sábado, 8 de junho de 2019

DON DIVO BARSOTTI, Credere vuol dire non sentirci mai soli, ma sentirci piuttosto coadiuvati da una onnipotente e infinita sapienza, sostenuti da un amore indefettibile e immenso.



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Casa San Sergio. Ritiro del 17 maggio 1959
 
Omelia
Il dono dello Spirito Santo


Prima meditazione


Cosa significa adorare lo Spirito Santo?
Che cosa vuol dire per noi, praticamente, avere la devozione allo Spirito Santo? Prima di tutto credere a questa presenza attiva di Dio nel cuore della creazione, nel seno della Chiesa, nell’intimo dell’anima dell’uomo. Credere davvero che Dio è all’opera oggi come al principio dei giorni, anzi più di quanto non fosse quando creava le cose. Credere veramente che questa azione divina sollevi tutta la massa umana, ordini tutta la vita del mondo alla sua trasfigurazione finale, a una glorificazione dell’universo, onde l’universo tutto deve divenire, al termine, una rivelazione della gloria divina. 

Vuol dire soprattutto credere che questo divino Spirito agisce nel modo più segreto, più intimo ma più efficace in seno alla Chiesa, e fa servire ai suoi piani anche gli errori degli uomini, anche le loro limitazioni, le loro debolezze, i loro stessi peccati. Vuol dire credere che anche nel cuore di ogni uomo lo Spirito Santo è all’opera, per continuare, per prolungare in lui e in tutta quanta la Chiesa, attraverso tutti i tempi, il Mistero di una Incarnazione divina che è l’assunzione della natura creata da parte di Dio, un’assunzione onde la natura creata viene ad essere nella più intima unione con la Divinità.

 Credere soprattutto che se Egli è nell’intimo del nostro cuore ed è Lui che ci muove, ci sostiene, ci illumina, ci conduce nelle sue vie, può sempre rimediare ad ogni nostra stortura, ad ogni nostro peccato, onde è possibile sempre, non solo una nostra salvezza, ma anche che gli errori passati divengano ora condizione di più alta e magnifica vita, di più alta gloria di Dio.



Siamo il santuario dello Spirito

Ora, è precisamente questo che molto spesso ci manca. La nostra fede è una fede astratta, atto dell’intelligenza che aderisce a una verità che non ha riferimento con noi, atto dell’intelligenza che aderisce a un mistero del quale sembra a noi di non far parte, che ci sembra non soltanto distinto da noi, ma assolutamente estraneo alla nostra povera vita, alla nostra povera anima.
La devozione allo Spirito Santo riconduce la verità del Mistero cristiano nel nostro cuore, fa di questo Mistero il mistero della nostra stessa esistenza, della nostra medesima vita. Perciò la devozione allo Spirito Santo prima di tutto vuol dire credere in Dio, credere in Cristo, credere nella Chiesa, ma credere in un Dio che è prossimo all’uomo, che è divenuto per l’uomo principio di vita, ragione della propria esistenza, fine ultimo nel quale la nostra esistenza trova riposo. 

Vuol dire credere in un Dio che non ti abbandona mai, che ti ama in tal modo che Egli, se tu crederai, avrà sempre vittoria: vittoria sulle tue imperfezioni, vittoria sulle tue impotenze, vittoria sui tuoi stessi peccati. Credere vuol dire non sentirci mai soli, ma sentirci piuttosto coadiuvati da una onnipotente e infinita sapienza, sostenuti da un amore indefettibile e immenso.
Chi di noi crede questo? Quanto spesso il mistero nel quale crediamo è un mistero dal quale noi ci sentiamo come esiliati. 
In fondo, ogni nostra esitazione, ogni dubbio, ogni scoraggiamento, ogni sgomento dell’anima di fronte alle esigenze divine non sono che una infedeltà, non sono che un atto di incredulità in questa azione costante di Dio nel cuore dell’uomo. 

Avere la devozione allo Spirito Santo vuol dire sentirci come invasi da ogni parte, da ogni parte penetrati da un’azione segreta, sì, ma onnipotente, continua, divinamente efficace e infinitamente amorosa. Che cosa, di fatto, dice la misura della nostra santità, se non precisamente questa nostra fede così povera, così debole, così intermittente, onde siamo noi a chiudere le porte del cuore al Signore, onde siamo noi che ci sottraiamo, sottraiamo le nostre potenze facendo sì che esse non siano più strumento di questo amore dolcissimo?

 Devozione allo Spirito Santo vuol dire: non credere più che vi sia per noi una impossibilità, un limite ai nostri desideri, una misura alla nostra santità, un termine ai nostri poteri. Vuol dire far credito a Dio, vuol dire sentirci veramente abitati da questa forza divina, personale, intima, efficace.


Limite allo Spirito è la nostra fede

Ma vedete: precisamente perché questa fede non è più l’atto di una intelligenza che aderisce a una verità astratta, a una verità che ci è estranea, ma è l’adesione dell’anima a un mistero che è il mistero della nostra medesima vita soprannaturale, appunto per questo la fede non può essere altro che il mettersi a disposizione di questa forza, l’abbandonarsi docilmente, totalmente, pienamente, amorosamente a questa divina potenza che vive in noi, che si agita in noi, che da noi vuol prorompere, in bellezza e gloria, in fulgore di santità

Quante volte ci vien fatto di pensare che tutto quello che si dice essere il messaggio cristiano sia, non dico favole, ma tuttavia esagerazioni, e che in fondo noi dovremmo contenere il messaggio cristiano a un insegnamento di rettitudine morale, di modestia, di pietà, diffidando di quanto vi è in esso di più grande, di più vero, di più alto? Diffidiamo. E il messaggio cristiano diviene soltanto parole. Quante parole! Parole che non creano, parole che rimangono puro suono di voce, bellezza oratoria, poesia, e non parola creatrice, di vita e di santità. Quante volte mi son domandato se io credevo! E debbo rispondere che non lo so. Ma non so nemmeno se voi credete, e non so nemmeno se vi è uno che crede. Sì, san Francesco forse. Si parla di eroismo della fede nei santi; ma è il minimo che possono dare! Se di fronte a un messaggio cristiano che ci parla dell’amore di Dio, che ci parla di un Dio che si fa uomo, che ci parla di un Dio che muore per l’uomo, di un Dio che si fa cibo dell’uomo, forza dell’uomo, luce dell’uomo nello Spirito, che cosa è mai la fede anche dei più grandi santi? Che cosa spera san Giuseppe Benedetto Cottolengo da Dio? Qualche marengo d’oro. E che cos’è? Certo, noi siamo molto inferiori a san Giuseppe Benedetto Cottolengo, intendiamoci. Ma che cosa sono i marenghi d’oro che può sperare san Giuseppe Benedetto Cottolengo di fronte a questo amore infinito? Perché ci sentiamo così piccini? Perché limitiamo così i nostri desideri?


Il vero senso dell’umiltà

Ma l’umiltà, al contrario, non vuole precisamente lo spezzarsi della fiducia in noi stessi? Non opera precisamente questo annientamento di ogni nostra fiducia perché noi possiamo abbandonarci, finalmente e pienamente, all’azione di Dio, all’azione di un Dio che ci ama, di quel Dio che ha creato i mondi e vuole che i mondi siano la pura rivelazione della sua gloria? 

No, veramente, io ritengo che chiunque di noi non pensi, non voglia diventare più grande di san Francesco, non crede affatto in Dio. Sono parole molto dure quelle che vi dico, ma mi sembrano vere. E non c’è altra verità di questa. Perché se ci crediamo davvero che Dio ci ama, come possiamo noi pensare che Dio debba soltanto aiutarci per farci un po’ più bellini, insomma, per essere un po’ più pii, per cercare di limitarci nel fare gli atti di impazienza? Pensate che cosa tremenda è mai questa! A che cosa noi riduciamo Dio! Come lo limitiamo, lo mortifichiamo, pretendendo da Lui soltanto questo, che Dio ci debba servire per fare un atto di impazienza di meno! Che Dio debba servirci e non che debba vivere in noi, che debba operare in noi per creare un mondo nuovo di santità e di gloria, un mondo nuovo di bellezza e di purezza infinita!

Devozione allo Spirito Santo allora vuol dire credere in Dio ma in un Dio che è veramente dono all’uomo di Sé: dono vero, dono reale, dono di cui devi entrare in possesso, dono di cui non puoi entrare in possesso senza essere tu santo della stessa santità di Dio, grande della sua medesima grandezza, puro della sua stessa purezza infinita, potente nella tua vita e nelle tue opere così come onnipotente è Dio. Non estinguete lo Spirito, non contrastate lo Spirito, ci dice san Paolo (cf. 1Ts 5, 19). Noi lo facciano tutti i giorni, perché costringiamo Dio alle nostre miserie, perché lo vogliamo comprimere nelle nostre povere idee, nei nostri piccoli disegni. Ma non è Lui che dà un limite a noi, siamo noi che continuamente poniamo a Lui dei limiti nella nostra misera fede.


Aprirsi all’onnipotenza di Dio

Credere! Ogni mio atto deve essere atto divino. E se veramente in ogni mio atto devo vivere la vita di Dio, in ogni mio atto deve vivere l’immensità del suo amore, la pienezza della sua gioia, la sua eternità. Debbo in ogni istante cercare di adeguarmi all’infinità di Dio, o almeno, se non posso così adeguarmi alla sua infinità da divenire io Dio stesso, devo abbracciare tutte quante le cose, debbo dilatarmi quanto tutta la creazione. Perché di fronte alle scoperte moderne noi rimaniamo un po’ sgomenti, un po’ smarriti, ci sembrano cose grandi? Ma che cosa mai sono tutte le scoperte degli uomini! Poter anche andare negli astri, avere a proprio servizio le leggi dell’universo: che cosa è mai tutto questo se noi lo poniamo a confronto dell’atto dell’anima che crede e si abbandona all’onnipotenza divina, sicché questa onnipotenza per mezzo dell’uomo opera? Che confronto, che proporzione vi può essere fra queste scoperte, fra queste attività e l’atto del cristiano che ama? Ma vi è un confronto e una proporzione tutta a nostra svantaggio, nonostante tutto, perché noi vogliamo ridurre Dio, come dicevo, alla nostra misura.
Quando nascerà un santo che veramente si lasci totalmente prendere da Dio, possedere da Lui così da divenire egli stesso lo strumento per il quale Dio anche oggi fa presente la redenzione universale del Cristo, la fa presente e l’applica, la fa presente e la realizza? Non in atto primo, ma in atto secondo, facendo sì che tutta quanta l’umanità che ora è travagliata come da un pericolo di morte si rinnovi, respiri, ringiovanisca, si apra a nuovi ideali di bellezza e di gloria, di luce e di santità.

Credere, dicevo. La devozione allo Spirito Santo vuol dire prima di tutto credere. Credere in questa presenza attiva di Dio nel cuore del mondo, nell’intimo dell’anima umana, nell’intimo dell’anima di ciascuno di noi. Non si può separare l’azione di Dio nella Chiesa dall’azione di Dio nel cristiano. Dio che è al lavoro in seno alla Chiesa è il medesimo che è al lavoro nella mia anima. Questa dottrina è una delle più feconde e delle più importanti per la nostra vita spirituale.
Sentire cum Ecclesia
Lo Spirito di Dio non agisce nel seno del cristiano solo in quanto questi fa parte della Chiesa: è tutto nella Chiesa ed è tutto in ogni anima. E allora ne deriva che vi è un segno, una garanzia all’azione dello Spirito che agisce in noi, nel fatto che l’azione dello Spirito nell’uomo è conforme a quella che lo Spirito stesso esercita in tutta la Chiesa. Lo Spirito non soltanto risiede nei nostri cuori ma ci fa strumenti di una redenzione universale, collaboratori del Regno di Dio; e ciò non per il fatto che, facendo parte della Chiesa, siamo chiamati a lavorare per essa, no! Lo Spirito vive in noi realizzando in noi tutto il Mistero cristiano. E la garanzia di questa sua azione è la conformità con l’azione che esercita in tutta la Chiesa.
Perciò la devozione allo Spirito Santo è legata al “sentire cum Ecclesia”, non per una mia adesione esterna, per un mio piegarmi a esigenze esterne, ma perché lo Spirito che è in me è anche l’anima di tutta la Chiesa, e la sua azione in me non può essere diversa dalla sua azione nella Chiesa...

don Divo Barsotti, il dono dello Spirito Santo



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Casa San Sergio. Ritiro del 17 maggio 1959
 
Omelia
Il dono dello Spirito Santo
Pentecoste. Che grande gioia esser con voi in questo giorno! È la festa dello Spirito di Dio, dello Spirito Santo. Non la festa della Terza Persona della Santissima Trinità in quanto procede dal Padre e dal Figlio, o dal Padre per il Figlio, nel mistero intimo della vita divina, ma la festa dello Spirito in quanto lo Spirito ci è stato donato e si è diffuso sopra la terra, in quanto lo Spirito è il dono di Dio, il dono che Dio ci ha fatto di Sé per vivere Egli stesso nei nostri cuori.

