per accendere il divino amore in ogni cuore
Diceva il P. Baldassarre
Alvarez, gran servo di Dio, che non
pensiamo di aver fatto alcun cammino nella via di Dio, finché non arriviamo a
tener sempre Gesù crocifisso nel cuore.1 E S. Francesco di Sales scrisse che l'amore che non nasce dalla Passione é
debole.2 Sì, perché non può esservi motivo che più ci
stringa ad amare il nostro Dio che la Passione di Gesù Cristo, in sapere che
l'Eterno Padre, per dichiararci l'eccesso dell'amor che ci porta, ha voluto
mandar il suo Figlio Unigenito in terra a morire per noi peccatori; onde scrisse
l'Apostolo che Dio per il troppo amore con cui ci amò volle che la morte del
Figlio recasse a noi la vita: Propter
nimiam caritatem suam, qua dilexit nos... cum essemus mortui peccatis,
convivificavit nos in Christo (Eph. II, 4, 5). E ciò appunto espressero Mosè
ed Elia sul monte Taborre parlando della Passione di Gesù Cristo, non sapendo
chiamarla con altro nome che un eccesso d'amore: Et dicebant excessum eius, quem completurus
erat in Ierusalem (Luc. IX, 31).
Quando venne al mondo il nostro
Salvatore a morire per gli uomini, furono uditi da' pastori gli angeli che
cantavano: Gloria in altissimis Deo
(Luc. II, 14). Ma l'essersi umiliato il Figlio di Dio a farsi uomo per amor
dell'uomo sembrava che così più presto si fosse oscurata che manifestata la
divina gloria; ma no, che la gloria di Dio non poteva in miglior modo
palesarsi al mondo che morendo
Gesù Cristo per la salute degli uomini; poiché la Passione di Gesù Cristo ci ha
fatta conoscere la perfezione degli attributi divini. Ci ha fatto conoscere
quanto sia stata grande la divina Misericordia, in voler morire un Dio per
salvare i peccatori, e morir poi con una morte sì dolorosa ed obbrobriosa. Dice
S. Giovan Grisostomo che il patire di Gesù Cristo non fu un patire comune, e la
sua morte non fu una morte semplice e simile a quella degli altri uomini: Non Passio communis, non mors simplex, morti
similis (S. Io. Chrysost. serm. de Pass.).3
Di più ci ha fatta conoscere la
divina Sapienza. Se il nostro
Redentore era solamente Dio, non potea soddisfare per l'uomo, perché non poteva Iddio
soddisfare egli a se stesso in vece dell'uomo; né Dio potea soddisfare col
patire essendo egli impassibile. All'incontro se fosse stato solo uomo, non
poteva l'uomo soddisfare la grave ingiuria da lui fatta alla divina Maestà. Onde
che fece Iddio? Mandò il suo medesimo Figlio, vero Dio com'era esso Padre, a
prender carne umana, affinché così come uomo pagasse colla sua morte la divina
giustizia e come Dio gli rendesse una piena soddisfazione.
Inoltre fe' conoscere quanto
sia grande la divina Giustizia. Dicea
S. Giovan Grisostomo che non tanto l'inferno, con cui castiga
Dio i peccatori, dimostra
quanto sia grande la sua giustizia, quanto la fa intendere Gesù in croce4, poiché
nell'inferno son punite le creature per li loro propri peccati, ma nella croce
si vede un Dio maltrattato per soddisfare i peccati degli uomini. Quale obbligo
avea Gesù Cristo di morire per noi? Oblatus est, quia ipse voluit (Is. LIII, 7). Egli poteva
giustamente abbandonare l'uomo nella sua perdizione, ma l'amore che ci portava non gli permise di vederci perduti;
onde elesse di abbandonare se stesso ad una morte così penosa, affin di
ottenerci la salute: Dilexit nos et
tradidit semetipsum pro nobis (Eph. V, 2). Egli aveva amato l'uomo sin
dall'eternità: Et in caritate perpetua
dilexi te (Ier. XXXI, 3). Ma poi vedendosi obbligato dalla sua giustizia a
condannarlo e tenerlo sempre da sé lontano e separato nell'inferno, perciò la
sua misericordia lo spinse a trovare il modo da poterlo salvare, ma come? con
soddisfare esso medesimo la divina giustizia colla sua morte. E perciò volle che
nella stessa croce, ove morì, fosse appeso il decreto della condanna della morte
eterna meritata dall'uomo, acciocché restasse cancellato col suo sangue: Delens quod adversus nos erat chyrographum
decreti, quod erat contrarium nobis, et ipsum tulit de medio, affigens illud
cruci (Coloss. II, 14). E così per li meriti del suo sangue ci condonò tutti
i nostri delitti: Donans vobis omnia
delicta (Ibid. II, 13). Ed insieme spogliò i demoni de' dritti sopra di noi
acquistati, conducendo seco in trionfo così i nemici come noi che eravamo la
loro preda: Et exspolians principatus et
potestates, traduxit confidenter palam triumphans illos in semetipso (Ibid.
