidos: as crianças são o futuro e a esperança da humanidade.

Quero agora dirigir uma palavra particular a vós, queridas crianças, e às vossas famílias. Viestes numerosos para me encontrar e por isto vos agradeço de coração. Vós, que sois os prediletos do coração do Menino Jesus, sabei corresponder a seu amor e, seguindo Seu exemplo, sede obedientes, gentis e caridosos. Aprendei a ser, como Ele, o conforto dos vossos pais. Sede verdadeiros amigos de Jesus e recorrei a Ele sempre com confiança. Pedi a Ele por vós mesmos, pelos vossos pais, parentes, professores e amigos, e pedi também por mim. Mais uma vez obrigado pela vossa acolhida e de coração vos abençoo, enquanto invoco sobre todos a proteção do Santo Menino Jesus, da sua Mãe Imaculada e de São José.

BENEDICTUS XVI

Leia também o programa da viagem apostólica à República Tcheca.

Fonte: Santa Sé

Tradução: OBLATVS

Recensione a Mosebach, L'eresia dell'informe


Non si può che essere grati alla piccola ma coraggiosa casa editrice Cantagalli di Siena per aver pubblicato, dopo un lungo periodo di voluta censura da parte di altre e più consolidate case editrici cattoliche, il bel libro di Martin Mosebach, Eresia dell’informe. La liturgia romana e il suo nemico, duecentocinquanta pagine che si leggono d’un fiato, per diciassette euro, spesi benissimo. Merito, certamente, anche dell’accurata edizione in lingua italiana, curata da Leonardo Allodi.
Un solo, piccolissimo rilievo iniziale: l’edizione italiana è stata condotta su quella tedesca del 2007, cosa molto corretta sul piano editoriale, ma forse al lettore italiano può sfuggire che la prima edizione originale è del 2002, data che non è indicata e che ha una sua importanza. Non è filologismo. La distanza cronologica tra l’edizione italiana e la prima edizione tedesca testimonia la censura che su questo volume è stata stesa da un certo establishment editoriale cattolico e, dunque, il suo estremo interesse. Questo, infatti, è uno di quei libri che fanno davvero riflettere, nati dal coraggio di pensare, ma anche dalla gratitudine e dallo stupore.Né si dimentichi che questo era accaduto persino a certe pagine dell’allora cardinal Ratzinger dedicate al medesimo argomento di cui tratta questo libro: la liturgia.
Martin Mosebach, in ogni caso, non è un liturgista di professione e, nel corso della sua opera, più volte ripete di non essere nemmeno teologo. Un po’ come certi poeti, che di se stessi dicono di non essere poeti, che è poi una delle forme più alte di poesia. Mosebach, in effetti, è soprattutto un grande romanziere e novelliere, nato a Francoforte sul Meno nel 1951, ma particolarmente legato all’Italia, come spesso accade ed è accaduto al fiore degli intellettuali tedeschi, quelli più autentici e più critici nei confronti della cultura dominante e, proprio per questo, meno graditi al proprio tempo. A Mosebach, tuttavia, non sono mancati dei pubblici riconoscimenti tra cui, in particolare, il prestigioso premio letterario Büchner, il Nobel della letteratura tedesca, conferitogli nel 2007, con grande ira della cricca progressista e politicamente corretta che governa la cultura tedesca (e quella europea). Vuol dire che, malgrado tutto, qualche volta i premi letterari ci azzeccano.
Che, poi, Mosebach sia un grande narratore, lo si vede anche da questo saggio, che ha come tema principale la crisi della liturgia cattolica dopo il concilio Vaticano II. Si dovrebbe dire la crisi della liturgia della Chiesa latina, perché, come forse non è noto, i cattolici orientali non hanno introdotto variazioni nella loro prassi liturgica negli anni successivi al Concilio, ma oggi, ben pochi usano ancora parlare di Chiesa latina per indicare la molteplicità di chiese nazionali legate alla tradizione liturgica della Chiesa di Roma. Detto questo, spazziamo subito via un equivoco e ricordiamo che Mosebach non è un tradizionalista negatore del concilio Vaticano II che, come può verificare chiunque, nella Sacrosanctum Concilium non solo non ha affatto abolito l’antica liturgia romana, ma ne ha ribadito il valore, quanto alla lingua sacra, il latino, e quanto alla sostanza teologica.Questo volume è, appunto, un saggio, ma con pagine che risultano narrate e quasi parlate, innovativo, dunque, nella forma, che riesce ad andare al di là della trattatistica convenzionale, e nei contenuti.Il tema centrale è dunque la crisi che ha investito la liturgia latina a partire dalla riforma liturgica di papa Paolo VI.La critica che percorre tutta l’opera va contro ciò è ormai molti studiosi chiamano l’ideologia postconciliare, che è altra cosa dal Concilio come tale e che ha come presupposto