È la festa che porta a compimento i disegni di Dio: nel dono dello Spirito veramente si compie l’incontro di ogni anima con Dio. Non si compie soltanto un incontro, si realizza un mistero, il mistero di una partecipazione personale di ciascuno di noi all’intima vita di Dio. Nel dono dello Spirito noi siamo stati attratti nel seno della divina Trinità, noi siamo divenuti della famiglia stessa di Dio; non più soltanto chiamati remotamente a questa vita divina, ma già partecipi di essa nel segreto più profondo della nostra natura. Nel dono dello Spirito si compie davvero una creazione nuova, più mirabile e grande della prima. Di fatto, la prima creazione altro non è che pura condizione a questa elevazione che Dio compie di noi, facendoci tutti partecipi di Sé. La natura, l’esistenza che abbiamo ricevuto come creature, per noi specialmente che Dio ha voluto dotare di uno spirito, non sarebbero stati che coscienza ed esperienza di miseria e di morte.
Siamo fatti per Dio
Certo, la creatura è sempre qualche cosa di bello e di grande ma che cosa serve lo spirito umano se non precisamente a dire all’uomo i suoi limiti? A che cosa serve questa vita quaggiù se non a farci sentire la nostra impotenza ad abbracciare l’universo? Com’è possibile che un uomo sia contento di essere solo uomo? Son grandi cose quelle che Dio ci ha dato, anche come semplici creature, ma la nostra grandezza si misura precisamente da questo: che l’uomo esplora e raggiunge ben presto i suoi limiti. Lo spirito è stato creato perché potesse obbedire a un Dio che lo voleva chiamare a una vita immensamente più alta e più grande, alla Sua medesima vita. Dicono i teologi che, certo, vi sarebbe stata una felicità naturale anche per l’uomo, anche se non fosse stato elevato all’ordine soprannaturale. Ma rimane vero, secondo san Tommaso d’Aquino, che anche nella pura natura rimane nel cuore dell’uomo un desiderio naturale di vedere Dio che non potrebbe mai essere appagato se Dio misericordiosamente non volesse ascoltarlo. Ma questo desiderio che Egli ha acceso nel cuore dell’uomo, ecco, trova nel dono che Dio fa di Sé la risposta divina: Dio ha voluto che noi fossimo uno spirito aperto all’ineffabile grandezza divina, uno spirito aperto ad accogliere Lui, che voleva donarsi.
Diceva Dio Padre a santa Caterina da Siena: «Io sono un infinito in atto, tu sei un infinito in potenza». Questo è l’uomo: un infinito ma in pura potenza, un infinito che attende, un vuoto immenso che ha da essere colmato e non può esser colmato che da Dio.
noi siamo chiamati stamani ad aprire l’abisso della nostra anima per accogliere Dio in noi: accogliere questo amore immenso, infinito, accoglierlo per sentirci “ripieni”.

 È proprio questa l’espressione che ritorna durante la festa della Pentecoste: «Repleti sunt omnes Spiritu Sancto», «Replevit totam domum ubi erant sedentes». Egli sempre riempie di Sé: Dio solo può riempire. Ecco il Mistero della Pentecoste. L’abisso infinito del nostro nulla che aspetta la grazia, il nostro cuore si apre all’amore divino perché Dio voglia effondersi in lui, ed ecco che nel dono che l’anima riceve, l’uomo si sente ripieno: ogni suo desiderio è stato più che colmato dal dono che Dio ha fatto di Sé, ogni speranza è stata superata e trascesa, ogni aspettativa vinta dall’amore divino.
Dio stesso è venuto. Non verrà soltanto domani: la vita del cristiano è esperienza di un dono presente. Noi viviamo il dono di Dio nel mistero di una povera vita, nel mistero di un’intima sofferenza ma anche già viviamo il dono di Dio nel possesso ricolmo di una beatitudine immensa. Siamo veramente ripieni.


Esperienza di pace
Che cos’è la pace che Gesù ci dona lasciandoci, se non precisamente il suo Spirito, o almeno il frutto di questa presenza dello Spirito nel cuore dell’uomo? Come potrebbe l’uomo aver pace se non fosse saziato nella sua brama, se non fosse ricolmato nel suo vuoto? La pace è il segno di questa divina pienezza che il cuore umano possiede e noi possediamo la pace, segno intimo di una divina presenza, segno che ci garantisce, ci assicura questa presenza divina. Possediamo e viviamo la pace che nulla potrà mai compromettere: non le sofferenze fisiche, le sofferenze morali, né l’abbandono degli uomini, neppure le umiliazioni di fronte agli altri o le nostre stesse miserie che son tanto grandi. Nulla può compromettere la nostra pace, perché la nostra pace non ha la sua origine in noi, ma in una Presenza che rimane perché questo è il Mistero della Pentecoste: Egli non discende, è disceso, Egli rimane. Il Mistero della Pentecoste è un mistero permanente.
Il giorno della Pentecoste non conobbe declino, non fu superato. In quel giorno il mondo tutto entrò nella divina eternità. Ora il tempo, sì, scorre, ma scorre alla superficie, come l’olio sull’acqua. La creazione intera nel suo intimo valore, nella sua intima vita, non sottoposta ai cambiamenti del tempo, non è più trascinata, portata via dall’onda continua di un tempo che fugge.

Dio dimora in noi e noi dimoriamo in Lui nella pace, noi viviamo l’eternità stessa di Dio. Pur vivendo giorno per giorno avvenimenti che sembrano uguali e diversi perché si succedono in un ritmo continuo, pur vivendo in questo tempo che scorre, la nostra anima già è ancorata all’eternità perché Dio è in lei e lei è in Dio. Il tempo è finito già: ve ne rendete conto? Vi rendete conto che davvero il Paradiso è incominciato per noi? Basta che l’anima affondi in questo intimo centro in cui Dio si è fatto presente perché tutte le onde del tempo non raggiungano più l’anima che vive in una immutabile pace il dono divino; basta che l’anima affondi in questo intimo centro in cui Dio si fa presente per essere la sua ricchezza e il suo amore, per essere la sua gioia e il suo riposo.

Se noi non viviamo la pace è perché noi ancora viviamo fuori mentre Egli è dentro. Se noi siamo ancora turbati è perché l’anima nostra ancora o non ha accolto Dio oppure non è ritornata in sé. Non lasciamoci trascinar via dalle cose, rimaniamo immutabili come i beati nella visione di Dio, immobili nella purezza della visione, manteniamo la nostra anima nello stupore e nella gioia del divino possesso. Sta a noi vivere ora la vita del cielo, non sta più a Dio, perché Dio già si è dato. Se non viviamo già in Paradiso la colpa non è delle cose, e tanto meno è di Dio: la colpa è soltanto nostra che ancora viviamo al di fuori.
«È bene per voi che io me ne vada...»
Pura ed immensa la vita di Dio già fiorisce nel cuore, già è sbocciata nell’intimo centro dell’anima, e tu, ecco, puoi possederla, di un possesso che è veramente fruizione, che è veramente esperienza di pace e di gioia. Non forse Gesù ci ha detto che il dono dello Spirito sarebbe stato il dono del Consolatore, del Paraclito? Quale consolazione Gesù ci dà: se ne va per consolarci! Ma è precisamente questo l’insegnamento più grande della Pentecoste: la consolazione che ci deriva dallo Spirito importa precisamente che l’anima si sottragga all’apparente, alla pura esperienza sensibile delle cose. Gli apostoli conobbero lo Spirito, il Consolatore, quando Gesù se ne fu andato. La loro gioia divenne perfetta proprio nell’ora in cui Gesù non era più con loro.

Quale mistero! È il mistero della nostra vita presente. «Beati coloro che non videro e credettero» (Gv 20,29). Se noi affidiamo la nostra gioia, la nostra beatitudine, ai segni esteriori, la nostra beatitudine non sarà mai quella di Dio. Solo ritornando nell’intimo fondo della nostra anima possederemo la pace; sottraendoci all’apparenza sempre cangiante dei segni noi possederemo non più i segni - che hanno sempre in sé qualche cosa d’ambiguo, rivelano ma anche nascondono - ma quella pace che è la pace di Dio senza segni. Dio è in noi, ma non è in noi soltanto per esser presente: Egli è in noi per donarsi. Il Vangelo di oggi ci ha detto che se noi ameremo Gesù, Egli stesso ci amerà e il Padre e Lui verranno in noi e faranno in noi la loro dimora.

Ma questa presenza di Dio in noi non era già un fatto, una realtà indipendentemente dal mistero della grazia? Non è Egli presente in tutte le cose? Di che presenza si parla? È una presenza che importa qualche altra cosa che la pura dimora: Egli viene per donarsi, Egli viene in quanto si dona, Egli viene in quanto vuol essere posseduto, Egli viene in quanto vuol essere principio di una nuova vita. Per questo vengono il Figlio e il Padre nel dono dello Spirito. «Chi mi ama osserverà la mia parola, e anche il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui».

Il Padre ci ama nello Spirito Santo, dice san Tommaso d’Aquino. È nel dono dello Spirito che anche il Figlio e il Padre per concomitanza vengono in noi, nel dono medesimo. Vengono in noi in quanto Dio si dona per essere principio di una vita nuova. Ecco, in noi abita Dio, abita in noi come sorgente d’inesauribile vita, come principio di una creazione immensamente più grande e più bella di quella che i nostri occhi contemplano. Egli è in noi come principio di una operazione divina che è la trasfigurazione stessa della creatura divenuta partecipe di Dio.
Vivere la vita trinitaria
Non soltanto noi siamo ripieni dello Spirito Santo: Egli colma ogni nostro desiderio, Egli ci fa strumenti di vita, Egli in noi diventa principio di vita. Poco fa parlavo di viver la vita dell’eternità: ma che cos’è la vita dell’eternità? Che cosa se non la vita di Dio? Qual è la nostra vocazione? Quella di viver la vita trinitaria: non c’è altra vocazione che questa. Ognuno di noi è chiamato a vivere la vita di Dio. E la vita di Dio è la Santissima Trinità, sono le processioni divine. La nostra vocazione è questa. Non è quella di fare scuola, di mandare avanti il laboratorio, di lavorare in casa, di badare ai bambini; la nostra vocazione non è nemmeno la semplice preghiera. La nostra vocazione è Dio stesso, è essere Lui, vivere Lui. La nostra vocazione a questo ci chiama.

Nel dono dello Spirito, ecco, noi entriamo davvero a far parte della vita di Dio. Dio diviene in noi principio di vita, dicevo. In che modo? Proprio perché lo Spirito Santo prolunga in noi il Mistero dell’Incarnazione divina e, prolungandosi in noi il Mistero dell’Incarnazione divina, noi siamo uniti a Cristo, e uniti a Cristo noi viviamo la relazione del Figlio al Padre Celeste. Tutta la vita trinitaria si svolge nell’intimo dell’uomo, si svolge nell’intimo della creazione; Dio non è più al di fuori del mondo, Dio non è più estraneo, trascendente all’uomo, è più intimo a lui di lui stesso. Non soltanto come creatura, si noti: non in quanto ci dona una vita umana, una natura umana, ma in quanto Egli è principio di vita divina.

E se è nello Spirito Santo che si opera il mistero del nostro inserimento nella vita divina, che cosa si impone per noi? Tante volte si è detto e non sarà male ripeterlo stamani, anche con una sola parola: s’impone la pura, umile docilità, che l’anima si abbandoni serenamente, dolcemente, pienamente, all’azione segreta di questo Spirito divino.


Ogni nostro agire è dallo Spirito
Ma come facciamo a sapere quando Dio opera e quando Dio ci muove, così da abbandonarci al Signore? Si è già detto: Dio è intimo a noi più di noi stessi. Tutto quello che in noi vi è di non peccaminoso deriva dallo Spirito. Dio in tal modo si nasconde nell’essere umano che proprio la psicologia stessa dell’uomo diviene segno di vita divina. La vita mistica che cos’è? Mica il mistico trascende la propria esperienza umana per raggiungere Dio, ma è nella sua esperienza umana, nell’intimo della sua intelligenza, nel movimento del suo cuore, che egli avverte una presenza attiva di Dio, che egli fa esperienza di questa intima vita di Dio. Non è la vita di Dio questa intuizione che il mistico ha, non è la vita di Dio questo amore che l’anima sperimenta, ma questo amore, questa intuizione, sono precisamente il segno di una operazione più misteriosa e segreta che rimane per noi quaggiù nella vita presente del tutto intangibile ancora.

Dio agisce attraverso le nostre stesse potenze: Dio ama attraverso il nostro cuore, Dio vede attraverso la nostra intelligenza. In tutto quello che noi viviamo, noi viviamo una vita soprannaturale. Non si vive una vita soprannaturale soltanto quando noi preghiamo o quando facciamo un atto di virtù ed espressamente ci impegniamo ad amare il Signore; nessun atto dell’uomo che viva in grazia è un atto puramente umano. In ogni atto dunque, all’intimo, nella sua più intima scaturigine, noi troviamo lo Spirito di Dio che muove le umane potenze.

Non dobbiamo soltanto avere riverenza di noi, del nostro corpo come tempio della Divinità; è troppo poco questo, perché tale modo di vedere le cose suppone una presenza statica di Dio in noi, suppone perciò anche una certa divisione di Dio e dell’uomo, come Egli è separato dalla pisside che lo contiene nel Sacramento. Non così Dio abita nell’uomo: la presenza di Dio in noi è dinamica, dicevo. Quale riverenza dobbiamo avere di noi! Ogni nostro atto, in ultimo, è atto divino nella sua più intima scaturigine, nel suo primo principio: è Dio che ci muove. E non ci muove soltanto come Creatore, ci muove come Santificatore, come Colui che trasfigura la nostra natura e attraverso la nostra vita ci solleva, ci esalta.