II, 15). Commenta Teofilatto: Quasi
victor ac triumphator circumvehens secum praedam et hostes in
triumphum.5
Quindi Gesù Cristo
soddisfacendo così la divina giustizia, nel morir sulla croce non parlò che di
misericordia; egli pregò
il Padre ad aver misericordia
degli stessi Giudei che gli avean tramata la morte, e de' carnefici che lo
stavano uccidendo: Pater, dimitte illis:
non enim sciunt quid faciunt (Luc. XXIII, 34). Egli stando in croce, in vece
di punire ambedue i ladroni che poco prima l'aveano ingiuriato: Et qui cum eo crucifixi erant, conviciabantur ei (Marc. XV, 32):
udendo però uno di loro che gli
domandava pietà: Domine, memento mei, cum
veneris in regnum tuum (Luc.
XXIII, 42): egli abbondando di misericordia gli promise per quello stesso giorno
il paradiso: Hodie mecum eris in paradiso (Ibid. XXIII,
43). Ivi prima di morire, in persona di Giovanni ci donò per madre la sua stessa
Madre: Dicit discipulo: Ecce mater tua
(Io. XIX, 27). Ivi in croce si dichiara contento di aver fatto tutto per
ottenerci la salute, e perfeziona il sagrificio colla sua morte: Postea sciens Iesus quia omnia consummata
sunt... dixit: Consummatum est. Et
inclinato capite tradidit spiritum (Ibid. XIX, 28 et 30).
Ed ecco colla morte di Gesù
Cristo liberato l'uomo dal peccato e dalla potestà di Lucifero, e di più
sollevato alla grazia e ad una grazia maggiore di quella che perdé Adamo: Ubi autem abundavit delictum, scrive S.
Paolo, superabundavit gratia (Rom. V,
20). Resta a noi dunque, scrive l'Apostolo, di spesso ricorrere con confidenza a
questo trono della grazia, quale appunto è Gesù crocifisso, acciocché riceviamo
dalla sua misericordia la grazia della salute coll'aiuto opportuno per superare
le tentazioni del mondo e dell'inferno: Adeamus ergo cum fiducia ad thronum gratiae,
ut misericordiam consequamur, et gratiam inveniamus in auxilio opportuno
(Hebr. IV, 16).
Ah Gesù mio, io vi amo sopra
ogni cosa; e chi voglio amare se non amo voi che siete una bontà infinita e
siete morto per me? Vorrei morir di dolore ogni volta che penso di avervi
discacciato dall'anima mia col mio peccato, e di essermi separato da voi che
siete l'unico mio bene e mi avete tanto amato. Quis me separabit a caritate Christi?6
Solo il peccato mi può separare
da voi. Ma io spero dal sangue che
avete sparso per me, che non mai permetterete ch'io mi separi dal vostro amore e
perda la grazia vostra, ch'io stimo più di ogni altro bene. Io vi dono tutto me
stesso; accettatemi
voi e tiratevi tutti gli
affetti miei, acciocch'io non ami altri che voi.
Forse Gesù Cristo pretende
troppo, volendo che ci diamo tutti a lui, dopo ch'egli ci ha dato tutto il
sangue e la vita morendo per noi in croce? Caritas enim Christi urget nos (II Cor.
V, 14). Udiamo quel che dice S. Francesco di Sales sulle citate parole: «Il
saper noi che Gesù ci ha amati sino alla morte e morte di croce, non è questo un
sentire i nostri cuori stringere per una violenza che tanto è più forte, quanto
è più amabile?»7 E poi soggiunge: «Il mio Gesù si dà tutto a me, ed
io mi do tutto a lui; io viverò e morirò sopra il suo petto, né la morte né la vita da lui mai mi
divideranno».8
A questo fine è morto Gesù
Cristo, scrive S. Paolo, acciocché ognuno di noi non viva più al mondo né a se
stesso, ma solo a lui che tutto si è dato a noi: Et pro omnibus mortuus est Christus, ut et qui
vivunt, iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus est (II Cor. V,
15). Chi vive al mondo cerca di piacere al mondo: chi vive a se stesso cerca a
sé piacere: ma chi vive a Gesù Cristo non cerca che di piacere a Gesù Cristo, e
non teme che di dargli disgusto: non gode che in vederlo amato e non si affligge
che in vederlo disprezzato. Questo è vivere a Gesù Cristo e questo egli pretende
da ciascuno di noi. Replico, forse pretende troppo dopo che per ognuno di noi ha
dato il sangue e la vita?