sostanziale la cosiddetta ermeneutica della rottura. È da questo fronte, non a caso, che è scaturita la censura a posizioni intelligenti e storicamente coerenti come quella di Mosebach. Sul piano liturgico, e su quello collaterale della musica sacra e dell’architettura, l’assenza di forma, la Formlosigkeit, è la spaccatura tra forma e contenuto introdottasi nel modo di pensare la riforma liturgica postconciliare.La liturgia è questione di salvezza e la forma della liturgia è Cristo stesso, così come ci è stato comunicato e tramandato nella Chiesa, che è una nel presente e nel passato in forza della comunione dei santi. Mosebach non è un tradizionalista, nel senso negativo oggi attribuito a questo termine, perché non nega affatto che «si possa celebrare degnamente e con riverenza anche la nuova liturgia di papa Paolo VI» (45), ma evidenzia come proprio il fatto che se ne parli come di una possibilità costituisce un argomento ad essa contrario «nel momento in cui per la sua celebrazione diventa necessario un bravo e devoto sacerdote».
È un rilievo che Mosebach condivide con un testimone di eccezione: «Rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l'impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente era stato realizzato da Pio V nel 1570, facendo seguito al concilio di Trento; era quindi normale che, dopo quattrocento anni e un nuovo Concilio, un nuovo papa pubblicasse un nuovo messale. Ma la verità storica è un'altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli. Non diversamente da lui, anche molti dei suoi successori avevano nuovamente rielaborato questo messale, senza mai contrapporre un messale a un altro. [...] Ora, invece, la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell'antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche. [...] si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l’edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti. [...] In questo modo si è sviluppata l’impressione che la liturgia sia “fatta”, che non sia qualcosa che esiste prima di noi, qualcosa di “donato”, ma che dipenda dalle nostre decisioni» (Joseph Ratzinger, La mia vita).L’idea di liturgia come dono e come mistero, che caratterizza la teologia liturgica di Ratzinger, ha molto in comune con l’idea di forma liturgica sostenuta e difesa da Mosebach.
Quanto al problema – teologico e dogmatico - della continuità, è stata proprio la sua chiara percezione a spingere papa Giovanni Paolo II, prima, a promulgare l’indulto che rendeva possibile l’uso dell’antico messale, previa autorizzazione del vescovo, e papa Benedetto XVI, poi, a liberalizzare completamente il suo uso, anche senza l’autorizzazione del vescovo, con il Motu proprio Summorum pontificum, del 7 luglio 2007.
Le patene portate in fonderia, le tovaglie arcobaleno buttate sulla tavola della celebrazione, i canti orrendi e spesso eretici (“sei grande Dio sei grande come il mondo mio”), le invenzioni continue a cui siamo costretti ad assistere in certe messe domenicali, la sopravvalutazione della predica e della parola rispetto alla dimensione sacramentale, gli orrori e le devastazioni architettoniche degli edifici ecclesiastici sono conseguenza diretta di questa rottura della tradizione e sono la manifestazione evidente dell’«assenza di forma». «Alle numerosi ondate di distruzione che nella storia del nostro Paese si sono abbattute sui nostri santuari – la riforma, la secolarizzazione [napoleonica] con le sue centinaia di migliaia di profanazioni – ne è seguita una più recente, assolutamente degna dei suoi predecessori per forza distruttiva» (59). Quella che stiamo vivendo per Mosebach è una crisi iconoclasta che mette in qualche modo e in gradi diversi in dubbio il dogma centrale dell’Incarnazione e, dunque, della visibilità e rappresentabilità del Mistero nella storia. La Tradizione, in senso teologico, non ammette soluzione di continuità.C’è da commuoversi quando Mosebach racconta nel suo volume di come abbia scoperto la bellezza nascosta di questa tradizione e di come essa gli abbia restituito la fede. «Non sono né un convertito né un proselito», dice di se stesso proprio al principio del saggio, ma lentamente le radici atrofizzate e dormienti della fede hanno in lui ripreso vigore ed è stato, come per molti, «l’incontro con l’antica liturgia cattolica ad aver generato un processo che non è ancora giunto alla fine» (27). Viene in mente Claudel che si converte entrando a Notre Dame, stupito dalla bellezza della liturgia che vi veniva celebrata. È l’affermazione di questa domanda di salvezza presente, di bellezze e verità come unità profonda, a vaccinare la posizione di Mosebach da ogni rischio di estetismo.Questo libro è dunque anche una testimonianza, di come la Tradizione nella Chiesa cristiana sia la strada che può portare sino al principio, alla Forma che dà senso e bellezza alla vita e alle opere dei cristiani; ed è certamente anche un grido, sbigottito come quello del cardinal Ratzinger, di fronte al dramma che ha investito la Chiesa e, dunque, il mondo.