Essere profeti dello Spirito
Rendiamoci conto di questo. Non abbiamo da cercare Dio soltanto nelle grandi occasioni, nei grandi sentimenti, nelle intuizioni, nelle illuminazioni straordinarie; vi è continuità fra la vita umana più povera e la vita del mistico più alto. Una continuità onde Dio non interviene soltanto a un certo stato della vita spirituale ma fin dagli inizi, appena Egli è presente nel cuore dell’uomo. Tutta quanta la vita dell’uomo è lievitata nell’intimo, sollevata ed animata nell’intimo, essendo lo Spirito principio, sostegno e termine ultimo di ogni atto umano.

Quale riverenza! Sentirci strumento di Dio, sentirci come il pennello nella mano dell’artista, come la penna in mano dello scrittore! Quale riverenza, quale abbandono, quale umiltà l’anima non deve possedere! È questo che deve distinguere la spiritualità moderna, la devozione allo Spirito Santo. È tale devozione che deve distinguere l’era messianica. Ed è essere strumenti dello Spirito che distingue precisamente coloro che in questa era messianica sono entrati veramente.

Ognuno di noi deve esser profeta; tutti dobbiamo conoscere Dio per un’intima esperienza, per un intimo possesso di Lui. Non dobbiamo chiedere a nessuno chi è Lui, perché dobbiamo conoscerlo già per un’intima conoscenza, una conoscenza che a Lui ci assimila e in Lui ci trasforma. «Non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna» (1Gv 2, 27), dice l’Apostolo Giovanni nella sua prima lettera. San Pietro negli Atti degli apostoli dirà: «Accade invece quello che predisse il profeta Gioele: “Negli ultimi giorni, dice il Signore, io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno”» (At 2, 16-18). Profetizzare vuol dire essere veramente strumenti di un’azione divina. Il profeta è lo strumento onde Dio opera, parla, agisce, fa la storia umana. Dio vive attraverso di noi.

Ecco la nostra vocazione: lasciar libero Dio attraverso le nostre potenze, attraverso il nostro corpo - mani, piedi, cuore, volontà - attraverso la nostra anima. Che viva Dio, Lui solo, che ami Dio, Dio solo, che Dio contempli e sia Lui solo il contemplato da noi, che viviamo la sua medesima vita.
Vorrei che durante la Messa, in modo particolare durante la Consacrazione, l’anima si donasse totalmente allo Spirito così che, come per opera dello Spirito si fa presente Cristo sotto le specie del pane, così in Cristo voi vi trasformiate, per opera del medesimo Spirito. Viva in noi tutti Dio solo!

sexta-feira, 7 de junho de 2019

DON DIVO BARSOTTI, Il dono del Timore di Dio e del Consiglio

Il dono del Timore di Dio e del ConsiglioMa anche il dono del Timore di Dio è necessario, il senso della riverenza per la grandezza di Dio, il senso dello stupore; il timore filiale, intendiamoci, non il timore che 'dà luce e allontana, ma il timore che ci fa sentire la sua grandezza e dà a noi il senso dell'adorazione senza fine.

E poi il dono del Consiglio; questo è necessario soprattutto per la Madre. Saper vedere che cosa è giusto, che cosa è meglio per ogni anima, per sapere indirizzare le anime, guidarle nella via del Signore; saper essere forte con una, dolce con l'altra, saper dare a tutte il nutrimento necessario, ed è diverso per ciascuna: non si può dare a tutte il medesimo cibo! Con alcune ci vorrebbe la sferza, con le altre ci vogliono le carezze, con l'una basta un sorriso e con l'altra ci vuole un rimprovero. E come saperlo? Noi non lo indoviniamo; diamo un sorriso e lo si prende subito come una complicità alla debolezza, diamo un rimprovero e l'anima si chiude, si irrigidisce e magari diventa amara con noi.

Il dono del Consiglio, come è necessario! Ma è necessario soprattutto a chi guida le anime, a chi ha la responsabilità nei confronti degli altri. Di quanti doni abbiamo bisogno, di tutti i doni dello Spirito Santo! Ma quanti sono i doni dello Spirito Santo? Ne ho richiamati sette, ma non sono sette; sette è un numero di plenitudine, vuol dire che sono settantamila volte sette, sono tanti quante sono le potenze dell'anima che devono essere portate a Dio, guidate e sorrette da lui.

Noi siamo come un'arpa che riposa in un angolo, ma ci passa il dito dello Spirito Santo e ne trae melodie dolcissime, ne trae un canto di amore sempre più puro e più alto verso Dio. Lasciate che le vostre corde siano sempre intonate, in modo che passando il dito dello Spirito attraverso le vostre potenze, la vostra intelligenza lo veda, lo comprenda, lo conosca, la vostra volontà lo ami e aderisca a lui, e la vostra anima conosca le cose in modo tale da usarne nel suo cammino verso il Signore. Viva la vostra anima in tale consonanza con lo Spirito, così che divenga forte nelle imprese divine, forte nel sopportare ogni tribolazione, dolcissima nel riposare in Dio, nell'abbandonarsi alla sua Paternità, intimamente presa dallo stupore della sua grandezza, nell'adorazione, e viva poi anche in questa capacità di guidare, di portare gli altri verso il Signore.

Che la nostra vita sia tutta illuminata, tutta trasfigurata, tutta penetrata dai doni divini, in modo che sia veramente una vita «ultra humanum modum», una vita sovrumana .

DON DIVO BARSOTTI, Il dono della Pietà

Il dono della Pietà

Ci vuole ancora il dono della Pietà. Vivere la vita cristiana vuol dire vivere il nostro rapporto con Dio; ma se Dio è fuoco, come possiamo gettarci in lui? Viene lo sgomento! Anche nell'Antico Testamento c'era lo sgomento quando Dio voleva apparire, perché nessuno può vederlo e vivere.

La visione di Dio brucia l'anima; come è possibile accostarci a lui? Da questo incendio di fuoco noi ci difendiamo, facciamo come Adamo che si nascose perché Dio non lo trovasse. Anche noi ci nascondiamo, ci nascondiamo nelle nostre virtù, poniamo le nostre virtù davanti a Dio, perché Dio non si accosti troppo, e diciamo: «Guarda, noi ti diamo questo, ma lasciaci un po' in pace!». Dio invece non ci lascia in pace, le esigenze di Dio crescono nella misura in cui cresce l'amore.

Come possiamo dunque vivere questo rapporto? Ecco il dono della Pietà; la pietà è il rapporto dei figli coi genitori, un rapporto di semplicità, un rapporto di abbandono: Dio, pur essendo fuoco, è il mio Padre celeste! Gesù ci insegna come si esprime il dono della Pietà. Quando pregate dite: «Padre!». Ma non dice Padre, Padre è una parola troppo alta, troppo solenne; dice «Abbà» che in ebraico significa «Papà»; è il linguaggio più semplice del bambino, che riposa nelle braccia di Dio.

Il dono della Pietà ci fa sentire a nostro agio nel parlare con Dio. Sappiamo che Dio è l'Infinito, sappiamo che Dio è l'Immenso, e tuttavia in questa immensità ci immergiamo, lo guardiamo e sorridiamo beati come un bambino nelle braccia della mamma. Avete visto come sorride un piccolo tra le braccia della sua mamma? Così anche l'anima nelle braccia di Dio. La serenità, la semplicità di un rapporto filiale col Padre, ecco quello che ci insegna il «Donum Pietatis», e come è necessario! Viste le esigenze di Dio, visto quello che Dio ci chiede nelle sue azioni interiori, quanto è necessario che noi possiamo vivere con lui la semplicità del bambino, che nelle sue braccia riposa.

quinta-feira, 6 de junho de 2019

DON DIVO BARSOTTI, Il dono della Fortezza

português inglês alemão francês espanhol italiano neerlandês polaco russo Tenha

Il dono della FortezzaVi sono i doni dello Spirito che intervengono nella vita attiva, e notate bene che la vita attiva non è una vita diversa dalla vostra. Noi troppo spesso contrapponiamo la vita attiva alla vita contemplati va; in realtà la vita cristiana implica sempre una dimensione contemplativa e una dimensione attiva. La dimensione attiva è l'esercizio delle virtù, non è il ministero, il ministero è apostolato, non è vita attiva; la vita attiva è l'esercizio delle virtù.

Nell'esercizio delle virtù abbiamo bisogno dell'aiuto della Fortezza, e ce ne vuole per mantenerci fedeli a Dio, ce ne vuole per vincere ogni tentazione, ce ne vuole per compiere opere grandi nel nome del Signore. Dio ci chiede sempre la virtù della magnanimità, e la magnanimità importa, di per sé, l'impegno dell'anima a cose grandi. Non si tratta come per san Francesco Saverio di andare a predicare il Vangelo in tutte le parti del mondo, ma Dio può esigere da voi, per queste opere grandi, l'esercizio di una virtù eroica, di una virtù che supera dunque l'umano, e voi non avreste certamente la forza di compierla se lo Spirito Santo non vi desse questa forza.

Vi è una forza naturale che basta per una vita ordinaria, ma per vivere una vita eroica occorre la fortezza di Dio; fortezza per aggredire cose grandi, fortezza per sopportare cose grandi, fortezza per sopportare tentazioni, persecuzioni, desolazioni di spirito, incomprensioni.

Voi dovete sopportare il peso del vuoto, il peso del peccato profondo; quanto più sarete sante, tanto più Dio vi assocerà alla sua Passione, perché quanto più sarete sante tanto più dovrete vivere lo stesso mistero del Cristo, l'Agnello che porta sopra di sé il peccato del mondo. E tutto questo importa persecuzioni, desolazioni di spirito, incomprensioni, prove interiori e prove esteriori, difficoltà, tentazioni di ogni genere. Ma siete delle povere donne, siete delle umili donne, potete portare sulle vostre spalle il peso del mondo?

Come facciamo a portare il peso del mondo, il peso del peccato umano attraverso le sofferenze a cui Dio ci sottopone? Egli infatti non può dispensarci dal vivere una partecipazione alla sua Passione. Ecco qui come deve intervenire il dono della Fortezza, di una fortezza che ci rende capaci di sopportare questo enorme peso del peccato del mondo, non commettendo noi il peccato, ma sopportandone il castigo; il castigo è la Passione del Cristo, il castigo è la desolazione di spirito, il castigo è la tentazione, le difficoltà, le prove, le persecuzioni, le incomprensioni; il sentirsi abbandonati da Dio e dagli uomini, vivere come sospesi nel nulla.

Come è possibile vivere tutto questo? È terribile anche pensarlo! Ma Dio vive in te, per dare a te la forza di accettare e di superare ogni prova nell'umiltà, nella semplicità, nell'amore. È necessario per noi questo dono della Fortezza! Nostro Signore è stato forte nell'aggredire il male, ma è stato ancora più forte nel sopportarlo sopra di sé; l'eroismo più alto del Cristo si manifesta nella sua Passione dolorosa, quando egli, abbandonato dal Padre, abbandonato dai discepoli, ha vissuto l'agonia di sentirsi il peccatore vivente, dinanzi agli occhi di Dio.

DON DIVO BARSOTTI, Il dono della Scienza

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Il dono della Scienza
Ma voi dovete anche apprezzare le cose, perché o le cose e le creature vi portano a Dio, o sono un impedimento nel vostro cammino verso il Signore. Ora è vero che la vostra vita si è fatta povera di cose umane, però anche voi vi dovete vestire, dovete vivere in una casa, dovete usare delle cose umane, perché vivete ancora una vita terrena, e questa implica di per sé l'uso delle creature. Chi è che dona a voi la capacità di usare delle creature in tal modo da non essere ostacolate nel vostro cammino verso il Signore? Come provvede per voi lo Spirito Santo in tal modo che le cose umane che dovete usare non siano un impedimento alla vita divina? Ecco il dono della Scienza! Scienza vuol dire conoscere, renderei conto, aver coscienza di come le cose possono essere, per voi, mezzo di santificazione e non impedimento alla vita spirituale.

Come è necessario questo dono! Certo è minore del dono della Sapienza e del dono dell'Intelletto, e tuttavia è di una importanza eccezionale, specialmente quando si tratta dell'uso dei beni presenti, il vestito, la casa, la vita comune. Come è importante e come è necessario che l'anima si attenga veramente al carisma del Fondatore con la più grande fedeltà e il più grande amore!Siate fedeli al vostro carisma! lo amo che voi abbiate conservato la vostra veste, amo che abbiate conservato le vostre tradizioni; è un grande pericolo abbandonare tradizioni e costumi, anche usanze, senza un discernimento che viene da Dio. Non crediate di poter fare con leggerezza certe cose; la leggerezza si paga, e in poco tempo tutto si disgrega e si disfà.

Quale discernimento ci vuole; tante volte per leggerezza, per mania di novità si distrugge, e quando si è distrutta la vita religiosa di una Congregazione, ci vuole un miracolo più grande della fondazione stessa per farla rifiorire.


Rendiamoci conto che è necessario il massimo dono di discernimento, che deriva proprio dal «Donum Scientiae», per saper usare i beni terreni, le cose, le creature, perché tutte le creature per sé hanno una ambiguità: possono portare a Dio e possono strappare da Dio, possono allontanarci da lui; non sono mai indifferenti nemmeno il bere, nemmeno il mangiare, nemmeno l'atteggiamento del corpo. È importantissimo che i Benedettini rimangano fermi anche in un certo modo di celebrare l'Ufficio divino, e che voi siate ugualmente ferme nella fedeltà alle vostre usanze.

Ma poi non bastano questi doni, che intervengono nella vita contemplativa, sia per quanto riguarda la conoscenza diretta di Dio, sia per quanto riguarda il gusto di Dio, sia per quanto riguarda l'uso dei beni creati, in ordine alla vostra santificazione.

