quarta-feira, 28 de novembro de 2018

Barsanufio il Grande e la tradizione dell’esicasmo


Barsanufio il Grande e la tradizione dell’esicasmo



L’esicasmo, quale pratica mistico-monastica tipica della Chiesa d’Oriente, ebbe una particolare diffusione tra i monasteri in cui era praticata una vita spirituale molto interiorizzata che lasciava poco spazio per la preghiera comunitaria, preferendo invece che il monaco fosse libero di concentrarsi su Dio, di essere solo con Dio, a tu per tu con Lui, senza intermediari. La regola, se ve ne era una, era unicamente quella della preghiera. Dice infatti Barsanufio: «Un esicasta non possiede regole. Dunque non desiderare regole, perché non voglio che tu sia soggetto ad una legge ma unicamente alla grazia. È detto infatti: ‘Non c’è legge per il giusto’ ed io voglio che tu sia con i giusti. Tieniti al discernimento come un timoniere che governa una nave contro i venti» (Lettera 33). La preghiera era l’unica voce che scandiva le ore della giornata. Ciò non solo per Barsanufio, ma per ogni eremita che volesse intraprendere questa particolare vita ascetica. Dice ancora Barsanufio in risposta a chi gli chiedeva informazioni maggiori su come poter misurare questa preghiera: «Quando conoscerai la venuta dello Spirito, essa ti insegnerà ogni cosa. E ti istruirà anche a proposito della preghiera. Dice infatti l’Apostolo: ‘Noi non sappiamo pregare come si deve, ma lo Spirito intercede per noi’».
Il non partecipare alla vita comunitaria, da parte dell’eremita, non vuol dire che egli non debba partecipare alla liturgia: la salmodia, la lettura meditata, la preghiera recitata ad alta voce sono alcuni dei modi con i quali egli celebra una sua liturgia personale, quella che una volta affinata lo condurrà ad avere il perfetto controllo di sé. Allora le parole della preghiera non scaturiranno più dalle labbra ma direttamente dal cuore. Pregare direttamente con il cuore e non con la lingua «è proprio dei perfetti che sono capaci di governare il proprio intimo e custodirlo per Dio. Ma colui che non riesce a mantenere il suo spirito in presenza di Dio, deve aggiungervi la meditazione e la preghiera con le labbra».
Per fare meglio capire questo non facile concetto, Barsanufio usa questo esempio: «Guardate quelli che nuotano nel mare: i nuotatori esperti si gettano in acqua con coraggio, sapendo che il mare non può inghiottire i validi nuotatori. Al contrario, colui che sta solo imparando a nuotare, quando si sente affondare nell’acqua, temendo di annegare esce subito dal mare e si ritira sulla riva. Poi, riprendendo coraggio si immege di nuovo nell’acqua. Così fa dei tentativi per imparare a nuotare bene, finchè non abbia raggiunto la perfezione dei nuotatori esperti».
La preghiera per il monaco esicasta è l’unica preoccupazione e a tale proposito vorrei citare un brevissimo e grazioso aneddoto relativo ad un altro dei padri del deserto, il beato Epifanio vescovo di Cipro, al cui monastero in Palestina un giorno si affacciò un monaco di un altro monastero con una missiva del suo abate: «Grazie alle tue preghiere non abbiamo trascurato la nostra regola e con fervore recitiamo l’ora prima, la terza, la sesta e la nona insieme all’ufficio del Lucernario». Ma egli li rimporoverò con queste parole: «Evidentemente trascurate le altre ore del giorno astenendovi dalla preghiera. Un vero monaco deve avere incessantemente nel cuore la preghiera e la salmodia».
Usando una espressione tipica dell’Oriente, Barsanufio dice che il monaco — ma a questo punto il cristiano, aggiungo io — deve «tagliare la propria volontà» e questo taglio della volontà è reso possibile soltanto da una disposizione dell’anima, cioè dall’umiltà: «Ama di più quelli che ti mettono alla prova. Anch'io spesso ho amato quelli che mi mettevano alla prova. Infatti, se ci pensiamo bene, sono tali persone che ci fanno progredire. Sii obbediente e umile ed esigilo da te stesso ogni giorno» (Lettera 21).
«I pensieri istigati dal demonio sono tempestosi e pieni di tristezza: in modo subdolo e di soppiatto ti trascinano all’indietro. Se l’uomo non muore alle opere della carne, non può resuscitare alla vita secondo lo Spirito» (Lettera 124). e ancora «Tagliare la volontà è disprezzare il sollievo della natura e il procurarsi il benessere sempre e in ogni cosa. Fare la volontà di Dio è recidere la volontà che viene dai demoni, cioè la mania di giustificare e di confidare in se stesso. È allora che si è presi in trappola» (Lettera 173). Nei consigli che Barsanufio dà a quanti li chiedono, ci si accorge di non essere mai soli: con noi c’è il pubblicano del Vangelo, quello che vorrebbe non farci dire ogni volta: «Ho fatto bene, sono il migliore». La strada dell’ascesi mistica tuttavia è lunga ed impervia ed è in buona parte sostenuta da quella che Barsanufio chiama «la fatica del cuore», senza la quale tuttavia non arriverà mai il momento dell’incontro con Dio: «L’operazione interiore compiuta con la fatica del cuore porta con sé la purificazione e questa porta la vera pace. Per quanto è in tuo potere, rendi umili i tuoi pensieri e Dio aprirà gli occhi del tuo cuore in modo da vedere la vera luce e comprendere cosa significa dire ‘Per grazia sono stato salvato da Gesù Cristo nostro Signore’».
Non è comunque solo il monaco che deve perseverare, passo passo, nel suo umile sforzo di ascesi e di preghiera. Pur rivolgendosi prevalentemente ad interlocutori della comunità monastica, Barsanufio vuole fare arrivare il messaggio della mistica esicasta ad ogni uomo che voglia accostarvisi. Non è necessario essere monaci per farlo.