Ma questo libro è anche un viaggio, che ci porta a incontrare luoghi in cui l’antica liturgia è viva l’antico si mostra in tutto il suo splendore contro una febbre di novità che è già vecchia nel momento in cui nasce: il monastero benedettino di Fontgombault, continuatore della gloria di Solesmes; l’umile cappellina ricavata nei locali di un appartamento di Francoforte, dove un sacerdote celebra in quasi clandestinità la Messa tridentina secondo l’indulto di papa Giovanni Paolo II e dove le donne presenti, senza nemmeno saperlo, riscoprono l’antica reverenza verso gli oggetti sacri e, con essa, il valore di una sacralità così vicina al quotidiano. La madre di famiglia che lava con cura il purificatoio con cui il sacerdote ha pulito il calice e che ha raccolto qualche piccola goccia del sangue di Cristo, rovesciando poi quell’acqua nell’angolo del suo giardinetto dove spuntano i fiori più belli, con questo semplice suo gesto riafferma il valore totale e assoluto della transustanziazione, sine glossa, senza condizionamenti e travisamenti che non sono poi che adattamenti allo spirito del nostro tempo.
Cristo è il giudice del tempo, non è ne è il suddito. E proprio per questo - paradossale motivo di speranza - può anche esserci, e c’è, l’«ubbidienza disubbidiente» di tanti sacerdoti che riscoprono la continuità della Tradizione, magari, contro le opposizioni aperte o subdole dei loro vescovi al Motu proprio di papa Benedetto XVI. È l’ubbidienza disubbidiente che già fu di sant’Atanasio, il coraggioso vescovo che si oppose all’arianesimo ormai accettato da gran parte dei suoi confratelli nell’episcopato. Mosebach quest’ultimo esempio non lo fa, è troppo umile, troppo legato alla presentazione della situazione presente. Ma è un esempio che balza alla mente a chi ha affrontato lo studio delle grandi crisi attraversate dalla Chiesa nella sua storia. La lex credendi è la lex orandi. Se cade l’una, cade anche l’altra. Si crede quel che si prega e si prega quel che si crede. Non si prega che in ginocchio, scrive Mosebach, e, allo stesso modo, non si crede che in ginocchio, perché chi entra in chiesa cerca il mistero, il sacro; non l’orizzontalità in cui siamo già immersi, ma la verticalità capace di ridare significato a quest’ultima. Dopo anni di ubriacatura comunitaria si torna a parlare di mistero e, per dirla con Guardini, di “santi segni”. È velato il mistero della liturgia. Sin dal suo principio è un continuo velarsi, tant’è che i suoi riti iniziano «con la copertura del celebrante rivestito con diverse vesti che, insieme, hanno un carattere simbolico», in cui «diventa chiaro che le qualità del carattere e virtù come la castità, la fortezza e l’umiltà, associate con brevi preghiere ai singoli capi di abbigliamento, vengono realmente accolte come parti dell’armatura, di cui parla san Paolo» (147). Ma questo velarsi, tanto misterioso, è altra cosa dal misticismo misterico: «un razionalismo particolarmente sobrio attraversa la letteratura liturgica occidentale, un non-voler-sapere particolarmente accentuato di quale sia la relazione tra la singola norma liturgica e la storia delle religioni». «Non c’è nulla che la Chiesa cattolica tema di più quanto l’essere associata nei suoi riti, alla magia e alla prassi» magica» (163). È velato questo mistero, di un velo che non è stato posto da mani d’uomo, perché «l’offerta velata è Cristo prima della Crocifissione, non ancora sacrificato, non ancora segno di contraddizione sollevato in alto, essa è anche Cristo velato che attende di essere spogliato dei suoi vestiti». In questo velarsi e disvelarsi il Mistero si fa presente ed è un mistero di kenosi, di annichilimento nell’abbandono. Forse la tragedia che ha investito la Chiesa latina in questo lungo autunno è parte di questa kenosi, forse si tratta di una grande prova di fede. All’inizio del suo libro Mosebach constata con amarezza che la riforma liturgica ha già sortito un effetto nel momento in cui ci costringe a parlare di liturgia, a discuterla come se fossimo noi a decidere di essa, ma, almeno, forse, questa amarezza può, se lo desideriamo autenticamente, divenire consapevolezza e libera scelta di cercare e riabbandonarci al Mistero.
fonte:messainlatino.it