Don Divo Barsotti. L'azione dello Spirito Santo nella nostra vita



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(5 luglio 1956)

Tutto l'Antico Testamento parla dell'era messianica come di un'era che sarebbe venuta nell'effusione dello Spirito su ogni carne, ma per rendersi conto dell'importanza del dono dello Spirito nella vita cristiana basta vedere la Lettera ai Romani e il IV Vangelo che hanno un solo fine: presentare una dottrina dello Spirito Santo.
Nei primi sette capitoli della Lettera ai Romani S. Paolo, dopo aver detto che tanto i giudei quanto i pagani hanno bisogno del Sangue di Cristo, dimostra quali nemici ha vinto Cristo morendo sulla croce: la morte, il peccato, la legge. Ma come si manifesta questa vittoria? Nel dono dello Spirito.
Oggi l'uomo, nel possesso dello Spirito, vive nella libertà dei figli di Dio. La legge del cristiano è lo Spirito Santo che vive nel cuore dell'uomo; non c'è una legge che costringa dall'esterno, soltanto lo Spirito che vive dentro di te e al quale devi abbandonarti è la tua vita e la tua legge.
Sant'Ireneo dice che il Verbo e lo Spirito sono le due mani con cui l'uomo fu plasmato all'inizio e con cui viene plasmato oggi secondo l'immagine di Dio. L'uomo, vivendo come figlio di Dio, supera la morte; l'immortalità è propria di Dio, è il dono della vita divina; e l'immortalità che comporta la resurrezione della carne, è legata al dono dello Spirito. Dio, vivendo nei nostri cuori, cancella il peccato e dà la vita divina.
Il IV Vangelo è tutto ordinato alla promessa del Paraclito che Gesù fa dopo la cena nel suo grande discorso.
S. Giovanni ci vuol dare la storia di Gesù come promessa di quello che sarà la vita sacramentale del cristiano dopo la morte di Lui. Gli uomini sono entrati ormai nell'era escatologica, in cui domina Dio; ma Dio domina per opera dello Spirito Santo, il quale ricorderà agli uomini tutto quello che Gesù ha detto e li farà vivere come Gesù. I discepoli da poveri uomini sono trasformati in Cristo. Tutta la vita di Gesù è ordinata a questo dono, in cui termina il disegno della salvezza.

RASCUNHO don Divo Barsotti, O que é, então, o dom do Espírito? É o próprio Deus que te acolhe em Si mesmo e em quem tu vives.


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Don Divo Barsotti. A ação do Espírito Santo em nossas vidas



(5 de julho de 1956)
Todo o Antigo Testamento fala da era messiânica como uma era que viria na efusão do Espírito sobre toda a carne, mas para compreender a importância do dom do Espírito na vida cristã basta ver a Carta aos Romanos e o Quarto Evangelho que têm uma única finalidade: apresentar uma doutrina do Espírito Santo.
Nos primeiros sete capítulos da Carta aos Romanos, São Paulo, depois de dizer que tanto os judeus como os pagãos precisam do Sangue de Cristo, mostra que Cristo  venceu  os inimigos  ao morrer na cruz: a morte, o pecado, a lei. Mas como se manifesta esta vitória? No dom do Espírito.
Hoje o homem, na posse do Espírito, vive na liberdade dos filhos de Deus. A lei do cristão é o Espírito Santo que vive no coração do homem; não há lei que força de fora, só o Espírito que vive dentro de ti e a quem tu deves te entregar é  a  tua vida e tua lei.
Santo Irineu diz que a Palavra e o Espírito são as duas mãos com as quais o homem foi moldado no princípio e com as quais é moldado hoje segundo a imagem de Deus. O homem, vivendo como filho de Deus, vence a morte; a imortalidade é própria de Deus, é dom da vida divina; e a imortalidade que envolve a ressurreição da carne, está ligada ao dom do Espírito. Deus, vivendo em nossos corações, apaga o pecado e dá vida divina.
O quarto Evangelho está todo ordenado à promessa do Paráclito que Jesus faz depois da ceia em seu grande discurso.
S. João quer nos dar a história de Jesus como uma promessa do que será a vida sacramental do cristão depois de sua morte. Os homens entraram agora na era escatológica, na qual Deus domina; mas Deus domina através da obra do Espírito Santo, que recordará aos homens tudo o que Jesus disse e os fará viver como Jesus. Os discípulos são transformados de homens pobres em Cristo. Toda a vida de Jesus está ordenada a este dom, no qual termina o projeto de salvação.
Segundo alguns, o dom do Espírito vem no momento em que Jesus morre, segundo outros no momento da Ascensão. Mas não pode ser ligada a acontecimentos concretos: a efusão do Espírito acontece continuamente. O Espírito habita no mundo, não é intermitente como no Antigo Testamento. O início sensacional e visível desta efusão é o Pentecostes, mas de modo invisível começa com a morte de Cristo. 
São João, para dizer que Jesus morreu, diz que "ele deu o Espírito". Seu último suspiro foi o ato pelo qual os homens entraram na posse do Espírito Santo.
Qual é o dom do Espírito? Para perceber isso, devemos tentar penetrar na vida íntima de Deus. Há duas concepções do Mistério Trinitário. A concepção ocidental vê o desdobramento da vida divina como um círculo fechado; a concepção oriental, pelo contrário, como uma linha reta. O Pai gera o Filho e, através do Filho, o Espírito Santo respira. Segundo Santo Irineu, a vida divina, na medida em que quer comunicar-se ao homem, manifesta-se num processo em que o Pai tem o plano e a vontade, na Palavra o instrumento, e no Espírito Santo o termo em que se cumpre essa vontade.

No Espírito Santo a criação entra na vida de Deus. Na unidade do Espírito Santo, que faz de todos nós um, a Criação tende ao Pai por meio de Cristo.
No Pai há o plano e a vontade, no Filho o instrumento da nossa salvação, e esta salvação é aplicada a nós no dom do Espírito, que nos aplica os méritos de Cristo. No Espírito está a execução do Projeto.
A unidade pedida por Jesus -ut unum sint - é a unidade com Deus que o homem só pode alcançar no dom do Espírito. No dom do Espírito toda a criação é absorvida em Deus. O Espírito Santo novamente nos cria e nos faz um, mas então nós somos Cristo, e em Cristo nós retornamos ao Pai.
O caminho da alma é o caminho de Deus que vos levou e levou também onde está o princípio e o fim de tudo: no seio do Pai.
O que é, então,  o dom do Espírito? É o próprio Deus que te acolhe em Si mesmo e em quem tu vives.
O tema da nossa meditação é o dom do Espírito Santo; mas é demasiado vasto e devemos tentar circunscrevê-lo. Uma passagem da Carta aos Romanos (8:12-17) nos ajudará nisso:
"Irmãos, estamos endividados, mas não à carne, para vivermos segundo a carne; porque se vivermos segundo a carne, morreremos; se, pelo contrário, com a ajuda do Espírito, fizermos morrer as obras do corpo, viveremos.
Porque todos os que são guiados pelo Espírito de Deus são filhos de Deus. E tu não recebeste um espírito de escravidão para voltar a cair no medo, mas recebeste um espírito de filhos adoptivos pelo qual gritamos: "Abba, Pai! O próprio Espírito Santo atesta ao nosso espírito que somos filhos de Deus. E se somos  filhos, também somos herdeiros: herdeiros de Deus, co-herdeiros de Cristo.

A Epístola descreve-nos a espiritualidade centrada no mistério da adoção filial.
Em primeiro lugar, São Paulo distingue uma dupla dependência da alma humana. O que São Paulo enfatiza aqui é a doutrina comum de todo o antigo judaísmo: o homem está sujeito a dois espíritos e pode andar de dois modos: o modo de vida e o caminho da morte. A dependência da alma humana dos dois espíritos já está claramente ensinada nos livros que foram descobertos às margens do Mar Morto e que pertenciam aos essênios. Mas esta doutrina também é encontrada nos escritos das origens cristãs primitivas, em particular no Didache e na carta de Pseudo-Barnaba. Não só nestas cartas, no entanto, há uma referência às duas maneiras pelas quais o homem pode seguir - este foi precisamente o caso de todas as tradições religiosas e filosóficas da humanidade: uma pessoa pode ser boa ou uma pessoa pode ser má - é uma coisa simples! A peculiaridade desta doutrina é que, em ambos os casos, o homem depende sempre de um Espírito que o move.
O homem nunca é autônomo, auto-suficiente, totalmente independente: ou é um servo de Deus ou um servo do Maligno. Em São Paulo esta dupla dependência do homem se transforma em dependência da carne e a dependência do Espírito  . 

Mas pela dependência da carne, não devemos apenas entender uma dependência dos instintos da nossa carne, devemos ao invés disso entender todos os instintos que não são os instintos de Deus.
Por carne, São Paulo significa homem, porque depois do pecado ele se tornou fraqueza, ele era vulnerável no pecado, tornou-se escravo do Maligno, tornou-se servo do maligno.
A liberdade do homem diante desta escravidão, que é escravidão do pecado, do diabo, só se obtém no dom do Espírito: e o Espírito já nos foi dado. Foi-nos dado com os Sacramentos - diz São Paulo. Mas, mesmo depois de receber o dom do Espírito, o homem tem duas possibilidades: viver guiado pelos instintos da carne ou viver guiado pelos novos instintos do Espírito que lhe foi dado.
Esta, entretanto, é a condição do homem aqui em baixo: nunca está totalmente redimido e nunca, por outro lado, é tão estranho ao Espírito Santo que não pode nem deve esperar pela sua salvação. Estamos sempre em equilíbrio: nossa alma é o campo onde colidem as duas potências opostas; e não só o campo onde colidem, mas também as estacas do jogo, e cada uma delas tenta tomar posse e possuir inteiramente essa alma.
A carne e o Espírito. Daí o caráter dramático que a vida cristã tem tantas vezes - é sempre uma batalha que acontece em nós. E não estamos sozinhos na luta, mas estamos de um lado ou de outro de um exército que se choca em nós mesmos: o diabo e Deus. Devemos evitar as obras da carne, não devemos ouvir a carne em suas sugestões,  quando o homem velho o homem não redimido, escravo do mal, pode sugerir. Temos de evitar estas sugestões. Temos de nos libertar desta escravatura. E de que maneira? Não por causa da nossa própria força - o homem nunca é autónomo, foi dito. E isso foi entendido há algumas décadas por Dostojevsky: o homem nunca pode ser homem, para ser homem deve ser diabo ou Deus.
Para libertar-se dessa escravidão, o homem precisa de uma força estranha, porque jamais poderia fazê-lo contra um inimigo superior a si mesmo. E que força é esta? O Espírito Santo. Daqui decorre que a vida cristã é toda dependente deste Espírito que Deus nos deu e que age em nós e se torna sensível ao nosso coração pelos efeitos da sua graça.
A princípio, diante dos assaltos do diabo e dos instintos que dependem de nossa escravidão ao pecado, os anjos  da guarda se opõem.
Cada alma, desde o nascimento, é disputada por dois anjos: o bom e o mau; mas o bom anjo, em sua ação em nossa alma de cuidado, providência, custódia, defesa, nunca excede as possibilidades de nossa natureza. É preciso compreender que os Espíritos, segundo São Tomás de Aquino, nada mais são do que aqueles a quem a natureza está confiada, para que a façam agir segundo as suas próprias leis. Por isso, nunca advertimos sobre a ação dos Espíritos: somos sempre defendidos, guardados pelo anjo da guarda, mas não advertimos sobre essa guarda e essa defesa, porque ela se confunde com a nossa própria maneira natural de agir, mas o anjo leva a natureza a agir de modo sadio e reto.

 O anjo mau leva a agir de modo mau e injusto - é a natureza caída que se torna cúmplice do espírito mau, enquanto a natureza sadia sempre se torna um instrumento de operações angélicas.
Então, praticamente, essas boas inspirações, que derivam de uma custódia angélica, não as advertimos, mas temos razões para acreditar nelas. 