Oh Dio, e perché abbiamo da
impiegare i nostri affetti in amar le creature, i parenti, gli amici, i potenti
del mondo, che per noi non han sofferti né flagelli, né spine, né chiodi, ne han
data una goccia di sangue per noi, e non un Dio che per nostro amore è sceso dal
cielo in terra, si è fatt'uomo, ha sparso tutto il sangue per noi a forza di
tormenti, e finalmente è morto di dolore sovra d'un legno per tirarsi i nostri
cuori? ed inoltre
per unirsi maggiormente con noi
si è lasciato, dopo la sua morte, sugli altari dove si fa una cosa con noi per
farc'intendere l'ardente amor che ci porta? Semetipsum nobis immiscuit, esclama S.
Grisostomo, ut quid unum simus; ardenter
enim amantium hoc est.9 E S. Francesco di Sales soggiunge, parlando
della santa comunione: “In niun'altra azione può considerarsi il Salvatore né
più tenero né più amoroso che in questa in cui si annichila, per così dire, e si
riduce in cibo per unirsi al cuore de' suoi fedeli.»10
Ma come va, Signore, ch'io dopo
essere stato amato da voi con tante speciali finezze, ho avuto l'animo di
disprezzarvi, come giustamente mi rimproverate? Filios enutrivi et exaltavi: ipsi autem
spreverunt me (Is. I, 2). Ho avuto l'animo di voltarvi le spalle per
soddisfare il mio senso? Proiecisti me
post corpus tuum (Ezech. XXIII, 35). Ho avuto l'animo di discacciarvi
dall'anima mia? Impii dixerunt Deo,
recede a nobis (Iob, XXI, 14).11 Ho avuto l'animo di affliggere il vostro Cuor che
mi ha tanto amato? Ma che perciò?
debbo diffidarmi della vostra misericordia? Maledico quei giorni in cui vi
disonorai. Oh fossi morto mille volte prima, o mio Salvatore, e non vi avessi
mai offeso! O Agnello di Dio, voi vi
siete fatto svenar sulla croce per lavare i nostri peccati col vostro sangue! O
Peccatori, quanto paghereste voi una goccia di sangue di questo Agnello nel
giorno del giudizio! o Gesù mio, abbiate pietà di me e perdonatemi. Ma voi
sapete la mia debolezza; prendetevi tutta la mia volontà, acciocch'ella non si
ribelli più da voi. Discacciate da me ogni amore che non è per voi. Voi solo mi
eleggo
per mio tesoro e per unico mio
bene; voi mi bastate e non desidero altro bene fuori di voi. Deus cordis mei, et pars mea Deus in
aeternum.
O Pecorella diletta di Dio, che
siete la madre dell'Agnello divino
(così la chiamava S. Teresa Maria SS. la
Pecorella)12, raccomandatemi al vostro Figlio; voi dopo Gesù
siete la speranza mia; giacché siete la speranza de' peccatori, in mano vostra confido la mia eterna salute.
Spes nostra, salve.
1 «Solea ripetere ad ora ad ora nelle sue ordinarie esortazioni: «Non pensiamo d'aver mai fatto alcuna cosa di rilievo, se non giungiamo a portar sempre nei nostri cuori Gesù crocifisso.» Ven. Lud. DA PONTE, Vita, Cap. 3, § 2.
2 «Tout amour qui ne prend son origine de la Passion du Sauveur est frivole et périlleux.» S. FRANÇOIS DE SALES, Traité de l'amour de Dieu, liv. 12, ch. 13.