ARZOBISPO ORTODOXO HILARIÓN DE VOLOKOLAMSK MÁS EN SINTONÍA CON BENEDICTO XVI QUE ALGUNOS MIEMBROS DE LA JERARQUÍA CATÓLICA


*El Arzobispo ortodoxo Hilarión de Volokolamsk es presidente del Departamento para las Relaciones Eclesiásticas Externas del Patriarcado de Moscú y ha visitado recientemente a Su Santidad el Papa Benedicto XVI en el Palacio de Castelgandolfo.


"Nosotros apoyamos al Papa en su empeño por la defensa de los valores cristianos, lo apoyamos también cuando sus valientes declaraciones suscitan reacciones negativas por parte de algunos políticos o personalidades públicas, o son recibidas con hostilidad y a veces tergiversadas por parte de algunos medios de comunicación".
"Creemos que él tiene el deber de dar testimonio de la verdad y por tanto estamos también con él cuando su palabra encuentra oposición".

" Consideramos que el jefe de la mayor iglesia cristiana no deba estar pendiente de ser políticamente correcto, ni se deba adaptar a la mentalidad dominante o buscar ser aceptado. Creemos, por el contrario, que tenga el deber de testimoniar la verdad. Por tanto, le apoyamos incluso cuando sus palabras encuentran oposición”.



"Los servicios divinos ortodoxos son un tesoro inapreciable que debemos custodiar cuidadosamente. He tenido la oportunidad de estar presente en servicios tanto católicos como protestantes, que fueron, con raras excepciones, bastante decepcionantes... Desde las reformas litúrgicas del Concilio Vaticano II, los servicios en algunas iglesias católicas han acabado siendo poco diferentes a los protestantes".

sexta-feira, 25 de setembro de 2009

Difusão da Missa Tridentina no mundo

Solemn Mass in Grüssau

On 7 July, the second anniversary of the publication of the motu proprio Summorum Pontificum, and to conclude a workshop in the Extraordinary Form, a Solemn Mass was celebrated in the Abbey Church of Grüssau (Krzeszów) in Silesia, Poland. sanctus.pl offers us some wonderful photos.