  

Esta ação não é diferente da ação da natureza sustentada e guiada que hoje alguns teólogos (condenados pela Encíclica Humani generis) questionaram, como o fizeram para a existência do diabo e dos anjos: os anjos e o diabo não seriam mais do que as paixões ou virtudes dos homens. Não, realmente as paixões são o sinal, os estigmas do pecado - como diz Clemente de Alexandria - e sem dúvida servem ao Maligno, enquanto a natureza, em cura, torna-se o instrumento do anjo, o anjo usa esta natureza e a conduz.
Ainda não é uma questão de uma direção do Espírito de Deus. Sejamos claros, o Espírito Santo já nos foi dado com os Sacramentos, mas Ele ainda não vive em nós, ou pelo menos não temos este testemunho do Espírito. O testemunho do Espírito pressupõe que a alma já vive ultra humanum modum. Enquanto os anjos nos guiarem, nós somos crianças, crianças que ainda não agem em pleno uso de seus poderes.
A filosofia da escola diz que o trabalho segue a natureza de cada ser - operari seguitur esse. Agora, já recebemos uma participação na vida divina através do Batismo. Mas será que o nosso trabalho responde realmente a esta natureza divina que recebemos? Naturalmente, nosso trabalho, em seu princípio, é feito sobrenatural por uma graça que recebemos - em seu princípio, porém, não em sua expressão, em seu caminho. Agora, por outro lado, para ser o trabalho que se conforma com a natureza, é necessário que o caminho também se conforma com a natureza. Uma criança ainda não age como um homem, embora ele é por natureza um homem - ele deve atingir sua perfeição natural para que ele possa fazer pleno uso dessa natureza e para que suas ações estejam em conformidade com a natureza que ele recebeu. O cristão recebeu pelo batismo uma participação na natureza divina: é verdade que sua obra responde, está em conformidade com esta natureza da qual ele entrou em posse?
Enquanto o nosso trabalho for humano, não está em conformidade com a natureza que recebemos, porque a natureza que recebemos é uma participação na natureza de Deus. A nossa acção, a nossa acção, deve ser divina, não apenas humana. O homem deve agir não só da maneira humana, mas também ultra humanum modum, como diz São Tomás de Aquino.
É aqui que o Espírito Santo intervém. Até agora, nós o possuíamos, mas a posse deste Espírito era como um poder que ainda não tinha a capacidade de se traduzir em ação. O Espírito Santo intervém na vida do homem quando o cristão se torna maduro, adulto, perfeito. Por que recebemos o Sacramento da Confirmação e o recebemos quando chegamos ao uso da razão? Porque é o Sacramento da perfeição cristã - diz São Tomás de Aquino. De facto, é o Sacramento que nos torna cristãos perfeitos, no sentido em que nos dá o poder imediato de agir já não só como homens, mas como filhos de Deus.
Através dos dons do Espírito Santo, com a Confirmação, se fôssemos verdadeiramente puros, se tivéssemos realmente chegado àquela plenitude de graça (ainda não a perfeição) que o Baptismo implica, os dons do Espírito Santo seriam imediatamente postos em acção em nós e seríamos também perfeitos como cristãos. Praticamente, porém, a maioria dos homens continua a ser criança, criança na vida espiritual. Um morre mesmo com a idade de oitenta anos e não deixa a infância - um ainda age humanamente. Não que nos magoemos, também vivemos uma vida de graça, nunca cometemos pecados mortais, talvez evitemos pecados veniais e geralmente nem sequer nos apaixonamos por eles - e ainda assim o nosso é um estado de infância. Não aquele estado de infância que é a perfeição do cristão, mas um estado que indica precisamente uma imaturidade do cristão, no sentido de que, apesar de ter poderes, poderes, a alma cristã não tem a capacidade de traduzi-los em ação.
Nesta passagem intervém o Espírito Santo, que recebestes na Confirmação, mas que ainda está preso em vós por falta de fé interior.
Quando é que o Espírito normalmente intervém através dos seus dons? Quando o homem age de uma forma sobre-humana, isso vai além do caminho próprio da natureza humana. E então a alma dá um testemunho desta vida de Deus em si mesma; e então a alma tem seu próprio critério para reconhecer a ação de Deus em si mesma; tem o testemunho de que o Espírito vive nela - como diz São Paulo. Porquê? Porquê? Porque toda sua ação demonstra a presença de Um maior do que nós em nossa alma; mostra que Outro nos invadiu - nos tornamos o instrumento do Outro. Também dependemos, em nossa natureza humana, dos anjos, mas não percebemos sua presença, não podemos ter testemunho, certeza, a experiência dessa ação angélica em nossas vidas.  


Se é o Espírito que age, naturalmente a ação do Espírito sempre nos importa esta superação dos caminhos humanos para que a alma possa ter um certo testemunho deste preceito. Se é o Espírito que age, é claro que a ação do Espírito importa sempre para nós esta superação dos caminhos humanos para que a alma possa ter um certo testemunho desta ação atual.



Il cristiano perfetto, dunque, è colui la cui vita già trasparisce Dio, già rende testimonianza di Dio: la rende agli altri, la rende anche a sé medesimo, nel senso che il cristiano acquista una certezza, una certa assicurazione di questa presenza di Dio in sé. Per questo, nella vita cristiana dei perfetti sempre abbondano espressioni che indicano una esperienza di questo Dio che in loro vive. Se voi prendete S. Ignazio di Lojola (e non per nulla molto spesso è stato sottoposto all'Inquisizione, avanti di essere fondatore dei Gesuiti, ma già aveva scritto il libretto degli Esercizi e faceva fare gli Esercizi a molti) il termine "sentire" ricorre frequentissimamente; e non solo questo termine, ma la parte più nuova e originale degli Esercizi è precisamente la parte dedicata al discernimento degli spiriti, alla discretio spirituum.
E non è soltanto d'Ignazio, questo, è proprio di tutti i maestri della spiritualità e di tutti i santi. Del discernimento degli spiriti ha trattato il primo grande santo monaco eremita: S. Antonio. Il discorso riportato da S. Atanasio nella sua Vita è un discorso sul discernimento degli spiriti. E non soltanto S. Antonio: è il tema centrale della spiritualità monastica di Cassiano e, nell'Oriente, di di Diadoco di Fotica; nell'Occidente, oltre Sant'Ignazio, se vogliamo avere un testo che ci è sempre fra mano, per riconoscere questo tema basterebbe aprire il libro dell'Imitazione di Cristo, al cap. 54 del Libro II.
Lo Spirito Santo agisce in noi e noi lo sentiamo, lo gustiamo. Le espressioni della vita spirituale sono tali che spesso invocano tutti i sensi dell'uomo a significare e tradurre una esperienza indicibile in sé. Sentire, vedere, gustare, toccare, ascoltare. Tutte queste espressioni ricorrono sempre: si ascolta Dio, si vede Dio, lo si gusta, lo si sente, siamo toccati... - quante volte ricorrono! Che cosa indicano? Indicano chiaramente un'esperienza; non siamo soltanto sul piano della fede, di una fede che viene ricevuta soltanto ex auditu. All'inizio della vita spirituale, di fatto, l'uomo è di fronte a Dio come un estraneo: Dio è estraneo a lui e lui è estraneo a Dio; se Dio parla, gli parla attraverso la Chiesa, ex auditu gli viene la fede e, se Dio comanda, la legge gli viene dall'esterno, attraverso la Chiesa, e l'anima si costringe a una legge esteriore e non sente Dio come legge della sua stessa vita, della sua stessa crescita, del suo stesso essere cristiano che sale, che cresce. Fintanto siamo bambini è così; quando il cristiano comincia ad entrare nell'età adulta, l'età della perfezione, la legge di Dio non è più esteriore, l'uomo non si costringe più ad una legge esteriore, ma si abbandona ad un impulso interiore, ed essendo docile a quello che sente, a quello che vive, egli vive anche la volontà del Signore, perché la volontà di Dio si distingue, sì, dalla sua volontà, ma non è separata, divisa, dalla volontà sua, è sempre più conforme alla divina volontà.
Così ancora per quel che riguarda l'ascoltare la parola di Dio. Prima L'uomo l'ascoltava soltanto ex audito, ora la sente interiormente e tanto la sente che può dar ragione a S. Giovanni l'Apostolo il quale dice: "E voi non avete bisogno che alcuno v'insegni, ma come l'unzione di Dio rimane in voi, così voi rimanete in questa unzione che non è menzognera". L'unzione, nella I Lettera di S. Giovanni, è precisamente l'azione segreta dello Spirito nel cuore cristiano onde il cristiano ha un suo fiuto, un suo gusto della verità. Non c'è una infallibilità soltanto nel magistero, propria dei Vescovi e del Papa, c'è una infallibilità anche in voi, in tutta la Chiesa: infallibilità discente. Voi non dovete insegnare, ma c'è una infallibilità nel fiutare, nel sentire che quella è la verità. Prima che il Papa avesse definito il dogma dell'Assunzione, questa assunzione di Maria era un dogma per il popolo cristiano. Era una verità sentita e abbracciata e vissuta da tutto il popolo credente che aveva imposto la festa; non la teologia aveva imposto la festa, ma il popolo, piano piano, alla Chiesa. Così per l'Immacolata i teologi eran contro, e non i teologi di piccola taglia, ma i più grandi. S. Bernardo, il dottore mariano per eccellenza, il più grande devoto di Maria, diceva ai canonici di Lione: "Guardatevi bene dall'ammettere questa festa, voi compromettete l'unicità del Mediatore, di Cristo - non potete parlare, altrimenti andate contro la santità di Gesù. Lui solo è il Mediatore, il Redentore... Siete degli eretici se mettete questa festa nel vostro Capitolo". Questo diceva S. Bernardo.
E dopo S. Bernardo, uno ancor più grande è stato contrario all'immacolato concepimento di Maria: S. Tommaso d'Aquino. Nonostante ciò, la festa dell'Immacolata si è imposta alla Chiesa. Perché? perché la Chiesa, certo, ha una sua infallibilità, infallibilità che non è mai soffocata e compromessa dai teologi, perché questa infallibilità, come l'infallibilità del Magistero è sempre conservata per l'assistenza dello Spirito Santo. Però questa infallibilità dice che la fede non è soltanto una parola che ascolto dal predicatore, è anche una verità che sento interiormente, che magari non so tradurre in un modo preciso, ma la sento; e se gli altri dicono qualche verità che a questa verità non risponde, immediatamente mi metto sulle difese. C'è una pronta difesa dell'anima cristiana di fronte a dagli errori che non sappiamo ribattere, in che modo vincere; ma se uno mi dice che nel Vangelo c'è scritto questo e questo, e quello che mi dice è contrario alla verità, io, anche se non ho letto il Vangelo, anche se non so fare un'esegesi precisa di quel passo, tuttavia sento che non è vero. Si ha un gusto della verità, della verità interiore, perché la legge è divenuta interiore. Tu hai una certa connaturalità con l'Essere divino; lo Spirito Santo, appunto, immergendoti in Dio fa sempre più connaturale la tua anima a Dio stesso - onde Dio non è più un estraneo a te né la sua vita ti rimane estranea, in modo che tu debba piegarti, costringerti, per riceverla, per possederla. No, è invece nella docilità, nell'abbandono a una certa mozione interiore, a un certo gusto interiore che tu invece vieni a possederla sempre di più. Lo Spirito Santo ora vive in te, ma non vive in te come totalmente Altro da te, ma come principio della tua medesima vita, come la tua guida, come Colui che ti dirige, ti domina, ti possiede, e tu divieni strumento nelle sue mani onde Egli - come dicono le Odi di Salomone - suona su te come su di una cetra il suo cantico di amore, sale da te la sua lode a Dio, attraverso di te come da un'arpa - come dicono le Odi di Salomone.
Così è lo Spirito. E allora viene che non tanto sei tu che ami, ti sforzi, che tendi a Dio, che lo vuoi, quanto invece è lo Spirito, che è il Soggetto primo delle tue operazioni. Dio agisce, vive, attraverso di te - tu sei lo strumento, l'organo attraverso il quale Egli medesimo vive. Certo, tu costringi sempre questa vita divina, sempre tu la soffochi un poco, nella misura della tua poca fede, del tuo poco abbandono. Perciò la cooperazione dell'uomo consisterà nell'aprirsi, nell'abbandonarsi docilmente a quest'azione divina, sicché i tuoi concetti, i tuoi poveri ragionamenti umani, i tuoi piccoli affetti umani non debbano costringere, limitare, soffocare questa vita immensa che vuole aprirsi un varco attraverso di te, che vuol trovarsi un vaso sempre più proporzionato alla sua ampiezza divina, alla sua immensità, alla sua divina grandezza. Tutto il tuo atto consisterà non tanto nel fare quanto nel patire, non tanto nel muoverti quanto nel lasciarti portare. Tutta la cooperazione dell'anima è una pura passività di fronte al Signore. Quella passività che si esprime magnificamente nella parola di Maria Santissima: "Ecco la serva del Signore: si faccia di me secondo la tua parola"...
Lo Spirito Santo dunque entra in azione quando l'anima è giunta a una certa sua perfezione morale, quando la natura è risanata, quando noi ci siano già sottratti alle suggestioni del male, almeno in modo abituale, perché mai siamo totalmente redenti, intendiamoci bene, siamo sempre più o meno soggetti a delle suggestioni, e degli istinti che non soltanto sono della nostra natura, ma anche della nostra natura decaduta. Però, quando l'anima è giunta a una certa perfezione, interviene, come si diceva, lo Spirito; e allora l'anima vive già la vita di Dio, la esperimenta in sé. E noi dobbiamo abbandonarci alle mozioni dello Spirito, aprirci alla sua luce, affidarci al suo magistero. Non più la nostra intelligenza, ma il dono del Consiglio; non più la nostra volontà, ma il dono della Sapienza; non più i nostri modi di agire, ma invece quello che il dono della Forza, della Pietà o il dono del Timor di Dio ci suggeriscono volta per volta; e in quello che questi doni ci suggeriscono noi non abbiamo mai una piena spiegazione sul piano naturale ed umano - supera quello che è il nostro modo di pensare e di agire, di giudicare. Tu sei portato, ma non sai dove, eppure devi abbandonarti a Colui che ti guida.
Come riconoscere gl'istinti divini? Specialmente all'inizio di questa nuova vita più alta, più spirituale, in cui l'anima non ha altro dovere che la docilità all'azione dello Spirito, come riconoscere l'azione dello Spirito Santo? Mi sembra che si possa riconoscerla da due criteri fondamentali. Bisognerebbe rendersi conto che lo Spirito Santo e il Verbo sono le mani di Dio, onde Egli plasma l'uomo secondo l'Immagine. Lo Spirito Santo dunque ci crea secondo un disegno divino, conforme a un modello divino e il modello divino è Cristo, perché è Lui l'Uomo secondo l'Immagine. Conformes fieri imagini Filii sui dice S. Paolo. Questo è il termine: farci conformi all'Immagine del Figlio suo.
Ma se lo Spirito deve operare questa nova creazione secondo il divino Modello, qual è il criterio per riconoscerlo? La continuità. Dio ti conduce in una sola direzione, e ti muove continuamente: c'è continuità nella direzione e nel tempo. L'uomo è mutevole, successivo nei pensieri e nel volere: Dio è immutabile nel suo disegno. Tu non sai dove vai e puoi anche cambiar mèta, ma quando cambiamo c'è sempre da temere che subentri la passione umana. Può darsi che lo Spirito operi un cambiamento nella nostra vita, ma non è detto che abbia cangiato il Signore; siete voi che siete cangiati nei confronti di Dio, non che Dio sia cangiato nei vostri confronti. La continuità di questa mozione divina rimane: rimane come criterio fondamentale del nostro vivere. E intendiamoci bene: non saremo mai santi che nella misura che ci abbandoneremo a questa mozione che ci porterà in un certo senso. Voi potete magari cercare di contrattare con Dio una vostra libertà, una vostra indipendenza da Lui cercando di compensare con qualche altra cosa quello che vi chiede. Ma anche in questo caso non sarete mai santi. Voi potete moltiplicare le vostre mortificazioni, digiunare tutti i giorni, mettervi il cilicio... non sarete mai santi se non vi abbandonerete a quella che è l'azione del Signore, dello Spirito Santo. Non sarete mai santi!
Bisogna abbandonarsi a questa azione. Non ci facciamo santi secondo il nostro disegno, ma soltanto incarnando, realizzando un piano di Dio, ma soltanto conformando sempre più la nostra volontà alla Volontà del Signore. Docilità allo Spirito: non intralciamo l'opera sua! Anche le virtù possono essere d'intralcio: si cerca di far tanto bene per non fare quello che il Signore vuole, che può essere anche meno, ma ci costa di più perché importa una nostra rinuncia. Ci iscriviamo all'Azione Cattolica, diventiamo dirigenti di Azione Cattolica, poi facciamo tanto bene intorno a noi, carità... poi moltiplichiamo i nostri atti di virtù, le nostre devozioni, novene, meditazioni... però non vogliamo, no, lasciare la famiglia, certi impegni di vita mondana, certe amicizie... E il Signore magari vuole proprio questo, e tutto quello che gli dai in cambio non vale nulla, sentirai sempre nel tuo cuore questa chiamata, Dio non è soddisfatto, tu non rispondi alla tua vocazione, quello che fai è perduto. Facessi anche miracoli, quello che fai è perduto, non ti crea, tu non aumenti nella tua vita, perché l'aumento della tua vita deriva solo dall'azione della grazia. Fintanto che non eri condotto dallo Spirito potevi giungere ad una certa perfezione, perfezione della natura umana risanata in cui tu sei chiamato ad agire, ma in questo caso tu non avverti lo Spirito. Giunti però ad una certa perfezione cristiana, a uno stato abituale di grazia, a una certa purificazione interiore anche riguardo ai peccati veniali... ecco, tu avverti lo Spirito Santo. Ora non puoi più essere tu a comandare il cammino. Cosa disse Gesù a S. Pietro? Anche S. Pietro voleva fuggire: "Un altro ti condurrà".
E siamo veramente condotti da un Altro. E se ci lasceremo condurre da quest'Altro noi cresceremo, altrimenti rimarremo sempre allo stesso livello. La moltiplicazione dei nostri atti non ci farà superare lo stato di natura, di natura redenta, ma di natura; non ci porterà mai a vivere ultra humanum modum, cioè in questo aumento progressivo continuo di assimilazione a Dio che lo Spirito opera.
È nella pura docilità all'azione di Dio che l'anima cresce. Non sono le moltiplicazioni delle preghiere, non sono le mortificazioni che noi facciamo, non è nulla di tutto questo che ci fa crescere: è la docilità allo Spirito Santo. Docilità che ci può chiedere anche la mortificazione, ma può anche non chiederla, almeno quella che noi intendiamo, ce ne chiede altre che noi non siamo disposti ad offrire. Il Signore ti potrà chiedere anche meno preghiera o una preghiera diversa da quella che tu fai e, anche in questo, quante volte l'anima resiste! L'anima è chiamata ad una preghiera più semplice, di puro sguardo, e l'anima ha paura di abbandonarsi alle attrattive divine e rimane legata alle sue devozioni, ai suoi modi di preghiera cui era rimasta fino ad allora fedele, fedele a certi libri, a certe letture, a certi metodi, a certe preghiere. Non ci si lascia, non ci si abbandona all'azione dello Spirito.
Il primo criterio è la continuità. Ascoltate interiormente, ma fate silenzio nell'intimo vostro; guardate di mantenere l'anima vostra in una pura quiete. Redi anima mea ad tranquillitatem tuam dice il Salmo: ricomporre l'anima nostra in una grande pace interiore. Allora noi ascolteremo quello che Dio ci dice, noi sentiremo che quello che ci dice oggi ce l'ha detto dieci anni fa, cinquant'anni fa, e ancora noi non l'abbiamo compiuto e, forse, sempre abbiamo resistito. Oggi dobbiamo abbandonarci.
Nulla cambia in Dio. Egli rimane, Lui che è l'amore. Abbandonati a Lui. La continuità è il primo segno.
Ma un altro segno noi possediamo, ed è la pace. Abbandonandoti a Dio non vi può esser contrasto tra Dio e te, non puoi sentire alcuna resistenza, l'anima tua si ricompone sempre di più. C'è un'inquietudine, naturalmente, propria dell'uomo: l'uomo non può mai essere soddisfatto di sé: se fosse così non sarebbe più cristiano, perché appunto il cammino del cristiano non conosce mai meta, dal momento che noi siamo chiamati ad assomigliare a Dio, ad essere come Dio. Eppure l'anima possiede la pace, possiede la pace in Dio a cui si abbandona.
Volta per volta l'anima è portata più su, ma è nell'esser portata che trova la pace; non tanto in quello che l'anima possiede, in quello che ha raggiunto, ma nel fatto che si è abbandonata a questo istinto che, continuo, le fa superare volta per volta dei limiti nuovi per portarla più su, per innalzarla al Signore.