3 «Ecce ascendimus Hierosolymam, et Filius hominis tradetur summis sacerdotibus, etc. Ascendimus Hierosolymam: ut in die Paschae ad Passionis pompam et ad spectaculum mortis atque scandalum crucis, iudaicae urbis universitas conveniret. Non sufficit Passio communis, non mors secreta, non mors simplex, non mors morti similis: nisi ut quantae erat patientia singularitatis, tanta esset et singularitas Passionis. Actum est, ut auctor saeculi, saeculo teste moreretur, et a mundo mundi Dominus ante per poenam quam per gloriam nosceretur.» Inter Opera A. Ioannis Chrysostomi, III, Venetiis, 1574, fol. 297, col. 2, De Passione Domini sermo sextus. - Questi Sermoni vennero con ragione esclusi dall'edizione Benedettina. Però, lo stesso pensiero, ed in parte le stesse parole, s'incontrano nelle omilie autentiche del Grisostomo.«Qui in sinu Patris est, formam servi suscipere voluit (Philipp. II, 7), et omnia alia sustinere quae ad corpus pertinent.... et tandem etiam mortem sustinere: et mortem non vulgarem, sed eam quae ignominiosissima habebatur, crucis dico.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In Genesim, hom. 23. n. 6. MG 53-205. - «Eum, inquit (Paulus) qui non noverat peccatum, qui ipsamet iustitia erat, peccatum fecit; hoc est, ut peccatorem condemnari passus est, ut maledictum hominem mori: Maledictus enim qui pendet in ligno (Deut. XXI, 23). Multo quippe atrocius erat ita mori, quam dumtaxat mori; quod ipse quoque (Paulus) alio loco subindicat, dicens: Factus odebiens usque ad mortem, mortem autem crucis (Philipp. II, 8). Neque enim cruciatum dumtaxat ea res habebat, sed et ignominiam.» IDEM, In Epist. II, ad Cor., hom. 11, n. 3. MG 61-478.
4 «Haec igitur cogitantes, magis verba ista (Eum qui non noverat peccatum, pro nobis peccatum fecit) quam gehennam timeamus.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In Epist. II ad Cor., hom. 11, n. 3. MG 61-479. - Vedi Appendice, 20.
5 «Triumphans illos in ipsa. Hoc est, in cruce daemones prostratos monstrans. Triumphus enim dicitur, cum quis parta ab hostibus victoria reversus, publicam pompam duxerit, devictos hostes omnibus vinctos ostendens. In cruce igitur tropoeum statuens Dominus, tamquam in publico theatro Graecorum, Romanorum, Iudaeorum, de daemonibus triumphavit.» THEOPHYLACTI Bulgariae Archiep. Expositio in epist., ad Coloss., cap. II, 15. MG 124-1246.
6 Quis ergo nos separabit a caritate Christi? Rom. VIII, 35.
7 «Et maintenant, je vous prie, sachant que Jésus-Christ, vrai Dieu éternel, tout-puissant, nous a aimés jusques à vouloir souffrir pour nous la mort, et la mort de la croix (Philipp. II, 8), ô mon cher Théotime, n'est-ce pas cela avoir nos cœurs sous le pressoir et les sentir presser de force, et en exprimer de l'amour par une violence et contrainte qui est d'autant plus violente qu' elle est toute aimable et amiable?” S. FRANÇOIS DE SALES, Traité de l'amour de Dieu, liv. 7, ch. 8.
8 Mon Jésus est tout mien et je suis toute sienne (Cant. II, 16), je vivrai et mourrai sur sa poitrine, ni la mort ni la vie ne me séparera jamais de lui (Rom. VIII, 38, 39).» Même ouvrage, liv. 7, ch. 8.
9 «Unum corpus sumus, et membra ex carne eius et ex ossibus eius.... Ut itaque non tantum per caritatem hoc fiamus, verum et ipsa re in illam misceamur carnem, hoc per escam efficitur quam largitus est nobis, volens ostendere desiderium quod erga nos habet. Propterea semetipsum nobis immiscuit, et corpus suum in nos contemperavit, ut unum quid efficiamur, tamquam corpus capiti coaptatum: ardenter enim amantium hoc est.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, Opera, V, Venetiis 1574: Ad populum Antiochenum hom. 61. - Opera, III, Venetiis, 1574, In Ioannem, hom. 45. - MG 59-260: In Ioannem, hom. 46 (al. 45) n. 2 et 3.
10 «Non, le Sauveur ne peut être considéré en une action ni plus amoureuse ni plus tendre que celle-ci, en laquelle il s'anéantit, par maniére de dire, et se réduit en viande afin de pénétrer nos âmes et s'unir intimement au cœur et au corps de ses fidélés.» S. FRANÇOIS DE SALES, Introduction à la vie dévote, partie 2, ch. 21.
11 Quare ergo impii vivunt...?... Qui dixerunt Deo: Recede a nobis. Iob XXI, 7, 14.
fonte12 «O que dulce cosa es ver al Pastor hecho cordero! Pastor es, porque apacienta; y cordero, porque es el mismo pasto. Pastor es, porque mantiene; y cordero, porque es manjar. Pastor, porque cria ovejas ; y cordero, porque nació dellas .» Siete Meditaciones sobre el Pater noster, Quarta petición, para el jueves. - Queste Meditazioni, comunemente rigettate come non autentiche, si ritrovano nell'edizione Plantiniana (Baldassarre Moreto, Anversa, 1630) delle Opere di S. Teresa: seconda parte, pag. 585 e seg.