The sacred image of Our Lady of Grüssau


The missal prepared for the feast of Ss. Cyril and Methodius.


In the sacristy with its beautiful inlaid cupboards. The celebrant was Fr. Jarosław Powąska, the deacon Fr. Grzegorz Śniadoch IBP, and the subdeacon Fr. Zbigniew Chromy.

















More on the Recent Ordinations of the Institut du Bon Pasteur

The Institut du Bon Pasteur (Institute of the Good Shepherd) recently had the ordination of two young men to the priesthood -- one of whom I had the pleasure to meet a year ago.


The IBP have now put up their official photo album from that ordination, which we were not able to provide in the previous story.

These photos are also worth sharing for the reason they show the very splendid architecture of the basilica in which it was offered, that of Sainte-Anne d'Auray in the Breton region of France.

A sampling.













Usus Antiquior News from Poland

In the Franciscan church of St. Anthony in Poznań (Posen), H.E. Grzegorz Balcerek, auxiliary bishop of the Archdiocese of Poznań, sung Pontifical Mass on the occasion of the 15th anniversary of the establishment of a regular celebration of Mass in the usus antiquior in Poznań. The Polish blog Pod Mitrą has excellent images of the occasion, of which here is a selection:











Extractos duma entrevista ao Cardeal Dário Castrillon ,publicada há um ano no nosso blog


EC: No Motu Proprio, a ênfase do Papa é em um Rito e duas formas, e ele descreve o Rito Tridentino como “extraordinário”. Extraordinário portanto significa excepcional, algo que não celebramos todo domingo.
Cardeal Castrillon: Não “excepcional”. Extraordinário significa “não ordinário”, e não “excepcional”.
DT: Existirá um esclarecimento sobre o Motu Proprio?
Cardeal Castrillon: Não exactamente um esclarecimento do Motu Proprio, mas de matérias tratadas no Motu Proprio, tais como o calendário, ordenações ao sub-diaconato, o forma de usar os paramentos, o jejum eucarístico.
DT: E quanto ao “grupo estável”?
Cardeal Castrillon: Isso é uma matéria de senso comum… Em todo palácio episcopal existem talvez três ou quatro pessoas. Isso é um grupo estável…. Não é possível dar a duas pessoas uma missa, mas duas aqui, duas ali, duas acolá – eles podem tê-la. Eles são um grupo estável.
-Eminência , qual o balanço que faz da promulgação do Motu próprio que ocorrreu há alguns meses?

-Com o Motu próprio o Papa quiz dar a todos uma oportunidade renovada de usufruir da enorme riqueza espiritual, religiosa e cultural presente na liturgia do rito gregoriano.O Motu próprio nasce como tesouro oferecido a todos, e não para vir ao encontro dos pedidos de alguns .Muitos dos que antes não sentiam qualquer relação com esta forma extraordinária do rito romano, agora manifestam grande estima pela mesma.

DT: Então o Papa gostaria de ver muitas paróquias fornecendo o Rito Gregoriano?

Cardeal Castrillon: Não muitas – todas as paróquias, pois isso é um dom de Deus. Ele oferece essas riquezas e é muito importante para as novas gerações conhecer o passado da Igreja. Esse tipo de liturgia é tão nobre, tão bonito – a mais teológica das formas de expressar nossa fé. A liturgia, a música, a arquitectura, as pinturas, fazem um todo que é um tesouro. O Santo Padre está desejoso de oferecer a todas as pessoas essa possibilidade, não apenas para poucos grupos que pedem, mas para que todos conheçam essa forma de se celebrar a eucaristia na Igreja Católica.

Prato: presentazione del volume di mons. Gherardini.