Si è detto che S. Ireneo paragona il Verbo e lo Spirito alle mani stesse di Dio, onde Dio plasmò il primo Adamo; egli dice che Dio mai lasciò Adamo, mai: l'ha tenuto sempre nelle sue mani, perché una volta caduto egli potesse essere riplasmato secondo l'Immagine, secondo il disegno che Dio aveva progettato. Di questo noi dobbiamo renderci conto.
Dio non ha mai lasciato Adamo. Siamo nelle mani di Dio. L'azione dello Spirito Santo non è soltanto continua nel senso che Egli ci conduce in una direzione sola, che Egli ci muove secondo un suo disegno preciso, ma nel senso che Egli mai lascia di condurci, mai Egli interrompe questa sua guida divina.
Non solo noi dobbiamo adorare Dio che è presente nell'anima nostra, non soltanto dobbiamo renderci conto che siamo tempio vivente di Dio. Dobbiamo anche renderci conto che tutto quello che abbiamo ricevuto da Lui deve essere istante per istante da Lui mosso, da Lui usato, adoperato.
Dobbiamo essere non soltanto il tempio di Dio, ma lo strumento della sua azione, perché Dio non abita in noi statico, fermo; non abita in noi perché lo adoriamo. Egli abita in noi per agire, soprattutto per trasformarci e renderci simili a Lui.
Quale responsabilità è la nostra di sottrarci alla sua azione! Conviene per noi ascoltarlo, è necessario rimanere docili alla sua azione, ma dobbiamo anche renderci conto che questa docilità non può interrompersi mai. Se in un istante noi compiamo una nostra volontà, un nostro desiderio, noi ci separiamo dal Signore: Egli tutto vuole da noi. Istante per istante Egli esige questa dedizione totale dell'anima, questa docilità piena dello spirito.
Come vivere questa docilità continua e perfetta? Certo, la prima cosa che si esige dall'anima perché tutto questo sia possibile, è che noi manteniamo un grande raccoglimento, un grande silenzio interiore e una interiore e perfetta libertà. La mozione dello Spirito è una parola che ci illumina, una parola che Egli ci dice, un comando che Egli ci dà - comando però che porta insieme una forza, un impulso che ci muove. E se l'azione di Dio è parola, Egli aspetta da noi l'attenzione, una vigilanza umile e pura onde noi l'ascoltiamo, onde noi non lasciamo perdere nessuna sua parola. In perfetta calma interiore, in perfetta pace dello spirito, l'anima deve riposare per accogliere questa divina parola, come un giorno l'accoglieva Maria Maddalena, ai piedi di Gesù: Sedendo ai piedi di Gesù, ella ascoltava le sue parole.
Non soltanto si impone questo raccoglimento interiore continuo. Non possiamo mai allontanarci da Dio, mai fare vacanza: siamo con Lui, con Lui dobbiamo rimanere, in ogni istante, ovunque andiamo, qualunque cosa facciamo. Non siamo con Lui soltanto quando siamo in chiesa: siamo con Lui anche al mercato; non soltanto Egli ci parla nell'orazione, ma anche quando stiamo spazzando la casa, anche quando camminiamo per le strade. La nostra anima deve mantenersi in attenzione a Lui che ci parla.
Ma perché la sua parola abbia la capacità di muoverci e veramente ci spinga, ci porti, ci sollevi, bisogna che l'anima, oltre che l'attenzione pura a questa divina parola, conservi una sua interiore libertà: bisogna non essere attaccati a nulla. Nella misura che noi siamo attaccati a qualcosa, lo Spirito di Dio non ha potere di muoverci, e noi rimaniamo fermi, nonostante che Egli ci inviti.
Quante volte abbiamo lasciato perdere la grazia proprio per questa mancanza di libertà interiore! Certo, Dio può vincere le resistenze delle nostre anime: Egli è il Creatore, è onnipotente. Ma Dio si adatta alla nostra debolezza e povertà; Egli ci muove delicatamente, in segreto, con una dolcezza, una pace interiore che esige da parte dell'anima la più perfetta libertà. Bisogna essere totalmente disponibili a Lui. Ad Elia, Dio non parla attraverso l'uragano o il terremoto, parla attraverso il leggero soffio dell'aria. Soltanto se l'anima sarà libera e leggera questo soffio la potrà portare.
Diceva S. Vincenzo de' Paoli: "Mai io ho avuto grandi illuminazioni da parte di Dio, grandi grazie che mi abbiano sconvolto fino nell'intimo: Dio mi ha sempre parlato con un linguaggio che sembrava il mio medesimo, mi ha sempre illuminato con una luce che era appena un raggio, un raggio però che bastava al mio cammino, a illuminare quel passo che io dovevo fare, nel momento che Egli credeva".
Non possiamo pretendere che Egli ci illumini sull'avvenire, che Egli ci muova con una forza straordinaria a compiere un atto comune. Siccome noi progrediamo nelle vie del Signore con una continuità mirabile, che ripete nell'ordine soprannaturale le leggi dell'ordine naturale, cioè si progredisce lentamente, si matura lentamente, così l'azione di Dio si adatta alla nostra povertà. Egli potrebbe spezzare le nostre resistenze, ma invece preferisce sciogliere lentamente tutti i legami, muoverci secondo il nostro passo.
Mantenerci liberi. Non deve esserci nulla che ci faccia opporre resistenza a Lui.
Quante volte facciamo delle riserve! quante volte, credendo di obbedire a Dio, obbediamo al subcosciente! La psicanalisi ha illuminato molto in questo campo. La paura della responsabilità fa sì che tanti non si sposino e credano magari di avere una vocazione religiosa; molti entrano nel sacerdozio perché obbediscono a un senso di infantilismo; molti credono di amare Dio e invece obbediscono a motivi di interesse, entrano nello stato religioso per destare ammirazione e affetto... Non possiamo liberarci da questo complesso di istinti che non conosciamo bene neanche noi, dalle insidie del nostro temperamento; bisogna darci a Dio così come siamo, ma bisogna che l'azione dello Spirito ci penetri fino in fondo. Noi non possiamo pretendere di conoscerci, ma lo Spirito Santo ci conosce. Non sappiamo qual è la via del Signore, ma quel che importa è che crediamo alla saggezza dello Spirito, che ci rendiamo conto che la nostra vita è nelle mani di un Altro che solo può condurci alla perfezione.
Abbiamo detto che uno dei criteri per riconoscere l'azione dello Spirito Santo è la continuità. Dio ha su di te un disegno fin dall'eternità. Ti ha chiamato a un ideale perché, cooperando con Lui, tu potessi raggiungerlo. Non ti resta che seguire questo cammino. Se tu, che ti sei consacrato in questa famiglia religiosa, ti credessi ora chiamato al Carmelo, questo desiderio sarebbe un'ispirazione diabolica, del Maligno, fino a prova contraria. Credere di dover entrare in un'altra congregazione religiosa più perfetta, che ha più santi... sono tutte illusioni diaboliche. Egli già vi ha chiamato qua: com'è che ci siete venuti? Se riandate un poco al passato, voi vedete che tutto si è fatto quasi senza di noi; nessuno di noi sapeva dove Dio ci avrebbe condotto, né ora lo sappiamo. Ora abbiamo imparato precisamente questo: che siamo nelle mani di Uno che sa, e ci possiamo affidare a Lui, sentiamo di poterci affidare a Lui, ed è precisamente nel lasciarci portare da Lui che la nostra vita si costruisce, che noi siamo veramente edificati come tempio di Dio.
Continuità. Certo, se voi foste venuti qui per sfuggire a un'altra chiamata di Dio, questa chiamata vi avrebbe lasciato sempre un'inquietudine interna e mai la pace. Voi invece avete sentito il contrario, che solo quando l'anima vostra si abbandonava senza difese alle esigenze di Dio, che si esprimevano per voi nella spiritualità della Comunità e in ciò che la Comunità richiedeva, voi avete sentito allora che la vostra anima si quietava e riceveva la luce.
Continuità nel cammino di Dio. Non cercate altra cosa, non chiedete altra via, non guardate altra luce. Continuità nel seguire la voce: una voce che per voi tutti è uguale e che per ciascuno di voi è diversa. È uguale per tutti voi che vivete nella Comunità, ma ciascuno di voi raggiungerà la santità solo realizzando quanto la Comunità vuole da lui. Una voce che per ognuno è diversa perché, pur essendo uguale la perfezione che viene proposta, ognuno di voi la realizzerà in un suo modo, con un suo timbro personale. I santi, pur essendo di una sola famiglia religiosa, sono anche fra loro diversi. Così voi. E voi dovete mantenervi docili all'azione dello Spirito che si esercita in tutta la Comunità, e dovete essere docili all'azione di Dio che si esprime e vi muove anche nell'intimo vostro. Non potete pretendere che lo Spirito Santo agisca in voi indipendentemente dalla Comunità. E via via che matura la Comunità, matura anche la vostra anima, che acquista luce, acquista forza e certezza. E proprio vivendo intensamente la vita di questo progresso, di questa vitalità che è propria di tutta la famiglia religiosa, la vostra vocazione particolare e personale si chiarirà, e voi l'adempirete. Non sarà nulla di nuovo, sarà tutto quello che voi sapevate all'inizio, ma che sapevate in modo vago e confuso, e che invece giorno per giorno si chiarisce, si delinea più preciso.
Che cosa sapevate all'inizio? Forse era soltanto poesia, ma una poesia che in fondo vi chiedeva tutto e praticamente vi chiedeva così poco: vi chiedeva soltanto l'entusiasmo dei vostri anni giovanili. Ora invece c'è forse meno poesia, ma quanto più chiaro l'ideale! Come veramente si fa più concreto il vostro dono al Signore!
Vivete in un'umile docilità all'azione continua dello Spirito che vi porta sempre avanti, sempre a una luce maggiore, a una dedizione più piena, a una immolazione sempre più pura di tutti voi stessi. Questo voi dovete vivere, questo!
Lo Spirito Santo è all'opera. Quello che si compie nell'intimo di ciascun uomo è più grande di quello che si compie nell'universo intero sul piano della natura. "Il grado di bene di una sola anima è più grande di tutto il bene dell'universo", dice S. Tommaso d'Aquino. Pensate alla grandezza dell'opera di Dio nella creazione! La creazione oggi esce dalle mani di Dio: la creazione non è un atto onde Dio intervenne milioni di secoli fa per suscitare le cose dal nulla; questo atto continua. Se Dio sospendesse per un istante il suo atto creatore, tutto l'universo franerebbe nel nulla! E come Dio è continuamente al lavoro (e lo dice Gesù nel Vangelo di S. Giovanni: Come il Padre continuamente opera, così anch'io), come Dio è continuamente al lavoro nella creazione del mondo, così è continuamente al lavoro nell'anima tua. E questo lavoro è più importante, più sacro, più grande, e impegna di più l'onnipotenza, la sapienza, l'amore di Dio, di tutto il lavoro dell'universo. Pensa dunque con quale delicatezza tu devi abbandonarti al Signore e con quale senso di responsabilità.
D'altra parte, mentre la creazione non resiste all'opera di Dio, tu puoi resistergli. Ecco tutto il potere dell'uomo: quello di intralciare questa onnipotenza, di rendere in qualche modo inefficace la volontà stessa dell'Onnipotente.
Con quale delicatezza noi dobbiamo abbandonarci al Signore! Con quale umiltà dobbiamo accogliere la parola di Dio, con quale docilità dobbiamo affidarci all'azione della grazia, giorno per giorno... Perché giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto Dio lavora; non c'è mai un istante in cui Dio cessi di lavorare in te: se Dio cessasse di lavorare in te, cesserebbe di essere in te, perché l'essere di Dio è il suo operare. Egli è in te per operare, non è in te per essere soltanto, ma per crearti, per rinnovarti, per farti simile a Sé e riempirti di Sé.
Diceva Suor Elisabetta della Trinità: "Com'è serio ogni minuto! Costa il Sangue di Cristo!".
Ogni minuto costa Dio stesso, perché il prezzo del tempo è Dio: in ogni istante tu lo ricevi, tu devi riceverlo; in ogni istante tu puoi anche chiuderti e rifiutarti, e lo rifiuti nella misura che a questa grazia non ti abbandoni, e lo rifiuti e ti chiudi nella misura che tu non sei docile a Dio, non lo ascolti o non lo accogli in te.
Dobbiamo aprirci, dunque, con umiltà e con amore, a questo Dio che ci chiede soltanto di lasciarci amare da Lui, che vuole darci Se stesso e farci come Egli ci vuole.

Tutto il nostro progresso sta nel vivere come figli dinanzi al Volto del Padre. E ci dice S. Paolo: "Sono figli di Dio coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio". Quicumque enim Spiritu Dei aguntur, ii sunt filli Dei.
Esser mossi dallo Spirito vuol dire per noi essere figli. Siamo figli solo nella misura in cui siamo docili alla sua azione divina. L'opera dello Spirito è precisamente il farci a immagine di Gesù, il trasformarci nel Cristo.
L'azione dunque dello Spirito Santo ci mette in rapporto col Figlio Unigenito, con Cristo Signore. E come ci mette in rapporto con Cristo? Prima di tutto ci fa incontrare Gesù. È lo Spirito Santo che ravviva in noi ciò che la fede ci aveva insegnato. Quello che noi finora avevamo imparato attraverso l'insegnamento della Chiesa ora acquista una vita, una luce nuova, diventa vivo ogni mistero. Non che noi ne abbiamo una comprensione piena: il mistero rimane mistero, eppure diviene più luminoso e più vivo, come se la prima volta non l'avessimo conosciuto.
Ora, l'azione dello Spirito Santo per prima cosa ci fa incontrare Gesù. Come ce lo fa incontrare? Per incontrarci con Lui bisogna che Egli a noi divenga presente. Si potrebbe dire che vi sono quattro modi in cui può avvenire l'incontro tra l'anima e Cristo:
1) Gesù è presente in noi perché per la fede abita nell'anima di ciascuno di noi.
2) Vi è una presenza di Cristo che è propria di ogni uomo: Hai veduto un fratello, hai veduto il Signore. Ogni uomo non soltanto ci rappresenta il Signore, ma veramente lo rende per noi presente, in un modo certo molto misterioso, che non sappiamo nemmeno definire, ma reale.
3) C'è un modo di incontrare Gesù nella Chiesa, perché: Chi ascolta voi ascolta me. Nella Chiesa è presente il Mistero di Cristo; l'anima può incontrarsi con Gesù precisamente attraverso il suo rapporto con la Chiesa.
4) L'uomo poi incontra Gesù nel Mistero eucaristico, perché nel Mistero eucaristico Gesù è presente.
In quanti modi l'anima può incontrare il Signore! Lo Spirito Santo vuole che noi incontriamo Gesù in questo quadruplice modo.

Prima di tutto dobbiamo riconoscerlo in noi. Che cos'è la vita spirituale, secondo gli insegnamenti degli antichi, se non la nascita del Logos, del Verbo, nell'anima nostra? se non il vivere di Cristo in noi? Non è questo l'insegnamento di Paolo? Se mediante la fede Gesù abita nel cuore dell'uomo, la vita cristiana che altro sarà se non il crescere di Cristo nell'anima nostra fino alla sua perfetta età? Proprio così l'uomo si incontra prima di tutto con Dio. All'uomo si sostituisce un Altro e l'anima sente che un Altro la invade, la domina, la penetra tutta. Un Altro l'assume e fa dell'uomo il suo corpo onde Egli vive; e tutta la vita dell'anima tende precisamente a realizzare quanto S. Paolo diceva di sé: Vivo io e non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Non siamo più soli, non soltanto perché Dio abita in noi come in un tempio, ma perché il Verbo di Dio in qualche modo ci assume e noi diveniamo il suo medesimo corpo; e attraverso di noi Egli vive, e via via che noi cresciamo nella vita spirituale, sempre più Egli ci invade, ci penetra tutti; sempre più la sua anima, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, la sua volontà, si sostituiscono alla nostra volontà, ai nostri pensieri, ai nostri affetti, ai nostri modi di vedere, ai nostri sentimenti. Hoc sentite in vobis quod est in Cristo Jesu.
È un crescere di Cristo in noi per una imitazione che non moltiplica l'esemplare - tanti Gesù - ma piuttosto ci assimila sempre più al Signore, ci fa sempre più una sola cosa con Lui, tanto che all'estremo noi siamo trasformati nel Cristo. Ed è questo il primo incontro che l'anima fa col Signore: non più come un estraneo, ma come un amico, uno sposo, l'anima dell'anima sua, come un altro se stesso o, piuttosto, come il vero se stesso.

L'anima deve incontrarsi con Gesù anche nel rapporto con tutti gli uomini. Com'è più misterioso questo incontro con Cristo! eppure, come più concreto e reale!
Io non posso sottrarmi mai a questo incontro con Cristo nei miei fratelli; ma fintanto che lo Spirito Santo non agisce, non illumina, non muove il cuore, è soltanto per la fede che io riconosco in ogni fratello il Signore. Quando lo Spirito Santo invece vive in me, mi trascina, mi illumina, mi porta, mi dirige, non è più soltanto perché la fede me lo insegna che io riconosco negli altri il Signore, ma veramente gli altri divengono il segno della Sua presenza, traspariscono Dio, traspariscono veramente la Sua presenza, e divengono agli occhi miei veramente trasparenti. E io vedo e amo in tutti il Signore. Ogni mio rapporto con gli altri diviene un mio rapporto con Gesù, diviene in me un modo di vivere la mia comunione con Cristo. Il rapporto dell'inferiore con il superiore è il rapporto di Maria con il suo Salvatore; il rapporto fra amici è il rapporto di Gesù coi discepoli; il rapporto fra gli sposi è il rapporto fra Cristo e la Chiesa. Come concreta è questa comunione con Gesù, ma come misteriosa! La mia parola, prima di giungere agli altri giunge a Dio; quel che faccio agli altri, lo faccio a Lui: Quel che avete fatto a uno di questi miei piccoli, l'avete fatto a me.
Questo rapporto con tutti gli uomini deve anch'esso portarmi a una intimità col Signore così grande che non potrei pensarla maggiore. Per portarmi poi a vivere nel mio rapporto con gli altri l'amore stesso di Gesù per gli uomini tutti, deve portarmi a vedere negli altri Gesù, sicché, come diceva Agostino, nel mio rapporto con gli altri si realizza il mistero di Cristo che ama Se stesso. Dal momento che nel mio amore per gli altri è Gesù che ama, nel mio amore, nel mio rapporto con gli uomini praticamente si realizza in qualche modo l'unità del Corpo Mistico: tutti non siamo più che uno, siamo Gesù.
Comunione la più grande, la più mirabile, forse, se non ce ne fosse una maggiore; comunione che, comunque, noi difficilmente potremmo pensarla più grande. L'unità del Corpo Mistico si realizza in questo rapporto; ognuno di voi è uno solo: è Gesù. Ed io che vi amo sono Lui. In tutti noi non vive più che Uno, tutti noi non siamo più che Uno: non ci si può dividere, non ci si può distinguere senza in qualche modo essere noi sottratti a questa unità. Possono gli altri sottrarsi appunto perché non amano, ma tu che sei cristiano devi tutti amare, e di un solo amore: del Suo.
Si è detto altre volte che noi dobbiamo amare tutti di un medesimo amore: sì, dell'amore di Dio. Io non posso far distinzioni, differenze, dal momento che devo vedere in tutti il Signore. Se vedessi negli altri soltanto degli uomini, li amerei soltanto per i meriti loro; ma poiché in ognuno io debbo amare Cristo, poiché in ognuno devo ritrovare e amare Gesù, il mio amore per gli altri non può essere che uno solo, uguale per tutti.
E non soltanto questo mio amore deve essere uguale per tutti, ma deve anche essere tale che io in ogni istante totalmente mi dono. Perché, se posso amare limitatamente, di un amore più o meno grande, ciascuno di voi, secondo il merito più o meno grande che ciascuno di voi può possedere, di fronte a Dio ogni misura cade: l'unico modo di amare Dio è di amarlo senza misura, dice S. Bernardo. Se in voi tutti io debbo amare Gesù, il mio amore per voi non deve conoscere confine, non solo per voi tutti insieme, ma per ciascuno in particolare. Io devo amare anche il cattivo con tutto il mio amore, essere disposto anche a morire per lui, così come debbo amare il brutto e il bello, il virtuoso e il vizioso, l'ignorante e il sapiente, anche se il modo di amarli sarà diverso. Non diverso nell'intensità, perché ad ognuno tu devi dare tutto te stesso, ma diverso nel modo. Io non posso dare al Papa un tozzo di pane, e non sa che farsene di una mia riverenza il povero che ha fame. Amare dunque diversamente nel modo, ma non nell'intensità, perché sia all'uno che all'altro tu devi dare nulla di meno che te stesso. Devi morire per ciascuno, perché l'amore con cui devi amare gli altri, ha detto Gesù, è il Suo medesimo amore: Amatevi come io vi ho amato. È il Suo amore medesimo, e non solo l'esempio: è l'amore onde anche noi in Cristo si ama.
È Gesù dunque che attraverso di noi ama, e non ama in ciascuno di noi che Sé. Ed è in questo amore, dunque, che noi non siamo che uno, una sola unità: Cristo, il Cristo totale.
Attraverso questo amore, come noi totalmente ci portiamo negli altri, così gli altri, amandoci, si portano totalmente in noi e avviene quella immanenza reciproca che in qualche modo rinnova il mistero della cointimità divina, della "circuminsessione", per dire un termine teologico, onde il Padre è tutto nel Figlio e il Figlio tutto nel Padre. Voi dovete vivere tutti, ciascuno, l'uno nell'altro - è questa l'unità che deve prodursi , l'amore cristiano.