Il libro di mons. Brunero Gherardini Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, è uscito quasi in sordina, ma come tutte le grandi opere è destinato a far parlare di sé e divenire un fondamentale punto di riferimento per quanti vogliano affrontare con serietà e serenità un discorso corretto sul Concilio Vaticano II, il suo valore, la sua ricezione nella Chiesa.
È quindi estremamente significativo che tale libro venga presentato a Prato, città che ha dato i natali all’illustre Autore, che ha trascorso tutta la sua vita a Roma, Docente alla Pontificia Università Lateranense, al servizio della Santa Sede e attualmente Canonico della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano. La carriera accademica e la produzione scientifica di mons. Gherardini è talmente ampia e conosciuta, che è superfluo farne anche un solo breve cenno.
Il suo ultimo libro verrà presentato per iniziativa di due parrocchie pratesi: quella del Sacro Cuore di Gesù e quella dello Spirito Santo, i cui parroci sono legati da rapporti di stima e affetto verso l’autore.
L’appuntamento è per sabato 3 ottobre alle ore 11 presso il teatro del Collegio Cicognini – P.zza del Collegio. Presenteranno il volume il prof. Roberto De Mattei, già Docente di Storia Moderna presso l’Università di Cassino, che attualmente insegna Storia del Cristianesimo e della Chiesa presso l’Università Europea di Roma, dove è coordinatore del corso di laurea in Scienze storiche, e il Prof. Alessandro APOLLONIO, Preside dello StudioTeologico Immacolata Mediatrice e Docente di Teologia Dogmatica.
Modera l’incontro, al quale sarà presente l’Autore, il dott. Don Enrico Bini.
fone:tmessainlatino.it

Reforma da reforma de Bento XVI


Discurso aos Bispos do Grupo III - "ad limina" 2009

Queria falar-vos hoje da primeira dessas sendas: a família assentada no matrimônio, como «aliança conjugal na qual o homem e a mulher se dão e se recebem» (cf. Gaudium et spes, 48). Instituição natural confirmada pela lei divina, está ordenada ao bem dos cônjuges e à procriação e educação da prole, que constitui a sua coroa (cf. ibid., 48). Pondo em questão tudo isto, há forças e vozes na sociedade atual que parecem apostadas em demolir o berço natural da vida humana.

Que em cada lar o pai e a mãe, intimamente robustecidos pela força do Espírito Santo, continuem unidos a ser a bênção de Deus na própria família, buscando a eternidade do seu amor nas fontes da graça confiadas à Igreja, que é «um povo unido pela unidade do Pai e do Filho e do Espírito Santo» (Lumen gentium, 4).

Mas, enquanto a Igreja compara a família humana com a vida da Santíssima Trindade – primeira unidade de vida na pluralidade das pessoas – e não se cansa de ensinar que a família tem o seu fundamento no matrimônio e no plano de Deus, a consciência difusa no mundo secularizado vive na incerteza mais profunda a tal respeito, especialmente desde que as sociedades ocidentais legalizaram o divórcio. O único fundamento reconhecido parece ser o sentimento ou a subjetividade individual que exprime-se na vontade de conviver. Nesta situação, diminui o número de matrimônios, porque ninguém compromete a vida sobre uma premissa tão frágil e inconstante, crescem as uniões de fato e aumentam os divórcios. Sobre esta fragilidade, consuma-se o drama de tantas crianças privadas de apoio dos pais, vítimas do mal-estar e do abandono e expande-se a desordem social.

A Igreja não pode ficar indiferente diante da separação dos cônjuges e do divórcio, diante da ruína dos lares e das conseqüências criadas pelo divórcio nos filhos. Estes, para ser instruídos e educados, precisam de referências extremamente precisas e concretas, isto é, de pais determinados e certos que de modo diverso concorrem para a sua educação. Ora é este princípio que a prática do divórcio está minando e comprometendo com a chamada família alargada e móvel, que multiplica os «pais» e as «mães» e faz com que hoje a maioria dos que se sentem «órfãos» não sejam filhos sem pais, mas filhos que os têm em excesso. Esta situação, com as inevitáveis interferências e cruzamento de relações, não pode deixar de gerar conflitos e confusões internas contribuindo para criar e gravar nos filhos uma tipologia alterada de família, assimilável de algum modo à própria convivência por causa da sua precariedade.

É firme convicção da Igreja que os problemas atuais, que encontram os casais e debilitam a sua união, têm a sua verdadeira solução num regresso à solidez da família cristã, lugar de confiança mútua, de dom recíproco, de respeito da liberdade e de educação para a vida social. É importante recordar que, «pela sua própria natureza, o amor dos esposos exige a unidade e a indissolubilidade da sua comunidade de pessoas, a qual engloba toda a sua vida» (Catecismo da Igreja Católica, 1644). De fato, Jesus disse claramente: «O que Deus uniu, o homem não separe» (Mc 10, 9), e acrescenta: «Quem despede a sua mulher e se casa com outra, comete adultério contra a primeira. E se uma mulher despede o seu marido e se casa com outro, comete adultério também» (Mc 10, 11-12). Com toda a compreensão que a Igreja possa sentir face a tais situações, não existem casais de segunda união, como os há de primeira; aquela é uma situação irregular e perigosa, que é necessário resolver, na fidelidade a Cristo, encontrando com a ajuda de um sacerdote um caminho possível para pôr a salvo quantos nela estão implicados.

Para ajudar as famílias, vos exorto a propor-lhes, com convicção, as virtudes da Sagrada Família: a oração, pedra angular de todo lar fiel à sua própria identidade e missão; a laboriosidade, eixo de todo matrimônio maduro e responsável; o silêncio, cimento de toda a atividade livre e eficaz. Desse modo, encorajo os vossos sacerdotes e os centros pastorais das vossas dioceses a acompanhar as famílias, para que não sejam iludidas e seduzidas por certos estilos de vida relativistas, que as produções cinematográficas e televisivas e outros meios de informação promovem.

Tenho confiança no testemunho daqueles lares que tiram as suas energias do sacramento do matrimônio; com elas torna-se possível superar a prova que sobrevém, saber perdoar uma ofensa, acolher um filho que sofre, iluminar a vida do outro, mesmo fraco ou diminuído, mediante a beleza do amor. É a partir de tais famílias que se há de restabelecer o tecido da sociedade.

En una entrevista concedida a Süddeutsche Zeitung El cardenal Castrillón Hoyos acusa al obispo de Estocolmo de mentir sobre el caso Williamson



El cardenal Darío Castrillón Hoyos ha acusado al obispo de Estocolmo, moseñor Anders Arborelius, de haber mentido al asegurar que desde su diócesis se informó a Roma sobre las declaraciones de Monseñor Wiliamson, el obispo levfevbrista que negó que en los campos de concentración nazis murieran millones de judíos. «Nosotros archivamos digitalmente todos los documentos que recibimos. Monseñor Arborelius debería decir cómo, a quién y cuándo comunicó esto, y si fue por escrito o verbalmente», asegura el cardenal colombiano.

Publicado el 2009-09-25 13:08:00

(InfoCatólica) La polémica por el caso Williamson no cesa y amenaza con convertirse en un escándalo de grandes proporciones en el seno de la Iglesia Católica. El cardenal Castrillón Hoyos, que durante años estuvo al frente de Ecclesia Dei, comisión creada por Juan Pablo II para el diálogo con los lefebvristas, ha acusado al obispo de Estocolomo de haber mentido cuando aseguró anteayer que había informado a Roma de las declaraciones negacionistas a una televisión sueca por parte de monseñor Williamson, obispo de la Fraternidad Sacerdotal de San Pío X.

En una entrevista concedida a Süddeutschen Zeitung, el prelado colombiano asegura que en los días en que el Papa decretó el levantamiento de la excomunión de los obispos de la FSSPX, "ninguno de nosotros conocíamos las declaraciones de Williamson. ¡Ninguno de nosotros! Y además, no teníamos obligación de conocerlas" . El cardenal Castrillón afirma que él mismo está siendo objeto de una campaña de desprestigio por esta cuestión.

Preguntado por la razón de que no se interrumpiera el proceso, el cardenal recuerda que al obispo lefebvrista no se les excomulgó por hacer declaraciones sobre el holocausto sino por ser ordenado por monseñor Lefebvre en contra del mandato papal.
fonte:infocatólica