Lo Spirito Santo non porta soltanto a riconoscere Gesù nei propri fratelli e ad amarli con l'amore stesso di Cristo in tal modo da compiere questa mirabile unità, ma ci fa riconoscere Cristo nella Chiesa. Cristo vive nella Chiesa, dobbiamo rendercene conto. Per chi non ha fede, gli uomini di Chiesa sono uomini, e quanto uomini! tante volte più miseri degli altri, tante volte mediocri, deboli, incapaci. Eppure, se lo Spirito Santo ti illumina , ti muove, ecco tu lo vedi: nella Chiesa è presente il Signore: tu lo vedi nel Vescovo, lo veneri nel Papa.
E il nostro rapporto con gli uomini e con la Chiesa è un rapporto che in qualche modo è più concreto e più libero da illusioni di ogni altro rapporto, da ogni altra comunione con Lui. Una comunione con Gesù nel Sacramento eucaristico si presta a molte maggiori illusioni di una comunione con Cristo attraverso questo rapporto d'amore con i fratelli e nella Chiesa.
C'è un rapporto con Cristo nei fratelli e nella Chiesa che è assolutamente di necessità per la salute: se io non amo sono nella morte, dice S. Giovanni l'Apostolo. Anche se vivo fuori dalla Chiesa sono nella morte, non posso essere salvo. Ma una cosa è vivere nella Chiesa e avere un certo rapporto d'amore coi fratelli, altra cosa è riconoscere nei fratelli il Signore, per illuminazione divina: non saperlo soltanto per fede, e per fede non avere verso nessuno né odio, né risentimento, né rancore, né amarezza, ma veramente amarli come si ama Gesù. Per arrivare a questo, solo lo Spirito Santo ci può aiutare; vivendo in noi ce ne può dare il potere, perché è solo lo Spirito santo che, vivendo in noi, fa sì che anche in noi ci siano gli stessi sentimenti di Gesù.
Questo rapporto con Cristo è più concreto e più libero da illusioni. Bisogna saper riconoscere Gesù anche nella Chiesa, amarlo, onorarlo, adorarlo: nella Chiesa Egli continua la sua missione, continua a lavorare per la salvezza del mondo; attraverso gli uomini della Chiesa Egli rende presente la sua Redenzione, la sua Morte di Croce, la sua autorità, la sua predicazione, la sua parola. Nella parola del Papa tu ascolti la parola divina, nell'azione del Papa e del sacerdote vedi presente l'azione stessa di Cristo. Il sacerdote che consacra fa presente il Mistero della Croce, il Papa che parla fa presente nel suo Magistero, in qualche modo, la Parola stessa di Dio in quanto è infallibile e veritiera. In questa tua visione e consapevolezza tu vivi una tua comunione con Cristo ancora presente e operante nel mondo, e ti unisci a Lui operante nel mondo, e vivi con Lui questo suo atto, questa sua Redenzione, questo suo lavoro immenso di salvezza del mondo.
Questa è, in fondo, la mistica di S. Ignazio di Lojola. Nella sua visione di Cardonnet egli ha visto precisamente questo: Gesù non è soltanto Colui che sotto Ponzio Pilato morì per la salvezza degli uomini, ma è anche Colui che, risorto da morte, vive ancora in mezzo a noi il suo mistero di amore, la sua missione di salvezza, predicando, soffrendo, morendo per gli uomini; e tutto questo non solo nel Mistero eucaristico, ma anche nel Mistero della Chiesa che giorno per giorno insegna, soffre e muore nei suoi martiri.
Questo ha veduto S. Ignazio. E per lui la visione della Chiesa, il sentire cum Ecclesia, si identifica alla sua unione con Cristo. È qui che egli è giunto veramente alla più alta santità, perché l'unione nostra con Cristo deve realizzarsi sempre in questo quadruplice rapporto. Certo, ognuno di noi vive in modo particolare uno di questi rapporti, anche se non esclude gli altri. Escludere gli altri vuol dire non essere cristiani, perché non si può escludere il nostro rapporto con Cristo nell'amore del prossimo. Ma chi di noi realizza veramente nel prossimo la presenza di Cristo in modo da vivere questo amore totale in ogni fratello? Un S. Camillo de Lellis, che va in estasi davanti a un malato. Non certamente noi, che tante volte siamo sgarbati o indifferenti, superficiali o leggeri, nei nostri rapporti fraterni. Eppure, anche qui quanto ci sarebbe da fare! Com'è lungo il cammino a cui ci sforza lo Spirito! È un cammino di unità. È lo Spirito Santo che, vivendo e operando in noi questa unione con Cristo, mostrandoci Cristo in ogni fratello e facendoci amare Cristo in ogni fratello, compie questa unità, Lui che è l'anima del Corpo Mistico.

Il cristiano vive ancora un altro rapporto: il rapporto con Cristo nel Mistero eucaristico. E anche questo, per precetto divino, è di necessità per la salvezza: Chi non mangerà la mia carne e non berrà il mio sangue non avrà la vita in sé, dice Gesù. Non avrà la vita eterna.
Noi dobbiamo incontrarci con Lui, dunque, anche nel Mistero eucaristico. E anche in questo caso, chi è se non lo Spirito Santo che veramente ci conduce? Lo sappiamo che nell'Eucarestia è presente Gesù, ma una cosa è saperlo per fede, ex auditu, dal Magistero della Chiesa, e altra cosa è realizzare questa Presenza, realizzarla e sentire la fame di Cristo Eucarestia, realizzarla e sentire il bisogno di vivere sempre alla Sua Presenza, realizzarla e sentire la necessità di una partecipazione sempre più intima al Mistero della Croce, alla Messa, al Sacrificio redentore. Realizzare questa Presenza, vivere questo incontro, questa comunione d'amore, onde la tua partecipazione a Cristo che muore e che risorge divenga lentamente tutta la tua vita, e tu veramente sia trasformato in Lui per trasformazione di amore: questo è opera dello Spirito Santo.

Ecco l'opera dello Spirito. È lo Spirito che ti conduce. Tu non sai attraverso quali modalità e per quali vie giungerai, ma sai che la meta è una sola: essere figli del Padre nello sguardo stesso di Cristo. E non possiamo essere davanti al Volto del Padre se non trasformati in Gesù. E la nostra trasformazione nel Cristo avviene attraverso questo incontro con Lui: incontro con Lui che abita il mondo, che è presente in ogni fratello, che è presente nella Chiesa, che è presente nell'Eucarestia. Incontro che è soltanto l'inizio di un rapporto di amore, di una trasformazione di amore onde al termine, attraverso questi rapporti, l'uomo non soltanto vive una comunione con Cristo, ma si trasforma realmente in Lui. Vive una comunione con Cristo nel rapporto coi fratelli, nel rapporto con la Chiesa, nella Comunione eucaristica, e attraverso questa comunione con gli uomini può giungere alla medesima trasformazione in Cristo quando il suo amore sarà così pieno e così uguale verso gli uomini tutti da essere Gesù che ama attraverso di lui e ama Gesù in tutti, operando così davvero la sua trasformazione in Cristo e la sua unità con tutta la Chiesa, l'unità del Corpo Mistico.
E questa comunione con Cristo realizzata nella Chiesa deve arrivare a tal punto da trasformarci ugualmente in Cristo: nel sacerdote, in Cristo che insegna, che dirige la Chiesa, che lavora, che continua la stessa sua missione. Ma in qualche modo così anche in voi, perché anche in voi continua la missione di Cristo. Voi vi incontrate nella Chiesa nella misura che vi sentite investiti da Essa anche davanti agli uomini, e cooperate a questa missione che è la sua, e vivete questa missione che è la sua, che è anzi la missione stessa di Gesù.
E così la vostra comunione con Gesù Eucarestia realizza al termine una vostra unità col Signore, perché attraverso l'Eucarestia voi dovete giungere a una vostra trasformazione in Gesù.
Così, davvero, noi siamo figli di Dio, perché mossi dallo Spirito giungiamo a questa pienezza. Anche i Padri dicevano che lo Spirito santo imprime in noi il suo suggello, e il suggello dello Spirito è l'immagine stessa del Figlio.
Divenire un solo Cristo; divenire, tutti noi, Gesù: ecco la nostra vocazione. È vero che la nostra vita cristiana ci impone di vivere come figli dinanzi al Padre Celeste, ma è anche vero che il Padre Celeste non ha che un Figlio: l'Unigenito. Gesù non è il Primogenito, ma il Figlio Unigenito del Padre. Si chiama anche "Primogenito fra molti fratelli", ma questi altri fratelli non sono sul suo medesimo piano; sono fratelli suoi e figli di Dio soltanto se sono in Lui, se sono trasformati in Lui.
Il Padre Celeste non ha che un solo Figlio. Noi dunque, se vogliamo vivere la vita dei figli, la vivremo soltanto se saremo trasformati in Lui, nel Cristo. A questa trasformazione d'amore che ci rende "uno solo" con Gesù, può portarci solo lo Spirito Santo, solo lo Spirito Santo la compie, e noi potremo giungervi soltanto nella misura della nostra docilità alla sua azione divina.
Ecco quello che il Signore ci insegna. Non si può separare lo Spirito dal Figlio, come non si può separare il Figlio dal Padre.
La vita cristiana è docilità allo Spirito, affinché si compia il disegno divino di assumere tutti nel Cristo onde, divenuti un solo Corpo in Cristo, divenuti in qualche modo un solo Figlio, noi viviamo dinanzi al Volto del Padre.
Cristo! Ecco la nostra vita. Per me vivere è Cristo. Cristo: ecco quello che dobbiamo essere. Dobbiamo perdere ogni nome, ogni nostra indipendenza e autonomia, per non essere più nostri, per essere in qualche modo una umanità che Egli assume e nella quale Egli vive il suo stesso Mistero.
E questa comunione con Cristo, appunto per questa presenza molteplice e misteriosa di Gesù, deve essere compiuta in ogni momento, perché in ogni momento noi dobbiamo vivere nella Chiesa, in ogni momento siamo in rapporto con gli uomini, in ogni momento possiamo vivere con Cristo Eucarestia, perché in ogni modo e in ogni momento noi portiamo Gesù nel nostro cuore.
Tutto il cammino dell'anima sta in questo essere trasformata dallo Spirito a immagine del Figlio, per vivere davanti al Volto del Padre. Ma quanto è lungo il cammino e quanta la nostra pochezza! Occorre la nostra docilità all'azione dello Spirito, e invece siamo attaccati a tante cose, e la nostra anima è così distratta!

Dio stesso ci offre l'esempio della nostra risposta in Maria. Quale virtù possiamo imparare da Lei se non la docilità, l'abbandono a Dio? S. Giovanni della Croce dice che "nessun movimento vi fu in Nostra Signora che non fosse di Spirito Santo".
Maria non fu mai distratta: tutta l'anima sua era attenta alla Parola di Dio. La sua cooperazione all'azione della grazia fu la sua passività, che si esprime nelle sue parole: "Ecco l'ancella del Signore, si faccia di me secondo la sua parola". Non "farò", ma "si faccia": non posso fare altro che offrirmi a Dio perché operi in me.
Che cosa imparare da Maria se non questo abbandono? Mettiamoci nelle mani di Dio, lasciamoci guidare da Lui; ci conduca per la tenebra o per la luce, per la gioia o per la sofferenza, faccia di noi quello che vuole: dobbiamo essere indifferenti, accettare tutto con la stessa pace, con lo stesso amore. Tutto deve essere uguale per noi, perché tutto porta il segno della sua volontà. Questo ci insegna Maria.
"Non pongo condizioni alla tua volontà, non mi sottraggo ai pesi di cui vuoi caricarmi". Ecco l'esempio da tenere sempre davanti: più che la verginità di Maria e la sua umiltà, questa docilità, questo raccoglimento senza fondo, questo ascoltare la Parola di Dio.
Non scoraggiamoci! L'esempio è altissimo, ma Maria non è soltanto un esempio, è anche Madre, Madre di Gesù e di tutti coloro che devono somigliargli. Se dobbiamo essere figli di Dio, lo saremo soltanto se ci assimiliamo a Lei.
È Maria che ci genera nel suo Figlio. Diamoci a Lei, entriamo nel suo cuore.
Rivogliamoci a Lei come figli deboli e impotenti: ci ottenga Lei quel che da soli non possiamo ottenere. Le mamme amano di più i figli malati. Che Ella ci prenda e ci renda come ci vuole il Signore, ci ottenga Lei questa trasformazione.
Siamo tuoi figli, Maria, e poiché siamo tuoi figli vogliamo diventare Gesù. Per opera dello Spirito Santo concepisti Gesù, per opera dello Spirito Santo rendici simili a Cristo. La tua maternità deve continuare generandoci. Trasformati in Cristo, saremo un'anima sola con Lui.

U.S.F.P.V.


© Divo Barsotti